Brevi note sull’interpretazione della clausola revisionale nei contratti di gestione degli impianti per il trattamento dei rifiuti urbani in Puglia.

di Floriana GALLUCCI e Luca VERGINE.


Con cinque sentenze nn.371, 372, 373, 376, 377 del 05.03.18, il TAR Puglia – sez. di Lecce – ha affrontato e risolto rilevanti questioni in tema di revisione della tariffa di conferimento dei rifiuti. I casi esaminati hanno riguardato l’impugnazione da parte dei Comuni della provincia di Lecce del decreto del Commissario ad acta, Avv. Gianfranco Grandaliano, dell’Agenzia Territoriale della regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti (in sigla, AGER Puglia) che ha determinato l’adeguamento e revisione della tariffa per il conferimento dei rifiuti. L’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti esercita la specifica competenza sulle tariffe ai sensi dell’art. 9, comma 7, lett.a) della L.R. del 20.08.12 n.24, che precisa: “determina le tariffe per l’erogazione dei servizi di competenza, in conformità alla disciplina statale, conformandole ai principi di contenimento e agli eventuali criteri generali fissati dalle autorità nazionali di regolazione settoriale”. Il regime commissariale, al quale oggi,  è sottoposta l’agenzia regionale, consente di esprimere i propri atti nella forme del decreto senza alcuna limitazione alle proprie competenze fissate dal citato articolo 9, in quanto - precisa il TAR - “…il commissariamento è stato disposto dal Presidente della Regione Puglia (decreto n.527 del 5 agosto 2016) proprio al fine di consentirne la piena operatività nelle more della costituzione degli organi e, in particolare, di “determinare le tariffe” (punto 2, lettera d, del suddetto  decreto)” (sentenza n.376/18).
Tale premessa consente di comprendere il quadro delle funzioni dell’Agenzia Regionale attraverso le quali è esercitato il potere di discrezionalità tecnica di determinazione delle tariffe. In particolare, il potere istruttorio, che è alla base del procedimento di revisione del prezzo del servizio, forma le scelte di discrezionalità dell’ente e non necessita di puntuale richiamo motivazionale nel provvedimento conclusivo, trattandosi di atto a contenuto generale, ai sensi dell’art. 3, comma II della L.n.241/90.
In questo senso, le decisioni del Tar si segnalano per l’analisi del requisito motivazionale utilizzato negli atti impugnati ai fini dell’applicazione della clausola di revisione ed adeguamento del prezzo nei contratti di gestione degli impianti per il trattamento dei rifiuti. In particolare, in modo schematico, dalle citate decisioni emergono i seguenti profili:
gli atti di determinazione della tariffa, ai sensi dell’art. 3, comma II della L.n.241/90, “..rientrano  nella categoria degli atti amministrativi generali, in quanto tali caratterizzati da un onere motivazionale quantomeno attenuato…” (sentenza n.377/18). La citata motivazione si incardina in un orientamento pressocchè consolidato secondo il quale “La qualificazione di atto amministrativo generale del provvedimento di determinazione delle tariffe ne fa conseguire, ai sensi del comma 2 dell’art. 3 della L.n.241 del 1990, che l’Amministrazione è esonerata dall’obbligo di supportare l’atto in questione con una compiuta motivazione che risponde ai requisiti di legge in materia e relativa all’esposizione puntuale dei presupposti di fatto e di diritto sulla base dei quali si è in concreto proceduto alla predetta determinazione” (TAR Lazio – sez. Roma, sez. II, 03.03.15 n.3666);

il principio cd. full cost recovery (totale copertura dei costi di gestione), previsto dall’art. 238 del D. L.vo n.152/06, non consente attraverso il meccanismo della revisione l’adeguamento del prezzo a tutte le voci di gestione dell’impianto. Infatti, l’istituto della revisione è preordinata alla tutela dell’esigenza, propria dell’Amministrazione, di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da alterare il sinallagma contrattuale in modo da far scadere gli standard qualitativi del servizio, “…con la conseguenza che un’eventuale deroga a tale disciplina pattuita dalle parti contraenti deve considerarsi nulla” (così TAR puglia – sez. di Lecce- sez. I, 26.06.14 n.1600). Il TAR, nelle sentenze in commento, ha chiarito come vada interpretato il c.d. full cost recovery: “Il principio della copertura dei costi deve essere inteso in modo solo tendenziale e non assoluto, per non determinare contraddizioni con specifiche modalità di affidamento del servizio (es. la concessione) e non scaricare sulle Amministrazioni anche gli oneri conseguenti a scelte imprenditoriali non efficienti”. Sicchè, la revisione tariffaria non può rappresentare il modo per coprire costi prevedibili al momento del perfezionamento del contratto pubblico ovvero costi derivanti da eventi sfavorevoli all’appaltatore cagionati da scelte imprenditoriali, che producono sopravvenienze economicamente negative. Diversamente opinando, “…ogni aumento dei costi di una certa rilevanza imporrebbe all’amministrazione ipso facto la revisione del compenso, in palese contrasto con l’art.115 del D. Lgs.n.163/06” (Cons. di Stato, sez. III, 01.04.16 n.1309). Nel quadro della revisione dei prezzi, va considerato anche l’aggiornamento ISTAT che, nel caso di trattamento e conferimento dei rifiuti, non ha un indice specifico calcolato dal citato Istituto di Statistica, al quale non si può supplire con l’applicazione del sotto indice dei Prezzi dei prodotti della produzione industriale, l’indice E 36, avente ad oggetto “Raccolta, trattamento e fornitura di acqua” (si veda il verbale della Conferenza Stato – Citta del 04.05.17 ed il comunicato stampa di ISTAT del 24.01.18 avente ad oggetto “Da maggio nuovi indici sull’andamento del costo dei servizi per la gestione dei rifiuti”);  

è irrilevante la qualificazione del contratto di gestione dell’impianto per il trattamento dei rifiuti urbani per la produzione di combustibile da rifiuto (CDR), quale appalto di servizi, anziché concessione di servizi, ai fini dell’applicazione della clausola di revisione del corrispettivo. La statuizione del TAR scaturisce dal confronto delle parti sull’assunto che solo nell’ipotesi di appalto di servizi sarebbe ammesso l’adeguamento tariffario, ai sensi dell’art.115 del D. Lgs.163/06 (TAR Puglia – sez. Bari, sez. I, 17.06.11 n.919) . Il TAR ha chiarito che non v’è differenza tra le due fattispecie negoziali, in quanto “…a prescindere dalla concreta qualificazione giuridica dell’affidamento in questione, come dimostra l’art. 143, comma 8 del Decreto Legislativo n. 163/06 (disciplina applicabile ratione temporis) anche le concessioni sono soggette a riequilibrio in caso di alterazione del sinallagma contrattuale” (sentenza n.371/18). Per completezza va ulteriormente precisato che la revisione prezzi è esclusa solo per quei contratti di affidamento dei servizi nei settori speciali ciò ai sensi dell’art. 217, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (che riproduce l’art. 20 della direttiva 2004/17/CE), a tenore del quale la disciplina dei settori speciali non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatori aggiudicano per scopi diversi dall’esercizio delle loro attività di cui agli artt. da 208 a 213 o per l’esercizio di tali attività in un Paese terzo, in circostanze che non comportino lo sfruttamento materiale di una rete o di un’area geografica all’interno della Comunità (tuttavia, con ordinanza del 12.03.2017 n.1297, il Consiglio di Stato ha rimesso la questione innanzi alla Corte di Giustizia Europea nei seguenti termini: “a) se sia conforme al diritto dell’Unione Europea (in particolare con gli articoli 3, co.3, TUE, artt. 26, 56/58 e 101 TFUE, art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) ed alla Direttiva n. 17/2004 l’interpretazione del diritto interno che escluda la revisione dei prezzi nei contratti afferenti ai cd. settori speciali, con particolare riguardo a quelli con oggetto diverso da quelli cui si riferisce la stessa Direttiva, ma legati a questi ultimi da un nesso di strumentalità (nel caso di specie, appalto del servizio di pulizia dei locali di una stazione ferroviaria); b) se la Direttiva n. 17/2004 (ove si ritenga che l’esclusione della revisione dei prezzi in tutti i contratti stipulati ed applicati nell’ambito dei cd. settori speciali discenda direttamente da essa), sia conforme ai principi dell’Unione Europea (in particolare, agli artt. 3, comma 1 TUE, 26, 56/58 e 101 TFUE, art. 16 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea), “per l’ingiustizia, la sproporzionatezza, l’alterazione dell’equilibrio contrattuale e, pertanto, delle regole di un mercato efficiente”.

In conclusione, il TAR Puglia ha risolto con ragioni ampiamente condivise la questione sulla corretta applicazione della clausola contrattuale di revisione tariffaria, il cui valore applicativo deve considerarsi esteso a tutti i contratti di gestione degli impianti di trattamento dei rifiuti in Puglia, consentendo all’AGER Puglia di poter definire l’adeguamento ed aggiornamento tariffario secondo criteri certi.

Pubblicato il 05/03/2018

N. 00373/2018 REG.PROV.COLL.

N. 01218/2017 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce - Sezione Terza

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1218 del 2017, proposto da:
Comune Acquarica del Capo, Comune di Campi Salentina, Comune di Caprarica di Lecce, Comune di Carmiano, Comune di Casarano, Comune di Castro, Comune di Diso, Comune di Galatina, Comune di Galatone, Comune di Gallipoli, Comune di Giuggianello, Comune di Guagnano, Comune di Lequile, Comune di Leverano, Comune di Lizzanello, Comune di Maglie, Comune di Matino, Comune di Melendugno, Comune di Melissano, Comune di Montesano Salentino, Comune di Muro Leccese, Comune di Novoli, Comune di Ortelle, Comune di Otranto, Comune di Poggiardo, Comune di Porto Cesareo, Comune di Presicce, Comune di Racale, Comune di Sanarica, Comune di San Cassiano, Comune di San Donato, Comune di Scorrano, Comune di Spongano, Comune di Supersano, Comune di Surano, Comune di Surbo, Comune di Taurisano, Comune di Taviano, Comune di Trepuzzi, Comune di Tricase, Comune di Tuglie, Comune di Ugento, Comune di Vernole, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocato Ernesto Sticchi Damiani, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 95° Reggimento Fanteria, n. 9;
Comune di Cavallino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati Ernesto Sticchi Damiani e Sergio De Giorgi, con domicilio eletto presso il suo studio in Lecce, via 95° Rgt. Fanteria, n. 9;

contro

Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Francesco Cantobelli, Marco Lancieri e Luca Vergine, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Luca Vergine in Lecce, via Liborio Romano, n. 51;
Regione Puglia, non costituita in giudizio;

nei confronti di

Progetto Ambiente Provincia di Lecce s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avvocati Pietro Quinto e Luigi Quinto, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Pietro Quinto in Lecce, via Giuseppe Garibaldi, n. 43;

per l'annullamento

- del Decreto n. 53 del 29 giugno 2017, avente ad oggetto: “Impianto CDR sito in Cavallino. Adeguamento e revisione tariffa di conferimento anni 2010-2017”;

nonché per l'accertamento e la declaratoria

della nullità, dell'annullamento, dell'inefficacia e non opponibilità ai Comuni ricorrenti delle clausole di adeguamento prezzi di cui al contratto Rep. 8794 del 28 aprile 2006, stipulato tra il Presidente pro tempore della Regione Puglia e la Società affidataria del servizio, e, comunque, l’infondatezza del diritto all’adeguamento tariffario.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti e della società Progetto Ambiente Provincia di Lecce s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2018 la dott.ssa Maria Luisa Rotondano e uditi per le parti gli Avvocati S. De Giorgi, E. Sticchi Damiani, F. Cantobelli, M. Lancieri, L. Vergine e L. Quinto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Il Comune ricorrente deduce che, con contratto del 28 aprile 2006 Repertorio n. 8794, veniva affidato all’A.T.I. COGEAM, alla quale succedeva la società Progetto Ambiente Provincia di Lecce s.r.l., il servizio pubblico di gestione del sistema impiantistico complesso per il trattamento dei rifiuti urbani a servizio del bacino di utenza dell’Ambito della Provincia di Lecce per la produzione di combustibile da rifiuto (C.D.R.).

Il servizio è stato attivato nel 2009 e l’impresa affidataria ha avanzato pretesa ai diversi A.T.O. di porre, a carico dei Comuni dei rispettivi bacini, un aumento tariffario, sia per aggiornamento I.S.T.A.T. (art. 7.3 del contratto del 2006), sia per “adeguamento tariffario” (art. 7.4 del medesimo contratto).

Con riferimento alla quantificazione dell’aggiornamento tariffario (clausola 7.4 del contratto), con la sentenza 19 giugno 2014, n. 1525, questo Tribunale ha provveduto all’analitica indicazione dell’adeguamento delle tariffe de quibus dovute alla Società istante fino al 2013 (ultimo anno di competenza di quel giudizio), nei seguenti termini: “79,96 €/t per il 2010 (€ 50 + € 29,96), € 79,45 per il 2011, € 77,67 per il 2012, € 77,07 per il 2013”.

La predetta sentenza del T.A.R. Puglia - Lecce n. 1525/2014 è stata confermata dal Consiglio di Stato per ben due volte (senza mai essere sospesa nella sua efficacia esecutiva): la prima, in sede ordinaria, con sentenza n. 3622/2015, e la seconda, in sede di revocazione, con sentenza n. 4419/2016. In entrambi i casi su ricorso dell’A.T.O. Provincia di Lecce.

Con decreto n. 6 del 13 gennaio 2017, il Commissario ad acta dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, in ottemperanza del giudicato formatosi sulla richiamata sentenza del T.A.R. Puglia - Lecce n. 1525/2014, approvava le tariffe di conferimento dell’impianto di Cavallino gestito dalla ditta Progetto Ambiente Provincia di Lecce per le annualità 2010, 2011, 2012 e primo semestre 2013, determinando, altresì, le somme dovute dai Comuni della Provincia di Lecce (cfr. l’allegata relazione tecnica).

Con decreto n. 14 del 14 febbraio 2017, il medesimo Commissario, ai sensi dell’art. 21 quater della Legge n. 241/1990, sospendeva, “per un periodo massimo di giorni 40”, l’efficacia e l’esecutività del proprio precedente decreto n. 6/2017, “per consentire lo svolgimento dell’attività istruttoria e le verifiche indispensabili per la corretta assunzione della determinazione finale”. Con ulteriore decreto n. 28 del 24 marzo 2017, la citata sospensione veniva prorogata fino al 31 dicembre 2017.

Con l’impugnato decreto n. 53 del 29 giugno 2017 - avente ad oggetto “Impianto CDR sito in Cavallino (LE). Adeguamento e revisione tariffa di conferimento 2010 - 2017” -, il Commissario dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti provvedeva alla revisione delle tariffe di conferimento de quibus dal 2010 al 2017, in applicazione dell’art. 7.3 del contratto (aggiornamento I.S.T.A.T.) e dell’art. 7.4 del contratto (adeguamento dei costi), precisando che:

- ai fini dell’aggiornamento I.S.T.A.T. (art. 7.3), “per le sole annualità 2010 - 2011 - 2012, resta confermata la revisione ISTAT già calcolata dall’ex Consorzio ATO LE/1 con delibera n. 7 del 16/3/2012, la cui validità è stata confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 2729/2014 e dalla sentenza TAR n. 594/2017”, mentre per le annualità successive si farà applicazione dell’indice generale ISTAT relativo ai prezzi della produzione dei prodotti industriali, in conformità alla “Nota indicativa sul corretto utilizzo da parte dei Comuni degli indici ISTAT per la revisione dei prezzi nei contratti di servizio relativi al ciclo dei rifiuti”, condivisa nella seduta della Conferenza Stato - Città ed Autonomie Locali del 4 maggio 2017;

- ai fini dell’adeguamento delle tariffe (art. 7.4), per le annualità dal 2010 al 2013, viene fatta pedissequa applicazione delle risultanze della C.T.U., recepita dalla sentenza n. 1525/2014; per le successive annualità dal 2014 al 2017 (non coperte da giudicato), vengono utilizzate (“estese”) come criteri di calcolo le risultanze istruttorie del citato accertamento giudiziale, adoperando il valore medio dei costi di adeguamento tariffario per le annualità 2011, 2012 e 2013 come base di calcolo per l’incremento dei costi per le predette annualità;

- con particolare riferimento all’incremento del costo sostenuto dal gestore per la maggiore spesa dovuta al recupero/smaltimento delle scorie provenienti dalla termovalorizzazione dei rifiuti per il periodo 2011 - 2017, viene fissato il costo di euro 6,90/tonnellata, aderente a quello determinato dalla citata C.T.U..

Con il ricorso in epigrafe, i Comuni ricorrenti hanno chiesto l’annullamento del decreto n. 53 del 29 giugno 2017 del Commissario ad acta dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio di Gestione dei Rifiuti, nonché la declaratoria di nullità, annullamento, inefficacia e non opponibilità ai Comuni medesimi delle clausole di adeguamento prezzi di cui al contratto del 28 aprile 2006, Repertorio n. 8794, stipulato tra il Presidente pro tempore della Regione Puglia - Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale in Puglia e l’affidataria A.T.I. COGEAM (cui è succeduta la società Progetto Ambiente Provincia di Lecce), e, comunque, l’infondatezza del diritto all’adeguamento tariffario.

A sostegno dell’impugnazione interposta hanno dedotto:

1) eccesso di potere, vizio assoluto di motivazione e di istruttoria, irragionevolezza manifesta, violazione dei principi di buon andamento, correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa;

2) inesistenza di valida obbligazione contrattuale gravante sui Comuni, nullità del contratto per mancata sottoscrizione;

3) nullità della clausola di adeguamento tariffario;

4) la richiesta di adeguamento è comunque infondata anche nell’ipotesi in cui la clausola contrattuale risultasse lecita ed efficace.

Si sono costituite in giudizio l’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per il Servizio Gestione Rifiuti (di seguito Agenzia) e la controinteressata società Progetto Ambiente Provincia di Lecce s.r.l., entrambe eccependo in limine l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva dei Comuni (sostenendo essere questi ultimi titolari di un interesse di mero fatto rispetto ai provvedimenti di rideterminazione tariffaria). L’Agenzia ha, inoltre, eccepito il difetto di giurisdizione di questo T.A.R. con riferimento alle censure inerenti alla nullità delle clausole contrattuali. La Società controinteressata ha, altresì, dedotto che il ricorso in esame deve essere deciso unitamente al gravame proposto dal gestore con il medesimo decreto. Nel merito, entrambe hanno contestato in toto le avverse pretese e chiesto la reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del 20 febbraio 2018, dopo ampia discussione orale e su richiesta delle parti, la causa è stata introitata per la decisione.

2. - In limine, va disattesa l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione formulata dall’Agenzia resistente con riferimento ai dedotti profili di nullità delle clausole contrattuali, in quanto trattasi di controversia relativa alla clausola di revisione del prezzo nell’ambito di un contratto ad esecuzione continuata, riservata alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo (art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 del c.p.a.).

2.1 - Sempre preliminarmente, si può prescindere dall’eccezione di inammissibilità del gravame per carenza di legittimazione attiva, sollevata dall’Agenzia resistente e dalla Società Progetto Ambiente, in quanto il ricorso è infondato nel merito e va respinto.

3. - Ritiene, innanzitutto, il Collegio di dover provvedere a delimitare l’oggetto del giudizio, qualificando la natura giuridica del provvedimento impugnato.

Partendo dal presupposto dell’efficacia del giudicato formatosi sulla menzionata sentenza di questo T.A.R. n. 1525/2014 nei confronti di tutti i Comuni dell’A.T.O. Provincia di Lecce (essendo stata tale sentenza pronunciata nei confronti e con la partecipazione dell’A.T.O. Provincia di Lecce), deve riconoscersi al gravato decreto commissariale n. 53 del 29 giugno 2017 un contenuto plurimo: per una parte, di mera ottemperanza al giudicato riveniente dalla citata sentenza n. 1525/2014, relativamente all’adeguamento della voce “costo dei conferimenti del C.D.R. agli impianti di termovalorizzazione” per gli anni dal 2010 al primo semestre 2013; per altra parte, di atto amministrativo autonomo relativamente all’aggiornamento I.S.T.A.T. (anni 2013-2017) ed all’adeguamento riferito ai costi sostenuti dal gestore inerenti allo smaltimento delle scorie (anni 2011-2017) e allo smaltimento del C.D.R. (secondo semestre 2013-2017). Pertanto, solo quest’ultima parte può essere oggetto di contestazione nel presente giudizio.

4. - Ciò premesso, con la prima censura i Comuni ricorrenti deducono che il provvedimento impugnato si porrebbe in maniera (immotivatamente) contraddittoria rispetto ai precedenti decreti di sospensione, adottati, ex art. 21 quater della Legge n. 241/1990, dal medesimo Commissario dell’Agenzia resistente.

Osservano i civici Enti che, con i (citati) decreti commissariali nn. 14 del 14 febbraio 2017 e 28 del 24 marzo 2017, l’Agenzia, dopo aver acquisito un articolato parere legale dello studio legale Grimaldi di Roma, aveva determinato la sospensione dell’efficacia e dell’esecutività del proprio precedente decreto n. 6 del 13 gennaio 2017 (di adeguamento tariffario anni 2010 - primo semestre 2013), evidenziando “argomentate perplessità sulla perdurante validità del contratto stipulato con il gestore nel 2006, a seguito dei consistenti adeguamenti tariffari riconosciuti al gestore all’esito del contenzioso amministrativo…” e ritenendo, altresì, che, alla luce “delle considerazioni che precedono”, emerge la “evidente necessità di compiere con urgenza i dovuti approfondimenti sulle rilevanti questioni giuridiche (illiceità e/o illegittimità del rapporto contrattuale e compatibilità con la normativa in tema di Aiuti di Stato)... nell’ambito di una vicenda ...suscettibile di generare rilevanti ripercussioni sui bilanci dei Comuni interessati alla luce degli ingenti importi richiesti”.

Lamentano i Comuni istanti che il provvedimento impugnato avrebbe non solo “di fatto posto nel nulla le precedenti determinazioni cautelari contenute nei decreti 14/2017 e 28/2017”, ma proceduto all’adeguamento tariffario “ignorando totalmente tutte le argomentazioni con le quali la stessa Agenzia Territoriale aveva deciso la sospensione dell’efficacia dei precedenti analoghi adeguamenti (seppure per gli anni 2010 -2013) e disposto una serie di approfondimenti istruttori sulla possibilità di attribuire permanente validità ed efficacia al contratto di gestione oggetto di adeguamento sotto il profilo tariffario”, operando una “radicale inversione di rotta” con un “salto di vuoto logico ed argomentativo”, “senza rendere motivazione alcuna in ordine alla attivata istruttoria che pure era stata avviata con il decreto 14/2017 per approfondire e stabilire l’esistenza di fondati profili di illiceità/illegittimità del rapporto contrattuale”.

4.1. - La doglianza non coglie nel segno.

Osserva la Sezione che la doverosità di adottare con immediatezza il (gravato) decreto n. 53 del 29 giugno 2017 discende (tra l’altro) direttamente dalla sentenza di questo T.A.R. n. 1525/2014, esecutiva e non ottemperata, per evitare di perseverare nell’elusione di un giudicato amministrativo.

Il dato fondamentale è, quindi, rappresentato dal carattere cogente ed esecutivo della sentenza predetta, che attendeva di essere ottemperata da oltre tre anni e che - da sola - giustifica l’adozione dell’atto commissariale n. 53/2017, nella parte relativa alla voce “costo dei conferimenti del C.D.R. agli impianti di termovalorizzazione” per le annualità 2010-primo semestre 2013.

Si osserva, inoltre, che la tariffa, pur presentando determinate peculiarità, resta comunque un atto amministrativo generale, in relazione al quale l’onere motivazionale, se non può ritenersi insussistente, deve comunque essere considerato - quantomeno - attenuato, soprattutto nel caso di specie, in cui, come detto, la determinazione dell’adeguamento prende le mosse da una sentenza esecutiva non ottemperata.

In ogni caso, comunque, nel provvedimento impugnato, il Commissario ad acta dell’Agenzia resistente fa esplicito riferimento ad approfondimenti istruttori compiuti (pur non specificandoli nel loro contenuto).

Non vi era, quindi, necessità di ulteriore motivazione rispetto a quella, resa palese nell’atto stesso.

5. - Con ulteriore doglianza, per ciò che attiene alle modalità di calcolo della revisione prezzi ai sensi dell’art. 7.3 del contratto Rep. n. 8794/2006 (aggiornamento I.S.T.A.T.), i Comuni ricorrenti lamentano che la gravata determinazione, dopo aver preso a riferimento quanto stabilito dalla Conferenza Stato - Città e Autonomie locali nella seduta del 4 maggio 2017, avrebbe adeguato la tariffa “in maniera del tutto irragionevole ed immotivata …. solo per le annualità in cui la variazione percentuale ha fatto registrare un segno positivo (e quindi per l’anno 2013 con + 0,7% e per l’anno 2017 con + 2,9%) e non nelle altre annualità in cui la variazione ha fatto registrare un segno negativo (-1,5% per il 2014; -3,8% per il 2015 e -3,0% per il 2016)”, così determinando “un irragionevole pregiudizio per i comuni ricorrenti che vedono aumentare le proprie obbligazioni in termini di importo tariffario per gli anni con variazioni positive degli indici Istat, ma non vedono riconoscersi il minor onere per gli ulteriori anni in cui la variazione dei prezzi vede un sensibile decremento”.

5.1 - Anche tale censura non può essere accolta.

Si osserva, a tal proposito, che la clausola di revisione dei prezzi è stata apposta al contratto in questione nell’interesse del gestore, al fine di tenere indenne lo stesso dall’aumento dei prezzi dovuto (nel caso in parola) alle variazioni del costo del denaro, e non anche nell’interesse dell’Amministrazione a che le tariffe possano diminuire in caso di indice I.S.T.A.T. negativo (il che avrebbe dovuto costituire oggetto di espressa e specifica previsione contrattuale).

Ed invero, l’eventualità che ad una variazione in negativo degli indici I.S.T.A.T. corrispondesse una correlata diminuzione delle tariffe non è stato previsto nel contratto del 2006, per cui non è possibile che le tariffe possano subire modifiche peggiorative per il gestore.

Peraltro, non può essere trascurato che la revisione prezzi nei contratti pubblici è un istituto che opera su istanza di parte.

6. - I Comuni ricorrenti deducono, poi, che “il decreto 53/2017 impugnato riconosce tanto il costo di euro 6,90 /ton quale maggiore spesa dovuta al recupero/smaltimento delle scorie provenienti dalla termovalorizzazione del CDR (importo determinato dai CTU nominati quali Commissari ad acta con ordinanza 2092/2015 nelle proprie delibere del 7/9/2015 e 17/9/2015), quanto gli ulteriori incrementi rivenienti dalla CTU espletata nel giudizio conclusosi con sentenza dello stesso TAR n.1525/2014” e asseriscono che “L’adesione acritica al predetto presunto aumento di costo per smaltimento delle scorie di combustione, stimato nella relazione dei CTU nominati dal TAR, viola in primo luogo il giudicato formatosi con la sentenza del Consiglio di Stato n. 1854/2017 e risulta comunque irragionevole”. Ed invero, tale determinazione sarebbe illegittima in quanto proprio il Consiglio di Stato (nel confermare sul punto la sentenza del T.A.R. Puglia Lecce n. 465/2016 di annullamento delle deliberazioni dei Commissari ad acta di determinazione dei maggiori oneri tariffari spettanti al gestore dell’impianto per lo smaltimento delle ceneri pesanti) ha chiarito che tali deliberazioni “non sono giunte all’esito di una nuova e autonoma valutazione in ordine ai maggiori costi asseritamente sostenuti rispetto a quelli inizialmente previsti, ma sono derivate dal puro e semplice richiamo alle risultanze contabili di cui alla relazione tecnica in data 23 ottobre 2013 stilata dai Commissari (olim consulenti tecnici) nell’ambito del complessivo giudizio definito in appello con le sentenze num. 3622/2015 e 4419/2016”. Di conseguenza, anche la determinazione tariffaria gravata non sarebbe, sul punto, fondata su elementi sufficientemente supportati in relazione alla struttura dei costi propri dell’impresa.

6.1 - Neppure tale censura convince.

Osserva la Sezione che il provvedimento richiamato dai ricorrenti è stato annullato dal Consiglio di Stato (sentenza n. 1854/2017), che, dopo aver ricordato il ragionamento e le motivazioni contenute nella C.T.U., si è così espresso:

“Si tratta di un percorso logico in astratto apprezzabile e ragionevolmente argomentato, volto a sostanziare l’affermazione circa la sussistenza di maggiori oneri indotti dalle novità normative in materia di scorie, ma che tuttavia non perviene al risultato richiesto dal TAR di determinare, in concreto, se vi sia stato e in che misura un effettivo incremento di costi sostenuti da Progetto Ambiente per smaltire il CDR negli impianti da questa realmente utilizzati”.

Il Consiglio di Stato non ha - quindi - affermato che al gestore non spetta l’adeguamento tariffario per quella voce di costo, ma ha rilevato come quel riconoscimento non fosse stato adeguatamente supportato dalla verifica, in concreto, “se vi sia stato e in che misura un effettivo incremento di costi sostenuti da Progetto Ambiente per smaltire il CDR negli impianti da questa realmente utilizzati”.

Il nuovo provvedimento di determinazione tariffaria è, però, immune dal vizio rilevato nel precedente contenzioso, poiché è in atti la prova che l’Amministrazione resistente abbia tenuto in considerazione i costi concretamente sostenuti dal gestore per il conferimento del C.D.R. (comprensivo dell’incidenza dello smaltimento delle scorie, non quantificabile separatamente) e che abbia deciso, comunque, di attenersi alle risultanze della C.T.U. richiamata che, quindi, non viene riprodotta “sic et simpliciter” nel decreto n. 53/2017.

7. - Con ulteriore doglianza, si lamenta che “non vi è mai stato un formale atto di successione soggettiva nel contratto, né una formale sottoscrizione del relativo contratto ai fini della legittima ed effettiva assunzione delle previste obbligazioni”, sicchè, “quand’anche sia innegabile l’avvenuto conferimento di rifiuti presso l’impianto gestito da Progetto Ambiente s.r.l. (essendo l’unico impianto della provincia di Lecce che effettua lo specifico trattamento della frazione secca di RSU), è altrettanto innegabile che il contratto rep. 8794/2006 non è opponibile nei confronti dei Comuni che non l’abbiano sottoscritto e che non abbiano sottoscritto un formale atto di subentro nelle obbligazioni assunte dal Presidente della Regione Puglia con il predetto contratto”.

7.1 - Anche tale censura deve essere disattesa.

Al riguardo è dirimente osservare che non vi era alcuna necessità di specifica sottoscrizione del contratto da parte dei singoli Comuni, atteso che l’assetto normativo vigente all’epoca (e a tutt’oggi) prevede che, in materia di impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, la competenza sia incardinata in capo ad Enti diversi dai singoli Comuni: nel tempo si sono, infatti, succeduti ex lege il Commissario Delegato per l’Emergenza Rifiuti, gli A.T.O. e - da ultimo - l’Agenzia Territoriale, con riferimento alla quale l’art. 9 della Legge Regionale 20 agosto 2012, n. 24 (come modificata dalla Legge Regionale 4 agosto 2016, n. 20) dispone che “h) subentra nei contratti stipulati dal Commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia, aventi a oggetto la realizzazione e la gestione degli impianti di trattamento, recupero, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti urbani”.

8. - I Comuni ricorrenti lamentano, poi, la nullità della clausola di adeguamento tariffario prevista all’art. 7.4.

Deducono che il Capitolato (art. 7) prevedeva quale sola ipotesi di incisione sulla tariffa offerta in gara, durante il rapporto, esclusivamente quella relativa all’adeguamento I.S.T.AT., trasfusa, infatti, nell’art. 7.3 del contratto. Sicché in modo del tutto illegittimo nel contratto del 2006 è stata aggiunta una seconda ipotesi di modifica della tariffa (art. 7.4), recante la possibilità di aumento per ragioni non previste dagli atti di gara: tale clausola sarebbe “nulla per violazione delle norme imperative che disciplinano la formazione della volontà della pubblica amministrazione e per mancanza dell’accordo (anche ai sensi dell’art. 1418 commi 1, e 2 del codice civile), non essendosi mai formata alcuna valida determinazione di volontà che potesse legittimare il sottoscrittore - parte pubblica - del contratto rep. n. 8794 del 28/4/2006 ad introdurre ed accettare la predetta clausola di adeguamento del canone”, venendo (sostanzialmente) ad assegnarsi all’aggiudicatario un vantaggio (aumento della tariffa, a carico della parte pubblica, volto ad esonerare l’affidatario dal rischio di impresa) non previsto dagli atti di gara.

8.1. - La doglianza è infondata.

Le sentenze del T.A.R. Puglia - Lecce nn. 2069/2012 e 1525/2014 (entrambe confermate dal Consiglio di Stato) hanno accertato la necessità ed il diritto del gestore all’adeguamento tariffario proprio al fine di conservare l’originario equilibrio contrattuale in applicazione della clausola contrattuale (art. 7.4) che perseguiva quello scopo.

L’introduzione della clausola contestata (quale peculiare forma di “revisione prezzi”) si è resa necessaria al fine di gestire evenienze straordinarie, rappresentate dall’ipotesi eccezionale di un cambio di normativa che potesse incidere sui costi di gestione. Cosa che si è, poi, verificata con riferimento al modo di conferire il C.D.R. prodotto, che ne ha fatto lievitare sensibilmente il costo. La clausola di riequilibrio si è, quindi, resa indispensabile per tutelare l’interesse pubblico alla corretta gestione del sistema di trattamento dei rifiuti urbani, rispetto al quale il Legislatore nazionale, sulla spinta di quello comunitario, è andato ben oltre, giungendo persino ad imporre la copertura obbligatoria dei costi di gestione attraverso le tariffe di conferimento.

La circostanza dell’incremento della tariffa è ascrivibile non già ad una modifica sostanziale del rapporto contemplato dagli atti della propedeutica gara e del contratto del 2006, bensì a circostanze sopravvenute imprevedibili, non imputabili alle parti, che hanno alterato significativamente il sinallagma contrattuale. Anche in mancanza di quella clausola, il gestore avrebbe avuto diritto all’adeguamento della tariffa, sia in applicazione dei meccanismi di riequilibrio previsti dall’ordinamento per tutti i contratti ad esecuzione continuativa (revisione prezzi), sia di quelli specifici per il settore dei rifiuti, nel quale vige il principio del c.d. full cost recovery, che si sostanzia nella tendenziale copertura dei costi di gestione.

Incidentalmente, è il caso di rilevare che il principio della copertura dei costi deve essere inteso in modo tendenziale e non assoluto, in quanto, in caso contrario, il principio entrerebbe in conflitto con determinate modalità di affidamento del servizio (es. la concessione) e porterebbe le Amministrazioni ad accollarsi anche scelte imprenditoriali non efficienti.

8.2 - Né a diverse conclusioni potrebbe giungersi configurando il contratto in esame quale concessione di servizi (come, sostanzialmente, ritengono i Comuni ricorrenti laddove - premesso che “il bando di gara ed il capitolato d’oneri prevedono l’affidamento del servizio di gestione di un sistema impiantistico complesso finalizzato al recupero energetico dei RSU , vale a dire inclusivo di un segmento che parte dalla ricezione della frazione secca e si chiude con la termovalorizzazione del CDR” - deducono che “l’aggiudicataria ha effettuato una scelta imprenditoriale rinunciando alla realizzazione del termovalorizzatore, preferendo il conferimento ad impianti terzi, ma non può in tal modo esonerarsi dal relativo onere e rischio di impresa”).

In proposito, osserva il Collegio che, comunque, anche a prescindere dalla concreta qualificazione giuridica dell’affidamento in questione, come dimostra l’art. 143, comma 8, del Decreto Legislativo n. 163/2006 (disciplina applicabile ratione temporis), anche le concessioni sono soggette a riequilibrio in caso di alterazione del sinallagma contrattuale.

8.3 - In ogni caso, la questione è coperta da giudicato.

Ed invero, il giudicato, ai sensi dell’art. 2909 del Codice Civile, copre il “dedotto” (ossia di ciò che espressamente è stato oggetto di contestazione ed esame) ed il deducibile (id est, ciò che, pur non espressamente trattato, si pone come presupposto/corollario indefettibile del thema decidendum).

Sicché, nella fattispecie in esame, ogni questione in ordine alla validità della clausola contrattuale de qua, costituendo il presupposto logico di ogni questione inerente all’interpretazione ed applicazione della clausola medesima, è coperta dal giudicato che si è formato sulla sentenza del T.A.R. Puglia - Lecce n. 1525/2014 (che ha riguardato proprio l’applicazione e l’interpretazione della clausola in esame).

9. - I Comuni ricorrenti deducono, poi, che l’adeguamento non sarebbe dovuto, non essendovi stata, sostanzialmente, alcuna modifica normativa sopravvenuta incidente sui costi di gestione, in quanto, con riferimento al sistema di incentivazione CIP 6, il gestore avrebbe avuto contezza del cambio normativo già prima di sottoscrivere il contratto (il riferimento è, in particolare, alla Direttiva Europea 2001/77/CE - di esclusione dell’incentivazione alle fonti assimilate, e, in particolare, quella relativa alla parte non biodegradabile dei rifiuti -, al Decreto Legislativo di recepimento n. 387/2003, al Decreto del Ministro delle Attività Produttive del 24 ottobre 2005); non sarebbe, quindi, fondato sostenere che la nuova disciplina sugli incentivi al recupero energetico della frazione inorganica dei rifiuti sia sopraggiunta solo con la Finanziaria 2007.

Richiamano, poi, la disciplina di gara, che pone ad esclusivo carico del gestore tutti i costi di smaltimento del C.D.R.. e sostengono che il gestore ha rideterminato “la base tariffaria (ovvero la componente per la termovalorizzazione) in euro 50 per tonnellata in luogo delle 46,00 per tonnellata tonnellata di cui all’offerta di gara”.

9.1 - La doglianza non può essere condivisa.

Sul punto appare doveroso (e dirimente) richiamare il giudicato che si è formato sulle sentenze del T.A.R. Puglia - Lecce n. 2069/2012 e n. 1525/2014 e che determina l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle suddette censure.

La questione (in particolare) della riduzione degli incentivi statali è stata esaminata dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato con la pronuncia n. 2729/2014, che ha (condivisibilmente) ritenuto che:

<<4.3. Resta da esaminare il motivo (aggiunto) dell’appello incidentale, con il quale l’ATO Provincia di Lecce ha lamentato la “errata presupposizione in fatto e in diritto; inapplicabilità della clausola di cui al punto 7.4 del contratto di affidamento”, sostenendo che i primi giudici avrebbero erroneamente riconosciuto alla società ricorrente in primo grado, ora appellante, il diritto all’adeguamento della tariffa ai sensi dell’art. 7.4. del contratto in relazione al sopravvenuto venir meno, rispetto al momento della formulazione dell’offerta prodotta in gara, degli incentivi concessi dallo Stato in favore delle imprese esercenti l’attività oggetto dell’affidamento in questione.

Anche tale motivo di gravame è infondato.

La Sezione osserva al riguardo che l’art. 7.4. del contratto ha espressamente previsto l’adeguamento della tariffa “i) in relazione ad eventuali maggiori costi o minori ricavi derivanti da specifiche disposizioni normative anche fiscali sopravvenute, che richiedano nel corso dello svolgimento dell’affidamento un mutamento del Servizio di smaltimento ivi compreso l’adeguamento dell’Impianto; ii) in relazione ad eventuali modifiche normative sopraggiunte rispetto alla data dell’aggiudicazione; iii) in relazione ad eventuali maggiori costi nello svolgimento del Servizio e/o di realizzazione dell’Impianto, derivanti da modifiche eventualmente proposte dal Commissario Delegato (escluse le eventuali prescrizioni imposte in sede di pronunciamento di VIA, di approvazione progettuale ai sensi del D. Lgs. 22/97 e di approvazione del progetto esecutivo ai sensi della legge n. 109/1994), o imposte da normative legislative intervenute dopo la presentazione delle offerte”.

La legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007), all’art. 1, comma 1117, ha tra l’altro previsto che i finanziamenti e gli incentivi pubblici di competenza statale - finalizzati alla promozione di fonti rinnovabili per la produzione di energia elettrica - sono concedibili esclusivamente per la produzione di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, così come definite dall’art. 2 della direttiva 2001/77/CE del Parlamento europeo (recepita dal D. Lgs. n. 287 del 2003), facendo espressamente (comma 2) salvi i finanziamenti e gli incentivi concessi, ai sensi della previgente normativa, ai soli impianti già autorizzati e di cui sia stata avviata la realizzazione anteriormente all’entrata in vigore della legge stessa, ivi comprese le convenzioni adottate con delibera del Comitato interministeriale prezzi il 12 aprile 1992 e destinate al sostegno delle fonti energetiche assimilate, per i quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1118.

L’articolo 2, comma 136, della legge n. 244 del 2007 (finanziaria 2008) ha precisato (e confermato) che i finanziamenti e gli incentivi di cui al secondo comma dell’art. 1117 dell’articolo 1 della citata legge n. 296 del 2006 sono concessi ai soli impianti realizzati ed operativi.

Ciò posto, non si può ragionevolmente dubitare che, come correttamente rilevato dai primi giudici, le richiamate disposizioni debbano trovare applicazione nei confronti dell’impianto gestito dalla appellante, che ha cominciato il suo esercizio l’11 marzo 2009, mentre le modifiche normative (astrattamente idonee a produrre maggiori costi nello svolgimento del servizio) sono sopraggiunte rispetto alla data di aggiudicazione.

D’altra parte, risulta che nell’offerta dell’appellata, prodotta in sede di gara ed elaborata nel 2004, vi fosse un espresso riferimento anche al costo del recupero energetico del CDR (sul quale ha inciso la sopravvenuta normativa sopra indicata)>>.

In ogni caso, poi, la vicenda è stata affrontata dalla sentenza della Quinta Sezione del Consiglio di Stato n. 3622/2015, che si è occupata delle specifiche censure proposte dall’A.T.O. Provincia di Lecce avverso le risultanze della C.T.U. e del conseguente aumento tariffario riconosciuto da questo T.A.R. con la sentenza n. 1525/2014.

Il Consiglio di Stato ha (condivisibilmente) chiarito che:

“Per quanto riguarda le censure formulate con riguardo all’operato del CTU, su cui si è fondamentalmente basata la sentenza impugnata, si deve preliminarmente osservare che il richiesto adeguamento deriva dall’esistenza di determinati dati oggettivi incontrovertibili, ovvero:

- la riduzione degli incentivi statali;

- l’aumento del costo unitario sostenuto dal gestore per il recupero del CDR rispetto a quanto indicato in offerta;

- le ingenti perdite di bilancio registrate dal concessionario nei vari anni di gestione.

Fatta tale premessa, che conferma ancora di più l’indispensabilità dell’adeguamento, si deve passare all’esame delle singole obiezioni prospettate dall’appellante avverso la citata CTU.

Tali obiezioni, per il Collegio sono infondate, in quanto, sinteticamente:

- a pag. 64 della CTU è stato puntualmente e condivisibilmente individuato l’incremento della tariffa di conferimento, a causa delle modifiche normative sopravvenute, per ogni anno a partire dal 2008;

- sulla base degli accertamenti compiuti nella CTU emerge inequivocabilmente quale sia la situazione degli incentivi relativa a ciascuno degli impianti in cui il CDR è stato effettivamente conferito, con la conseguenza che non è corretta l’argomentazione incentrata soltanto sulla tabella di pag. 58 della CTU che darebbe atto che nel 2010 tutti gli impianti presso cui ha conferito Progetto Ambiente godevano appieno degli ecoincentivi;

- per effetto delle modifiche introdotte con la finanziaria del 2007, nessun impianto gode più degli incentivi in misura piena;

- detta tabella, compilata a pag. 58 della CTU, combinando il dato relativo all’avviamento (riportato nella suddetta tabella) con quello relativo alla durata del CIP 6 (indicato nella CTU in 8 anni) determina la data in cui gli ecoincentivi in misura piena sono cessati;

- nella CTU è stato chiaramente ed incontestabilmente fornito il dato relativo all’incidenza media (in termini di incremento sulla tariffa) derivante dalle modifiche normative sopravvenute;

- la consulenza d’ufficio, in conformità con quanto disposto nell’ordinanza istruttoria di primo grado, è stata trasmessa in una prima bozza ai consulenti di parte per consentire loro di formulare osservazioni; ricevute le osservazioni, la consulenza d’ufficio è stata rivista ed aggiornata recependo le osservazioni ritenute condivisibili; pertanto, le indicazioni definitive e corrette sono pacificamente quelle indicate nella relazione nella sua versione definitiva, vale a dire nella tabella di pag. 58 della CTU;

- l’utilizzazione delle fatture della Progetto Ambiente srl, che contenevano tutti i dati rilevanti (tariffa, destinatario e quantitativo) per estrapolarne gli elementi utili per l’accertamento effettuato in CTU, si deve considerare legittima, atteso che tali documenti, pur trattandosi di atti di parte, erano stati trasmessi all’ATO in periodi di tempo in cui non erano sorte ancora contestazioni tra le parti; inoltre, le stesse fatture non erano mai state confutate dall’ATO, che le aveva ricevute sempre senza obiezioni;

- la relazione di CTU ha determinato la misura dell’incremento tariffario assumendo quale dato di riferimento non l’eliminazione degli incentivi, bensì la loro riduzione, ed ha individuato l’incidenza di tale riduzione sulla tariffa di conferimento;

- non sussistono elementi per ritenere che i dati assunti dal CTU non siano coerenti con i dati reali di mercato; essi, peraltro, sono stati comprovati utilizzando un campione rappresentativo di impianti;

- la riduzione dei ricavi, che deve ritenersi direttamente imputabile alle variazioni normative, ha ragionevolmente influenzato il mercato, determinando un livellamento verso l’alto delle tariffe applicate dagli impianti in grado di bruciare CDR;

- nella tabella della relazione di CTU, a pag. 54, è stato calcolato il valore medio delle variazioni utilizzando esclusivamente gli anni dal 2008 al 2013, mentre gli anni dal 2004 al 2007, per i quali è stata pure calcolata la misura dell’incremento, non sono stati computati ai fini della determinazione della media;

- il criterio di calcolo utilizzato per la determinazione della media risulta ragionevolmente motivato nella relazione secondo i criteri tecnici ivi indicati;

- la citata tabella di pag. 54 dimostra che il prezzo medio di conferimento è cambiato a partire dal 2007 proprio per effetto della finanziaria che ha ridimensionato gli incentivi; si è infatti passati da un prezzo medio di 36,00 €/t ad un prezzo medio di 80,00 €/t: quindi è evidente che il costo di conferimento è risultato essere molto superiore a quanto indicato in offerta, per effetto delle modifiche normative sopravvenute all’offerta;

- in definitiva, si è legittimamente ritenuto che il costo del conferimento in impianti terzi, quindi in uscita, del CDR prodotto nell’impianto della Progetto Ambiente incide sulla tariffa di conferimento del rifiuto in ingresso e la differenza si giustifica con la differenza di quantitativi tra ingresso ed uscita”.

La su riportata sentenza, confermata in sede di revocazione dal Consiglio di Stato con decisione n. 4419/2016, conduce a conclusioni in relazione alle quali questo Collegio ritiene di dover aderire.

10. - Proseguono i Comuni ricorrenti, sostenendo che un ulteriore profilo di nullità del contratto e/o della clausola - e, conseguentemente, di illegittimità degli atti impugnati - discenderebbe dalla circostanza che l’impugnato decreto commissariale, nello stabilire gli aumenti tariffari di cui si controverte “quale compensazione dei maggiori costi o minori ricavi subiti per effetto del venir meno delle tariffe incentivate nei processi di recupero energetico del CDR mediante termovalorizzazione”, si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria in materia di aiuti di Stato, in violazione dell’art. 107 par. 1 del T.F.U.E..

10.1 - Anche tale censura va disattesa, considerato come non sia ipotizzabile un “aiuto di stato” rispetto a somme che devono essere per legge corrisposte al gestore dall’utenza e non dall’Amministrazione.

Inoltre, è la stessa disciplina dell’Unione Europea che prevede gli istituti della revisione dei prezzi e degli adeguamenti tariffari al fine di garantire la continuità del servizio e a tal proposito, se non sembra potersi riconoscere - tout court - il principio della totale copertura dei costi per i motivi dinanzi citati, deve, comunque, riconoscersi quello della tendenziale copertura degli stessi, al fine di evitare che squilibri contrattuali dovuti a sopravvenienze imprevedibili possano determinare l’interruzione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.

11. - Quanto innanzi esposto induce il Collegio a disattendere l’istanza istruttoria (volta ad acquisire la documentazione di gara costituente l’offerta prodotta dall’A.T.I. Cogeam), formulata con la memoria del 26 gennaio 2018.

12. - In conclusione, il ricorso è infondato nel merito e deve essere respinto.

13. - Sussistono i presupposti di legge (l’assoluta novità delle questioni trattate e della normativa applicabile) per disporre la compensazione integrale delle spese processuali tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del giorno 20 febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:

Enrico d'Arpe, Presidente

Antonella Lariccia, Referendario

Maria Luisa Rotondano, Referendario, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Maria Luisa Rotondano        Enrico d'Arpe