Cass. Sez. III n. 27523 del 20 giugno 2019 (UP  21 feb 2019)
Pres. Liberati Est. Cerroni Ric. Marcato
Urbanistica.Reati edilizi e causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto

Ai fini dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5 ottobre 2015 la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza dell’8 maggio 2014 del Tribunale di Venezia, ha rideterminato in mesi otto di reclusione la pena inflitta tra gli altri a Stefano Marcato e a Diego Ferro per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 181, comma 1-bis d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione, sempre articolati su tre motivi di impugnazione.
3. Ricorso Marcato.
3.1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge in quanto, incaricato della progettazione dell’intervento di ristrutturazione immobiliare in Murano, aveva svolto solo siffatto ruolo di progettista, mentre non vi era alcuna prova che egli avesse rivestito anche il ruolo di direttore dei lavori, come invece veniva ribadito nella sentenza impugnata.
Vi era quindi violazione della norma di cui all’art. 181 cit., attesa la punibilità non della progettazione delle opere sottoposte ad autorizzazione edilizia e paesaggistica, ma solamente della loro esecuzione in violazione, assenza o difformità delle autorizzazioni prescritte.
3.2. Col secondo motivo il ricorrente ha osservato che, come emergeva dall’istruttoria, egli era stato direttore dei lavori per opere del tutto diverse da quelle oggetto dell’imputazione mentre in specie, prima dell’esecuzione dei lavori, aveva presentato progetto con richiesta di autorizzazione all’autorità edilizia e a quella preposta alla compatibilità paesaggistica.
3.3. Col terzo motivo è stata invocata violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della particolare causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen..
4. Ricorso Ferro.
4.1. Col primo motivo il ricorrente ha protestato la propria estraneità ai fatti, in quanto legale rappresentante della s.r.l. Ferro Murano era Guido Ferro, il quale in tale veste aveva anche ricevuto la notificazione dell’ordinanza di sospensione dei lavori. Né le dichiarazioni rese da quest’ultimo nel corso di un sopralluogo potevano essere prese in considerazione, in quanto rilasciate da persona che avrebbe dovuto essere sentita come persona indagata, ed in ogni caso ciò contrastava con la documentazione camerale. Né era stata provata, stante la natura dolosa del reato, la volontà di violare la normativa paesaggistica.
4.2. Col secondo motivo è stata lamentata l’errata applicazione della legge in relazione alla previsione di cui all’art. 649 cod. proc. pen., stante la diversità tra gli elementi costitutivi del delitto paesaggistico rispetto a quelli costitutivi dell’illecito amministrativo.
4.3. Col terzo motivo è stata parimenti invocata l’applicazione della norma di cui all’art. 131-bis cit., attesa la non abitualità della condotta ed in ragione della particolare tenuità dell’offesa, anche in ragione dell’intervenuto risarcimento del danno in favore della parte civile Provincia di Venezia.
5. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. Il ricorso di Marcato è inammissibile, mentre quanto al ricorso Ferro deve essere dichiarata l’estinzione del residuo reato per intervenuta prescrizione.
7. Impugnazione Marcato
7.1. In relazione ai primi due motivi dell’impugnazione proposta da Stefano Marcato, il provvedimento impugnato ha complessivamente annotato (del resto va osservato che in primo grado alcuna contestazione era emersa in relazione al ruolo dell’odierno ricorrente quale progettista e direttore dei lavori, cfr. pag. 2 della sentenza del Tribunale di Venezia, e che in quella sede la difesa si era limitata a produrre documentazione relativa a permessi di costruire in sanatoria, istanze di accertamento urbanistico e domande di proroga del permesso di costruire) che l’assenza dal cantiere non escludeva la penale responsabilità per gli abusi commessi dal direttore dei lavori, sul quale ricade l’onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all’incarico (Sez. 3, n. 7406 del 15/01/2015, Crescenzi, Rv. 262423; Sez. 3, n. 34602 del 17/06/2010, Ponzio, Rv. 248328). Nello specifico non vi era stata alcuna rinuncia, benché tra le opere assentite e quanto realizzato ed accertato vi fosse totale difformità, tant’è che – da un canto – lo stesso odierno ricorrente era stato destinatario dell’ordine di sospensione dei lavori, e che – dall’altro – era stato proprio l’odierno ricorrente a curare le successive domande di sanatoria.
In proposito va anzitutto ricordato che il principio di correlazione tra accusa e sentenza non è violato quando tra il fatto contestato e quello ritenuto dal giudice sussiste un rapporto di continenza, con la conseguenza che non è nulla la pronuncia con cui l’imputato, che sia stato tratto a giudizio per rispondere del reato di esecuzione dei lavori in assenza del permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica, sia stato invece condannato per la totale difformità delle opere eseguite rispetto ai titoli abilitativi già rilasciati (in specie era stato rigettato il ricorso sul presupposto che le difformità edilizie erano state precisamente individuate e contestate nel capo di imputazione) (Sez. 3, n. 15820 del 25/11/2014, dep. 2015, Picariello, Rv. 263405).
Ciò posto, secondo la prospettazione del ricorso (fatto sempre salvo l’eloquente comportamento processuale siccome emerso dalla prima decisione) il ricorrente era direttore di lavori in relazione ad opere del tutto diverse da quelle accertate in violazione. In proposito, peraltro, e tenuto conto che vi sarebbe stata quindi contestualità nei lavori, laddove in definitiva le opere realizzate erano state comunque espressamente e puntualmente specificate, non è emersa alcuna dissociazione del professionista, istituzionalmente ben consapevole delle conseguenze del proprio atteggiamento in relazione al lavoro, circa l’andamento delle opere, nemmeno sotto il profilo di una contestazione alla committenza ovvero all’impresa di avere dato corso ad un’attività che veniva a sovrapporsi e a non distinguersi rispetto a quella assentita. Tant’è che la sentenza impugnata (la quale ha comunque inteso osservare, cfr. pag. 16, che le opere siccome accertate integravano il reato edilizio in quanto eseguite in assenza di permesso di costruire o comunque in totale difformità da quello rilasciato) ha in realtà ascritto all’odierno ricorrente un comportamento del tutto inerte, benché in definitiva il direttore dei lavori assuma anche la funzione di garante nei confronti del Comune dell’osservanza e del rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori.
Né, infatti, risulta essere stata formalizzata alcuna tempestiva protesta di estraneità al momento del sopralluogo ovvero dell’ordine – rivolto anche al professionista - di sospensione dei lavori, cui aveva in effetti fatto seguito - condotta correttamente valorizzata dal provvedimento impugnato – il diretto impegno a conseguire sanatorie e accertamenti di compatibilità.
7.2. In relazione al terzo motivo, il ricorrente ha dedotto che la sentenza aveva disatteso la richiesta di applicazione della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. assumendo in parte il pericolo, in parte motivando in ordine ai reati edilizi ed in parte motivando il pericolo in astratto.
Ciò posto, ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Milone, Rv. 274647). Ed al riguardo il provvedimento impugnato aveva correttamente fatto riferimento, contrariamente ai rilievi del ricorrente, alle modalità non “cristalline” della condotta degli imputati nonché alla pluralità degli stessi comportamenti.
Invero, ai fini dell’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen. nelle ipotesi di violazioni urbanistiche e paesaggistiche, la consistenza dell’intervento abusivo - data da tipologia, dimensioni e caratteristiche costruttive - costituisce solo uno dei parametri di valutazione, assumendo rilievo anche altri elementi quali, ad esempio, la destinazione dell’immobile, l’incidenza sul carico urbanistico, l’eventuale contrasto con gli strumenti urbanistici e l’impossibilità di sanatoria, il mancato rispetto di vincoli e la conseguente violazione di più disposizioni, l’eventuale collegamento dell’opera abusiva con interventi preesistenti, la totale assenza di titolo abilitativo o il grado di difformità dallo stesso, il rispetto o meno di provvedimenti autoritativi emessi dall’amministrazione competente, le modalità di esecuzione dell’intervento (Sez. 3, n. 19111 del 10/03/2016, Mancuso, Rv. 266586).
In definitiva il provvedimento impugnato non è all’evidenza incorso in alcuna prospettata violazione di legge.
7.3. Ciò complessivamente richiamato, il ricorso quindi si confronta solo parzialmente con la ratio della decisione, e pertanto non può che essere dichiarato inammissibile.
8. Impugnazione Ferro
8.1. Per quanto riguarda il primo profilo di censura, in effetti la sentenza impugnata ha dato conto che all’epoca le opere in questione erano estranee all’attività del ricorrente, “indirettamente ma sostanzialmente” proprietario dell’area e degli edifici, in quanto socio della s.r.l. Ferro Murano, componente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato, ancorché la formale rappresentanza spettasse al padre Diego Ferro. Sì che non vi erano elementi tali da fare “ragionevolmente” supporre l’estraneità dell’imputato all’esercizio dell’attività produttiva.
8.1.1. Al riguardo, è stato peraltro ad es. osservato che in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in una impresa strutturata come persona giuridica, il destinatario delle normativa antinfortunistica è il suo legale rappresentante, essendo la persona fisica per mezzo della quale l’ente collettivo agisce nel campo delle relazioni intersoggettive e sulla quale ricade l’onere di dimostrare che dalla sua qualifica non discende anche quella di datore di lavoro (Sez. 3, n. 2580 del 21/11/2018, dep. 2019, Slabu, Rv. 274748; quanto al soggetto attivo del reato di omesso versamento delle ritenute, cfr. identicamente Sez. 3, n. 2741 del 10/10/2017, dep. 2018, Turina, Rv. 272027).
In definitiva, quindi, la questione siccome posta non appare in sé destinata ad essere confinata nell’ambito dell’inammissibilità. Tant’è che la stessa sentenza ha dato atto che solamente dal mese di ottobre 2011, successivamente quindi ai fatti, l’odierno ricorrente era divenuto presidente del consiglio di amministrazione con potere di agire da solo.
8.1.2. Ciò posto, al più quindi (ed anche al di là delle affermazioni estemporanee del padre legale rappresentante, secondo cui era il figlio a rivestire tale carica, benché da statuto ciò fosse vero solamente in caso di assenza ed impedimento del presidente e del suo vice) il motivo di impugnazione potrebbe essere ritenuto infondato, ma non inammissibile (d’altronde le incertezze dello stesso provvedimento impugnato sono palesate dall’evidenziata ricchezza di avverbi, per descrivere la posizione del ricorrente).
Se quindi la Corte può astrattamente essere chiamata a confrontarsi col motivo di censura, nelle more il reato residuo deve considerarsi estinto stante l’intervenuta prescrizione, quantunque possa essere ancora attribuita natura delittuosa al reato paesaggistico, invero accertato il 1. luglio 2010.
8.1.3. Ogni ulteriore ragione di esame dei successivi motivi di ricorso deve intendersi così assorbita.     
9. Alla stregua dei rilievi che precedono, quindi, va annullata senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a Diego Ferro, per essere il reato estinto per prescrizione.
In relazione invece a Stefano Marcato, ne consegue l’inammissibilità dell’impugnazione.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico del predetto ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a Ferro Diego, per essere il reato estinto per prescrizione.
Dichiara inammissibile il ricorso di Marcato Stefano che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 21/02/2019