Cass. Sez. III n. 55003 del 28 dicembre 2016 (Cc 16 giu 2016)
Presidente: Andreazza Estensore: Renoldi Imputato: Sottilaro e altro
Urbanistica.Piani di assetto idrogeologico

Le disposizioni dei Piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (c.d. P.A.I.), contenenti misure applicabili in via d'urgenza per fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico nelle more dell'intervento ordinario, in quanto assimilabili a quelle dei Piani di bacino ai sensi degli artt. 65, comma quarto e 67, comma primo, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni, gli enti ed i soggetti privati, ove lo stesso Piano le qualifichi espressamente come tali, e prevalgono, in tale ipotesi, sugli strumenti urbanistico-edilizi eventualmente già adottati; ne consegue l'illegittimità dei titoli abilitativi (nella specie, permesso di costruire) rilasciati in violazione di tale disciplina vincolistica e la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001.


 RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto in data 5/10/2015 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria dispose, nei confronti di S.R. e F. e di P.M., il sequestro preventivo di una serie di beni immobili (e segnatamente: della sopraelevazione costituente il terzo piano fuori terra dell'immobile riportato in catasto al foglio quattro del comune di Villa San Giovanni, particella (XXX), su (XXX), nonchè della scala in cemento armato realizzata in luogo dell'immobile di collegamento tra i due corpi di fabbrica insistenti in loco, il sottotetto costituente copertura dell'intero fabbricato, la veranda fronte mare sul suolo demaniale per mq 3,20) in relazione ai reati di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), art. 110, c.p. e artt. 54 e 1161 c.n., art. 110 c.p. e D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181 (tutti accertati in (XXX)), artt. 110 e 323 c.p. (commesso (XXX)).

1.1. Avverso tale decreto propose istanza di riesame la difesa di F. e S.R. e di P.M., chiedendo la revoca della misura cautelare sul presupposto che non ne sussistessero i presupposti applicativi.

In particolare, la difesa pose in luce che i ricorrenti avevano eseguito le opere oggetto di sequestro dopo aver ottenuto i prescritti titoli abilitativi ed in conformità agli stessi, senza che alcuna delle amministrazioni a ditte avesse mai rappresentato l'esistenza di vincoli scaturenti dal piano di assetto idrogeologico della regione Calabria, sicchè i proprietari dell'immobile sarebbero stati in assoluta buona fede.

Nel merito si sottolineò che non avendo il Comune di Villa San Giovanni dato esecuzione agli obblighi previsti dalla legge regionale dettata in materia di piano Pai e, dunque, mancando un'formale atto di recepimento delle suddetto piano, non vi sarebbe stata certezza circa il fatto che determinate zone fossero effettivamente sottoposte al vincolo in questione, nè a quale tipologia di vincolo essere fossero sottoposte.

Inoltre, si rappresentò l'avvenuto superamento della occupazione dei 3.20 mq di area demaniale, avendo lo stesso processo verbale di sequestro evidenziato l'avvenuta demolizione della veranda fronte mare realizzata sul suolo demaniale marittimo.

Da ultimo la Difesa contestò la sussistenza del periculum in mora, avendo il sequestro preventivo interessato opere completamente ultimate e già sottoposte a collaudo, sicchè nessun pericolo per la staticità dell'immobile e comunque per gli occupanti dello stesso si sarebbe potuto configurare.

2. Con ordinanza del 23/11/2015 il Tribunale del riesame di Reggio Calabria rigettò la richiesta di riesame presentata, nell'interesse di S.R. e F. e di P.M., avverso il suddetto decreto di sequestro preventivo.

Nel corpo dell'ordinanza impugnata, infatti, fu preliminarmente posto in luce come la vicenda avesse avuto origine da una informativa della Capitaneria di porto - Guardia costiera di Reggio Calabria in data 25/03/2015, relativa alle indagini svolte a seguito della denuncia di irregolarità nel rilascio di permessi a costruire da parte del responsabile del settore tecnico urbanistico del Comune di Villa San Giovanni, ing. M.F.; indagini sulla base delle quali era stato ipotizzato che S.R. e F. e P.M. avessero tratto illegittimo vantaggio dal rilascio, ad opera dello stesso M., del permesso di costruire in relazione all'aumento di volumetria di un immobile esistente in una zona turistica e di particolare pregio paesaggistico; permesso rilasciato in violazione delle disposizioni che sottoponevano quell'area a vincolo di inedificabilità.

Nel dettaglio, le indagini avevano evidenziato come i ricorrenti, proprietari di un fabbricato civile ad uso abitazione, avessero ottenuto un primo permesso di costruire, datato 17/3/1973, che prevedeva la realizzazione di un fabbricato composto da due unità immobiliari a due piani fuoriterra da realizzarsi nel comune di Villa San Giovanni, in località (XXX), con una copertura costituita da un tetto a due falde a spiovere. Le opere effettivamente realizzate, oltre a non essere state precedute dal rilascio della prescritta autorizzazione da parte della capitaneria di porto, differivano significativamente rispetto al progetto approvato, dal momento che al posto del tetto, mai realizzato, erano stati invece costruiti due locali adibiti a deposito, mai condonati.

Successivamente, l'arch. C.F.S. aveva presentato, per conto dei tre proprietari dell'area, delle nuove richieste di permessi di costruire per la ristrutturazione e l'ampliamento del fabbricato in questione, allegando dei progetti che, secondo l'imputazione cautelare, contenevano una falsa rappresentazione della realtà atteso che il fabbricato, costituito da due immobili, era stato raffigurato come costituito da una sola unità immobiliare e nella quale i due locali adibiti a deposito, abusivi e mai condonati, venivano raffigurati come un terzo piano fuori terra, "realizzato a seguito di un intervento di demolizione delle opere mai condonati, con evidente aumento di volumetria e peso sulla struttura portante progettata per due piani fuori terra e non per tre come di fatto realizzati successivamente".

In questo modo, secondo l'imputazione provvisoria, la documentazione tecnica allegata alla richiesta di permesso di costruire aveva omesso di evidenziare l'aumento della volumetria realizzato con la costruzione di un ulteriore piano fuori terra sul primo immobile, avente fronte mare; ed al contempo la realizzazione di un ulteriore vano per il secondo immobile, posto invece nel lato monte: false attestazioni a cagione delle quali il progettista era stato destinatario di una distinta imputazione provvisoria ex art. 481 c.p..

La realizzazione di tali opere si poneva, peraltro, in contrasto con le previsioni del Piano di assetto idrogeologico della regione Calabria (cd. P.A.I.), il quale aveva introdotto il divieto di realizzazione di tutte le opere e le attività di trasformazione dello stato dei luoghi e quelle di carattere urbanistico edilizio ad esclusiva eccezione di alcuni interventi tra i quali quelli "di demolizione senza ricostruzione".

Quanto poi alla vincolatività delle previsioni contenute nel Piano di Assetto Idrogeologico, il Tribunale del riesame ritenne infondate le argomentazioni difensive circa la necessità di un atto di recepimento formale da parte del Comune di Villa San Giovanni, rilevando come l'efficacia di uno strumento di programmazione finalizzato ad evitare il rischio di frane ed alluvioni ovvero di erosione delle zone costiere non potesse essere fatta dipendere dalla recepimento da parte dell'ente pubblico individuabile come uno dei destinatari del predetto intervento di tutela, secondo quanto stabilito dall'art. 4 dello stesso P.A.I..

Secondo l'ordinanza impugnata, inoltre, l'area interessata dall'intervento edilizio ricadeva, sulla base di quanto riferito nella informativa della Guardia costiera, all'interno dell'art. 27 del P.A.I., relativo alle zone definite "a rischio di erosione costiera", sicchè le uniche opere eseguibili erano quelle non espressamente vietate dallo stesso art. 27, tra le quali certamente non rientrava la sopraelevazione di un piano fuori terra, idoneo a determinare certamente un aumento di superficie e di volume. Fermo restando che in ogni caso le opere in contestazione non sarebbero rientrate neanche tra le eccezioni consentite dal successivo art. 28 relativo alle aree "con pericolo di erosione costiera".

In presenza di un evidente contrasto con le previsioni del P.A.I., il Tribunale del riesame ha quindi ritenuto la conseguente illegittimità dei titoli abilitativi, con conseguente integrazione della fattispecie incriminatrice contestata al capo B), la quale postula la conformità dell'intervento edilizio alla normativa urbanistica.

A tale conclusione, sempre secondo l'ordinanza impugnata, si sarebbe dovuti giungere anche qualora si fosse ritenuto, in conformità di altro indirizzo giurisprudenziale, che il reato venisse integrato soltanto in presenza di una situazione di macroscopica illegittimità del titolo abilitativo tale da qualificarlo in termini di illiceità; ciò in considerazione del fatto che la contestazione in realtà involge una pluralità di profili di rilevanza penale, comprensivi delle condotte di falso ascritte al progettista e al responsabile dell'ufficio tecnico comunale e finanche di abuso d'ufficio di quest'ultimo in concorso con i ricorrenti.

Per tale motivo, da un lato si era ipotizzato a carico di M.F., responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Villa San Giovanni, il delitto di cui all'art. 479 c.p. per avere formato, nell'esercizio delle sue funzioni, le concessioni edilizie nn. (XXX), in contrasto con le ricordate previsioni del P.A.I. della Calabria; e dall'altro lato, a carico di tutti i soggetti prima menzionati, la contravvenzione di cui all'art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), per avere realizzato le opere edilizie prima riportate (ovvero la sopraelevazione costituente il terzo piano fuori terra dell'immobile, la scala in cemento armato realizzata in luogo dell'immobile di collegamento tra i due corpi di fabbrica insistenti in loco, il sottotetto costituente copertura dell'intero fabbricato, la veranda fronte mare sul suolo demaniale per 3,20 mq) in maniera abusiva, in quanto eseguite in totale difformità rispetto alle concessioni edilizie nn. (XXX) e in ogni caso in contrasto con le previsioni del citato P.A.I. della Calabria.

Tali condotte, peraltro, furono altresì sussunte, nei confronti di tutti i soggetti prima ricordati, entro la fattispecie di cui all'art. 323 c.p. per avere gli stessi concorso al rilascio, formalmente disposto da M.F., nella sua qualità di responsabile del settore tecnico urbanistico del Comune di Villa San Giovanni, del permesso di costruire relativo alle opere menzionate, avvenuto in violazione delle norme introdotte dal P.A.I. della Calabria e procurando in intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale ai tre soggetti proprietari del fabbricato.

Peraltro, dal momento che la costruzione delle opere predette era avvenuta su beni paesaggistici e senza la prescritta autorizzazione, i medesimi soggetti furono attinti da una ulteriore imputazione ai sensi dell'art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181.

Infine, poichè attraverso la realizzazione dei gradini di un ballatoio nella parte antistante la struttura era stata eseguita, in assenza del nulla osta di cui all'ex art. 55 c.n. e, dunque, arbitrariamente, una superficie di 13 metri quadrati di suolo demaniale marittimo, i cinque furono destinatari di una ulteriore imputazione provvisoria ai sensi dell'art. 110 c.p. e artt. 54 e 1161 c.n..

Con riferimento, peraltro, all'argomento difensivo attinente alla prospettata buona fede dei ricorrenti, il tribunale del riesame richiamò il consolidato orientamento interpretativo secondo cui ai fini della applicazione di una misura cautelare reale deve ritenersi necessaria la presenza unicamente di una astratta ipotizza abilità del reato (cd. fumus commissi delicti), senza che sia necessario configurare a carico dell'agente i gravi indizi di colpevolezza ovvero, come nella specie, la sussistenza dell'elemento psicologico.

Infine, in relazione al periculum in mora, il Collegio rilevò come, trattandosi di beni pertinenti ai reati contestati, la libera disponibilità degli stessi da parte degli indagati potesse aggravarne o, comunque, protrarne le conseguenze dannose, ritenendosi conseguentemente non rilevante la circostanza che le opere fossero ultimate e, dunque, che il reato fosse stato consumato.

3. A mezzo del proprio difensore, S.R. e F. e P.M. propongono ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi di impugnazione.

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alla Delib. n. 115 del 2002 del Consiglio regionale della Calabria e disposizioni attuative, della L. n. 183 del 2003, del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) lett. c), artt. 54 e 1161 c.n., D.Lgs. n. 43 del 2004, artt. 181 e 323 c.p. in relazione ai capi d'imputazione provvisoria b), c), d) ed e).

Sotto un primo profilo i ricorrenti evidenziano la propria buona fede, atteso che il certificato urbanistico dagli stessi richiesto agli uffici tecnici del comune di Villa San Giovanni, e rilasciato in data 1 ottobre 2004, non avrebbe recato alcun riferimento all'esistenza dei vincolo stabilito dal P.A.I., nè di esso sarebbe mai stata fatta menzione da parte dei vari enti investiti delle successive richieste di concessione, autorizzazione o nulla osta, che avrebbero rilasciato gli atti richiesti (dalle autorizzazioni ex art. 55 cod. nav. ai permessi di costruire) senza mai fare riferimento al vincolo in questione. Inoltre, il giudice non avrebbe mai indicato alcun concreto elemento alla stregua del quale affermare l'esistenza di una qualche collusione tra i proprietari degli immobili e gli organi comunali, sicchè non sarebbero state esplicitate le ragioni per le quali si sia, comunque, inteso disporre (e, nel caso del provvedimento impugnato, mantenere) la misura ablativa.

Sotto un altro profilo, sarebbe erronea la premessa secondo cui le previsioni del Piano di assetto idrogeologico della regione Calabria, la cui violazione avrebbe determinato l'illegittimità dei titoli edilizi e l'integrazione delle fattispecie incriminatrici di cui alle lettere b), c), d) ed e) dell'imputazione provvisoria, fossero vincolanti, atteso che la Delib. n. 115 del 2001 del Consiglio Regionale della Calabria, con cui il P.A.I. era stato approvato, avrebbe carattere meramente programmatico e non di diretta applicazione, necessitando gli obiettivi perseguiti dal piano un intervento attuativo da parte degli enti territoriali interessati.

Ed infatti, se per un verso le norme tecniche di attuazione e le misure di salvaguardia approvate dalla regione Calabria secondo il testo aggiornato alla Delib. del Comitato istituzionale 2 agosto 2011, hanno distinto le aree "a rischio di erosione costiera" (art. 27) da quelle "con pericolo di erosione costiera" (art. 28), consentendo soltanto per queste ultime gli interventi di ampliamento degli edifici esistenti per necessità di adeguamento sanitario, per altro verso la mancata attuazione del piano attraverso la zonizzazione da parte del comune non permetterebbe di stabilire in quale area ricondurre la zona di (XXX), interessata dagli interventi per cui si procede, che sarebbe stata arbitrariamente ricondotta dal Tribunale all'ambito del citato art. 27.

Con il secondo motivo viene, invece, dedotta la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in riferimento all'art. 51 c.p. in relazione ai capi di imputazione b), c), d) ed e) per avere l'ordinanza impugnata totalmente pretermesso di considerare che i tre ricorrenti si erano correttamente rivolti al comune di Villa San Giovanni per conoscere i vincoli gravanti sulla loro proprietà, che nè nel certificato urbanistico n. 10634 rilasciato dagli uffici comunali il 1/10/2004, nè nell'autorizzazione paesaggistica n. 2228 rilasciata dalla provincia di Reggio Calabria il 25/11/2004, nè, infine, in quella rilasciata dalla Capitaneria di porto si faceva riferimento al vincolo del P.A.I.. Ciò che, secondo i ricorrenti, imporrebbe di escludere, in presenza della scriminante dell'esercizio di un diritto, l'antigiuridicità della condotta ex art. 51 cod. pen. o, quantomeno, l'elemento soggettivo in capo agli stessi, ovviamente sotto il profilo della scusabilità dell'errore nel quale sarebbero incorsi.

Con il terzo motivo i ricorrenti censurano, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e e), la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 54 e 1161 c.n., D.Lgs. n. 43 del 2004, art. 181 ed art. 323 c.p. con riferimento ai capi d'imputazione provvisoria b), c), d) ed e) per avere l'ordinanza impugnata totalmente omesso di motivare sulle deduzioni difensive in merito alla correttezza della rappresentazione, nel progetto allegato alla richiesta, dello stato dei luoghi, in specie con riferimento alla previsione della ristrutturazione e dell'ampliamento mediante demolizione del sottotetto e la sopraelevazione/ampliamento del piano.

Infine, con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p. con riferimento ai capi di imputazione b), c), d) ed e) in cui l'ordinanza impugnata sarebbe incorsa per avere disposto il sequestro dell'ultimo piano della costruzione, ravvisando contraddittoriamente la situazione di pericolo rispetto a tale porzione dell'immobile e non in relazione ai due piani precedenti, anch'essi realizzati senza considerare il vincolo del P.A.I..

Inoltre, il Tribunale del riesame, richiamandosi unicamente al principio della sottoponibilità a sequestro degli immobili ultimati, non avrebbe adeguatamente motivato le ragioni per le quali sia stato necessario procedere al sequestro, non essendo stati evidenziati, contrariamente a quanto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità, i concreti elementi di fatto alla stregua dei quali ritenere che la disponibilità della cosa in capo ai proprietari possa aggravare le conseguenze del reato o la sua prosecuzione ovvero la commissione di altri reati, essendo stato il pericolo di protrazione o di aggravamento del reato enunciato in maniera del tutto astratta.

4. Con requisitoria scritta depositata in data 16 marzo 2016 il Procuratore Generale ha chiesto l'integrale rigetto del ricorso.

Dopo aver premesso che, in termini generali, i piani di settore (tra i quali rientra anche i Piani di assetto idrogeologico) sono posti a tutela di interessi di dimensione nazionale che sfuggono alla pianificazione urbanistica, la quale si pone come secondaria rispetto agli interessi nazionali specifici, quali la protezione la difesa del suolo, propri dei Piani di settore, il Procuratore generale pone in evidenza che nella adozione degli strumenti urbanistico-edilizi gli enti competenti devono obbligatoriamente rispettare i vincoli derivanti dalle norme primarie dettate per la difesa del suolo, nonchè dalle disposizioni dei piani di bacino e dalle relative norme di salvaguardia, i cui vincoli devono essere comunque rispettati e devono prevalere, con valore derogatorio cogente, sugli strumenti urbanistico-edilizi eventualmente già adottati. Da ciò deriverebbe, altresì, la illegittimità dei titoli abilitativi eventualmente rilasciati in violazione di tale disciplina vincolistica.

Nell'ambito della particolare tipologia di Piani di settore costituita dai Piani di assetto idrogeologico, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 prevedrebbe, all'art. 64, 8 distretti idrografici a loro volta distinti in bacini idrografici, la cui regolamentazione sarebbe affidata ad una Autorità di bacino, tenuta ad adottare un Piano di bacino distrettuale con valore di Piano territoriale di settore, le cui disposizioni, ai sensi dell'art. 65, comma 4 dello stesso decreto legislativo, avrebbero carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti, oltre che per i soggetti privati, ove lo stesso Piano di bacino le qualifichi espressamente come tali. Efficacia vincolante riconosciuta anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 85 del 1990.

Nelle more della adozione dei Piani di bacino, sarebbe stata prevista l'adozione di misure di salvaguardia, immediatamente vincolanti ex L. 4 dicembre 1993, n. 493, da parte delle Autorità di bacino; misure tra le quali rientrerebbero anche i Piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (PAD.

Con riferimento al Piano della Calabria sarebbero stati previsti, agli artt. 27 e 28, limitazioni e vincoli di inedificabilità per due diverse tipologie di aree caratterizzate dal fenomeno della erosione costiera, sicchè gli strumenti urbanistico-edilizi in contrasto con tali disposizioni dovrebbero essere ad esse recessivi, con conseguente illegittimità dei titoli abilitativi medio tempore rilasciati. Ciò che, in definitiva, sarebbe avvenuto anche nel caso del ricorrente.

Quanto poi alla dedotta questione circa l'insussistenza dell'elemento psicologico, il Procuratore generale ha ricordato il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la verifica di tale elemento debba ritenersi estranea alla adozione della misura cautelare reale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso è parzialmente fondato e deve essere, dunque, accolto per quanto di ragione.

5.1. Con riferimento al primo motivo di impugnazione, i ricorrenti deducono, per un verso, la propria buona fede, sul presupposto che le amministrazioni interpellate per il rilascio dei titoli abilitativi non abbiano mai fatto riferimento al vincolo derivante dal Piano stralcio di assetto idrogeologico della Regione Calabria; e, per altro verso, che le previsioni del P.A.I. non fossero vincolanti ed avessero, dunque, carattere meramente programmatico.

Tanto premesso, deve osservarsi, sotto un primo profilo, come sia il Giudice per le indagini preliminari che il Tribunale del riesame abbiano giustificato l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo con la ritenuta presenza del fumus commissi delicti in relazione a due specifiche fattispecie, peraltro inquadrate nel contesto di una più articolata trama di attività penalmente illecite, riconducibili alla violazione sia della disciplina urbanistica (art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c)) che di quella paesaggistica (art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 43 del 2004, art. 181), sia delle norme del codice della navigazione (art. 110 c.p. e artt. 54 e 1161 c.n.), fino alla integrazione dei delitti di abuso d'ufficio (artt. 110 e 323 c.p.) e di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.) e in certificati (art. 481 c.p.).

In tale contesto assumono una valenza preminente, nell'ambito dei presupposti del provvedimento ablativo, le due fattispecie di cui ai capi B (art. 110 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e C (art. 110 c.p. e artt. 54 e 1161 c.n.) dell'imputazione cautelare.

Quest'ultima ipotesi di reato, tuttavia, sembrerebbe avere ormai perso di rilevanza ai fini propri della cautela reale, essendo emerso, in fase di esecuzione del sequestro preventivo, il dato relativo alla avvenuta demolizione del manufatto illecito, sicchè, attualmente, sul piano del fumus commissi delicti, il provvedimento ablativo parrebbe rimanere fondato, essenzialmente, sulla contravvenzione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. C); unica fattispecie richiamata nell'ordinanza impugnata.

A riguardo, il Tribunale del riesame ha diffusamente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto che, attraverso la realizzazione delle opere indicate nel decreto applicativo della misura, sia stata integrata la richiamata fattispecie contravvenzionale.

5.1.1. In particolare, il Tribunale ha correttamente motivato le ragioni per le quali sia, per un verso, configurabile una inosservanza delle previsioni del Piano stralcio di assetto idrogeologico della Regione Calabria e, per altro verso, come da tale violazione sia scaturita l'illegittimità dei titoli edilizi e, dunque, l'integrazione dell'ipotesi di reato di cui alla lettera b) dell'imputazione provvisoria.

Sul punto, deve preliminarmente osservarsi che già con la L. 18 maggio 1989, n. 183, intitolata "Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo", era stata prevista, all'art. 17, l'adozione dei Piani di Bacino, piani territoriali di settore costituenti "lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale" dovevano essere "pianificate e programmate le azioni e le norme d'uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato" (comma 1).

A seguito della abrogazione della L. n. 183 del 1989 ad opera del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 175, comma 1, lett. l), la materia è stata sostanzialmente "novata" dalle disposizioni di tale decreto, il quale, all'art. 64, ha previsto, ai fini della tutela dell'assetto idrogeologico del territorio, la individuazione di 8 distretti idrografici, a loro volta distinti in bacini idrografici, la cui regolamentazione è stata affidata ad una Autorità di bacino.

Quest'ultima, analogamente a quanto era già stato previsto dalla L. n. 183 del 1989, è tenuta ad adottare un Piano di bacino distrettuale, con valore di Piano territoriale di settore, le cui disposizioni, ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 65, comma 4, hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni e gli enti, oltre che per i soggetti privati, ove lo stesso Piano di bacino le qualifichi espressamente come tali.

Lo stesso D.Lgs. n. 152 del 2006 ha previsto che, nelle more della adozione dei Piani di bacino, i quali non sono stati adottati in tutte le realtà territoriali, vengano adottati, da parte delle Autorità di bacino, altri strumenti operativi, tra i quali rientrano, oltre alle cd. misure di salvaguardia, anche i Piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico (cc.dd. P.A.I.).

I Piani stralcio sono strumenti di pianificazione settoriale, già previsti dalla L. n. 183 del 1989, art. 17, comma 6-ter con i quali, in attesa dell'approvazione dei Piani di bacino, viene dettata la regolamentazione per singoli sottobacini o settori funzionali, rispetto ai quali vengano in rilievo significative criticità o particolari urgenze.

Tutte le misure in questione, ivi compresi i P.A.I., sono immediatamente vincolanti ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 65 ss., trattandosi di istituti applicati in via di urgenza per fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico nelle more dell'intervento ordinario (v. infra).

Con particolare riferimento al Piano stralcio della Calabria, approvato con Delib. n. 115 del 2001 del Consiglio Regionale della Calabria, è stato, infatti, precisato che il Piano persegue l'obiettivo di garantire al territorio di competenza dell'Autorità di bacino "adeguati livelli di sicurezza rispetto all'assetto geomorfologico, relativo alla dinamica dei versanti e al pericolo di frana, all'assetto idraulico, relativo alla dinamica dei corsi d'acqua e al pericolo d'inondazione, e all'assetto della costa, relativo alla dinamica della linea di riva e al pericolo di erosione costiera" (art. 1, comma 2, Norme di attuazione del P.A.I. della Calabria).

Tali finalità sono perseguite, tra l'altro, mediante l'adeguamento degli strumenti urbanistici e territoriali; la definizione del rischio idrogeologico e di erosione costiera in relazione ai fenomeni di dissesto considerati; la costituzione di vincoli e prescrizioni, di incentivi e di destinazioni d'uso del suolo in relazione al diverso livello di rischio; l'individuazione di interventi finalizzati al recupero naturalistico e ambientale, nonchè alla tutela e al recupero dei valori monumentali e ambientali presenti e/o alla riqualificazione delle aree degradate; l'individuazione di interventi su infrastrutture e manufatti di ogni tipo, anche edilizi, che determinino rischi idrogeologici, anche con finalità di rilocalizzazione;

la sistemazione dei versanti e delle aree instabili a protezione degli abitati e delle infrastrutture adottando modalità di intervento che privilegino la conservazione e il recupero delle caratteristiche naturali del terreno; la moderazione delle piene,

la difesa e la regolazione dei corsi d'acqua; la definizione dei programmi di manutenzione; l'approntamento di adeguati sistemi di monitoraggio ecc. (v. art. 1, comma 3, Norme di attuazione del P.A.I. della Calabria).

Le disposizioni del P.A.I., inoltre, "sono rivolte ai soggetti privati, alle province, ai comuni, alle comunità montane, ai consorzi di bonifica, agli enti pubblici, alle società concessionarie e alle associazioni fra i soggetti anzidetti che, a qualsiasi titolo, amministrano, realizzano o esercitano diritti su beni immobili pubblici o privati", ricadenti nel territorio di competenza dell'Autorità di bacino (art. 4, comma 2, Norme di attuazione del P.A.I. della Calabria).

Tali disposizioni, come anticipato, sono pacificamente vincolanti.

Si è già osservato, infatti, che ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 65, comma 4 "le disposizioni del Piano di bacino approvato hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni ed enti pubblici, nonchè per i soggetti privati, ove trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso Piano di bacino".

Tale regime giuridico si applica, ovviamente, anche ai cd. Piani stralcio, che hanno la medesima natura giuridica dei Piani di Bacino, secondo quanto emerge dall'art. 67, comma 1, a mente del quale, come ricordato, nelle more dell'approvazione dei Piani di bacino, le Autorità di bacino adottano i Piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico, che contengano in particolare l'individuazione delle aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime; adozione che avviene ai sensi dell'art. 65, comma 8, secondo cui "i piani di bacino possono essere redatti ed approvati anche per sottobacini o per stralci relativi a settori funzionali".

La condizione giuridica che rende immediatamente vincolante l'efficacia dei Piani in questione, infatti, è che, come rilevato, "lo stesso Piano di bacino qualifichi espressamente come tali" le proprie disposizioni (D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 65, comma 4). E nella specie l'art. 5, comma 1, delle Norme di attuazione del P.A.I. della Calabria dispone, appunto, che "agli effetti della L. n. 183 del 1989, art. 17, comma 6-bis (oggi il riferimento è al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 65, comma 4), dall'adozione del Piano sono dichiarate immediatamente vincolanti per le Amministrazioni e per gli Enti Pubblici nonchè per i soggetti privati, le prescrizioni di cui ai successivi articoli limitatamente alle aree perimetrate negli allegati".

Orbene, tra le aree in questione, così come definite dalle mappe allegate al P.A.I., rientra anche la zona di (XXX), interessata dall'intervento edilizio in contestazione, secondo quanto specificato nell'ordinanza impugnata alla stregua di un accertamento in fatto, contenuto nell'ampia relazione della Capitaneria di porto, non sindacabile in sede di legittimità.

Su tali basi deve, conclusivamente, respingersi la tesi, articolata nei motivi di ricorso, secondo cui le disposizioni dettate dal P.A.I. abbiano carattere meramente programmatico e non di diretta applicazione, necessitando di un intervento attuativo da parte degli enti territoriali interessati.

Le misure in esame, infatti, sono adottate in via d'urgenza, proprio al fine di ovviare all'inerzia delle autorità locali preposte ed hanno, tra i loro principali destinatari, anche le amministrazioni comunali, verso le quali si indirizzano le misure prescrittive, cui deve obbligatoriamente seguire, da parte di queste ultime, l'adeguamento degli strumenti urbanistici. Un assetto regolativo siffatto, dunque, è del tutto incompatibile con la previsione di meccanismi di integrazione normativa rimessi all'iniziativa degli organi cui le prescrizioni sono dirette; meccanismi che rischierebbero di riprodurre, nella probabile inerzia degli enti locali, proprio quel vuoto normativo che le misure d'urgenza sono dirette a colmare.

5.1.2. Le disposizioni dei P.A.I., in quanto assimilabili a quelle dei Piani di settore, sono poste a tutela di interessi di dimensione nazionale e per tale ragione, oltre che per il loro carattere vincolante anche nei confronti delle amministrazioni locali, sono destinate a prevalere, con valore derogatorio cogente, sugli strumenti urbanistico-edilizi eventualmente già adottati.

Ne consegue, per la parte di interesse, che i titoli abilitativi eventualmente rilasciati in violazione di tale disciplina vincolistica devono considerarsi illegittimi.

Come correttamente rilevato dall'ordinanza impugnata, non possono essere invocate, nella specie, le disposizioni, di contenuto derogatorio rispetto ai vincoli stabiliti dal P.A.I., contemplate, per le due tipologie di aree caratterizzate dal fenomeno della erosione costiera, dagli artt. 27 e 28 delle Norme di attuazione del P.A.I. della Calabria.

Infatti, tra le eccezioni alle limitazioni e ai vincoli di inedificabilità previste dalle disposizioni in esame sono state ricomprese le sole attività di demolizione e non anche le opere edilizie realizzate, come nella specie, con ricostruzione dei manufatti a seguito di demolizione; sicchè correttamente l'ordinanza impugnata ha ravvisato una violazione delle previsioni, si ripete cogenti, del predetto Piano stralcio, con una conseguente illegittimità, a cascata, degli strumenti urbanistici comunali e, in ultimo, dei permessi di costruire.

5.1.3. Muovendo da tale premessa, il Tribunale del riesame ha poi correttamente motivato nel senso che l'illegittimità del permesso di costruire dovesse essere equiparata all'assenza del titolo abilitativo, alla stregua del consolidato indirizzo interpretativo accolto da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 10106 del 21/01/2016, Torzini, Rv. 266291; Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, Pmt in proc. Manzo e altri, Rv. 262512; Sez. 3, n. 27261 in data 8/06/2010, Caleprico, Rv. 248070; Sez. 3, n. 15921 del 12/02/2009, P.G. in proc. Palombo e altri, Rv. 243475; negli stessi termini v. anche Sez. 3, n. 38089 del 2/07/2009, Mirabello, Rv. 244898), atteso che "la conformità della costruzione e della concessione ai parametri di legalità urbanistica ed edilizia è elemento costitutivo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica", sicchè "in presenza di "concessione edilizia" illegittima non è necessario che il giudice disapplichi tale atto perchè sia configurabile il reato di costruzione edilizia abusiva" (così Sez. 3, n. 41620 del 2/10/2007, Emelino, Rv. 237995).

E del resto, come puntualmente evidenziato nell'ordinanza impugnata, dal complesso delle contestazioni emerge che l'adozione dell'atto illegittimo si sia iscritta, sia pure in un contesto indiziario connotato dalla fluidità propria dell'imputazione cautelare, nell'ambito di una più ampia attività illecita, caratterizzata dalla realizzazione di condotte di falso e di abuso di ufficio, ipotizzate a carico del progettista come del responsabile dell'ufficio tecnico comunale; attività funzionale al conseguimento, da parte degli odierni ricorrenti, del vantaggio ingiusto rappresentato dal permesso di costruire.

Ne consegue che la configurabilità della contravvenzione di cui al capo B) dell'imputazione cautelare potrebbe dirsi adeguatamente motivata dal Tribunale del riesame quand'anche si accedesse ad altro orientamento, accolto dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui ai fini della configurabilità dell'ipotesi di reato prevista nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) sia necessario che le opere siano eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo illecito o viziato da illegittimità macroscopica, tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante (v., tra le altre, Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, Cervino e altri, Rv. 263916).

5.1.4. Non può, infine, essere condivisa la tesi della illegittimità del decreto genetico, come dell'ordinanza impugnata, nella parte in cui non avrebbero tenuto conto della buona fede dei ricorrenti, che secondo questi ultimi risalterebbe alla stregua del totale silenzio serbato dagli organi competenti circa l'esistenza dei vincoli stabiliti dal P.A.I., a fronte della richiesta agli stessi rivolta di essere edotti della disciplina vincolistica esistente e del relativo regime autorizzatorio.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, in materia di misure cautelari reali, l'adozione del provvedimento ablativo è legittima indipendentemente dall'accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell'elemento psicologico, salvo che, in quest'ultimo caso, il difetto emerga ictu oculi (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Iomnni e altro, Rv. 266896; Sez. 3, n. 16694 del 11/03/2014, Cavarretta, Rv. 259803; Sez. 6, n. 16153 del 6/02/2014, Di Salvo, Rv. 259337; Sez. 3, n. 24435 del 25/05/2011, Bonvino, Rv. 250692; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521) - accertamento sempre necessario, invece, per l'applicazione di una misura cautelare personale (Sez. 3, n. 1428 del 5/05/1994, Menietti, Rv. 198175) - derivando, la giustificazione della misura, essenzialmente dalla pericolosità sociale della cosa e non dalla colpevolezza di colui che ne abbia la disponibilità (Sez. 3, n. 11290 del 13/02/2002, P.M. in proc. Di Falco M, Rv. 221268).

5.2. Le argomentazioni da ultimo esposte rendono evidente l'infondatezza anche del secondo motivo di impugnazione, che i ricorrenti hanno fondato sulla asserita valenza esimente dell'errore scusabile e, dunque, su un argomento che muove, ancora una volta, sull'assenza di un adeguato coefficiente di imputazione soggettiva; il quale, come si è visto, deve tuttavia ritenersi non rilevante, con le precisazioni svolte, ai fini dell'adozione di una misura di cautela reale.

5.3. Con il terzo motivo i ricorrenti censurano, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), artt. 54 e 1161 c.n., D.Lgs. n. 43 del 2004, art. 181 ed art. 323 c.p. in relazione ai capi d'imputazione provvisoria b), c), d) ed e) per avere l'ordinanza impugnata omesso di motivare sulle deduzioni difensive in merito alla avvenuta demolizione del manufatto abusivo che avrebbe realizzato l'occupazione del demanio marittimo nonchè in merito alla correttezza della rappresentazione, nel progetto allegato alla richiesta, dello stato dei luoghi, in specie con riferimento alla previsione della ristrutturazione e dell'ampliamento, mediante demolizione, del sottotetto e la sopraelevazione/ampliamento del piano.

Sotto il primo profilo, tuttavia, si è già dato conto del fatto che l'ordinanza impugnata ha svolto le sue argomentazioni esclusivamente con riferimento alla contravvenzione edilizia di cui al capo B) dell'imputazione cautelare, verosimilmente per avere preso atto della demolizione, intervenuta nelle more, della veranda che avrebbe realizzato le condotte contestate al capo C).

Quanto, poi, alla doglianza relativa alla corrispondenza tra la rappresentazione contenuta nel progetto allegato alla domanda di rilascio del permesso di costruire e le caratteristiche dell'opera edilizia effettivamente realizzata, trattandosi, all'evidenza, di un accertamento di mero fatto deve conseguentemente escludersi ogni possibilità di sindacato da parte di questa Corte.

5.4. Il quarto motivo di ricorso è, invece, fondato.

La giurisprudenza di legittimità si è da tempo pronunciata, anche a Sezioni unite (v. sentenze n. 23 del 14/12/1994 e n. 12878 del 29/01/2003), nel senso che per poter disporre il sequestro di manufatti realizzati abusivamente in zona non vincolata è necessario che il pericolo attinente alla libera disponibilità del bene presenti i caratteri della concretezza e dell'attualità, incidendo la misura ablativa su libertà costituzionalmente garantite. In questa prospettiva, si è affermato che spetta al giudice di merito valutare attentamente la reale compromissione degli interessi riguardanti la gestione del territorio e ogni altro dato utile a stabilire in che misura il godimento e la disponibilità attuale della cosa da parte dell'indagato (o di terzi) possa determinare una ulteriore lesione del bene giuridico protetto, ovvero se l'attuale disponibilità del manufatto costituisca un elemento neutro sotto il profilo della offensività. E ciò anche in presenza di un'opera ultimata, dovendosi verificare se la libera disponibilità di essa possa concretamente incidere sul carico urbanistico, avuto riguardo agli indici di consistenza dell'insediamento edilizio, del numero dei nuclei familiari, della dotazione minima degli spazi pubblici per abitare, nonchè della domanda di strutture e di opere collettive" (cfr. Sez. 3, n. 6599 del 24/11/2011; Sez. 2, n. 17170 del 23/04/2010; Sez. 3 n. 4745 del 12/12/2007).

Tali principi debbono essere affermati anche in relazione ad opere realizzate, come nella specie, in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, rientrando, come si è detto, nella finalità propria del sequestro preventivo, che il pericolo debba essere effettivo e concreto.

Infatti, pur non ignorandosi un opposto indirizzo interpretativo, secondo cui la mera esistenza di una struttura abusiva "integra il requisito dell'attualità del pericolo, indipendentemente dall'essere l'edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione alla utilizzazione della costruzione ultimata" (Sez. 3, n. 42363 del 18/09/2013, Colicchio, Rv. 257526; Sez. 3, n. 24539 del 20/03/2013, Chiantone, Rv. 255560; Sez. 3, n. 30932 del 24/07/2009, Tortora, Rv. 245207; Sez. 3, n. 32247 del 31/07/2003, Berardi, Rv. 226158), ritiene, nondimeno, il Collegio che sia, comunque, necessario accertare in concreto se l'uso dell'immobile, abusivamente realizzato in zona vincolata, determini un aggravamento delle conseguenze del reato; senza quindi che possa esserci una sorta di "automatismo" tra detto uso e la alterazione dell'interesse tutelato dal vincolo (Sez. 3, n. 48958 del 13/10/2015, Giordano, Rv. 266011).

Una tale valutazione, che compete al Giudice di merito, è stata tuttavia completamente omessa dal Tribunale, che si è limitato ad affermare, in via astratta, che debba essere, sempre e comunque, impedito l'uso di manufatti, realizzati in zona vincolata, perchè idoneo, di per sè, ad alterare ulteriormente l'ecosistema protetto dal vincolo.

6. Alla luce delle considerazioni che precedono deve quindi pervenirsi annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria per un nuovo esame, limitatamente al profilo del periculum in mora.

P.Q.M.

annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria.
Così deciso in Roma, il 16 giugno 2016.