Consiglio di Stato Sez. IV n. 1961 del 10 marzo 2025
Rifiuti.Contaminazione storica ed obblighi di bonifica

L’obbligo di bonifica per una contaminazione storica in capo al soggetto individuato quale responsabile non viola il principio di legalità inerente all’irretroattività dell’applicazione di una norma sanzionatoria. Ciò in quanto, come riconosciuto dall’Adunanza Plenaria n. 10 del 2019, l’obbligo di bonifica ha natura riparatoria e non sanzionatoria e la responsabilità per danno ambientale, in quanto fatto illecito, era già presente nella giurisprudenza ancor prima che il D. Lgs. 22/1997 introducesse all’art. 17 l’istituto della bonifica. In realtà è proprio il principio comunitario “chi inquina paga” a rendere necessaria l’imposizione delle misure ripristinatorie a carico del responsabile dell’inquinamento sicché, una volta che la responsabilità è stata accertata con sentenza passata in giudicato, gli obblighi di bonifica non possono che essere posti a carico del responsabile, pena la violazione del predetto principio comunitario.

Pubblicato il 10/03/2025

N. 01961/2025REG.PROV.COLL.

N. 00870/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 870 del 2023, proposto da Edison S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Andreina Degli Esposti, Wladimir Francesco Troise Mangoni, Riccardo Villata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Riccardo Villata in Roma, via G. Caccini n. 1;

contro

Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Eni Rewind S.p.A. e Versalis S.p.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Stefano Grassi e Francesco Grassi, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, piazza Barberini 12;
Provincia di Mantova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Eloisa Persegati Ruggerini, Lucia Salemi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Salute, Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Mantova non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) n. 00963/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, del Ministero della Salute, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy nonchè delle società Versalis S.p.A. ed Eni Rewind S.p.A., e della Provincia di Mantova;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il Cons. Luca Monteferrante e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale.


FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto l’attività produttiva svolta nel Sito di Interesse Nazionale “Laghi di Mantova e Polo Chimico” e, in particolare, i fenomeni di inquinamento che l’hanno interessato la cui cronologia, sia in relazione ai singoli lotti direttamente interessati che alle società che, a partire dal 1956, si sono succedute nella gestione del sito, sono analiticamente descritte dal punto 1 al punto 17 della sentenza appellata, cui si fa rinvio in applicazione del principio di sinteticità degli atti processuali di cui all’art. 3 c.p.a., anche in ragione del fatto che trattasi di ricostruzione storica non contestata.

Si tratta, in ogni caso, di una fattispecie di inquinamento c.d. storico.

La Edison s.p.a. ha impugnato tutti i provvedimenti provinciali che la ritenevano responsabile dell’inquinamento dinanzi al T.a.r. per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.

Con sentenza n. 802 del 2018 la Sezione staccata li ha respinti, dopo averli riuniti.

Il successivo appello interposto avverso la predetta sentenza è stato respinto da questa Sezione con sentenza 1 aprile 2020 n. 2195.

La predetta decisione è stata impugnata per revocazione ma il ricorso è stato dichiarato manifestatamente inammissibile, con sentenza n. 2138 del 12 marzo 2020.

Avverso la sentenza n. 2195 del 2020 la Edison s.p.a. ha, altresì, proposto ricorso per Cassazione per motivi attieniti alla giurisdizione, che è stato dichiarato inammissibile con l’ordinanza n. 8569 del 26 marzo 2021.

Alla luce dell’esito del contenzioso relativo alla individuazione dei soggetti responsabili dell’inquinamento, il 27 maggio 2020 il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha:

- intimato alla ricorrente di «avviare con sollecitudine, ed in ogni caso entro e non oltre il termine di giorni trenta dal ricevimento della presente, le attività prodromiche al subentro nelle attività di bonifica» (provvedimento numero 0039097.27-05-2020);

- valutato non idonea la documentazione trasmessa dalla ricorrente relativa all’area “basso Mincio” e le ha conseguentemente intimato di «eseguire una idonea caratterizzazione integrativa dell’area oggetto dell’ordinanza in accordo con ARPA e nel rispetto della vincolistica che insiste nell’area stessa» e di «presentare a seguito degli esiti di detta caratterizzazione integrativa un idoneo progetto di intervento, corredato della vincolistica che insiste sull’area, per il ripristino dello stato qualitativo delle matrici contaminate fino ai valori di intervento dei sedimenti previsti nel SIN Laghi di Mantova e Polo Chimico individuati da ISPRA e ratificati nelle conferenze di servizi del SIN in particolare nella conferenza di servizi del 10.10.2011» (provvedimento numero 0039100.27-05-2020).

In data 8 giugno 2020, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ha ordinato all’odierna ricorrente, in qualità di responsabile dell’inquinamento:

- di subentrare alla Versalis s.p.a. negli interventi previsti nel progetto di bonifica denominato “Intervento sui terreni in Area B + I. Dicembre 2011”, approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare il 23 settembre 2014, nonché di prestare una garanzia fideiussoria a favore della Regione Lombardia, per una somma pari al 50% dell’importo dell’intervento (stimato in

euro 24.991.000,00), a garanzia della corretta esecuzione degli interventi imposti (decreto Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. n. 62 datato 8 giugno 2020).

- di subentrare a Syndial s.p.a. (oggi ENI Rewind s.p.a.) negli interventi previsti nel “progetto di bonifica integrativo per i suoli e per la falda sottostanti l’Area Collina” approvato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con il decreto 452/STA del 6 ottobre 2016, nonché di prestare una garanzia fideiussoria a favore della Regione Lombardia per una somma pari al 50% dell’importo dell’intervento (stimato in euro 9.544.810,00), a garanzia della corretta esecuzione degli interventi imposti (decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. n. 58 datato 8 giugno 2020).

- di subentrare ancora a Syndial s.p.a. negli interventi previsti nel “progetto di bonifica dell’Area Collina – Interventi di rimozione dei rifiuti e terreni contaminati” nonché di prestare una garanzia fideiussoria a favore della Regione Lombardia per una somma pari al 50% dell’importo dell’intervento (stimato in euro 84.639.400,00), a garanzia della corretta esecuzione degli interventi imposti (decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare prot. n. 60 datato 8 giugno 2020).

- di subentrare infine a Syndial s.p.a. negli interventi previsti nel “Progetto di bonifica dell’Area R2” nonché di prestare una garanzia fideiussoria a favore della Regione Lombardia per una somma pari al 50% dell’importo dell’intervento (stimato in euro 20.012.000,00), a garanzia della corretta esecuzione degli interventi imposti (decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio

e del Mare prot. n. 57 datato 8 giugno 2020).

2. Con distinti ricorsi (rubricati sub RG 442/20, 443/20, 444/20, 445/20, 447/20 e 448/20) Edison s.p.a. ha impugnato i suddetti decreti ministeriali dinanzi al T.a.r per la Lombardia, sezione staccata di Brescia per chiederne l’annullamento in quanto asseritamente illegittimi.

Con sentenza 18 ottobre 2022, n. 963 la Sezione Staccata di Brescia ha respinto i ricorsi riuniti.

3. Avverso la predetta sentenza Edison s.p.a. ha interposto il presente appello per chiederne la riforma in quanto errata in diritto.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il Ministero della Salute, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, la Provincia di Mantova, Eni Rewind S.p.A. e Versalis S.p.A. per resistere all’appello, chiedendone la reiezione in quanto infondato.

4. Alla udienza pubblica del 26 settembre 2024 l’appello è stato trattenuto in decisione, previo deposito di memorie difensive e di replica con cui le parti hanno nuovamente illustrato le rispettive tesi difensive ed eccezioni.

5. Tanto premesso in fatto, deve darsi atto preliminarmente che il difensore della appellante, in sede di pubblica discussione, ha confermato l’interesse, quanto meno morale, ad una decisione di merito nonostante sia in corso l’esecuzione dei lavori di bonifica e ciò in replica alla eccezione di improcedibilità dell’appello sollevata dalla Provincia di Mantova e dalle appellate Versalis S.p.a. ed Eni Rewind S.p.A. a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n. 2195/2020 del Consiglio di Stato, sul presupposto che “le impugnazioni sono rivolte contro provvedimenti consequenziali a quelli

oggetto di decisione, e sono fondati su identici motivi di impugnazione”.

L’eccezione è infondata atteso che per costante giurisprudenza: “L'improcedibilità per carenza sopravvenuta d’interesse è resa possibile, traducendosi altrimenti in una sostanziale elusione del dovere di pronuncia sul merito della domanda, soltanto quando, alla stregua di un criterio rigoroso e restrittivo, sia chiaro e certo che l'esito del giudizio non potrebbe arrecare alcuna utilità al ricorrente, allorché sussista una situazione in fatto o in diritto del tutto nuova rispetto a quella esistente al tempo della proposizione del gravame e tale da escludere con assoluta sicurezza che la sentenza di merito possa conservare una qualsiasi utilità residua, anche meramente strumentale o morale, per il ricorrente” (Consiglio di Stato , sez. V , 21/10/2021 , n. 7077).

Nella specie né la intervenuta esecuzione dei lavori né il passaggio in giudicato della sentenza di questa sezione n. 2195 del 2020 fanno venir meno l’interesse allo scrutinio di legittimità dei provvedimenti ministeriali impugnati che, pur essendo relativi non all’an della responsabilità bensì al quomodo degli interventi di risanamento dei fenomeni di contaminazione, può rilevare anche in una prospettiva risarcitoria in relazione all’onere economico sostenuto dal soggetto responsabile, in conseguenza degli adempimenti e delle prescrizioni operative ed esecutive stabilite dall’autorità amministrativa competente.

L’eccezione di improcedibilità deve dunque essere respinta.

6. Può pertanto passarsi all’esame dell’appello nel merito.

Nel merito l’appello è infondato.

Con un unico complesso motivo l’appellante ha dedotto: “Error in iudicando. Eccesso di potere. Violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità. Violazione del principio di irretroattività. Violazione dell’articolo 1 protocollo 1 della cedu e dell’articolo 117, comma 1, cost. violazione del principio “chi inquina paga” e, per esso, dell’articolo 191 tfue. Violazione dell’articolo 41 cost. ingiustizia manifesta e violazione del principio di buon andamento. violazione e falsa applicazione degli articoli 242 e 244 del d.lgs. difetto di motivazione.”.

Censura la sentenza del T.a.r. nella parte in cui, nel respingere il primo motivo di ricorso, ha affermato che “gran parte delle censure proposte dalla ricorrente (…) sono divenute improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse”, una volta accertata con sentenza passata in giudicato la responsabilità di Edison s.p.a. nell’inquinamento del sito.

Osserva infatti il T.a.r. che “i Provvedimenti Impugnati (…) sono meramente e dichiaratamente conseguenziali alle ordinanze provinciali con cui la società ricorrente è stata ritenuta responsabile dell’inquinamento e della decisione di questo TAR n. 802 del 9 agosto 2018, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2195 del 1° aprile 2020, che ne ha sancito la legittimità”, pertanto, aggiunge “devono ritenersi improcedibili tutte le censure che (…) tendono a rimettere in discussione la legittimità dell’individuazione della ricorrente quale soggetto responsabile dell’inquinamento: legittimità la quale, alla luce del giudicato formatosi sul punto, non è più contestabile”.

Reitera quindi il motivo di ricorso ritenendo illegittimo applicare a condotte antecedenti la “riforma Ronchi” del 1997 la disciplina amministrativa delle bonifiche, soprattutto ove, come nel caso di specie, i fatti storici causativi delle “contaminazioni” (che, oltretutto, a suo dire tali non erano ai sensi della normativa pro tempore) sarebbero pienamente conformi alla disciplina vigente all’epoca dei fatti.

L’applicazione agli “inquinamenti storici” degli articoli 239 e ss. del d. lgs. 152/2006 (di seguito anche “TUA”) sarebbe infatti irragionevole, oltre che, prima ancora, contraria al dato positivo.

A voler ritenere che l’unica interpretazione possibile della normativa sia nel senso di un’applicazione degli obblighi di bonifica a un c.d. inquinamento storico emergerebbe con evidenza l’illegittimità costituzionale degli articoli 242 e 244 del TUA, sui quali si fonda il provvedimento gravato e comunque il Collegio dovrebbe valutare i profili di compatibilità euro-unitaria dell’applicazione retroattiva della disciplina.

Il motivo è infondato.

Una volta accertata in capo ad Edison s.p.a. la responsabilità dell’inquinamento, l’individuazione delle misure operative in cui si concretizza l’obbligo consequenziale di bonifica non può che avvenire in base alla disciplina normativa vigente al momento in cui l’autorità competente adotta i relativi provvedimenti.

Negli inquinamenti c.d. storici un problema astratto di possibile retroattività della disciplina si pone infatti rispetto all’accertamento della responsabilità in relazione a condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 22 del 1997 ma non riguarda la disciplina relativa alle misure di ripristino la quale, in ragione della persistenza dell’inquinamento, non può che essere quella in vigore al momento dell’adozione dell’ordine di bonifica.

In questo senso l’Adunanza plenaria di questo Consiglio con sentenza n. 10 del 2019 ha chiarito al riguardo che “….l’autore dell’inquinamento, potendovi provvedere, rimane per tutto questo tempo soggetto agli obblighi conseguenti alla sua condotta illecita, secondo la successione di norme di legge nel frattempo intervenuta: e quindi dall’originaria obbligazione avente ad oggetto l’equivalente monetario del danno arrecato, o in alternativa alla reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 cod. civ., poi specificato nel «ripristino dello stato dei luoghi» ai sensi del più volte richiamato art. 18, comma 8, l. n. 249 del 1986, fino agli obblighi di fare connessi alla bonifica del sito secondo la disciplina attualmente vigente…Pertanto….non vi è luogo nel caso ora descritto ad alcuna retroazione di istituti giuridici introdotti in epoca successiva alla commissione dell’illecito, ma casomai all’applicazione da parte della competente autorità amministrativa degli istituti a protezione dell’ambiente previsti dalla legge al momento in cui si accerta una situazione di pregiudizio in atto.” (cfr. altresì Cons. Stato, 9 maggio 2024, n. 6596 punto 9.4; Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2024, n. 10516 secondo cui “l’applicazione delle norme in materia di bonifica anche rispetto a fattispecie di “contaminazioni storiche” non avviene in via retroattiva, sanzionando ora per allora condotte risalenti e lecite al momento della loro commissione, ma pone attuale rimedio alla perdurante condizione di contaminazione dei luoghi”).

Si tratta dunque di una piana applicazione del principio del tempus regit actum: le criticità evocate dall’appellante sono astrattamente prefigurabili – e sono state oggetto di articolato dibattito giurisprudenziale e dottrinale - in relazione alla individuazione della normativa applicabile (e in particolare se possa farsi ricorso anche alla normativa sopravvenuta nel tempo) in relazione al dispositivo giuridico di accertamento delle condotte causative dell’inquinamento e del conseguente danno ambientale, ai fini della individuazione del soggetto responsabile per i fatti anteriori alla entrata in vigore del d. lgs. n. 22 del 1997 ma, una volta che la responsabilità è stata accertata con sentenza passata in giudicato, come nel caso di specie, la individuazione della normativa applicabile alle conseguenti e successive operazioni di bonifica e di ripristino – che possono avvenire anche a distanza di decenni dalle condotte illecite causative dell’inquinamento - segue il principio generale della disciplina in vigore al momento della adozione dei provvedimenti che prescrivono le misure di bonifica.

E ciò proprio in forza di quanto osservato dall’appellante secondo cui “i provvedimenti ministeriali impugnati dinanzi al TAR non possono essere considerati alla stregua di atti meramente conseguenziali alle ordinanze provinciali che individuano il responsabile dell’inquinamento…” (cfr. punto 9 dell’atto di appello p. 12 e ss.) essendo dotati di autonoma portata precettiva.

In questi termini deve essere corretta la motivazione del T.a.r. che, richiamando la categoria della improcedibilità, ha sostanzialmente inteso evidenziare quanto sopra esplicitato circa l’inefficacia (rispetto alla domanda di annullamento) di censure calibrate in relazione alla fase di accertamento della responsabilità dell’inquinamento, nella successiva fase di applicazione delle misure di bonifica le quali non possono che seguire il regime giuridico in vigore al momento della adozione dei provvedimenti che le prescrivono, rappresentato per l’appunto dal d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione al quale nessuna censura muove l’appellante con riferimento ai provvedimenti di ripristino adottati.

Da quanto precede deriva anche la irrilevanza e comunque la infondatezza, in ragione del giudicato formatosi sul punto, delle doglianze (punti da 13 a 32 dell’atto di appello) incentrate sul passaggio in cui il T.a.r. ha condiviso le statuizioni della citata sentenza n. 2195 del 2020 di questa Sezione nella parte in cui si afferma che: “il motivo è improcedibile perché la questione è stata affrontata, con efficacia di giudicato tra le parti, dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2195/2020 che, richiamando un proprio consolidato orientamento, ha ribadito che l’applicazione delle norme in materia di bonifica a fattispecie di contaminazione storiche non avviene in via retroattiva, sanzionando ora per allora condotte risalenti e lecite, al momento della loro commissione, ma pone attuale rimedio alla perdurante condizione di contaminazione dei luoghi, che è da ritenersi illecita anche qualora posta in essere in epoca antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 22/1997, che, per primo, ha disciplinato gli obblighi di bonifica” in applicazione del principio di diritto affermato da Cons. Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019.

Il passo infatti ripropone il tema della disciplina applicabile per l’accertamento della responsabilità e quindi della liceità o meno delle condotte di inquinamento poste in essere in epoca antecedente all’entrata in vigore del c.d. decreto Ronchi, mentre nel caso di specie, come evidenziato dalla stessa appellante, l’oggetto del giudizio è rappresentato dai provvedimenti ministeriali che prescrivono le misure di ripristino e viene in rilievo la disciplina applicabile a tale distinta tipologia di provvedimenti adottati per porre fine alla perdurante situazione di inquinamento. In relazione a questa fase del procedimento la disciplina applicabile non può che essere quella in vigore al momento in cui le misure sono adottate, una volta conclusa quella di individuazione del soggetto responsabile.

Senonché l’appellante non si duole per qualche motivo delle modalità di applicazione alle misure di ripristino previste dalla disciplina legislativa vigente al momento della loro adozione (e cioè del d. lgs. n. 152 del 2006), ma dal punto 13 al punto 32 dell’appello torna inammissibilmente sul tema della illeceità della condotta causativa dell’inquinamento, per muovere una articolata critica al percorso logico-giuridico seguito per l’accertamento della responsabilità che è tema ormai definito con sentenza passata in giudicato, con conseguente irrilevanza anche delle questioni di legittimità costituzionale dedotte sul punto, come pure di quelle di asserito contrasto con il diritto europeo prospettate per chiedere il rinvio pregiudiziale.

In particolare l’appellante sul punto:

a) ha riproposto la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 239 e ss, del d. lgs. n. 152 del 2006 relativi alla disciplina della bonifica dei siti contaminati e ritenuta dal T.a.r. manifestamente infondata, alla luce dei principi affermati da Cons. Stato, Ad. Plen. n. 11 del 2019 per contrasto:

a.1) con gli artt. 1, prot, 1 e 7, CEDU, in relazione con l’art. 117, c. 1 Cost. in relazione al principio di irretroattività della legge recante la disciplina degli obblighi di bonifica;

a.2) con l’art. 3 Cost. per violazione dei principi generali dell’irretroattività della legge, della certezza giuridica e del legittimo affidamento;

a.3) contrasto con l’art. 41, c. 1, Cost..

b) Ha riproposto la domanda rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE del seguente tenore “Se i principi dell’Unione Europea della irretroattività, della certezza del diritto, del legittimo affidamento e quelli in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 17; secondo e trentesimo considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga” – debbano essere interpretati nel senso che ostino a una normativa nazionale, quale quella delineata negli articoli 239 e ss. del d.lgs. n. 152/2006, che preveda l’imposizione di misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica a un operatore che abbia compiuto sul sito attività produttive terminate prima dell’entrata in vigore delle predette disposizioni nazionali e rispettando le disposizioni all’epoca vigenti”.

Il Collegio è dell’avviso che la questione di legittimità costituzionale sia manifestamente infondata (laddove riferita alla disciplina delle misure di bonifica e non all’accertamento della responsabilità ormai oggetto di accertamento definitivo con conseguente irrilevanza della dedotta questione) e che non ricorrano i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale.

Non ricorrono infatti profili di applicazione retroattiva della disciplina legale delle misure di ripristino in quanto la situazione di inquinamento che le giustifica è attuale, sebbene riferibile, dal punto di vista della causalità materiale, a condotte risalenti nel tempo la cui rilevanza giuridica attiene tuttavia al distinto tema della responsabilità e della individuazione del soggetto tenuto al ripristino, già oggetto di accertamento giudiziale passato in giudicato, secondo un percorso giuridico non più suscettibile di essere riproposto in via surrettizia in relazione al regime delle misure ripristinatorie che devono necessariamente essere poste a carico del soggetto che il giudizio ha accertato essere responsabile dell’inquinamento.

In ogni caso, l’appellante contesta che condotte risalenti nel tempo possano generare responsabilità in forza di disposizioni di legge successive – e tale questione è stata oggetto della sentenza di questa Sezione n. 2195 del 2020 – non anche che, una volta accertato il soggetto responsabile dell’inquinamento, le misure ripristinatorie debbano essere necessariamente poste a suo carico né contesta che tali misure debbano essere definite in base alla disciplina vigente al momento in cui l’autorità amministrativa, dopo aver individuato il responsabile, ordina la bonifica, ponendo a suo carico i relativi adempimenti indicati dalle disposizioni di legge in vigore a quella data.

Sul punto la Sezione, anche di recente, con sentenza 8 febbraio 2923, n. 1397 ha ribadito che “L’obbligo di bonifica per una contaminazione storica in capo al soggetto individuato quale responsabile non viola il principio di legalità inerente all’irretroattività dell’applicazione di una norma sanzionatoria. Ciò in quanto, come riconosciuto dall’Adunanza Plenaria n. 10 del 2019, l’obbligo di bonifica ha natura riparatoria e non sanzionatoria e la responsabilità per danno ambientale, in quanto fatto illecito, era già presente nella giurisprudenza ancor prima che il D. Lgs. 22/1997 introducesse all’art. 17 l’istituto della bonifica.”.

In realtà è proprio il principio comunitario “chi inquina paga” a rendere necessaria l’imposizione delle misure ripristinatorie a carico del responsabile dell’inquinamento sicché, una volta che la responsabilità è stata accertata con sentenza passata in giudicato, gli obblighi di bonifica non possono che essere posti a carico del responsabile, pena la violazione del predetto principio comunitario.

In questo senso oltre all’art. 191 del TFUE - che replica sul punto la previsione dell’art. 174 del Trattato di Amsterdam - il secondo considerando della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, chiarisce che: “La prevenzione e la riparazione del danno ambientale dovrebbero essere attuate applicando il principio «chi inquina paga», quale stabilito nel trattato e coerentemente con il principio dello sviluppo sostenibile. Il principio fondamentale della presente direttiva dovrebbe essere quindi che l'operatore la cui attività ha causato un danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno sarà considerato finanziariamente responsabile in modo da indurre gli operatori ad adottare misure e a sviluppare pratiche atte a ridurre al minimo i rischi di danno ambientale”. E’ dunque proprio la previsione di misure riparatorie e ripristinatorie a carico del soggetto ritenuto responsabile a garantire la finalità di prevenzione di rischi di danno ambientale.

Né può sostenersi che nella specie sarebbe violato il principio di tutela del legittimo affidamento per avere sanzionato l’imprenditore che, nel momento in cui ha agito, ha posto in essere condotte lecite in quanto non vietate da specifiche disposizioni di legge poiché la sentenza di questa Sezione n. 2195 del 2020 ha già accertato che Edison s.p.a. si è resa responsabile di inquinamento ambientale e quindi ha posto in essere condotte che hanno cagionato un danno al bene giuridico ambientale (“Invero, il rilascio nell’ambiente di sostanze inquinanti nell’esercizio di attività industriali configurava già all’epoca un illecito: il consapevole svolgimento di un’attività per sua natura pericolosa, quale la produzione su scala industriale di prodotti di tipo chimico (art. 2050 c.c.), rende, infatti, il relativo autore responsabile della lesione, compromissione, degradazione o, comunque, messa in pericolo del bene ambiente che ne sia conseguita, salva la prova liberatoria di aver, già all’epoca, posto in essere ogni esigibile accorgimento idoneo a prevenire in radice tale contaminazione”) sicché non può in questa sede mettersi in discussione che le conseguenti misure ripristinatorie debbano essere poste a suo carico in quanto soggetto responsabile, rimettendo in discussione i principi che sono alla base della attribuzione della responsabilità: ogni questione in punto di violazione del principio di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento, di violazione del principio di irretroattività della legge e della libertà di intrapresa economica doveva essere fatta valere in sede di accertamento della responsabilità dal cui esito scaturisce anche l’individuazione del soggetto obbligato al ripristino.

Non può farsi neppure questione circa una possibile retroattività della misura in sé dell’ordine di bonifica (qualificata dall’appellante come intrinsecamente sanzionatoria, alla luce dei parametri CEDU, secondo una prospettazione tuttavia disattesa da Cons. Stato, Ad. Plen. n. 10 del 2019 punti 7.7, 7.8 e 7.9 cui si rinvia) poiché anche prima dell’entrata in vigore del d. lgs. 22 del 1997 in caso di inquinamento ambientale il responsabile era comunque tenuto al risarcimento del danno ai sensi degli artt. 2043 c.c. e 2050 c.c.: ciò che è accaduto, in chiave evolutiva degli strumenti di tutela del bene giuridico ambientale, è che ad una responsabilità di tipo risarcitorio di stampo tradizionale, il legislatore ha affiancato una responsabilità di tipo riparatorio e ripristinatorio maggiormente in linea con l’impianto conservativo del bene giuridico, recepito da ultimo dalla direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004, senza tuttavia incidere sul disvalore della condotta di chi inquina, rimasto fermo nel tempo e sulla prevedibilità di una sanzione in caso di violazione degli obblighi (inizialmente solo) generici di protezione, che si è solo evoluta nel tempo, assumendo anche connotati di tipo riparatorio e ripristinatorio (e, da ultimo, di tipo preventivo) del bene giuridico tutelato.

In questo senso l’Adunanza plenaria n. 10 del 2019 ha evidenziato che “anche prima che venisse introdotto l’istituto della bonifica, con l’art. 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997, il danno all’ambiente costituiva un illecito civile, previsto dall’art. 2043 cod. civ.” precisando che “che le (pur innegabili) differenze strutturali tra le due norme sono conseguenti non già all’introduzione di un nuovo fatto illecito, offensivo di un bene in precedenza non ritenuto meritevole di protezione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., ma all’esigenza di rafforzare la tutela del bene ambiente, già oggetto di protezione legislativa con il rimedio previsto da quest’ultima disposizione e con la specifica disposizione dell’art. 18 della legge istitutiva del Ministero dell’ambiente.

La citata disposizione regolamentare è nello specifico indice del fatto che tanto le misure introdotte con il decreto legislativo n. 22 del 1997, poi trasfuse nel codice dell’ambiente attualmente vigente, quanto il rimedio del risarcimento del danno già riconosciuto sulla base dell’art. 2043 cod. civ., e poi con la legge n. 349 del 1986, hanno la medesima funzione («ripristinatoria-reintegratoria») di protezione dell’ambiente. Le prime si pongono in particolare l’obiettivo di non limitare la tutela al solo equivalente monetario dei danni prodotti, come per il passato, ma di prevenirne la verificazione e, in caso contrario, di porre a carico del responsabile la rimozione e i relativi oneri.” (si vedano anche i punti 7.7, 7.8 e 7.9 della motivazione cui si rinvia ove si esclude altresì la natura afflittiva e sanzionatoria dell’ordine di bonifica).

Ciò rende irrilevante – rispetto alla dedotta violazione del principio di irretroattività - la circostanza per cui i fatti all’origine della contaminazione sarebbero anteriori alla data di recepimento della direttiva 2004/35/CE 30 aprile 2007 (cfr. artt. 17 e 19) atteso che anche prima dell’inserimento del principio “chi inquina paga” nel 1987 ad opera dell’Atto Unico Europeo nel Trattato di Roma (principio successivamente trasfuso nell’art. 174 del Trattato di Amsterdam, nel 1997, e da ultimo nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea) e della entrata in vigore della direttiva 2004/35/CE, si applicava comunque la disciplina interna nazionale.

La retroattività deve essere esclusa anche in ragione della persistenza della situazione di inquinamento ambientale sicché, come si è visto, legittimamente l’autorità amministrativa, per porvi rimedio, applica le misure vigenti al momento in cui, con la individuazione del responsabile, è posta nelle condizioni di intervenire.

Del resto è lo stesso appellante a rammentare, sul piano della costituzionalità della disciplina in esame, che deroghe al principio di irretroattività della legge sono consentite solo con riferimento alle leggi dotate di un’efficacia retroattiva c.d. impropria, dirette cioè ad incidere su fattispecie sorte in un tempo passato e non ancora esauritesi, come accade per l’appunto nel caso di specie. Per contro, la Corte costituzionale ritiene radicalmente contrario al descritto quadro dei valori costituzionali l’emanazione di leggi caratterizzate da un’efficacia retroattiva c.d. propria, ossia di atti normativi che dispiegano la propria efficacia nei confronti di condotte ormai concluse laddove invece, come si è visto, nella specie la situazione di inquinamento era persistente alla data di azione dei provvedimenti impugnati.

Rispetto all’art. 41 Cost. l’appellante lamenta che la pretesa di ordinare gravose attività di risanamento in capo ad un’impresa in ragione di condotte perfettamente legittime all’epoca in cui vennero attuate è idonea a frustrare le finalità riconosciute al sistema della responsabilità gravante su coloro che esercitano attività economiche, pregiudicandone libertà e facoltà costituzionalmente riconosciute. Senonché la sentenza di questa Sezione n. 2195 del 2020 ha accertato che le condotte poste in essere e che hanno determinato l’inquinamento del sito, sono in realtà, illecite. Ne consegue che Edison s.p.a. legittimamente è chiamata a rispondere delle relative conseguenze, senza potersi dolere in alcun modo di lesioni alla propria sfera di libertà imprenditoriale.

Da altra angolazione osserva ancora il Collegio che – al netto dei dubbi sulla applicabilità al caso di specie della direttiva 2004/35/CE venendo in rilievo ipotesi di inquinamento anteriori alla data del 30 aprile 2007 ai sensi del combinato disposti degli artt. 17 e 19 della direttiva - il quesito oggetto di richiesta di rinvio pregiudiziale prospetta come problematica e fonte di dubbi interpretativi, una situazione di applicazione retroattiva di misure ripristinatorie all’imprenditore incolpevole che abbia posto in essere la condotta in epoca anteriore all’entrata in vigore della legga che l’ha successivamente ritenuta fonte di inquinamento, laddove invece nel caso di specie è già stato accertato con sentenza passata in giudicato che la condotta posta in essere da Edison s.p.a. è illecita e che Edison s.p.a. è da considerarsi a tutti gli effetti di legge soggetto responsabile dell’inquinamento. Per queste ragioni non sussistono i presupposti per disporre il rinvio alla Corte di giustizia atteso il nesso di necessaria consequenzialità che l’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e successivamente la direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articolo 1 e secondo considerando) pongono tra l’accertamento del responsabile dell’inquinamento e l’individuazione del soggetto tenuto al risarcimento ed al ripristino ambientale, mentre le questioni poste dall’appellante attengono piuttosto alla fase di accertamento della responsabilità – oggetto di separato giudizio definito con sentenza passata in giudicato - e non a quella di individuazione del soggetto tenuto al ripristino ambientale, attraverso l’imposizione di obblighi di bonifica, oggetto del presente giudizio.

Trova pertanto applicazione quanto chiarito in materia di obbligo di disporre il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici di ultima istanza dalla Corte di giustizia UE in relazione all’ipotesi dell’atto c.d. “chiaro”.

La Corte di giustizia UE, sez IV, con ordinanza 15 dicembre 2022 in causa C-144/22 ha precisato che: “L’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno può astenersi dal sottoporre alla Corte una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e risolverla sotto la propria responsabilità laddove la corretta interpretazione del diritto dell’Unione si imponga con un’evidenza tale da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio. L’esistenza di una siffatta eventualità deve essere valutata in base alle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, alle difficoltà particolari relative alla sua interpretazione e al rischio di divergenze giurisprudenziali in seno all’Unione europea. Tale giudice nazionale non è tenuto a dimostrare in maniera circostanziata che gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte adotterebbero la medesima interpretazione, ma deve aver maturato la convinzione, sulla base di una valutazione che tenga conto dei citati elementi, che la stessa evidenza si imponga anche agli altri giudici nazionali in parola e alla Corte”.

Al punto 44 della predetta ordinanza si afferma che:

i) “la mera possibilità di effettuare una o diverse altre letture di una disposizione del diritto dell’Unione, nei limiti in cui nessuna di queste altre letture appaia sufficientemente plausibile al giudice nazionale interessato, segnatamente alla luce del contesto e della finalità di detta disposizione, nonché del sistema normativo in cui essa si inserisce, non può essere sufficiente per considerare che sussista un dubbio ragionevole quanto all’interpretazione corretta di tale disposizione”;

ii) “quando l'esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti - in seno agli organi giurisdizionali di un medesimo Stato membro o tra organi giurisdizionali di Stati membri diversi - relativi all'interpretazione di una disposizione del diritto dell'Unione applicabile alla controversia di cui al procedimento principale è portata a conoscenza del giudice nazionale di ultima istanza, esso deve prestare particolare attenzione nella sua valutazione riguardo a un'eventuale assenza di ragionevole dubbio quanto all'interpretazione corretta della disposizione dell'Unione di cui trattasi”.

Non sussistono pertanto i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale apparendo chiaro che una volta individuato, in via definitiva, il responsabile dell’inquinamento è costui a doversi far carico delle conseguenti misure ripristinatorie di cui può contestare il contenuto, in termini di proporzionalità, efficacia ed onerosità, ma non la riferibilità alla propria sfera soggettiva stante il nesso di necessaria consequenzialità implicito nel principio comunitario “chi inquina paga”.

Non sussistono, in definitiva, i presupposti indicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, sopra riportata, per vincolare il giudice nazionale di ultima istanza al rinvio per le ragioni esposte come pure in ragione della inapplicabilità al caso di specie, ratione temporis, della direttiva 2004/35/CE.

Il Collegio è dell’avviso, infatti, che l’interpretazione delle pertinenti disposizioni richiamate e in particolare del principio “chi inquina paga” recepito dall’art. 191 TFUE e prima dall’art. 174 del Trattato di Amsterdam del 1997, in presenza di un accertamento di responsabilità divenuto incontrovertibile, si imponga con una evidenza tale e di portata generalizzata, anche alla luce dei precedenti specifici della Corte di giustizia, da doversi escludere ogni ragionevole dubbio circa la sua applicazione al caso di specie. In particolare, si ritiene che la medesima evidenza si imporrebbe altresì agli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e alla stessa Corte (sentenza del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, punto 40 e giurisprudenza ivi citata). Occorre, inoltre, porre in rilievo che non è stata segnalata dalle parti né risulta al Collegio “l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali divergenti” relativamente all’interpretazione di normative europee applicabili nel caso in esame.

7. Alla luce delle motivazioni che precedono l’appello deve pertanto essere respinto.

8. Le spese del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna Edison s.p.a. alla rifusione delle spese del grado che si liquidano in euro 5.000,00 oltre IVA, CAP e spese generali come per legge, in favore di ciascuna parte costituita, per un totale di euro 20.000,00, oltre accessori di legge (di cui euro 5.000,00 in favore dei Ministeri costituiti unitariamente rappresentati dalla difesa erariale, euro 5.000,00 in favore della Provincia di Mantova, euro 5.000,00 in favore di Eni Rewind s.p.a. ed euro 5.000,00 in favore di Versalis s.p.a.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Silvia Martino, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luca Monteferrante, Consigliere, Estensore

Luigi Furno, Consigliere