LEGGE REGIONALE PUGLIESE SULLA DIOSSINA
Diossina: una modesta proposta
Avv. Stefano Palmisano
La legge regionale sulle \\ contro le diossine è certamente merito di un governo regionale che, su questa questione, ha finalmente e seriamente ascoltato la voce, le urla, di rabbia, d’indignazione e di dolore, che si levavano sempre più alte da un pezzo significativo della società pugliese e tarantina in particolare.
Ma, per l’appunto, quella legge è, anche e soprattutto, un regalo che ha fatto a se stesso e al resto dell’ignava, quando non proprio cor-riva (in tutti i sensi), popolazione la parte più lucida, degna e combattiva della cittadinanza ionica, a coronamento di una lotta dura, generosa e soprattutto impari.
Una lotta che, però, ha pagato.
A sorprendente dimostrazione che, come si diceva qualche era geologica fa, spesso la lotta paga.
E, in modo assai lucido, l’associazione Peacelink, per bocca del suo imprescindibile presidente, Alessandro Marescotti, coglie questa “antica novità” di straordinaria importanza e rilancia la sfida, questa volta direttamente nei confronti del governo nazionale, chiedendo al ministro dell’ambiente una radicale modifica dell’allegato tecnico al Codice dell’ambiente che pone come “limite” alle emissioni di diossina per gli agglomeratori (ossia gli impianti di agglomerazione dell\'industria siderurgica da cui fuoriesce il cancerogeno) l’oscena cifra di 10000 (diecimila!) nanogrammi a metro cubo calcolati in concentrazione totale, quando la nuova legge regionale prevede un limite, a regime, di 0,4 nanogrammi: praticamente una licenza di uccidere, anche le generazioni future, tenendo conto dei noti effetti genotossici delle diossine.
Naturalmente, Peacelink sa benissimo quali siano le reali speranze di spazzare via dal nostro ordinamento quella norma ecocida solo sulla base di una pur inattaccabile, giuridicamente e moralmente, lettera al governo che ha assunto, su ispirazione – istigazione dei padroni delle ferriere più illuminati d’Europa, le posizioni ed i provvedimenti più inquinanti della Repubblica, dal sabotaggio di fatto della direttiva europea 20-20-20 al sostanziale azzeramento dei benefici fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, fino alla delirante idea, che pure qualche ministro non ha mancato di esternare, restando serio, di “rimettere in discussione Kyoto”.
Il discorso cambierebbe sensibilmente se intorno a quell’obiettivo si coagulasse nuovamente un movimento reale di uomini e di donne di buona ed ambientalistica volontà che iniziasse una nuova determinata mobilitazione per incalzare dal basso, per l’appunto, governo e parlamento per l’adozione di un nuovo limite di emissione di diossine in sede nazionale, in pratica per l’approvazione di quella che sarebbe a tutti gli effetti una misura urgente di salute pubblica.
Ed è facilmente immaginabile che Peacelink si accinga a fare proprio questo.
E, allora, perché non inserire nella piattaforma rivendicativa di quell’incipiente nuova mobilitazione ecologica un altro obiettivo altrettanto vitale per l’ambiente e per gli esseri umani in questo paese, oltreché potenzialmente assai aggregante nei confronti di ampie fasce di opinione pubblica, quale l’introduzione, finalmente, nel nostro codice penale dei delitti contro l’ambiente?
Oggi, in Italia, quelli contro il suolo ed il sottosuolo, contro l’aria, contro l’acqua, insomma contro i nostri territori sono regolarmente qualificati (fatte salve rarissime eccezioni) come contravvenzioni, ossia considerati come reati di serie B e come tali trattati sotto il profilo sanzionatorio.
Le conseguenze pratiche di quest’impostazione sono devastanti per i procedimenti penali che hanno a base questi illeciti, i cui autori vengono, più o meno sistematicamente, immunizzati da qualsiasi seria conseguenza penale, anzitutto perché i reati ed i conseguenti processi vengono falcidiati da vere e proprie epidemie di prescrizione (al massimo cinque anni dalla commissione del fatto).
Gli ulteriori effetti che derivano da questa genetica neutralizzazione dei reati in questione, in termini di effettiva tutela dei beni che essi tenderebbero a garantire, sono facilmente intuibili da chiunque: la capacità deterrente nei confronti di inquinatori spesso seriali, per non dire di professione, di una fattispecie di reato che nasce già votata all’autoestinzione precoce è simile a quella che dispiegherebbe l’intimazione ad arrendersi fatta nei confronti di un killer da un poliziotto armato di una pistola - giocattolo.
L’art. 3 della legge regionale approvata il 16 dicembre afferma che “in caso di superamento dei limiti” di emissione di diossina, il contravventore avrà 60 giorni di tempo per rimettersi in regola, superati vanamente i quali “lo stesso sarà tenuto ad arrestare immediatamente l’esercizio dell’impianto”.
La norma non prevede altro per il caso di violazione di quei limiti e di successivo mancato “ravvedimento operoso” da parte dell’inquinatore; in particolare, non dice precisamente chi avrà la competenza, o meglio il dovere istituzionale, di fare concretamente cosa nei confronti di costui.
In ogni caso, secondo l’odierna normativa nazionale vigente in quest’ambito, quell’infrazione, pure di una norma espressa e cogente come quella approvata dalla Regione Puglia qualche giorno fa, non integrerà alcun serio illecito penale, che non sia, al massimo, la solita patetica contravvenzione di “getto pericoloso di cose”, prevista e “punita” (si fa per dire) dall’art. 674 c.p. “con l\'arresto fino a un mese o con l\'ammenda fino a euro 206” (sic!) o, a tutto concedere, quella (sempre contravvenzione, ovviamente), per così dire, “più grave” di “inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”, di cui all’art. 650 c.p. punita con “l\'arresto fino a tre mesi o con l\'ammenda fino a euro 206”.
Se fosse diventato legge dello stato il disegno di legge del Governo Prodi che prevedeva l’inserimento nel codice penale di un apposito titolo dedicato ai “DELITTI CONTRO L’AMBIENTE”, approvato dal Consiglio dei ministri il 24 aprile 2007, quella, tutt’altro che ipotetica, violazione della nuova normativa regionale in materia di diossina che si ipotizzava sopra, ossia “l’immissione nell’ambiente di sostanze o energie” pure solo idonee “a cagionare o contribuire a cagionare il pericolo concreto di una compromissione durevole o rilevante” dell’ambiente avrebbe potuto esser punito “con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da cinquemila a trentamila euro”.
A tacere dell’ipotesi in cui quell’immissione cagionasse non solo un pericolo per l’ambiente, ma un “danno ambientale” con “pericolo per la vita o l’incolumità delle persone” (reclusione da due anni e sei mesi a sette anni), se non addirittura un “disastro ambientale” (reclusione da tre a dieci anni e multa da trentamila a duecentocinquantamila euro).
Ma, l’elemento di novità sanzionatoria forse più importante di questo testo di legge, stava nella possibilità di applicare anche ai violentatori per professione dell’ambiente tutto l’apparato di norme in materia di responsabilità amministrativa da reato per le imprese istituito dal d. lvo n. 231 del 2001; quello, per cui, quando si è in presenza di un certo tipo di reati commessi, per dirla in breve, nell’esercizio dell’attività d’impresa, alla pena ordinaria nei confronti dei singoli, ossia degli autori dei reati, si aggiunge altresì una vasta gamma di sanzioni volte specificamente contro la personalità ed il patrimonio dell’impresa per cui agiscano gli individui colpevoli del reato in questione. E si tratta di sanzioni, se possibile, probabilmente ancor più incisive di quelle strettamente penali su cennate, dato che incidono, per l’appunto, sulla “profittevolezza”, ossia sulla cassa, per non dire sulla stessa sopravvivenza dell’azienda: sanzioni pecuniarie fino a mille quote aziendali, sanzioni interdittive (incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, ossia incapacità di aggiudicarsi appalti pubblici) per un minimo di un anno, interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività.
Cosa si è verificato, cosa hanno fatto a Taranto in questi anni: un pericolo per l’ambiente, un danno ambientale con pericolo per la vita o l’incolumità delle persone o un disastro ambientale?
Il giorno dopo l’entrata in vigore della legge regionale contro le diossine, Emilio Riva, il padrone dell’Ilva di Taranto, ha freddato gli entusiasmi di tutti i tarantini, dichiarando che "le attuali tecniche di additivazione di urea consentono di abbassare gli attuali 7 nanogrammi fino al 50 percento e non fino a 2,5 nanogrammi per metro cubo", come invece richiesto dalla legge regionale per l\'aprile prossimo.
E’ lecito supporre che se fosse in vigore una normativa in tema di delitti contro l’ambiente appena seria, come quella sopra illustrata, patron Riva avrebbe qualche stimolo in più a trovare sul mercato tecniche tali da consentire il raggiungimento dell’obiettivo previsto dalla legge regionale?
In ogni caso, sarebbe doveroso per il movimento ambientalista tarantino e pugliese fare tutto il possibile per fornire quegli stimoli ulteriori alla pur notoria sensibilità ambientalista del padrone dell’acciaio.
Anche le migliori volontà, com’è noto, a volte hanno bisogno di un aiuto.
Fasano, 20\\12\\2008
Stefano Palmisano