Cass. Sez. III n. 28499 del 10 luglio 2007 (Up 29 mag. 2007)
Pres. Postiglione Est. Petti Ric. Chiarabini
Urbanistica. Inammissibilità scriminante dello stato di necessità

Lo stato di necessità è difficilmente ipotizzabile in materia di abusivismo edilizio o ambientale, quando il pericolo di restare senza abitazione è concretamente evitabile attraverso i meccanismi del mercato o dell'assistenza sociale. In tale materia manca, non solo e non tanto il danno grave alla persona (secondo qualche decisione di legittimità per danno grave alla persona deve intendersi ogni danno grave ai suoi diritti fondamentali ivi compreso quello all'abitazione), ma anche e soprattutto l'inevitabilità del pericolo: infatti l'attività edificatoria non è vietata in modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio, l'ambiente ed il paesaggio, che sono tutelati anche dall’articolo 9 della Costituzione. Di conseguenza , se il suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al cittadino di chiedere il permesso di costruire. Se il suolo non è edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente.

UDIENZA PUBBLICA DEL 29/05/2007

SENTENZA N.1606
REG. GENERALE N.6190/04


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dai sigg. magistrati:


Dott. Amedeo Postiglione presidente
Dott. Agostino Cordova consigliere
Dott. Ciro Petti consigliere
Dott. Margherita Marmo consigliere
Dott. Antonio Ianniello consigliere


Ha pronunciato la seguente


SENTENZA


Sul ricorso proposto dal difensore di Chiarabini Angelo, nato a Sant'Angelo in Vado(PS) il 31 maggio del 1952, avverso la sentenza della corte d'appello di Bologna del 13 maggio 2003;
udita la relazione svolta del consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale in persona del dott. Angelo Di Popolo, Il quale ha concluso per l'inammissibilità de ricorso;
Udito il difensore avv Brochiaro Magrone Fabrizio,quale sostituto dell'avv. Vittorino Cagnoni, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
Letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva


IN FATTO


La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 13.05.2003 (depositata in data 18.08.2003 e notificata al difensore in data 09.10.2003 e all'imputato contumace in data 13.10.2003),confermava quella pronunciata dal Tribunale di Rimini, con cui Chiarabini Angelo era stato condannato, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi uno di arresto ed curo 4000,00 di ammenda, quale responsabile della contravvenzione p.e p. dall'art. 20 lett. b) L.47/85, per avere, quale proprietario di un fabbricato allo stato grezzo, sito in Rimini via Calastra s.n., in assenza della concessione edilizia, eseguito sul piano seminterrato già realizzato in precedenza, un piano primo avente le dimensioni di mt. 10,12 x 12,10 (mq. 122,45) con altezza di mt. 2,92, con getto sui tre lati delle solette per i balconi per un totale di mq. 53,46. Reato accertato in Rimini il 02.09.1999.


Ricorre per cassazione l'imputato per mezzo del suo difensore sulla base di due motivi


Con il primo motivo il difensore deduce mancanza e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, I comma, lettere. d) ed e), C.p.p., in ordine alla mancata assunzione della prova testimoniale sulle circostanze integranti lo stato di necessità chiesta in primo grado a norma dell'articolo 507 c.p.p. e rinnovata con i motivi d'appello.


Con il secondo motivo lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione nella parte relativa alla mancata revoca dell'ordine di demolizione e di revoca del sequestro.


Assume che la corte ha illegittimamente confermato la pronuncia del Tribunale di Rimini con cui era stata rigettata la richiesta d'assunzione della prova testimoniale avanzata dalla difesa ai sensi dell'art. 507 c.p.p. e diretta a dimostrare l'esistenza dell'esimente dello stato di necessità ex art. 54 c.p.. Il giudice di secondo grado, infatti, dopo aver riconosciuto che l'appellante aveva effettivamente allegato le circostanze a sostegno dell'esistenza di uno stato di necessità (la vana ricerca di altre soluzioni "in affitto ",le proprie disagiate condizioni economiche; la precarietà/intollerabilità di una forzata coabitazione con i suoceri nell'appartamento di questi ultimi), aveva successivamente affermato, in modo del tutto inadeguato, che tali circostanze erano state "prospettate unicamente nei motivi d'appello in quanto la difesa in primo grado si era limitata a chiedere l'escussione di un certo Zavatti Nevio, il quale avrebbe dovuto testimoniare sul fatto che il Chiarabini stesso era stato il muratore del manufatto edilizio in questione. Con ciò la corte aveva compiuto un evidente errore nella lettura e nella valutazione degli atti processuali. Invero le suindicate allegazioni erano state prospettate dalla difesa del Chiarabini nel corso del dibattimento di primo grado, allorché era stata illustrata la tesi difensiva fondata sull'esistenza di un grave stato di necessità, provocato dallo sfratto subito dall'imputato, dall'impossibilità di rinvenire un altro alloggio idoneo per sé e per la propria famiglia e dalla difficile e insostenibile coabitazione forzata con i suoceri.

A conferma di quanto dedotto e al fine di dimostrare l'esistenza del predetto stato di necessità, all'udienza del 12.03.2002, era stata prodotta la copia dell'atto di sfratto dell'imputato dalla propria abitazione e si era chiesto che venisse ammessa, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., la prova testimoniale sulle circostanze allegate e integranti le condizioni richieste per l'esistenza di tale esimente (lo sfratto subito dall'imputato dal proprio appartamento, i tentativi di rinvenire un altro alloggio idoneo rivelatisi inutili a causa della scarsa offerta di appartamenti oltre che degli elevati canoni richiesti, le precarie condizioni economiche dell'imputato e della sua famiglia e la difficile coabitazione forzata nell'abitazione dei suoceri, la decisione di costruirsi un alloggio da solo ricorrendo al proprio lavoro di muratore). A tal fine alla medesima udienza del 12.03.2002 si era indicato come testimone il Sig. Zavatti Nevio.


Inoltre la conferma dell'ordine di demolizione era illegittima perché,a seguito dell'inosservanza dell' ingiunzione a demolire dell'autorità comunale, il bene non era più di sua proprietà, ma era divenuto di proprietà comunale, per cui non poteva demolire un bene altrui.


Con memoria dell' 11 maggio del 2007 il ricorrente ribadiva di avere presentato domanda di condono ed eccepiva altresì la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata.


IN DIRITTO


Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi.


Preliminarmente si rileva che la domanda di condono presentata dal ricorrente, come risulta dalla nota del 15 gennaio del 2007 trasmessa a questa Corte dal dirigente l'ufficio comunale, è stata ritenuta irricevibile e decaduta perché la documentazione era incompleta.


Ciò premesso, si rileva che il mezzo d'annullamento di cui all'articolo 606 primo comma lett. d), anche a seguito delle modificazioni apportate con l'articolo 8 della legge n 46 del 2006, presuppone non solo che la prova sia decisiva, ma anche che sia stata richiesta a norma dell'articolo 495 comma secondo c.p.p.. La norma in esame invero ha la funzione di apprestare tutela nel caso di eventuale violazione del cosiddetto diritto alla controprova, quando sia stata compromessa l'effettiva instaurazione del contraddittorio in ordine ad un elemento decisivo dell'istruzione probatoria.


Nella fattispecie la prova non era decisiva perché verteva sulla sussistenza di un presunto stato di necessità che la corte ha legittimamente ritenuto non configurabile e comunque la prova non si riferiva ai casi previsti dall'articolo 495 comma secondo c.p.p.. Invero, lo stato di necessità è difficilmente ipotizzabile in materia di abusivismo edilizio o ambientale, quando il pericolo di restare senza abitazione è concretamente evitabile attraverso i meccanismi del mercato o dell'assistenza sociale (Così Cass. Sez III 4 dicembre 1987 Iudicello;Cass 17 maggio 1990 n. 7015;22 settembre 2001, Riccobono; 22 febbraio 2001, Bianchi). In tale materia manca, non solo e non tanto il danno grave alla persona (secondo qualche decisione di legittimità per danno grave alla persona deve intendersi ogni danno grave ai suoi diritti fondamentali ivi compreso quello all'abitazione -cfr Cass. 11030 del 1997-), ma anche e soprattutto perché manca l'inevitabilità del pericolo: infatti l'attività edificatoria non è vietata in modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio, l'ambiente ed il paesaggio, che sono tutelati anche dalla Costituzione -art 9- Di conseguenza, se il suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al cittadino di chiedere il permesso di costruire. Se il suolo non è edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente. Le decisioni di questa corte che interpretano in maniera estensiva il concetto di danno alla persona fino a comprendervi il diritto all'abitazione si risolvono in mere affermazioni di principio sull'astratta applicabilità di tale esimente anche in materia di abuso edilizio, posto che richiedono comunque un'indagine rigorosa sull'effettiva sussistenza dei requisiti dell'esimente, i quali requisiti difficilmente o eccezionalmente sono stati riscontrati in concreto (cfr ad esempio Cass 19811 del 2006). In definitiva, pur aderendo in questa materia ad un'interpretazione ampia del concetto di danno alla persona, difficilmente nella prassi sarebbe configurabile l'inevitabilità del pericolo e comunque nella fattispecie certamente lo stato di necessità non è configurabile, poiché il prevenuto non si è neppure preoccupato di indicare la ragione per la quale non ha potuto chiedere il permesso di effettuare la sopraelevazione che abusivamente ha effettuato, anche se ha dovuto necessariamente investire risorse economiche per realizzare il manufatto. Ed è questa la ragione che rende manifesta l'infondatezza dell'istanza di concessione dell'esimente dello stato di necessità.


In relazione al secondo motivo si osserva che la potestà attribuita autonomamente al giudice penale di disporre la demolizione del fabbricato abusivo non trova un limite nell'avvenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale, giacché la stessa acquisizione è finalizzata alla demolizione. Il contrasto tra i due poteri -giurisdizionale ed amministrativo-, diretti entrambi al medesimo risultato ossia alla demolizione del manufatto abusivo, non si verifica quindi al momento dell'acquisizione del bene al patrimonio comunale, bensì nel momento in cui il Consiglio comunale, per l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, manifesti la volontà di non procedere alla demolizione, sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. Questa stessa sezione ha già statuito che il potere dovere del giudice penale di eseguire la demolizione dell'opera edilizia abusiva, disposta ex art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 con la sentenza di condanna, opera anche nel caso in cui le opere siano state acquisite al patrimonio del Comune, con la sola esclusione del caso in cui sia intervenuta la deliberazione del consiglio comunale che abbia dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici (Cass sez III n. 3489 del 2000;n.2406 del 2003; 37120 del 2003; nn 26149; 37120; 43294 del 2005). In base all'art. 7 della legge n. 47 del 1985 (ora art. 31 T.U.) il consiglio comunale può dichiarare legittimamente la prevalenza di interessi pubblici ostativi alla demolizione alle seguenti condizioni: 1) assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di costruzione in zona vincolata,assenza di contrasto con interessi ambientali: in quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una formale deliberazione del Consiglio con cui si dichiari formalmente la sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc.. Inoltre, l'incompatibilità dell'esecuzione dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare presuppone che questa sia attuale e non meramente eventuale, perché non è consentito fermare l'esecuzione penale per tempi imprevedibili senza la concreta esistenza di una delibera consiliare avente i requisiti anzidetti, giacché l'ordinamento non può attendere sine die l'adozione di una eventuale deliberazione. Solo a partire dall'adozione della delibera è preclusa al giudice la potestà di disporre la demolizione del manufatto o di subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e solo a partire da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto all'ordine di demolizione impartito dall'autorità giudiziaria è giustificata.


Peraltro non può considerarsi illecita la condotta del condannato, il quale in esecuzione dell'ordine impartito dal giudice, provveda a demolire il manufatto anche dopo il decorso del termine fissato nell'ingiunzione dall'autorità amministrativa, giacché con la demolizione si realizza proprio il fine al quale è diretta l'acquisizione gratuita al patrimonio comunale. Quindi, quand'anche si fosse già verificata l'acquisizione del bene al patrimonio comunale, la circostanza non sarebbe ostativa alla demolizione o alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione stessa o all'esecuzione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna, giacché entrambe le ingiunzioni sono dirette a realizzare lo stesso risultato ossia l'eliminazione dal territorio di un manufatto abusivo.


Per quanto concerne l'esplicita revoca del sequestro del bene si osserva che, una volta che il comune è divenuto titolare del bene e nella fattispecie il ricorrente non contesta l'acquisizione del bene al patrimonio disponibile del comune, anzi ha fondato il secondo motivo su tale premessa, l'imputato non ha interesse alla restituzione e, quindi, non può dolersi della mancata revoca del provvedimento di sequestro preventivo( Cass n 711/97), salvo il caso, che non ricorre nella fattispecie, in cui chiede il dissequestro per potere eseguire la demolizione. Invero con la sentenza di condanna la cosa oggetto del sequestro preventivo, se non deve essere confiscata, va restituita a favore dell'avente diritto, che nella fattispecie a seguito dell'acquisizione del bene al patrimonio comunale si identifica nel Comune (cfr per tutte Cass sez III 9 giugno 2004,Meglio)


L'inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza dei motivi impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo l'orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa corte con la decisione n 32 del 2000, De Luca nonché con la decisione del 27 giugno del 2001, Cavalera)


P.Q.M.


La Corte Letto l'articolo 616 c.p.p.


Dichiara


Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale ed al versamento della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.


Così deciso in Roma il 29 maggio del 2007