Aree e siti non idonei: spunti di riflessione sulla normazione regionale in tema di impianti alimentati da fonti rinnovabili

di Beatrice ROSSI

pubblicato su Giur. Merito n. 10\2012 si ringrazia l'editore

Beatrice Rossi
Collaboratore amministrativo Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente Basilicata

Sommario: 1. Premessa. 2. Criteri di localizzazione degli impianti: ambiente, paesaggio ed energia nella giurisprudenza nazionale ed europea. 3. Normazione regionale in contrasto con la legislazione nazionale: Corte costituzionale e confini dell'intervento regionale. 4. Conclusioni.

1. PREMESSA

La sentenza n. 308 del 9 novembre 2011 della Corte costituzionale, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 1 comma 1, lett. a) e b), della legge della Regione Molise 23 dicembre 2010, n. 23, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 7 agosto 2009, n. 22» (Nuova disciplina degli insediamenti degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Molise) per violazione dell'art. 117 comma 1, comma 2, lett. a) ed e), e comma 3 Cost., fornisce l'occasione per una riflessione sulla attuazione, da parte delle Regioni, delle Linee Guida nazionali per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili.

L'art. 1 comma 1, lett. a), della legge della Regione Molise n. 23 del 23 dicembre 2010, introducendo la lett. c-bis all'art. 2 comma 1, della legge regionale 7 agosto 2009, n. 22, aveva individuato «la Valle del Tammaro ed i rilievi che la delimitano» tra le aree non idonee all'installazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell'art.12 d.lg. 29 dicembre 2003, n. 387.

L'art. 1 comma 1, lett. b), invece, della predetta legge, inserendo il comma 1-bis all'indicato art. 2 della legge regionale n. 22, aveva stabilito che ai sensi e per gli effetti delle disposizioni di cui all'allegato 3, lett. f) del Decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010, contenente le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili «costituiscono aree e siti non idonei alla installazione degli impianti eolici, le aree ed i beni di notevole interesse culturale», così dichiarati ai sensi del d.lg. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), «nonché gli immobili e le aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi del medesimo decreto».

La Consulta, con la citata sentenza, nel delineare il quadro normativo di riferimento, ha osservato che il comma 10 dell'art. 12 d.lg. n. 387 del 2003 il quale disciplina il procedimento volto al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, statuisce che le Regioni possono procedere alla individuazione di aree non idonee alla realizzazione di impianti da fonti rinnovabili «solo nel rispetto ed a seguito dell'adozione delle linee guida nazionali in sede di Conferenza unificata». L'obiettivo delle Linee guida è quello di «assicurare un corretto inserimento degli impianti con specifico riguardo agli impianti eolici nel paesaggio».

Il decreto ministeriale del 10 settembre 2010 stabilisce, inoltre, che le suddette aree possono essere individuate solo con riferimento a specifici siti ed in relazione alla installazione di determinate tipologie di impianti (allegato 3 al par. 17).

In sostanza, la inidoneità «deve essere differenziata con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili ed alle diverse taglie di impianto» e non può riguardare «porzioni significative del territorio o zone genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, né tradursi nell'identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela».

L'allegato 3 del par. 17 indica, poi, i criteri ed i principi a cui le Regioni devono uniformarsi ai fini della individuazione delle zone nelle quali non è possibile realizzare gli impianti alimentati da fonti di energia alternativa. Ed ancora, lo stesso par. 17 stabilisce che il giudizio sulla non idoneità dell'area debba essere espresso dalle Regioni sulla base di «apposita istruttoria» che abbia ad oggetto la ricognizione delle disposizioni dirette alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico ed artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale.

Da qui la conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate, prevedendo le stesse un divieto arbitrario, generalizzato ed indiscriminato di localizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e disciplinando, altresì, la individuazione delle aree non idonee in assenza di una adeguata e preventiva istruttoria finalizzata al contemperamento dei vari interessi coinvolti (così come espressamente previsto nelle Linee guida nazionali).

2. CRITERI DI LOCALIZZAZIONE DEGLI IMPIANTI: AMBIENTE, PAESAGGIO ED ENERGIA NELLA GIURISPRUDENZA NAZIONALE ED EUROPEA

La pronuncia della Corte costituzionale n. 308 del 2011 è solo l'ultima di una serie di interventi del Giudice delle leggi, volti a regolare il riparto di competenza tra Stato e Regioni in una materia quale quella dell'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, oggetto di numerosi interventi normativi da parte delle Regioni.

Il par. 17 (Parte IV «Inserimento degli impianti nel paesaggio e nel territorio») delle Linee guida rubricato «Aree non idonee» statuisce al punto 1. che la indicazione delle aree e siti non idonei alla installazione di specifiche tipologie di impianti da parte delle Regioni, con precipua ed espressa finalità di accelerazione dell'iter autorizzativo alla costruzione ed all'esercizio, avviene «secondo le modalità di cui al presente punto e sulla base dei criteri di cui all'allegato 3».

Come è noto, le Regioni operano la individuazione e catalogazione delle zone non idonee sulla base di specifica e dettagliata istruttoria avente ad oggetto «la ricognizione delle disposizioni volte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico ed artistico, delle tradizioni agroalimentari locali, della biodiversità e del paesaggio rurale». Tali sono gli elementi che identificano obiettivi di protezione non compatibili con l'insediamento, in determinate aree, di specifiche tipologie e/o dimensioni di impianti, i quali determinerebbero, in sede autorizzativa, una elevata probabilità di esito negativo delle valutazioni.

L'istruttoria citata dovrà dettagliare le incompatibilità riscontrate, rapportandole agli obiettivi di protezione individuati nelle disposizioni esaminate. La espressa menzione della necessità che gli esiti della istruttoria medesima siano richiamati nell'atto di individuazione dell'area pare rafforzare la voluntas legis di far ruotare attorno ad un procedimento codificato nelle modalità e nei contenuti la scelta finale operata in chiave di attuazione dal soggetto regionale.

Infatti, la individuazione del singolo sito non idoneo e del conseguente divieto di autorizzazione non può presentare caratteri di genericità od indifferenziazione, ma, al contrario, deve riguardare specifiche categorie di impianti, distinti a seconda della taglia e/o della tipologia.

Le Regioni, proseguono i punti 2 e 3, individuano, altresì, le aree non idonee attraverso «atti di programmazione congruenti» con gli obiettivi di burden sharing assegnati in costanza di approvazione del decreto ministeriale di cui all'art. 8-bis l. 27 febbraio 2009, n. 13 di conversione del d.l. 30 dicembre 2008, n.208.

I predetti atti hanno la finalità di «conciliare le politiche di tutela dell'ambiente e del paesaggio con quelle di sviluppo e valorizzazione delle energie rinnovabili», assicurando uno sviluppo equilibrato delle diverse fonti.

In via transitoria e salvo successive modifiche ed integrazioni di quanto già disposto, le Regioni possono procedere alla individuazione senza la contestuale programmazione, nelle more dell'emanazione del citato decreto di assegnazione delle quote minime di produzione di energia da fonti rinnovabili.

La precipua finalità della individuazione delle aree e dei siti non idonei è indicata nell'allegato 3 al par. 17, ossia essa mira «non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento ed orientamento per la localizzazione dei progetti». I principi e criteri cui devono ispirarsi i provvedimenti regionali di individuazione delle aree non idonee (in aggiunta alle modalità indicate nel par. 17 e sempre tenendo conto dei pertinenti strumenti pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica) sono i seguenti:

““criteri tecnici oggettivi legati ad aspetti di tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico culturale, connessi alle caratteristiche intrinseche del territorio e del sito;

““differenziazione con specifico riguardo alle diverse fonti rinnovabili ed alle diverse taglie di impianto;

““indicazione di porzioni non significative del territorio;

““divieto di accludere nei siti non idonei zone classificate come agricole dai vigenti piani urbanistici, ovvero genericamente soggette a tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico;

““divieto di identificazione di fasce di rispetto di dimensioni non giustificate da specifiche e motivate esigenze di tutela;

““grado di concentrazione di impianti nella medesima area prescelta per la localizzazione, nonché livello di interazione con altri piani, programmi e progetti posti in essere;

““particolare vulnerabilità e/o sensibilità delle aree alle trasformazioni territoriali o del paesaggio. Segue una dettagliata casistica che annovera i siti inseriti nel patrimonio mondiale dell'UNESCO, le aree all'interno di coni visuali la cui immagine è storicizzata e identifica i luoghi anche in termini di notorietà internazionale di attrattiva turistica, le zone in prossimità di parchi archeologici e nelle aree contermini ad emergenze di particolare interesse culturale, storico e/o religioso, le zone umide di importanza internazionale, le aree incluse in Natura 2000, i SIC e ZPS, le I.B.A., le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità; le aree caratterizzate da situazioni di dissesto e/o rischio idrogeologico perimetrale nei P.A.I., le aree naturali protette di cui all'Elenco ufficiale delle Aree Naturali protette, le aree individuate ai sensi dell'art. 142 d.lg. n.42 del 2004 valutando la sussistenza di particolari caratteristiche che le rendano incompatibili con la realizzazione degli impianti, le aree non comprese in quelle di cui ai punti precedenti ma che svolgono funzioni determinanti per la conservazione delle biodiversità, le istituende aree naturali protette oggetto di proposta del Governo ovvero di disegno di legge regionale approvato dalla Giunta, le aree di connessione e continuità ecologico-funzionale tra i vari sistemi naturali e seminaturali, le aree di riproduzione, alimentazione e transito di specie faunistiche protette,nonché le aree in cui è accertata la presenza di specie animali e vegetali soggette a tutela delle Convenzioni internazionali e delle direttive comunitarie, specie rare, endemiche, vulnerabili, a rischio di estinzione.

Ciò che emerge chiaramente dal disposto normativo richiamato è la impossibilità di vietare in maniera assoluta, generica ed indifferenziata la localizzazione degli impianti da fonti di energia rinnovabile, tant'è che nella lettera della legge la individuazione delle aree e dei i siti non idonei viene espressamente configurata «quale atto di accelerazione e semplificazione dell'iter di autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio, anche in termini di opportunita' localizzative offerte dalle specifiche caratteristiche e vocazioni del territorio».

A supporto di quanto esposto basti rilevare che il divieto di che trattasi non può esercitarsi in maniera indifferenziata neanche allorché si discorra di «aree a protezione speciale».

I giudici nazionali, sovente chiamati a pronunciarsi su dinieghi di autorizzazione alla realizzazione di nuovi impianti in aree particolarmente vulnerabili per la presenza di specie protette o di particolare pregio ambientale, nonché soggette a vincoli di tipo paesaggistico, hanno chiarito (soprattutto con riguardo allo sviluppo dell'impresa eolica) che il corretto inserimento degli impianti nel territorio è competenza esclusiva dello Stato, da esercitarsi soltanto in costanza di emanazione di apposite linee guida nazionali approvate dalla Conferenza Unificata, su proposta dei ministri interessati (art. 12comma 10 d.lg. n. 387 del 2003), nel rispetto del principio di leale collaborazione.

È, dunque, escluso qualsivoglia potere in capo alle Regioni di dettare regole per l'inserimento degli impianti nel paesaggio, nonché di imporre generalizzati o diffusi divieti di localizzazione degli impianti anche nei siti di pregio storico-artistico, sociale, ambientale.

In tal senso la giurisprudenza amministrativa, la quale è pure giunta ad affermare che «la normativa, sia nazionale, che comunitaria od internazionale, non impedisce affatto un giudizio di comparazione di valori ed interessi pubblici, tutti meritevoli di tutela coinvolti nel procedimento, che debbono essere mediati con valutazione discrezionale del competente organo amministrativo in applicazione della normativa in vigore. «In particolare, nessuna norma o principio riconosce come prevalente l'esigenza energetica rispetto alla tutela ambientale» (1). Allo stesso modo, il regime di favor per l'eolico non può mai condizionare o vincolare il giudizio di compatibilità ambientale, altrimenti si determinerebbe uno sbilanciamento tra principi di pari rilevanza costituzionale (2).

A sua volta, la Corte costituzionale, procedendo alla individuazione della materia nel cui ambito si colloca la disciplina relativa al procedimento in esame, ha avuto modo di affermare che il legislatore statale, nel dettare tale disciplina, ha «inteso trovare modalità di equilibrio» tra la competenza esclusiva statale in materia di ambiente e paesaggio e quella concorrente in materia di energia (3).

Proprio in tale ultima prospettiva si giustifica, osserva la Corte, l'attribuzione in via formale alla Conferenza unificata della competenza ad approvare le Linee guida. Nella medesima direzione, del resto, la pronuncia n. 168 del 2010, nella quale la Consulta ha affermato che «non è consentito alle Regioni di provvedere autonomamente all'individuazione dei siti nei quali non è consentita la costruzione dei suddetti impianti alimentati da fonte alternativa»; e ciò in quanto l'adozione delle Linee guida nazionali di cui all'art. 12 d.lg. n. 387 del 2003, è informata al principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni.

In una recente sentenza resa dalla Corte di giustizia su una questione pregiudiziale posta dal Tribunale Amministrativo della Puglia in ordine al diniego di autorizzazione regionale alla installazione di aerogeneratori non finalizzati all'autoconsumo sui suoli inclusi nel perimetro del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, zona di protezione speciale appartenente alla rete ecologica europea Natura 2000 (4), il giudice europeo ha confermato che il Trattato dell'Unione europea ed il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea non stabiliscono alcuna priorità tra la politica ambientale dell'Unione e la sua politica energetica. L'art. 194, n. 1, TFUE, tuttavia, prescrive che la politica energetica dell'Unione tenga conto dell'esigenza di preservare e migliorare l'ambiente (punto 47 delle conclusioni rassegnate dall'avvocato generale Mazàk).

Ciononostante, posta la doverosa premessa della non confliggenza tra politica dell'ambiente e politica energetica, le quali perseguono le medesime finalità di «salvaguardia, tutela e miglioramento dell'ambiente», la Corte europea ammette la possibilità che gli Stati Membri adottino misure di protezione più rigorose di quelle previste nel diritto dell'Unione europea (rectius, misure rafforzate) allorché la finalità delle disposizioni nazionali (nel caso di specie, regionali) sia la conservazione e la protezione degli habitat degli uccelli selvatici dai pericoli che gli aerogeneratori possono rappre sentare per questi ultimi. Del resto, anche il giudice italiano ha sovente messo in guardia dai pericoli che potrebbero generarsi dalla indiscriminata diffusione, ad esempio, delle pale eoliche.

Pertanto, la normativa regolamentare della Regione Puglia in attuazione delle linee guida nazionali (regolamento n. 24 del 2010) che pone il divieto di costruire aerogeneratori destinati a fini commerciali nel perimetro del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, zona inclusa nella rete ecologica Natura 2000, è compatibile con la normativa comunitaria di cui alle direttive Habitat ed Uccelli, e ciò anche in assenza di previa ed opportuna valutazione di incidenza ambientale che analizzi l'impatto del progetto sul sito interessato.

Ancora, la misura disposta dalla Puglia non costituisce divieto generico ed indifferenziato e non può mettere in pericolo l'obiettivo della promozione e dello sviluppo delle energie rinnovabili, in quanto ha una portata circoscritta ai soli impianti eolici di nuova costruzione e non finalizzati all'autoconsumo all'interno dell'area ecologica Natura 2000.

Concludono i giudici di Lussemburgo sottolineando che è obbligo degli Stati membri assicurare che le norme nazionali approvate in materia di procedure di autorizzazione applicabili agli impianti non violino i principi di non discriminazione e proporzionalità, ossia siano «oggettive, trasparenti, proporzionate, non contengano discriminazioni tra partecipanti e tengano conto delle specificità di ogni singola tecnologia per le energie rinnovabili» (5).

Zone a protezione speciale sono, altresì, i «siti soggetti a vincolo paesaggistico, nonché costituenti patrimonio storico-artistico e le aree dichiarate di notevole interesse pubblico», per i quali vale analogo discorso.

È lo stesso allegato 3 al par. 17 che menziona il patrimonio mondiale dell'UNESCO, le aree ed i beni di notevole interesse culturale, nonché gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico ai sensi del d.lg. n. 42 del 2004. Vengono ricompresse le «zone individuate ai sensi dell'art. 142» del medesimo d.lg., «valutando la sussistenza di particolari caratteristiche che le rendano incompatibili con la realizzazione degli impianti».

Dunque, non appare sufficiente il requisito della valenza paesaggistica e/o archeologica che in sé contraddistingue l'area o il sito, occorrendo, invece, per la individuazione della non idoneità, in primo luogo, il previo espletamento di apposita istruttoria che abbia a riferimento specifici siti e determinate tipologie e/o dimensioni di impianti ed in secondo luogo (dal momento che l'art. 12 commi 3 e 4 d.lg. n. 387 del 2003 prevede per la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia alternativa l'assoggettamento ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla Regione o dalle Province delegate dalla stessa, anche a seguito di una Conferenza di servizi alla quale partecipano le amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio storico- artistico), il rispetto del procedimento previsto dal legislatore statale e la valutazione delle Amministrazioni coinvolte nelle richiesta avanzate.

3. NORMAZIONE REGIONALE IN CONTRASTO CON LA LEGISLAZIONE NAZIONALE: CORTE COSTITUZIONALE E CONFINI DELL'INTERVENTO REGIONALE

La pubblicazione, poco più di un anno fa, delle Linee Guida Nazionali in materia di fonti rinnovabili avrebbe dovuto definitivamente sgombrare il campo dagli equivoci generati dal persistente «vuoto normativo-amministrativo in materia», ricomponendo finalmente un equilibrio nel dibattito costituzionale sul riparto delle competenze.

A valle dell'entrata in vigore del d.m. 10 settembre 2010 molte Regioni italiane hanno adottato le proprie linee guida. Le normative di attuazione che ne sono scaturite si presentano non uniformi tra loro, disomogenee quanto a metodo ed impostazione, differenti perché peculiari delle specifiche istanze e/o vocazioni territoriali.

Prevedibile, dunque, la nuova ondata di giudizi di impugnazione tra Stato e Regioni e viceversa, sulla legittimità costituzionale delle normative di attuazione, che ha interessato, per la verità, anche le stesse linee guida sulle fonti rinnovabili (6).

Non a caso le questioni affrontate afferiscono alla corretta interpretazione dell'allegato 3, par. 17 del disposto regolamentare di cui al d.m. sulle fonti rinnovabili, rappresentando la individuazione delle aree e dei siti non idonei un tema di estremo interesse negli ambiti territoriali, dibattuto fortemente ancor prima dell'emanazione delle Linee guida nazionali.

La Consulta ha sottolineato chiaramente che con la normativa di base per la emanazione delle linee guida «il legislatore ha inteso trovare una «modalità di equilibrio tra competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ambiente, competenza legislativa primaria delle Province autonome in materia di paesaggio e competenza legislativa concorrente in materia di produzione, trasporto e distribuzione di energia», e che il bilanciamento delle esigenze connesse allo sviluppo delle fonti rinnovabili, per un verso, ed agli interessi ambientali, per altro, impongono una «ponderazione concertata tra tutti gli enti coinvolti» in ossequio al principio di leale collaborazione. Tale opera di armonizzazione (tra competenze statali, regionali e provinciali) profilata nella previsione di cui all'art. 12 d.lg. n. 387 del 2003, asserisce la Corte, rappresenta una modalità di equilibrio rispettosa delle diverse competenze nella programmazione e nella realizzazione delle fonti alternative. Il d.m. del 10 settembre ha natura di atto regolamentare, contiene norme finalizzate a disciplinare in via generale ed astratta il procedimento autorizzativo di installazione agli impianti, alle quali sono vincolati tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell'attività in questione. La stessa Consulta ammette, poi, che talune norme, contenute nel medesimo, presentano aspetti di difformità rispetto alla evocata «norma di equilibrio», riconoscendo la potestà legislativa primaria delle Province autonome in materia di paesaggio, inteso, a giudizio della Corte medesima, come «l'ambiente nel suo aspetto visivo» (7).

Per altro aspetto, la medesima sentenza conferma la piena legittimità costituzionale dell'allegato 3 al par. 17, nonché dello stesso par. 17 (salvo le parole espunte) delle linee guida.

Ne discende l'ovvia conseguenza che, definiti gli spazi possibili di normazione, la attività legislativa regionale in attuazione degli stessi, non può che muoversi entro tali confini dai contorni ormai ben delineati. A «monte» la predisposizione degli indirizzi statali e nazionali, «a valle» la conseguente programmazione regionale, come ribadiscono i giudici amministrativi (8). E pur tuttavia, sussiste in capo ai soggetti territoriali la possibilità di uno «spazio dialogico» normativamente corretto e che può svolgersi a monte, la cui sede, come si è visto, è rappresentata dalla Conferenza Unificata, luogo istituzionale di cooperazione Stato-Regioni.

Il tema ambientale è, però, troppo interessante nelle diverse e variegate sfaccettature, pregnante nelle istanze dei territori e delle sue popolazioni. Così, diventa difficile, se non addirittura impossibile, l'abdicazione del legislatore regionale, che pare muoversi di volta in volta, in senso estensivo o restrittivo, come è recentemente accaduto nei frequenti casi di esclusione di una parte dei territori dalle regole della disciplina statale esclusiva, spesso adducendo ragioni di transitorietà o emergenza.

È, ad esempio, il caso della Regione Basilicata, la quale, approvando le l. n. 1 del 2010, n. 10 del 2010 ed il relativo Piano di Indirizzo Energetico Ambientale Regionale (P.I.E.A.R.), si è trovata a motivare la invasione degli ambiti di competenza statale esclusiva, replicando nel senso della provvisorietà della propria previsione legislativa «destinata a perdere vigore non appena saranno adottate le linee guida statali alle quali il legislatore regionale ha già dichiarato di volersi immediatamente adeguare». Nel frattempo, tuttavia, la apposizione di «vincoli tassativi ed aprioristici alla realizzazione di determinati impianti (solari termodinamici e di quelli fotovoltaici di microgenerazione e di grande generazione) nei siti della Rete Natura 2000», di cui ai punti 2.1.2.2, 2.2.2 e 2.2.3.1. dell'appendice A al PIEAR regionale è stata investita dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 117 commi 1 e 2, lett. s), Cost.

La normativa regionale ha consentito, altresì, la realizzazione, in mancanza di valutazione di impatto ambientale, di impianti al disotto delle soglie stabilite, svuotando, così, di ogni significato la valutazione sul sito del progetto; la normativa statale di riferimento, al contrario, prescrive la sottoposizione alle relative procedure di tutti gli interventi, compresi quelli inferiori ai limiti previsti dalla Regione Basilicata (9).

Sulla stessa scia la legge della Regione Molise 23 dicembre 2010, n. 23, che, come si è visto, poneva un divieto generalizzato e indiscriminato di localizzazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, nelle aree che delimitano la Valle del Tammaro, per di più in assenza del prescritto iter procedimentale fissato dal legislatore nazionale al par. 17 delle linee guida e sopra riportato.

4. CONCLUSIONI

Secondo la Corte costituzionale la competenza esclusiva statale nelle materie in argomento è intesa ad assicurare «livelli di protezione adeguati ed uniformi, fungendo da limite invalicabile per la legislazione regionale».

Occorre guardare all'Ambiente come «sistema», con ciò affermandosi la natura di valore costituzionale in sé e per sé, la cui disciplina deve configurarsi unitariamente, seppure «tenendo conto degli statuti speciali di autonomia». Per contro, discipline regionali differenziate insidiano «l'organicità della tutela complessiva già individuata a livello nazionale».

In particolare, nelle situazioni esaminate si è verificata una sorta di preclusione assoluta alla realizzazione degli impianti da fonti alternative nelle aree a protezione speciale. In realtà, come ribadisce la Corte costituzionale «l'intento del legislatore è quello di rendere compatibili le ragioni di tutela dell'ambiente e del paesaggio, che, nella fattispecie, potrebbero entrare in collisione, giacché una forte espansione delle fonti di energia rinnovabili è, di per sé, funzionale alle ragioni della tutela ambientale, nel suo aspetto di garanzia dall'inquinamento, ma potrebbe incidere negativamente sul paesaggio: il moltiplicarsi di impianti, infatti, potrebbe, compromettere i valori estetici del territorio, ugualmente rilevanti dal punto di vista storico e culturale, oltre che economico, per le potenzialità del suo sfruttamento turistico».

Ciò nonostante, le Regioni non possono «chiudere» sic et simpliciter il territorio alla localizzazione degli impianti e dei progetti; viceversa hanno, comunque, la facoltà di porre limitazioni e divieti di tipo programmatorio o pianificatorio per l'installazione di specifiche tipologie di impianti alimentati da fonti rinnovabili «esclusivamente nell'ambito e con le modalità di cui al par. 17».

La disciplina statale che regola gli interventi all'interno delle aree protette, infatti, pur non escludendone incondizionatamente l'installazione, ne sottopone la concreta fattibilità alla valutazione di incidenza, al fine di individuarne e valutarne in via preventiva gli effetti sulla base di un concreto confronto con gli obiettivi di conservazione dei siti.

Vietare aprioristicamente la realizzazione degli impianti svuota di significato la valutazione di incidenza, la quale, invece, potrebbe precludere, nei diversi casi, la praticabilità dell'intervento (10). Dunque, l'obiettivo di preservare rigorosamente aree di eccezionale valore ambientale, paesaggistico, nonché storico-artistico non può legittimare, come dimostrano le recenti sentenze della Corte costituzionale, interventi normativi regionali, neanche con l'argomento di una più elevata tutela dell'ambiente.

 

 

Note

(1) Tar Cagliari 3 ottobre 2006 n. 2082.

(2) Tar Toscana 14 ottobre 2009, n. 1356.

(3) C. cost., sent. n.192 del 2011.

(4) C. Giust. UE, sez.1, 21 luglio 2011.

(5) Secondo la citata sentenza della Corte di giustizia spetta al giudice nazionale verificare il rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità delle norme in materia di procedure di autorizzazione agli impianti da fonti rinnovabili, al fine di evitare che «situazioni analoghe siano trattate in maniera differente o situazioni diverse siano trattate in maniera analoga, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato», nonché che i divieti di installazione nei territori di Rete Natura 2000 non vadano oltre quanto necessario per realizzare lo scopo perseguito.

(6) Nella recentissima sentenza n. 275 del 21 ottobre 2011, la Corte costituzionale ha affrontato per la prima volta la legittimità delle norme ivi contenute, su ricorso della Provincia Autonoma di Trento, concludendo per l'annullamento dei punti 1.2 e 17.1 del d.m. 10 settembre 2010, limitatamente alle parole «e le Province autonome».

(7) Sul punto cfr. C. cost. sent. n. 226 del 2009.

(8) Tar Puglia, sez.1, 18 luglio 2011, n.1356.

(9) C. cost., sent. n.67 del 23 febbraio 2011.

(10) Cfr., sul punto, la citata sentenza della C. cost. n. 275 del 21 ottobre 2011.