La bonifica ex art. 245 e gli obblighi di prosecuzione delle attività fino a risanamento

di Matteo BENOZZO

1.Dal 2019 si è venuto formando un orientamento giurisprudenziale (TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 831/2019; TAR Lombardia, Milano, Sez. III, n. 1810/2020; TAR Campania, Napoli, Sez. V, n. 200/2022; TAR Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 776/2022; TAR Campania, Napoli, Sez. V, n. 2785/2022) che, valutando la possibilità di uscire dalla procedura di bonifica e interrompere le attività avviate volontariamente dal terzo interessato non responsabile, ha escluso tale possibilità ricorrendo ad un istituto giuridico, la gestione di affari altrui, che farebbe sorgere secondo le Corti un obbligo di continuazione delle attività fino a loro conclusione ovvero «finché l’amministrazione non sia in grado di far subentrare l’autore dell’inquinamento» nella procedura.

Disciplinato dall’art. 2028 c.c. («Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da sé stesso. // L’obbligo di continuare la gestione sussiste anche se l’interessato muore prima che l’affare sia terminato, finché l’erede possa provvedere direttamente»), per operare l’istituto presuppone l’assenza del dominus e, quindi, l’impossibilità di subentro nella gestione del proprio affare.

A ben vedere la posizione non appare condivisibile in quanto l’istituto a cui le Corti ricorrono non esclude la possibilità di ritirarsi dall’impegno di bonifica assunto, anche solo come atto unilaterale del terzo gestore interessato.

2. La gestione di affari altrui, invero, ha origini romane (presente già nelle Pandette e nella codificazione giustinianea) e da sempre è volto a riconoscere la liceità di una illegittima intrusione nella gestione patrimoniale altrui, in ragione del vantaggio che tale gestione dovrebbe assicurare in assenza del titolare e che il sistema consente, in un bilanciamento di interessi, solo a fronte dell’obbligo di prosecuzione dell’affare fino a conclusione. In altre parole: un obbligo di continuazione come conseguenza di una volontà di intromissione nell’affare altrui.

Applicato da sempre a semplici questioni gestorie caratterizzate dall’assenza del dominus (il legionario in campagna di guerra; il proprietario lontano per un viaggio; il contraente mancante per ragioni di salute; ecc.), questo istituto è giunto ai nostri giorni poco utilizzato e senza veri adattamenti o filtri applicativi che ne abbiano reinterpretato i presupposti di funzionamento alla luce dei principi costituzionali ed evolutivi della società moderna. Vicende sempre di poco valore e di semplice risoluzione non hanno aiutato tale evoluzione, confermando regole e principi originari propri di una impostazione statica dell’istituto, basata sulla logica dei singoli atti, intrinsecamente connotati dalla vocazione all’esaurimento e alla completezza. Nella società moderna e nel caso applicativo delle “bonifiche per conto di” anche caratterizzate da ingenti investimenti, pure non prevedibili dapprincipio, invece, l’istituto deve necessariamente confrontarsi non con la gestione di singoli atti che si concludono in loro stessi, quanto piuttosto con situazioni caratterizzate da una molteplicità concatenata di atti che nel loro divenire e susseguirsi acquistano rilievo giuridico che una lettura non moderna dell’istituto inquadra in una riduzione della complessità non in grado di abbracciare le sfaccettature molteplici della situazione.

I principi solidaristici della Costituzione che dovrebbero essere oggi la ragione di assunzione della gestione di affari altrui, andrebbero letti proprio alla luce della complessità delle situazioni giuridiche moderne per sostenere un limite all’impegno assunto quando la dimensione dell’obbligo nella sua evoluzione raggiunge proporzioni diseconomiche tali da renderlo incompatibile con l’iniziale impegno altruistico; lì ove una prosecuzione senza limiti potrebbe giungere a determinare perdite abnormi o situazioni aberranti sino al possibile fallimento del gestore solidale.

Nella semplificazione strumentale di un obiettivo materiale di pura ragione economico-pubblicistica, il primo TAR che ha dato avvio a questa lettura (ancora limitata a sole sedi e sezioni giudiziarie) risolve il punto sostenendo che per aversi la «gestione di affari altrui…[occorre] esclusivamente che vi sia la consapevolezza dello stato di contaminazione dell’area e della necessità di eseguire la bonifica secondo le direttive stabilite dall’amministrazione », intendendosi tale gestione assunta per l’intera attività di bonifica, ove i ripensamenti non sarebbero opponibili all’amministrazione dal momento che l’applicazione dell’istituto prescinderebbe dalle ragioni private per cui un soggetto non obbligato assume tale impegno.

3. In realtà, però, è proprio l’istituto ex art. 2028 c.c. che non sembra essere idoneo alla gestione di una vicenda come quella delle bonifiche. Esso, invero, si basa e presuppone uno schema relazionale esclusivamente a due, il gestore e il dominus, dove l’atto del primo è svolto nell’interesse patrimoniale del secondo, di cui la collettività non gode direttamente ma, se del caso, solo in modo indiretto (ossia, l’effetto benefico derivante dal mantenimento in vita di una azienda ovvero dalla prevenzione di un danneggiamento). Nel caso delle bonifiche condotte da un terzo non responsabile in luogo dell’inquinatore, invece, lo schema è sempre a tre: il terzo non responsabile, l’inquinatore e la pubblica amministrazione, dove la molteplicità degli atti del primo non sono svolti solo nell’interesse del secondo (interessi patrimoniale, per la prevenzione di danni conseguenti all’inerzia, ed interesse penale-amministrativo, per i profili sanzionatori evitati), ma anche direttamente degli enti esponenziali della collettività, sollevati dal loro obbligo di eseguire la bonifica in luogo dell’inquinatore assente e beneficiari delle relative attività del terzo. Questa trilateralità effettiva della vicenda, in cui il terzo si trova a gestire “un affare di due dominus”, in cui quello pubblico è addirittura presente, in grado di subentrare nell’affare e con strumenti di ripetizione dei relativi esborsi di maggior tutela e pronto realizzo rispetto al terzo, rende incompatibile l’applicazione dello schema dell’art. 2028 c.c. alla fattispecie.

Oltretutto, l’istituto non sembra poter essere applicabile nelle bonifiche (quanto meno nella sua dimensione obbligatoria) anche in ragione del contenuto e della facoltà prevista dall’art. 245 d.lgs. 152/2006. Ciò in quanto, se l’art. 2028 c.c. si connota per un obbligo di prosecuzione e conclusione dell’affare come controbilanciamento di una attività che fuori dallo schema dell’articolo sarebbe sempre illecita (per il diritto non ci si può interessare degli affari di cui non si è titolari e la sfera giuridica soggettiva altrui è sempre inviolabile, salvo scelte giudiziarie espresse), la bonifica del terzo interessato non responsabile si configura sempre di per sé come lecita, normata come facoltà e a cui il terzo ricorre non per un principio solidaristico funzionale alla tutela del patrimonio altrui, bensì in ragione dalla necessità di evitare conseguenze derivanti da vincoli che potrebbero gravare l’area o da costi di gestione e spese pubbliche ingenti ovvero dalla necessità di tutelarsi personalmente contro situazioni di incertezza giuridica pure penali o risarcitorie.

Tali interessi minano alla radice anche il presupposto stesso di configurazione dell’istituto – l’ animus negotia aliena gerendi – in quanto il gestore non agisce nel “interesse o a favore di” ma in forza di una propria ed esclusiva motivazione non solidaristica (se non eventuale e non caratterizzante per espressa previsione normativa) che lo pone fuori dallo schema dell’istituto.

Inoltre, l’istituto presuppone per la sua operatività che il gestore non sia tenuto per legge o per disposizione contrattuale a compiere atti di gestione, dal momento che la genesi di tale istituto si giustifica nella necessità di regolare rapporti che non potevano inquadrarsi, per mancanza di una specifica obbligazione, in figure di istituti già precostituite. Per cui, in tutti i casi in cui l’impegno è assunto su base contrattuale, l’istituto ex art. 2082 c.c. non può applicarsi quando origine del coinvolgimento del terzo è un rapporto giuridico negoziale assunto con lo specifico fine di regolare proprio l’attività oggetto di gestione, rapporto che essendo sinallagmatico, ben può essere esposto alle conseguenze di una eccessiva onerosità sopravvenuta, ancorché sul piano pubblicistico il contenuto di tale contratto potrebbe essere fonte di obblighi e responsabilità per mancata bonifica.

Allo stesso modo e pur immaginando per astratto l’applicabilità dell’istituto, il terzo sarebbe liberato dal vincolo e rimesso ad ogni modo nella possibilità di scelta non appena il responsabile fosse individuato, immediatamente dalla decisione di questi di subentrare o meno all’iniziativa del terzo (in argomento e per maggiori dettagli e completezza espositiva ci permettiamo di rinviare a Benozzo, Capogruppo e terzi interessati nella bonifica dei siti contaminati tra interventi volontari e obbligatori , in pubblicazione su Contratto e impresa).

4. Si auspica quindi un immediato ripensamento di tale lettura e l’abbandono di una logica simile che trova le sue ragioni, più nella tutela di una contabilità di stato e di stabilità finanziaria degli enti locali, che in una coerente applicazione di principi e regole di coinvolgimento di un terzo in attività che competerebbero solo al responsabile dell’inquinamento ovvero alla collettività in sua vece, con possibilità di aggressione e confisca della relativa area.