di Luca PRATI
L’entrata in vigore del D. Lgs. 152/2006 e della relativa revisione della normativa applicabile alla bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale dei siti contaminati ha comportato il riaffacciarsi di problematiche che avrebbero dovuto ritenersi per lo più già risolte dall’opera della dottrina e della giurisprudenza nel vigore del D. lgs. 22/1977.
Ciò specialmente con riferimento alle opere di messa in scurezza e bonifica imposte dalle pubbliche amministrazioni all’interno dei siti di interesse nazionale[1], amministrazioni i cui provvedimenti si sono sovente rivolti a soggetti in capo ai quali non era dato individuare precise responsabilità quali autori della rilevate contaminazioni.
I più recenti sviluppi giurisprudenziali tendono tuttavia a confermare gli orientamenti consolidatisi nel vigore della precedente normativa, contribuendo così a chiarire entro quali limiti può legittimamente estrinsecarsi il potere dell’Amministrazione.
Una prima questione attiene alla già tanto discussa responsabilità del proprietario e/o gestore del sito che non abbia apportato alcun contributo causale alla contaminazione, specie con riferimento agli interventi di natura emergenziale diretti, almeno teoricamente, a fronteggiare i rischi connessi all’aggravarsi di una situazione di inquinamento già compiutamente realizzatasi.
Il disposto dell’art. 245 del D. lgs. 152/2006, nella parte in cui prevede che il proprietario o il gestore dell'area, che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve “attuare le misure di prevenzione” ([2]) secondo la procedura di cui all'articolo 242 del medesimo decreto, ha infatti fatto ritenere a taluni che l’obbligo di porre in essere interventi di natura emergenziale potesse ritenersi esteso anche a soggetti diversi dai responsabili della contaminazione.
E’ peraltro evidente che, in capo ad un soggetto incolpevole, anche sotto il profilo meramente oggettivo, del danno arrecato, possano configurarsi soltanto obblighi di portata contenuta, posto che deve escludersi nei confronti di un tale soggetto qualsiasi considerazione sia di natura risarcitoria che, in senso lato, “punitiva”, non potendo neppure operare in tali casi il principio “chi inquina paga”.
Appare perciò coerente con i presupposti della norma ritenere che le misure di prevenzione previste dall’art. 245 non possano essere intese in modo estensivo, fino a comprendere vere e proprie misure di messa in sicurezza del sito. Le misure di prevenzione sono del resto definite come quelle iniziative dirette a contrastare una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente che possa realizzarsi in un futuro prossimo; non riguardano pertanto né situazioni in cui l’inquinamento un fenomeno storico già ampiamente diffuso, né interventi che richiedano soluzioni tecniche incompatibili con la salvaguardia immediata del bene. Esse appaiono quindi circoscritte agli interventi che si rendono necessari nella immediatezza di un evento (tanto da dover essere attuate entro il ristrettissimo termine ventiquattro ore) per bloccare un’aggressione imminente a beni primari, il cui obbligo di “salvataggio” viene posto in capo anche al proprietario ed al gestore dell’area incolpevoli in base ad un evidente principio di solidarietà sociale, in quanto soggetti che hanno le maggiori possibilità di attivarsi per primi. Le “misure di prevenzione” pertanto non possono arrivare ad abbracciare le vere e proprie misure di messa in sicurezza di emergenza, o addirittura di messa in sicurezza permanente e messa in sicurezza operativa, senza che con ciò venga stravolto il principio di responsabilità dell’inquinatore voluto tanto dal legislatore italiano che da quello comunitario.
Con la sentenza del TAR Lombardia, sez. Milano, n. 5289/2007 del 27/06/2007, il giudice amministrativo ha correttamente ritenuto come l’impostazione dell’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 “è stata ora confermata e specificata dagli artt. 240 e ss. del D.lgs n. 152/2006”, e tale normativa “impone l’esecuzione di interventi di recupero ambientale anche di natura emergenziale al responsabile dell’inquinamento”, che può non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell’area interessata.
Precisa il TAR Lombardia che “A carico di quest’ultimo (proprietario dell’area inquinata non responsabile della contaminazione), invero, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l’espropriazione del terreno interessato, gravato da onere reale al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite invece da privilegio speciale immobiliare”.
La normativa citata, ricorda il TAR, prevede infatti che, in caso di mancata esecuzione degli interventi da parte del responsabile dell’inquinamento, ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale siano eseguite dall’amministrazione, la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul bene oggetto dei suddetti interventi. Si ribadisce pertanto come l’ordinanza di messa in sicurezza e bonifica ben possa essere notificata al proprietario al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l’area dal relativo vincolo), ma non possa imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l’inquinamento del sito (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, n. 4525/2005).
Come ben precisa la suddetta sentenza, non deve essere confuso con tale principio il diverso caso in cui l’amministrazione comunale interessata abbia adottato un’ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 54 del D. Lgs n. 267/2000 che, come noto, attribuisce al sindaco, come ufficiale del governo, il potere di assumere provvedimenti dal contenuto atipico nell’interesse della pubblica incolumità a prescindere dall’accertamento delle effettive responsabilità, ciò in quanto l’urgenza di garantire la sicurezza del sito sarebbe incompatibile con i tempi necessari per accertare la responsabilità di coloro che hanno causato la contaminazione del sito interessato (Cons. Stato, sez. VI, n. 4525/2005).
E’ evidente peraltro come un tale ordine non possa mai avere ad oggetto interventi la cui messa in opera richieda lunghi tempi di progettazione e realizzazione, per evidente incompatibilità degli stessi con la natura contingibile ed urgente del provvedimento sindacale ex art. 54.
Da segnalare anche alcune sentenze in cui è stata censurata la richiesta di interventi di emergenza particolarmente onerosi e richiedenti tempi lunghi per essere attuati (in particolare, il barrieramento fisico in luogo di uno idraulico, già posto in essere): in questo senso si veda la decisione del TAR Lecce 2247/2007 del 4 aprile 2007, il quale ha ritenuto che una volta manifestata l’opzione per una determinata tecnologia applicabile ai fini degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale, l’Amministrazione possa optare per una diversa tecnologia (ovvero, prescriverne l’utilizzo combinato) solo all’esito di un’analisi comparativa fra le diverse opzioni in gioco, “in considerazione della specifiche caratteristiche dell’area, in termini di efficacia nel raggiungere gli obiettivi finali, concentrazioni residue, tempi di esecuzione, impatto sull’ambiente circostante degli interventi” (in tal senso: D.M. 471 del 1999, cit., Allegato 3 – ora: d.lgs. 152 del 2006, All. 3 alla Parte IV). Ai fini di tale comparazione, le Amministrazioni debbono “dare pienamente conto (per così dire: ‘in negativo’) delle rilevate insufficienze del sistema inizialmente individuato (quello del barrieramento idraulico), sulla base di un’analisi completa e basata su rilevazioni pertinenti” e “fornire (per così dire: ‘in positivo’) indicazioni di dettaglio circa i vantaggi effettivi”.
Rileva altresì il TAR come, se la ratio dell’intervento disposto sia quello di porre rimedio all’ulteriore incremento della contaminazione, non possa ritenersi che la prescrizione della realizzazione di una barriera fisica risulti la misura più adeguata e proporzionale al conseguimento dello scopo, posto che la rilevanza dell’intervento ed i tempi verosimilmente lunghi per la sua realizzazione e messa in opera ne palesano la non idoneità.
L’imposizione di una barriera fisica è stata altresì censurata, seppure in via cautelare, dall’Ordinanze del TAR Sardegna 126/2007, del 28 marzo 2007, e . TAR Sardegna n. 298/2007 dell’11 luglio 2007, ove si è ritenuto che l’imposizione di una barriera “fisica”sotterranea pure tenuto conto dell’attribuzione di un potere che implica l’esercizio di discrezionalità tecnica, non può essere giustificata, prima facie, come “intervento urgente di messa in sicurezza senza un previo e specifico esame degli elementi tecnici ed economici collegati alla scelta, condotto in relazione e comparazione con soluzioni alternative oggettivamente non incongrue”.
Il preciso limite posto dal legislatore alla responsabilità del proprietario e/o del gestore si riflette immediatamente anche sul tentativo di trasformare le responsabilità per inquinamento da commissive ad omissive, tramite l’individuazione di obblighi di attivarsi in capo ai predetti soggetti, al fine di imporre comunque ad essi obblighi di intervento sostitutivi a quelli dell’inquinatore.
Nell’ambito dell’illecito ambientale, accanto alle fattispecie espressamente formulate dal legislatore in termini di omissione (illeciti omissivi propri), ne esistono infatti altre, costruite in forma commissiva ed incentrate sulla causazione di un evento che, in base alle regole generali in tema di responsabilità omissiva impropria[3], rendono possibile il coinvolgimento dei soggetti che tale evento (nel caso in questione, la propagazione dell’inquinamento ad altre aree) avevano l’obbligo giuridico di impedire.
Il fondamento di tali imputazioni si trova notoriamente nell’art. 40 capoverso del c.p., in base al quale il non impedire un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Presupposto ovvio di qualsiasi responsabilità omissiva è perciò l’obbligo di attivarsi, accompagnato dai necessari requisiti di determinatezza e specialità.
Se, come riconosce ormai gran parte della giurisprudenza amministrativa, il soggetto incolpevole dell’inquinamento non ha l’obbligo di porre in essere le misure emergenziali dirette ad impedire la propagazione dell’inquinamento (con l’eccezione, introdotta dal D. Lgs. 152/2006, delle misure di prevenzione da adottarsi entro 24 ore dall’evento, e fatto salvo il diverso caso delle ordinanze sindacali contingibili ed urgenti), non sussistono margini per reintrodurre tale obbligo attraverso il richiamo a forme di responsabilità omissiva, se non snaturando la fattispecie legale.
Ciò neppure ai sensi dell’art. 2051 del Codice Civile, norma che tra l’altro si applica ad eventi causati dall’intrinseco dinamismo della cosa e non già a fatti originati dall’azione dell’uomo, quale certamente è la contaminazione di un sito.
A questo proposito il TAR Catania (TAR Catania, sentenza n. 1254/07) ha ritenuto che vada respinta la tesi secondo la quale il riferimento alle responsabilità presunte di cui agli artt. 2050 e 2051 cod. civ. (relativi alla responsabilità per esercizio di attività pericolose ed alla responsabilità per danni da cose in custodia) permetterebbe di ricostruire la responsabilità imprenditoriale per danno ambientale o per bonifica in chiave di responsabilità meramente oggettiva, argomentando nel senso che l’applicazione al campo della responsabilità per danno ambientale delle norme di responsabilità presunta stabilite dal codice civile troverebbe comunque ostacolo nel principio di specialità (cfr. Cass. N. 19975 del 2005) che imporrebbe di applicare solo ed esclusivamente le disposizioni esaustivamente dettate dalla normativa ambientale, così come oggi chiarite dal D. Lgs. N. 152 del 2006 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 8 marzo 2005, n. 935; Sez. V, 16 luglio 2002, n. 3971; TAR Veneto, Sez. III, 19 gennaio 2006, n. 1443, e 6 dicembre 2006, n. 571).
Le limitazioni di utilizzo del sito contaminato in pendenza degli interventi di bonifica.
Con la sentenza TAR Lombardia n. 5288/2007 del 27/06/2007 è stato poi censurato il tentativo di inibire ogni intervento sulle aree contaminate tramite un provvedimento indirizzato al proprietario o gestore incolpevole dell’inquinamento, stante il tenore dell’art. 253 del D. Lgs. 152/2006[4]. Da esso infatti si desume che il vincolo sulle aree interessate è subordinato alla mancata esecuzione delle opere di recupero ambientale da parte del soggetto responsabile ed all’effettuazione di detti interventi, in via sostitutiva, da parte dell’autorità competente con anticipazione delle relative somme, non più recuperabili.
In assenza di tale accertamento di responsabilità, le competenti autorità possono infatti soltanto attivare il c.d. “intervento sostitutivo” che presuppone l’effettuazione delle predette opere da parte della pubblica amministrazione per poi rivalersi sul soggetto responsabile (se individuato e solvibile) ovvero costituendo i relativi vincoli sulle aree interessate, a scapito dei proprietari non responsabili della contaminazione.
L’inibizione dell’utilizzo delle aree in una fase anteriore è quindi illegittima, determinando una inaccettabile inversione procedimentale, che di fatto limita l’utilizzo ordinario dei terreni ad un momento in cui “gli interventi effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250, e cioè gli unici che costituiscono l’ onere reale sui siti contaminati, non sono ancora intervenuti”.
L’Amministrazione pertanto non può inibire l’utilizzo dell’area oggetto di bonifica (inibizione giustificata esclusivamente dall’onere reale) se non dopo avere effettuato gli interventi in sostituzione.
Se ciò è vero, neppure può perciò ritenersi legittimo il diniego alla realizzazione di opere di bonifica effettuate volontariamente da soggetti incolpevoli e limitate ad una parte del sito, opere generalmente necessarie per consentire la realizzazione di opere che, una volta compiute, pregiudicherebbero il risanamento ambientale.
La natura della responsabilità per l’inquinamento ambientale: dalla responsabilità oggettiva alla responsabilità per colpa.
Una questione particolarmente delicata riguarda poi la natura (colposa od oggettiva) della responsabilità ambientale sottesa al D. Lgs. 152/2006.
Il D. lgs. 152/2006 introduce infatti una sostanziale modifica del livello di tutela apprestata dall’art. 17 del D. Lgs. 22/1997 che, come è noto, assoggettava all’obbligo di bonifica “chiunque, anche in maniera accidentale, cagioni il superamento ovvero determini un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti di accettabilità della contaminazione ambientale” dei suoli, delle acque superficiali e sotterranee in relazione alla particolare destinazione d’uso dei siti.
L’unico accertamento che doveva essere compiuto era quindi quello relativo al nesso causale tra la condotta (commissiva od omissiva) dell’autore dell’inquinamento e l’evento (il superamento o il pericolo di superamento, dei suddetti parametri), trattandosi di una responsabilità di natura certamente oggettiva[5].
La mancanza nel nuovo regime di un esplicito riferimento a forme di contaminazione “accidentale” parrebbe ora far pensare al passaggio dal sistema di responsabilità oggettiva previsto dall’art. 17 del D. Lgs. n. 22/1997 ad un diverso sistema di imputazione di responsabilità, fondato sull’accertamento di parametri soggettivi di colpevolezza in capo all’inquinatore. La considerazione appare supportata dal fatto che la responsabilità oggettiva rappresenta sempre una eccezione, dato che la norma dell'art. 2043 c.c. contiene una regola generale[6], ed esprime il modello di atipicità dei fatti illeciti basato sul dolo o sulla colpa; le norme degli artt. 2047 ss. individuano poi una serie di settori (fra cui le attività cd. pericolose e la responsabilità per cose in custodia) in cui si delineano previsioni speciali di responsabilità, fondate su criteri che talora prescindono da un accertamento di colpevolezza. Se, quindi, la regola generale pone quale fondamento della responsabilità una colpa di carattere soggettivo, le ipotesi speciali devono necessariamente caratterizzarsi per la presenza, nella fattispecie, di un elemento oggettivamente individuabile che consenta di superare la regola generale, e che invece manca nella nuova formulazione.
La decisione del TAR Catania n. 1254/07 ha ritenuto che “il legislatore del 2006 ha operato una scelta decisa in favore della riconduzione della responsabilità per i danni all’ambiente nell’alveo della “tradizionale” responsabilità extracontrattuale soggettiva (c.d. “responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.), con il conseguente ripudio di una qualsiasi forma di responsabilità oggettiva”.
Secondo il TAR Catania, ciò si ricaverebbe anche dalla disposizione di cui all’art. 311 “norma che costituisce e disciplina la situazione giuridica soggettiva di responsabilità, e serve quindi ad orientare l’interprete nella ricostruzione dell’istituto più generale del ripristino dei siti inquinati: quando nelle norme variamente in esso previste, si fa riferimento al “responsabile dell’inquinamento”, non si potrà che, logicamente, considerare tale colui il quale è “responsabile” ai sensi del citato art. 311, a meno di non voler sostenere l’illogica prospettazione della esistenza di due tipologie di responsabilità, ossia quella soggettiva ex art. 311 cit. ed una sorta di “responsabilità oggettiva parallela” ex art. 242 e ss. aventi tuttavia identico contenuto quanto all’obbligo di ripristino.
Secondo tale pronuncia deve poi concludersi che il nuovo quadro normativo imporrebbe di escludere che il responsabile della bonifica o del danno ambientale possa essere individuato solo in virtù del rapporto esistente tra un determinato soggetto e l’apparato produttivo esistente nell’area inquinata, dovendosi escludersi qualsiasi responsabilità “da posizione”.
[1]Ai sensi dell’art. 252 del D. lgs. 152/2006, la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio può avvalersi anche dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (APAT), delle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente delle regioni interessate e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati.
[2] L’art. 240, comma 1, lett. i, del D. lgs. 152/2006 definisce le misure di prevenzione come “le iniziative per contrastare un evento, un atto o un omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute e per l’ambiente, intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia”
[3] In tema di reati omissivi impropri, cfr., fra le tante, Cass. 7 gennaio 1983, Melis, in Foro it., 1986, II, c. 351, con nota di L. Renda; Cass.12 luglio 1991, Silvestri, in Foro it., 1992, II, c. 363, con nota di I. Giacona; Cass. 30 aprile 1993, De Giovanni, in Rep. Foro it, 1994, voce Omicidio e lesioni personali colpose, n. 50; Cass. 11 novembre 1994, Presta, id., Rep. 1995, voce cit., nn. 43, 51. Vedi anche Pret. Caltanissetta 27 ottobre 1995, in Foro it., 1996, II, c. 521, con nota di L. Tramontano, Causalità attiva e omissiva, ed obblighi divisi e congiunti di garanzia: tre sentenze di merito a confronto. Sull'illecito omissivo improprio, v. anche G. Fiandaca, Il reato commissivo mediante omissione, Milano, 1979 e G. Grasso, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983.
[4] L’art. 253 del D.Lgs n. 152/2006 prevede, in particolare, che “Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250. L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica.
Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile.
Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo
[5] Sull’argomento di ci si permette di rinviare a: L. Prati, Il danno da inquinamento e la disciplina dell bonifiche: l’aspetto della responsabilità civile, in La nuova responsabilità civile per danno all’ambiente, B. Pozzo (a cura di), Milano, 2002, p. 147