Cass. Sez. III n. 5507 del 12 febbraio 2020 (UP  13 set 2019)
Pres. Izzo Est. Andronio Ric. Coscarella
Urbanistica. Vincolo cimiteriale e responsabilità del direttore dei lavori e progettista per il reato di lottizzazione abusiva

1. Poiché il vincolo cimiteriale di cui all’art. all’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934 attiene al governo del territorio e opera indipendentemente dal suo recepimento negli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con gli stessi, la sua violazione è da sola sufficiente a configurare il reato di lottizzazione abusiva, pur in presenza di un’attività edificatoria formalmente autorizzata. Quanto, poi, alla fascia di rispetto cimiteriale, la stessa va misurata a partire non dal centro, ma dal muro di cinta esterno del cimitero.
2. Il direttore dei lavori e progettista è comunque responsabile per il reato di lottizzazione abusiva, in quanto arrechi un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso, diretto a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale, non potendosi dunque limitare la sua responsabilità alla verifica della formale conformità delle opere al permesso di costruire e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.


RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 23 febbraio 2016, la Corte d’appello di Catanzaro ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Cosenza del 15 luglio 2014, con la quale – per quanto qui rileva – erano stati condannati: Greco Franco Loris e Greco Romolo Ottavio, per il reato di cui al capo R dell’imputazione (art. 323 cod. pen.); Greco Franco Loris, per il reato di cui al capo D (art. 323 cod. pen.); Greco Romolo Ottavio, per il reato di cui al capo T (art. 323 cod. pen.); Coscarella Antonio, Altomari Angelina e Greco Romolo Ottavio per il reato di cui al capo Z (riqualificato ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera b, del d.P.R. n. 380 del 2001). Il Tribunale aveva anche disposto la demolizione di quattro magazzini “ubicati nei corpi di fabbrica E) ed F)”, nonché la demolizione di “cinque fabbricati ad uso civile abitazione, garages ed esercizio commerciale, denominati corpi D), E), F), G), ed H), in relazione al capo R) dell’imputazione, ponendo quest’ultima a carico di Coscarella e Altomari. Con la stessa sentenza – per quanto qui rileva – erano stati assolti, per insussistenza del fatto: Coscarella e Altomari, dai reati di cui ai capi B), E), G), I), M), O); Greco Franco Loris, dal reato di cui al capo S); Greco Romolo Ottavio, dai reati di cui ai capi L), N), P), U), V). Gli imputati Falsia, Greco Antonietta, Muoio, Parise, Ventrella, Pizzino, Greco Mario Domenico erano stati assolti dal reato di cui al capo R), per non avere commesso il fatto. La richiesta risarcitoria delle parti civili era stata rigettata.
La Corte d’appello, in accoglimento dei gravami del pubblico ministero e delle parti civili, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Coscarella e Altomari, per i reati di cui ai capi B), E), G), I), M), O), nei confronti di Greco Romolo Ottavio, per i reati di cui ai capi L), N), P), nei confronti di Greco Franco Loris per il reato di cui al capo D), per essere gli stessi estinti per intervenuta prescrizione; per l’effetto ha rideterminato la pena a carico di Greco Franco Loris (per il residuo reato di cui al capo R) in un anno e sei mesi di reclusione. Ha riqualificato secondo l’originaria imputazione, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, il reato di cui al capo Z) e ha rideterminato la pena per Coscarella e Altomari in nove mesi di arresto ed euro 16.000,00 di ammenda e per Greco Romolo Ottavio (per i capi R, T, Z) in un anno e sei mesi di reclusione. Ha riconosciuto la responsabilità penale di Falsia, Greco Antonietta, Muoio, Parise, Ventrella, Pizzino, Greco Mario Domenico per il reato di cui al capo R) e li ha condannati alla pena di un anno e sei mesi di reclusione. Ha applicato a tutti gli imputati i benefici della sospensione condizionale e della non menzione. Ha disposto la confisca dei “quattro magazzini ubicati nei corpi di fabbrica E ed F di proprietà della Edil Sole s.n.c., oggetto di sequestro con decreto del Gip del Tribunale di Cosenza in data 4.1.2011 ed ivi specificamente indicati”. Ha condannato gli imputati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili, da liquidarsi in separato giudizio. Ha confermato nel resto la sentenza di primo grado.
2. – Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione Coscarella Antonio, tramite i difensori.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si censurano la violazione degli artt. 30 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, per violazione della fascia di rispetto cimiteriale di cui all’art. 338 del regio decreto n. 1265 del 1934 (t.u. delle leggi sanitarie). Si sostiene che, dalle risultanze processuali, non è emerso un contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico comunale, che consentiva la realizzazione diretta dell’intervento, insistendo l’area in massima parte in zona B di completamento. Si afferma, poi, che non ogni violazione di legge è sufficiente a integrare la lottizzazione abusiva, anche qualora tale legge contenga un vincolo posto all’attività edilizia, tanto che la lettera c) dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede espressamente che la sanzione della lottizzazione abusiva si applica anche nel caso di interventi edilizi in zone sottoposte a vincolo, a conferma del fatto che la sola violazione del vincolo non è sufficiente di per sé a determinare lottizzazione abusiva. In sostanza, dunque, il richiamo contenuto nell’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe limitato a quelle norme, come l’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942, che impongono la necessità di una preventiva autorizzazione anche in assenza di una previsione in tal senso dello strumento urbanistico; ma non potrebbe essere esteso a condotte come quella prevista dall’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934 che sono invece finalizzate a perseguire interessi di natura sanitaria e non urbanistica. A tali considerazioni la difesa aggiunge che, nel caso di specie, si tratta dell’edificazione di singoli fabbricati con regolari permessi di costruire all’interno di un’area già pienamente urbanizzata, classificata come zona B dallo strumento urbanistico comunale, tanto che la contestata lottizzazione abusiva si basa unicamente sulla violazione del vincolo cimiteriale. Si evidenzia, inoltre, che il richiamato art. 338 è norma depenalizzata, la cui violazione importa unicamente l’applicazione di sanzioni di competenza esclusiva dell’amministrazione, ivi compresa la demolizione.
2.2. – Si deducono, in secondo luogo, vizi della motivazione e la violazione dell’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934, sul rilievo che tale disposizione vieterebbe di costruire nuovi edifici entro il raggio di 200 m dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel Comune. Il punto di riferimento da tenere in considerazione sarebbe, dunque, la rappresentazione data dallo strumento urbanistico, sul quale l’imprenditore che presenta un progetto edilizio fa evidentemente affidamento. E ciò, a maggior ragione, perché l’approvazione dello strumento urbanistico era del 1991, epoca in cui era vigente l’iniziale formulazione del richiamato art. 338, in cui non si faceva riferimento al perimetro esterno del cimitero come punto di partenza del raggio di delimitazione, criterio introdotto dall’art. 28 della legge n. 166 del 2002. Volendo riconoscere valore retroattivo a tale ultima legge, si violerebbe il principio di irretroattività in materia penale, perché la stessa travolgerebbe la diversa prescrizione del previgente strumento urbanistico, sulla quale imputato ha fatto affidamento.
2.3. – Con un terzo motivo di doglianza, si deduce l’erronea applicazione della confisca in relazione alla lottizzazione abusiva. Si evidenzia che nella sentenza di primo grado il Tribunale aveva dichiarato la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva di cui al capo Q) dell’imputazione sul presupposto dell’intervenuta ultimazione dei lavori di cui ai corpi di fabbrica A, B, C, D, E, F, G, H, già a far data dal 2006, scollegando da tali attività edilizia quella relativa al completamento dei magazzini dei soli fabbricati E ed F, oggetto del distinto capo di imputazione Z, poi riqualificato ai sensi della lettera b) del comma 1 dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001. In accoglimento del ricorso del pubblico ministero, la Corte d’appello ha riformato la sentenza nella parte in cui aveva riconosciuto la prescrizione del reato, affermando una unitarietà della condotta riferita ai fabbricati realizzati e, pertanto, facendo rivivere la contestazione di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001. I giudici di secondo grado sarebbero incorsi in errore nel valutare unitariamente tali attività edilizie, che invece avrebbero dovuto essere considerate singolarmente e avrebbero potuto, perciò, essere realizzate tramite semplice presentazione di d.i.a., in relazione alla quale non sono previste sanzioni penali.
2.4. – Con un quarto motivo, si lamentano la violazione degli artt. 62 e 133 cod. pen. e vizi della motivazione, in relazione al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, viste la personalità dell’imputato e la scarsa intensità del dolo.
2.5. – La sentenza è censurata anche sotto il profilo della confisca, ai sensi dell’art. 240 cod. pen., dei magazzini di cui al capo Z dell’imputazione, non essendo configurabile per gli stessi la lottizzazione abusiva ma, al più, il semplice abuso edilizio.
2.6. – Si contestano, infine, la violazione dell’art. 76 cod. proc. pen. e vizi della motivazione in relazione alla condanna generica al risarcimento del danno in favore delle parti civili, sul rilievo che la Corte d’appello non avrebbe spiegato le ragioni per le quali tali soggetti erano stati considerati come terzi estranei rispetto al reato di lottizzazione abusiva, non essendo emersa la loro buona fede ed essendo, perciò, la loro posizione assimilabile in tutto e per tutto a quella dell’imputato, visto che quest’ultimo aveva fatto affidamento sul certificato di destinazione urbanistica e sui permessi di costruire, esattamente come gli acquirenti.
3. – La sentenza è stata impugnata anche nell’interesse di Altomari Angelina.
3.1. – Con un Primo motivo di doglianza, si deducono l’erronea applicazione dell’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e vizi della motivazione in relazione alla valutazione della funzione di progettista e direttore dei lavori svolta dall’imputata. Si richiama l’art. 29 dello stesso d.P.R., il quale circoscrive, al titolare del permesso di costruire, al committente e al costruttore, la responsabilità per la conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni del piano, mentre il direttore dei lavori è responsabile per la conformità delle opere al permesso di costruire e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. E, per la difesa, l’imputata aveva effettivamente verificato la corrispondenza delle opere eseguite ai progetti assentiti con i titoli autorizzativi, essendo estranea ai suoi compiti la verifica dell’eventuale violazione del vincolo cimiteriale. In ogni caso, la circostanza che l’imputata fosse, non solo direttore dei lavori ma anche progettista delle opere non modificherebbe il quadro, perché l’art. 29 richiamato esclude il progettista dal novero dei responsabili; la sentenza sarebbe comunque priva di motivazione sul punto.
3.2. – In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione, nonché la violazione degli artt. 29 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 483 cod. pen., sostenendo che lo strumento urbanistico comunale fosse lacunoso, come riconosciuto dalla progettista della variante al programma di fabbricazione, in relazione alla riperimetrazione della fascia di rispetto cimiteriale, individuata in 50 m. Per la difesa, si trattava di incertezze che rendevano plausibili diverse interpretazioni, tanto da generare una ignoranza inevitabile ed escludere la sussistenza dei reati di cui ai capi Q e Z e la conseguente confisca.
3.3. – Con una terza censura, si deducono l’erronea applicazione degli artt. 29 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizi della motivazione in relazione alla mancata considerazione della buona fede dell’imputata, riposta nei certificati di destinazione urbanistica, nella variante al piano di fabbricazione, nella delibera n. 34 del 1991, nel decreto del Presidente della Giunta regionale n. 899 del 1991, che aveva approvato la variante adottata dall’ente rendendo vincolante la delimitazione riportata nelle tavole. Si trattava, del resto, di atti emanati da organi pubblici.
3.4. – In quarto luogo, si deducono la violazione dell’art. 483 cod. pen. e l’erronea applicazione della legge penale, sul rilievo che, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha trasformato l’assoluzione per i capi B, E, G, I, M, O in una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. In particolare, la Corte distrettuale non condivide l’argomentazione del giudice di primo grado secondo cui la finalità del certificato di agibilità era quella di attestare la idoneità abitativa e il prosciugamento dei muri. E la difesa contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, poiché le richieste di rilascio dei certificati di agibilità parziale attestavano la conformità dei fabbricati alle norme urbanistiche vigenti, era palese la falsità della dichiarazione in relazione alla violazione delle distanze cimiteriali. La sentenza avrebbe spostato l’oggetto del falso dal certificato di agibilità alla richiesta di rilascio del certificato; richiesta che sarebbe priva di contenuto del contenuto di attestazione che è il presupposto del reato di cui all’art. 483 cod. pen. Mancherebbe, comunque, in sentenza il riferimento al dolo del reato, perché la stessa basa la sua argomentazione sull’erronea interpretazione dell’art. 338 del t.u. delle leggi sanitarie.
3.5. – Con un quinto motivo di doglianza, si deducono l’erronea applicazione degli artt. 42 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizi della motivazione, in relazione alla circostanza che l’obbligo di demolizione è stato posto a carico dell’imputata, in relazione ad una condanna per un capo R a lei non contestato.
3.6. – Con un sesto motivo, riferito al reato di cui al capo Z, si contesta l’argomentazione della Corte d’appello secondo cui lo stesso costituirebbe una lottizzazione abusiva, pur essendo lo stesso riferito a lavori di completamento di alcuni magazzini, inidonei ad alterare l’assetto urbanistico del territorio.
3.7. – Un settimo motivo di impugnazione è riferito all’erronea applicazione della normativa amministrativa e di pianificazione già richiamata sub 3.3. Si deduce, in particolare, il travisamento della prova, con riferimento alla consulenza di parte relativa all’interpretazione del richiamato art. 338 ai fini della perimetrazione della zona di rispetto cimiteriale. Si sostiene che, anche considerando la riduzione della distanza da 200 m a 50 m, non può esservi stata alcuna violazione dell’area di rispetto, di 1750 m², perché tale superficie è ricompresa nell’ambito di cerchio riprodotto nelle tavole di rappresentazione grafica dove nessun fabbricato è stato realizzato.
3.8. – Con un ultimo motivo di doglianza, si deducono la violazione degli artt. 62 bis e 133 cod. pen., nonché vizi della motivazione in relazione all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, non essendo stata presa in considerazione specificamente la personalità dell’imputata.
4. – La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore e con unico atto, anche da Greco Franco Loris, Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Greco Romolo Ottavio, Parise Giuseppe.
4.1. – Si lamenta, in primo luogo, la violazione degli artt. 498, 499, 511, 525, 533 cod. proc. pen., in relazione alla continuità dell’organo giurisdizionale. Si evidenzia che il Tribunale aveva mutato la sua composizione e che le difese avevano richiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. All’udienza del 29 ottobre 2013, il Tribunale, ammesse le prove richieste dalle parti, aveva proceduto all’audizione dei testi Stabile, Matarese, Guido, consentendo, nonostante l’espresso diniego difensivo, che l’esame avvenisse con la semplice conferma delle dichiarazioni precedentemente rese nell’udienza di fronte al Tribunale nell’originaria composizione, così impedendo la proposizione di domande dirette da parte delle difese.
4.2. – In secondo luogo, si deducono vizi della motivazione, nonché la violazione dell’art. 338 del r.d. n. 1256 del 1934 in relazione alla valutazione della prova, con particolare riferimento alla responsabilità degli imputati Greco Franco Loris e Greco Romolo Ottavio e dei consiglieri comunali, per la mancata considerazione del fatto che, dall’esame testimoniale, sarebbe emerso che la misurazione della distanza del cimitero andava fatta prendendo in considerazione il centro del cimitero e non il bordo dello stesso. Tale interpretazione si desumerebbe anche dall’intervento operato dal legislatore con la novella del 2002, la quale aveva introdotto espressamente l’indicazione del perimetro; indicazione assente nel testo precedentemente vigente del richiamato art. 338. La difesa svolge sul punto considerazioni analoghe a quelle svolte dai coimputati e riportate sub 2.1., 2.2., 3.2., 3.7.
4.3. – Con un terzo motivo di doglianza, si deducono vizi della motivazione in relazione alla responsabilità penale, per l’omessa considerazione del quadro probatorio. Si sostiene, in particolare che: a) non emerge dagli atti che i consiglieri comunali fossero a conoscenza delle vicende riguardanti la pratica edificatoria; b) non competeva ai consiglieri comunali una verifica empirica dei luoghi né degli strumenti urbanistici vigenti, ma solo della correttezza documentalmente verificabile delle delibere consiliari; c) è illogico ritenere che la vicinanza delle case al cimitero fosse di impatto visivo tale da rendere evidente la conoscenza dell’abuso da parte dei consiglieri comunali ricorrenti, i quali avevano gli stessi parametri di valutazione della polizia giudiziaria e degli acquirenti finali; questi ultimi ritenuti in buona fede. Inoltre, la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre il confronto richiesto dalla difesa, essendo addivenuta ad una riforma peggiorativa della sentenza di primo grado. Analoghe considerazioni varrebbero per l’imputato Greco Romolo Ottavio, anche perché non si sarebbero adeguatamente valutati i pareri legali resi dall’avvocato Salerno su richiesta del Consiglio comunale per verificare la possibilità di sanare la presunta illegittima insistenza delle costruzioni sulla fascia di rispetto cimiteriale. Anzi, secondo la difesa, poiché l’avvocato Salerno non è stato indagato nel presente di procedimento, tali pareri dovrebbero essere considerati legittimi e condivisibili. Non sarebbe neanche dimostrato l’interesse degli imputati o dell’impresa coinvolta, poiché le unità abitative realizzate erano già state alienate a privati cittadini e abitate dagli stessi fino dal 2005. Quanto al reato di abuso d’ufficio, lo stesso sarebbe stato desunto a carico di Greco Romolo Ottavio dall’omissione dei controlli nonostante specifiche segnalazioni ricevute, unitamente all’attenta condotta che lo stesso avrebbe invece tenuto in relazione alla decadenza dell’utilizzo della cappella gentilizia oggetto del provvedimento n. 4627 del 2007. Vi sarebbe stata, quanto alle cappelle private, un’erronea applicazione dell’art. 104, comma 2, del d.P.R. n. 285 del 1990. Inoltre sarebbe stato valorizzato, ai fini della ritenuta sussistenza dei reati di cui ai capi L, M, P, il brevissimo intervallo di tempo intercorso fra la presentazione delle richieste per i certificati di agibilità e il loro rilascio; elemento di per sé neutro, anzi sintomo di efficienza della pubblica amministrazione. Analoghe considerazioni varrebbero per la delibera n. 27 del 30 settembre 2008 del Consiglio comunale, la cui adozione, ritenuta ingiustificatamente “frettolosa” da parte della Corte d’appello, sarebbe anch’essa perfettamente spiegabile, in quanto non c’era la necessità di acquisire il parere dell’Azienda sanitaria locale, essendosi formato il silenzio-assenso. Del pari erroneamente la Corte territoriale avrebbe valorizzato, quale sintomo di abuso d’ufficio, la circostanza che l’operazione illegittima fosse stata apparentemente indirizzata al perseguimento dell’interesse pubblico asseritamente rappresentato dalla necessità abitativa delle famiglie insediate negli alloggi abusivi. Ad avviso della difesa, infatti, l’azione amministrativa era stata correttamente orientata alla garanzia del diritto fondamentale all’abitazione. Non si sarebbe considerato, poi, che l’orientamento giurisprudenziale che fa discendere dal vincolo cimiteriale un’inedificabilità assoluta si è formato solo recentemente, mentre prima esisteva un più favorevole orientamento nel senso dell’inedificabilità relativa; cosicché mancherebbe prova dell’intenzionalità dell’abuso d’ufficio eventualmente perpetrato. Anche le argomentazioni relative al capo T) dell’imputazione sarebbero manifestamente erronee, perché l’Ufficio tecnico comunale aveva emanato due ordinanze, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, tese ad impedire la prosecuzione dei lavori nelle more della valutazione della procedura di sanatoria, dovendosi perciò ritenere improntato a buon senso e buona fede l’operato del responsabile dell’ufficio, Greco Romolo Ottavio.
5. – Con memoria del 22 agosto 2019, la difesa di Coscarella ha proposto motivi aggiunti.
5.1. – Si prospettano, in primo luogo, vizi della motivazione e la violazione degli artt. 31, comma 9, del d.P.R. n. 380 del 2001 e 2043 cod. civ., lamentando che i giudici di merito avrebbero riconosciuto la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva del capo Q della rubrica, ritenendo, però, di rigettare l’appello in merito alla conseguente illegittimità dell’ordine di demolizione impartito all’imputato per i beni che erano stati trasferiti agli acquirenti parti civili. Il principio seguito dalla Corte d’appello si baserebbe sull’irrilevanza del trasferimento del bene, essendo sempre possibile giungere alla demolizione come conseguenza della pronuncia penale. La difesa afferma che tale principio è inapplicabile nel caso in cui non vi sia stata la pronuncia di una sentenza di condanna, non risultando sufficiente l’avvenuto accertamento della commissione dell’abuso. Tale illegittimità investirebbe anche la pronuncia risarcitoria generica in favore delle parti civili, in quanto conseguenza diretta dell’illegittima demolizione disposta.
5.2. – In secondo luogo, si prospettano la violazione degli artt. 597 e 603 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione in relazione alla riqualificazione del reato del capo Z) come lottizzazione abusiva, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero. Tale diversa qualificazione sarebbe stata operata sulla base di prove documentali e delle dichiarazioni del testimone Stabile. Trattandosi di una reformatio in peius, sarebbe stata, però, necessaria la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, quanto alla prova testimoniale.
5.3. – In terzo luogo, la riqualificazione dei lavori di manutenzione di cui al capo Z) dell’imputazione come lottizzazione abusiva sarebbe in contrasto con l’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale, nel definire il reato, punisce la trasformazione di terreni a scopo edificatorio e non anche la trasformazione di fabbricati già realizzati. Secondo il ricorrente, si era trattato di interventi come le tramezzature interne, l’apposizione di infissi, la tinteggiatura, che nulla hanno a che vedere con l’assetto urbanistico del territorio, anche perché privi di carattere innovativo. In ogni caso tali lavori, proprio perché interni alla struttura già realizzata, non avevano inciso sul vincolo cimiteriale.
6. – Anche la difesa di Greco Franco Loris, Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Greco Romolo Ottavio, Parise Giuseppe ha proposto un motivo aggiunto di impugnazione, con cui contesta la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con violazione degli artt. 525, 526, 533, 603 cod. proc. pen., e 6, par. 3, Cedu, essendo il giudice di appello pervenuto a una riforma peggiorativa della sentenza di primo grado senza alcun contatto diretto ed immediato con prove dichiarative ritenute essenziali.
7. – La trattazione della causa, inizialmente fissata per l’udienza del 16 giugno 2017, è stata rinviata all’udienza odierna in attesa della pronuncia della Corte europea dei diritti umani in materia di compatibilità con la Cedu della disciplina italiana della confisca per lottizzazione abusiva, con particolare riferimento alla sua applicabilità in caso di dichiarazione di prescrizione del reato con accertamento di responsabilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
8. – Le impugnazioni si incentrano sui reati che residuano all’esito del giudizio di appello, ovvero: quello di abuso di ufficio di cui al capo R), contestato a Greco Franco Loris, Falsia, Greco Antonietta, Muoio, Parise, Ventrella, Pizzino, Greco Mario Domenico, Greco Romolo Ottavio, per avere, i primi otto quali componenti del Consiglio comunale di Cerisano, adottato la deliberazione n. 27 del 30 settembre 2008, e per avere greco Romolo Ottavio, quale responsabile tecnico comunale, espresso parere favorevole in ordine alla citata delibera, in violazione dell’art. 338, quinto comma, del regio decreto n. 1265 del 1934, nonché del regolamento edilizio comunale e del programma di fabbricazione, applicando la procedura del richiamato art. 338, non per la futura esecuzione di un’opera pubblica o per l’attuazione di un intervento urbanistico, bensì per sanare il complesso edilizio già realizzato per civili abitazioni, garage ed esercizi commerciali della Edil Sole s.n.c., in zona ad inedificabilità assoluta, in quanto rientrante, almeno per alcuni dei fabbricati, in una distanza inferiore a 50 m dal perimetro del cimitero comunale, deliberando la riduzione della zona di rispetto cimiteriale ad una distanza inferiore al minimo improrogabile di metri 50 dal perimetro del cimitero e autorizzando l’adozione dei provvedimenti conseguenziali necessari a sanare i permessi di costruire già rilasciati alla Edil Sole s.n.c., in tal modo procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale a tale società e un ingiusto danno al Comune; quello di abuso di ufficio di cui al capo T), contestato a Greco Romolo Ottavio, perché, quale responsabile dell’Ufficio tecnico comunale, ometteva di trascrivere nei registri immobiliari le ordinanze di sospensione dei lavori dallo stesso adottate il 29 aprile 2008 e l’8 luglio 2008 nei confronti della Edil Sole s.n.c. e ometteva di adottare nei confronti della citata società l’ordinanza di demolizione dei corpi di fabbrica rientranti nell’ambito dell’intervento edilizio misto e realizzati dalla società in zone assolutamente in edificabile, in quanto ubicate a una distanza inferiore a 50 m dal perimetro del cimitero, in tal modo procurando un ingiusto vantaggio patrimoniale alla società è un ingiusto danno al Comune; quello di lottizzazione abusiva di cui al capo Z, contestato a Greco Romolo Ottavio, Coscarella e Altomari, perché, in esecuzione del medesimo disegno criminoso oggetto di altre fattispecie ritenute prescritte, avevano portato a ulteriore compimento il reato di lottizzazione abusiva (di cui al capo Q, già dichiarato prescritto in primo grado), in particolare attraverso la presentazione da parte di Coscarella e Altomari, il 5 novembre 2009, di una d.i.a. per l’effettuazione di lavori di completamento di alcuni magazzini ubicati nei corpi di fabbrica E ed F, ricadenti in piena fascia di rispetto cimiteriale, e attraverso la concreta effettuazione dei lavori descritti nella d.i.a., almeno fino al 14 ottobre 2010, il tutto con il concorso di Greco, che nella sua qualità di responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune, favoriva tale condotta omettendo di adottare i necessari provvedimenti inibitori.
All’accertamento del reato di lottizzazione abusiva la Corte d’appello fa conseguire la confisca dei “quattro magazzini ubicati nei corpi di fabbrica E ed F di proprietà della Edil Sole s.n.c., oggetto di sequestro con decreto del Gip del Tribunale di Cosenza in data 4.1.2011 ed ivi specificamente indicati”; tali immobili erano stati invece oggetto di ordine di demolizione nella sentenza di primo grado. La Corte di secondo grado conferma, inoltre, la demolizione, disposta dal Tribunale, in relazione a “cinque fabbricati ad uso civile abitazione, garages ed esercizio commerciale, denominati corpi D), E), F), G), ed H), in relazione all’abuso d’ufficio di cui al capo R) dell’imputazione”, posta a carico di Coscarella e Altomari.
9. – Venendo all’esame del ricorso proposto nell’interesse di Coscarella, deve rilevarsi che lo stesso è fondato limitatamente alla responsabilità civile, mentre è complessivamente infondato quanto a quella penale.
9.1. – Il primo e il secondo motivo di doglianza possono essere trattati congiuntamente, perché attengono entrambi alla configurabilità e agli effetti del vincolo cimiteriale. In particolare, si deducono la violazione degli artt. 30 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, nonché vizi della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, per violazione della fascia di rispetto cimiteriale di cui all’art. 338 del regio decreto n. 1265 del 1934 (t.u. delle leggi sanitarie) e si sostiene che la distanza ai fini del computo della fascia di rispetto, deve essere calcolata dal centro del cimitero.
9.1.1. – La linea difensiva dell’imputato si incentra sull’assunto che l’edificazione, regolarmente autorizzata, sarebbe conforme alla pianificazione comunale sotto l’aspetto urbanistico e che l’unica violazione ipoteticamente sussistente potrebbe essere quella del vincolo cimiteriale, previsto dall’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934, finalizzato al perseguimento di interessi di natura sanitaria e non urbanistica; tale violazione non potrebbe configurare, dunque, il reato di lottizzazione abusiva. In ogni caso, il richiamato art. 338 è norma depenalizzata, la cui violazione importa unicamente l’applicazione di sanzioni di competenza esclusiva dell’amministrazione, ivi compresa la demolizione. Si sostiene, inoltre, che il punto di riferimento da tenere in considerazione per il computo del vincolo cimiteriale è la rappresentazione data dallo strumento urbanistico, sul quale l’imprenditore che presenta un progetto edilizio fa affidamento. Ciò assumerebbe rilievo nel caso di specie, perché l’approvazione dello strumento urbanistico è del 1991, epoca in cui era vigente l’iniziale formulazione del richiamato art. 338, in cui non si faceva riferimento al perimetro esterno del cimitero come punto di partenza del raggio di delimitazione, criterio introdotto dall’art. 28 della legge n. 166 del 2002, non potendosi fare riferimento alla disposizione sopravvenuta, in quanto più sfavorevole.
9.1.2. – Le doglianze del ricorrente sono manifestamente infondate.
Come bene evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità correttamente richiamata dalla Corte d’appello, l’art 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 prescrive che i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dai centri abitati e tale disposizione opera indipendentemente dagli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con gli stessi. In detta fascia di rispetto cimiteriale è vietato sia costruire nuovi edifici sia intervenire su manufatti preesistenti con opere che comportino un’alterazione dei volumi o delle superfici (Sez. 3, n. 8553 del 24/05/1996, Rv. 206680). Inoltre, in tema di inedificabilità assoluta, la deroga al divieto di costruzione di nuovi edifici nel raggio di duecento metri dal perimetro dei cimiteri è consentita unicamente con riguardo all’esecuzione di un’opera pubblica o all’attuazione di un intervento urbanistico, con esclusione, quindi, dell’edilizia residenziale privata (Sez. 3, n. 8626 del 13/01/2009, Rv. 242743). Si pone in armonia con tali principi anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui la fascia di rispetto cimiteriale prevista dall’art. 338, misurata a partire dal muro di cinta del cimitero, costituisce un vincolo assoluto d’inedificabilità, tale da imporsi anche a contrastanti previsioni di piano regolatore generale, che non consente in alcun modo l’allocazione sia di edifici che di opere incompatibili col vincolo medesimo, in considerazione dei molteplici interessi pubblici che tale fascia di rispetto intende tutelare e che sono da individuarsi in esigenze di natura igienico-sanitaria, nella salvaguardia della peculiare sacralità che connota i luoghi destinati all’inumazione e alla sepoltura, nel mantenimento di un’area di possibile espansione della cinta cimiteriale; segue da ciò che non esiste ragione alcuna per ritenere tale vincolo applicabile solo ai centri abitati e non ai fabbricati sparsi, così come, ai fini dell’applicazione del vincolo, appare ininfluente che, a distanza inferiore ai 200 metri, vi sia una strada, atteso che essa non interrompe la continuità del vincolo (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. 4, nn. 5571 e 5544 del 22/11/2013). In sintesi, il vincolo cimiteriale in questione ha diretta incidenza sul corretto assetto del territorio e la circostanza che la sua violazione assuma rilevanza sul piano amministrativo, con la previsione dello strumento ripristinatorio della demolizione, non esclude che la stessa possa assumere autonomo rilievo anche a fini penali. E l’interpretazione prospettata dalla difesa, secondo cui la fascia di rispetto va calcolata dal centro del cimitero anziché dal bordo dello stesso, è smentita dalla logica ancor prima che dal dato normativo, perché esistono cimiteri che hanno dimensioni tali che la distanza limite fissata dal richiamato art. 338 ricadrebbe all’interno dei cimiteri stessi. L’opposta interpretazione si attaglia sia all’attuale formulazione della disposizione sia a quella precedente alla modifica introdotta dall’articolo della legge del 2002 dall’art. 28, comma 1, della legge 1° agosto 2002, n. 166. Secondo il testo vigente, «i cimiteri devono essere collocati alla distanza di almeno 200 metri dal centro abitato. È vietato costruire intorno ai cimiteri nuovi edifici entro il raggio di 200 metri dal perimetro dell’impianto cimiteriale, quale risultante dagli strumenti urbanistici vigenti nel comune o, in difetto di essi, comunque quale esistente in fatto, salve le deroghe ed eccezioni previste dalla legge». E si tratta, evidentemente, di una semplice precisazione normativa di un criterio già desumibile dalla formulazione precedente, la quale non poteva che essere interpretata come riferita al bordo del cimitero, pena la sostanziale vanificazione dell’operatività del vincolo per il caso di cimiteri di maggiori dimensioni, laddove prevedeva che «i cimiteri debbono essere collocati alla distanza di almeno duecento metri dai centri abitati, tranne il caso dei cimiteri di urne. È vietato di costruire intorno agli stessi nuovi edifici e ampliare quelli preesistenti entro il raggio di duecento metri». Ne consegue che non si pone alcun problema di retroattività dell’attuale disciplina rispetto alla precedente, non essendovi stata, sul punto, alcuna sostanziale innovazione.
Si deve dunque affermare che, poiché il vincolo cimiteriale di cui all’art. all’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934 attiene al governo del territorio e opera indipendentemente dal suo recepimento negli strumenti urbanistici ed eventualmente anche in contrasto con gli stessi, la sua violazione è da sola sufficiente a configurare il reato di lottizzazione abusiva, pur in presenza di un’attività edificatoria formalmente autorizzata. Quanto, poi, alla fascia di rispetto cimiteriale, la stessa va misurata a partire non dal centro, ma dal muro di cinta esterno del cimitero.
9.2. – Il terzo e il quinto motivo di ricorso, nonché il terzo dei motivi aggiunti proposti con la memoria del 22 agosto 2019 – che possono essere trattati congiuntamente, perché attengono alla configurabilità della lottizzazione abusiva di cui al capo Z dell’imputazione e alla conseguente confisca – sono infondati.
9.2.1. – Le doglianze del ricorrente si incentrano sul fatto che la Corte d’appello, riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha affermato l’unitarietà della condotta, riferita ai fabbricati realizzati (capo Q, già dichiarato prescritto, e capo Z) e, pertanto, ha fatto rivivere l’originaria contestazione di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001; secondo la difesa, le attività edilizie avrebbero dovuto essere considerate singolarmente e avrebbero potuto, perciò, essere realizzate tramite semplice presentazione di d.i.a., in relazione alla quale non sono previste sanzioni penali. In ogni caso la disposizione incriminatrice si riferirebbe solo alla trasformazione di terreni a scopo edificatorio e non anche alla trasformazione di fabbricati già realizzati.
9.2.2. – Deve rilevarsi che la ricostruzione operata nella sentenza impugnata (pagg. 40-45), nel senso dell’unitarietà dell’operazione edilizia svolta, appare sufficientemente logica e coerente. In particolare la Corte d’appello ha valorizzato, per riformare la sentenza di primo grado, la circostanza che, nel caso di specie, l’attività edilizia illecita è iniziata con gli interventi, attuati dopo il rilascio delle prime concessioni edilizie del 2002, per la costruzione dei corpi di fabbrica A, B, C, D, E, F e dei garage, nel 2004 e 2006 con le varianti in corso d’opera, ed è proseguita, nonostante già nel 2008 fosse stata accertata la violazione delle norme urbanistiche e fosse stato emesso ordine di sospensione dei lavori, mediante la realizzazione di opere di completamento dei quattro magazzini ubicati nei corpi di fabbrica E ed F, ricadenti nella fascia di rispetto cimiteriale. In particolare, nella d.i.a. del 5 novembre 2009 erano state indicate le opere da realizzare in tramezzature, intonaci, posa in opera di infissi, pavimentazioni, tinteggiature; mentre solo il 14 ottobre 2010 era stata disposta la sospensione dei lavori. Correttamente, dunque, la Corte d’appello ha ritenuto, in senso diverso dal Tribunale, che le opere oggetto della d.i.a. non sono autonome rispetto al reato di lottizzazione abusiva di cui al capo Q), dichiarato prescritto, perché la natura degli interventi successivi rende palese che il complesso edilizio lottizzato abusivamente non era ancora ultimato, né vi era stato sequestro dei corpi di fabbrica; mentre le opere di completamento servivano rendere a fruibili edifici ancora allo stato rustico, ponendosi come evidente prosecuzione dell’opera originaria e unitaria già oggetto del capo Q), nell’ambito di una complessiva operazione la cui prima fase era consistita nell’abusiva trasformazione di terreni a scopo edificatorio.
In questo quadro, risulta pienamente corretta la qualificazione giuridica del reato ex art. art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, perché – come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte – integra il reato di lottizzazione abusiva cd. "materiale" o fisica, e non quello di costruzione senza titolo abilitativo, l’intervento che consista nella realizzazione anche di un solo nuovo fabbricato che, per caratteristiche o dimensioni, sia idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (ex multis, Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Rv. 266811). E, nella sua ricostruzione del fatto, la Corte d’appello ha anche opportunamente richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di reati edilizi, deve ritenersi ultimato solo l’edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, di modo che anche il suo utilizzo effettivo, ancorché accompagnato dall’attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente per ritenere sussistente l’ultimazione dell’immobile abusivamente realizzato, coincidente generalmente con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni (ex multis, Sez. 3, n. 46215 del 03/07/2018, Rv. 274201; Sez.3, n. 48002 del 17/09/2014, Rv. 261153).
In conclusione, l’attività edilizia svolta non può essere ritenuta libera o sottoposta a semplice d.i.a, dovendo essere considerata unitariamente, tanto che i giudici di primo grado avrebbero ben potuto accorpare l’imputazione di cui al capo Z) con quella di cui al capo Q), trattandosi sostanzialmente della stessa condotta proseguita nel tempo; accorpamento evidentemente ormai precluso a questa Corte.
9.2.3. – Non vi è dubbio che il reato di cui al capo Z), contestato come commesso il 14 ottobre 2010, sia ormai ampiamente prescritto (secondo lo stesso calcolo operato della Corte d’appello, che tiene conto dei periodi di sospensione della prescrizione) e che la prescrizione debba essere dichiarata da questa Corte, non potendosi ritenere inammissibili i motivi di ricorso che lo riguardano ed essendosi, perciò, correttamente instaurato il rapporto processuale sul punto. L’avvenuto accertamento della responsabilità penale, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, impone, però, la confisca dei quattro magazzini ancora in sequestro, ai sensi dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, correttamente disposta dalla Corte d’appello.
Deve infatti ricordarsi che la pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia – in attesa della quale la trattazione del presente procedimento era stato rinviata – ha confermato che, in tema di lottizzazione abusiva, il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato ove sia stata comunque accertata, con adeguata motivazione e nel contraddittorio delle parti, la sussistenza del reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (ex multis, Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Rv. 275756 – 05). Sempre in applicazione della richiamata sentenza G.I.E.M., questa Corte ha anche affermato che, ai fini della valutazione della conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, assume rilievo anche l’aspetto dell’individuazione dei beni oggetto della misura, nel senso che il provvedimento ablatorio è legittimo se limitato ai beni immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali (Sez. 3, n. 43119 del 17/07/2019, Rv. 277263 – 01; Sez. 3, n. 31282 del 27/03/2019, Rv. 277167 – 03; Sez. 3, n. 14743 del 20/02/2019, Rv. 275392 – 01). Ed è rilevabile d’ufficio, anche in sede di legittimità, la questione relativa alla violazione della CEDU, così come interpretata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, in quanto le decisioni della stessa, allorquando evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna con la Convenzione europea, assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale sono state pronunciate. Infatti, qualora il profilo di incompatibilità del sistema interno con la normativa convenzionale sia stato accertato per la prima volta dalla Corte EDU con sentenza successiva al ricorso, il principio per cui il giudice è tenuto ad applicare il diritto nazionale in conformità ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali ex art. 117, primo comma, Cost. fa sì che la Corte di cassazione debba rilevare d’ufficio la questione ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., come se ci si trovasse di fronte a ius superveniens, tanto più quando, come nella specie, la questione incida sull’irrogazione di una pena, nel senso di cui all’art. 7 CEDU (Sez. 3, n. 31282 del 27/03/2019, Rv. 277167 – 02).
In applicazione di tali principi si deve dunque procedere, nel caso di specie, alla verifica della proporzionalità della confisca disposta nel presente giudizio, pur in mancanza di censure difensive sul punto; verifica il cui esito deve essere ritenuto positivo, dovendosi ritenere, in base al tenore delle sentenze di primo e secondo grado, che siano stati confiscati i soli magazzini con le aree di sedime e non anche le intere particelle catastali su cui i magazzini stessi insistono.
Quanto all’appartenenza dei beni, deve poi ricordarsi che, in tema di lottizzazione abusiva, la mancata partecipazione al giudizio conclusosi con la sentenza di condanna dell’ente in nome e per conto del quale l’attività illecita è stata posta in essere non osta alla confisca, ex art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto allo stesso non può attribuirsi la qualifica di terzo estraneo, per carenza del necessario requisito della buona fede (Sez. 3, n. 42115 del 19/06/2019, Rv. 277057 – 02). E tale principio trova applicazione anche nel caso di specie, in cui la società proprietaria degli immobili si è direttamente avvantaggiata delle condotte illecite, poste in essere anche dal suo legale rappresentante, senza che, peraltro, la difesa abbia sollevato eccezioni sul punto.
9.3. – Il secondo motivo aggiunto, proposto con la memoria del 22 agosto 2019, è inammissibile. La difesa lamenta che la riqualificazione del reato del capo Z come lottizzazione abusiva sarebbe stata operata dalla Corte distrettuale sulla base di prove documentali e delle dichiarazioni del testimone Stabile ed afferma che, trattandosi di una reformatio in peius, sarebbe stata necessaria la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, quanto alla prova testimoniale. La stessa difesa non specifica, però, quale sia in concreto la rilevanza della richiamata prova testimoniale nel caso di specie, in cui la decisione si basa essenzialmente su prove documentali, così non consentendo a questa Corte di svolgere il suo sindacato sul punto.
9.4. – Da quanto procede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di Coscarella, per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione, con assorbimento della censura sub 2.4., in quanto riferita al trattamento sanzionatorio e alle circostanze del reato. Il ricorso deve essere nel resto rigettato.
9.5. – Sono fondati, nei limiti che seguono, il sesto motivo di ricorso e il primo motivo aggiunto proposto con la memoria del 22 agosto 2019, riferiti alla demolizione e al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili. Quanto al primo profilo, è sufficiente qui rilevare che la demolizione è stata disposta a carico di Coscarella in relazione all’abuso d’ufficio di cui al capo R), del quale Coscarella non è imputato, ed è stata disposta ai sensi dell’art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934, disposizione che si riferisce all’applicazione di sanzioni di competenza esclusiva dell’amministrazione, ivi compresa la demolizione stessa. Né la demolizione potrebbe comunque trovare supporto nella contravvenzione edilizia di cui al capo Q), perché la stessa è già stata dichiarata prescritta in primo grado. L’ordine di demolizione deve essere, dunque, revocato, perché non avrebbe potuto essere impartito, in mancanza dei presupposti soggettivi e oggettivi. A tale revoca consegue anche la revoca delle statuizioni civili, perché, dalla motivazione della sentenza impugnata, emerge che il risarcimento del danno alle parti civili è stato riconosciuto esclusivamente quale ristoro delle demolizioni che gli immobili abusivi, dei quali erano ormai divenuti proprietari, avrebbero dovuto subire.
10. – Anche il ricorso proposto nell’interesse di Altomari Angelina è fondato limitatamente alla responsabilità civile, mentre è complessivamente infondato quanto a quella penale.
10.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si deducono l’erronea applicazione dell’art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e la mancanza di motivazione in relazione alla valutazione della funzione di progettista e direttore dei lavori svolta dall’imputata – è inammissibile.
Deve rilevarsi che la difesa richiama, per la prima volta nel giudizio di cassazione, l’art. 29 dello stesso d.P.R. del 2001, sostenendo che l’imputata aveva effettivamente verificato la corrispondenza delle opere eseguite ai progetti assentiti con i titoli autorizzativi, essendo estranea ai suoi compiti la verifica dell’eventuale violazione del vincolo cimiteriale. Dalla ricostruzione dei motivi di appello contenuta nella sentenza – non impugnata della difesa sul punto – emerge che la censura non era stata formulata nel giudizio di secondo grado, con la conseguenza che la Corte territoriale non aveva alcun onere di motivare sul punto; cosicché la mancanza di motivazione lamentata della difesa rappresenta l’esito fisiologico del giudizio di appello. Anche a prescindere da tale assorbente considerazione, deve qui ribadirsi, in punto di diritto, che il direttore dei lavori e progettista è comunque responsabile per il reato di lottizzazione abusiva, in quanto arrechi un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso, diretto a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale (ex multis, Sez. 3, n. 23646 del 12/05/2011, Rv. 250523), non potendosi dunque limitare la sua responsabilità alla verifica della formale conformità delle opere al permesso di costruire e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. E tale determinante contributo causale è stato certamente arrecato dall’imputata nel caso di specie, vista l’assoluta evidenza della violazione del vincolo cimiteriale, tanto macroscopica da essere percepibile addirittura da soggetti non dotati di particolari competenze tecniche; con la conseguenza che a nulla può valere il richiamo operato dalla difesa all’art. 29 del d.P.R. n. 380 del 2001, che escluderebbe il progettista dal novero dei responsabili. Ciò è quanto emerge dalla dettagliata e completa disamina operata in punto di fatto dalla Corte d’appello (pagg. 14-22 della sentenza impugnata), la quale evidenzia che: a) la circostanza che la misurazione doveva essere effettuata dal bordo del cimitero emergeva, oltre che dalla chiara formulazione della disciplina legislativa, anche dal decreto del medico provinciale del 18 dicembre 1969, richiamato nella delibera del Consiglio comunale del 31 maggio 1991, che riguardava proprio l’area di rispetto cimiteriale; b) alcuni dei corpi di fabbrica si trovavano a distanza addirittura inferiore ai 30 m rispetto al bordo del cimitero, e ciò rendeva assolutamente evidente la violazione del vincolo; c) la circostanza che nella tavola 3-ter del piano di fabbricazione non fossero state indicate le distanze dalla fascia di rispetto cimiteriale ma fosse stato raffigurato solo graficamente il confine della stessa è irrilevante, perché lo strumento urbanistico da prendere in considerazione era la delibera del Consiglio comunale n. 34 del 31 marzo 1991, che individuava in modo chiaro la fascia di rispetto; d) l’intervento edilizio non aveva natura pubblica né di interesse pubblico, cosicché la fascia di rispetto (ai sensi del richiamato art. 338) avrebbe dovuto essere di 200 m e non di 50 m, ma in ogni caso anche tale ultima minore distanza era stata ampiamente violata; e) i provvedimenti autorizzatori erano stati adottati, dunque, in palese violazione della legge, del regolamento edilizio, degli strumenti urbanistici, e anche i successivi certificati di agibilità erano stati rilasciati illegittimamente; f) in questo quadro, anche la deliberazione del Consiglio comunale del 30 settembre 2008 (capo di imputazione R), che aveva ridotto al di sotto dei 50 m la fascia di rispetto cimiteriale, autorizzando l’adozione di tutti provvedimenti conseguenziali necessari a sanare i permessi di costruire già realizzati, era palesemente illegittima; g) l’assoluta evidenza e la pluralità delle violazioni poste in essere rendevano palese la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo a tutti gli imputati, non essendo necessarie particolari conoscenze tecniche per riconoscere l’illegittimità dell’attività edilizia.
10.2. – Parimenti inammissibili, in quanto manifestamente infondati, sono il secondo e il terzo motivo, con cui si deducono vizi della motivazione, nonché la violazione degli artt. 29 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 483 cod. pen., sostenendo che lo strumento urbanistico comunale era lacunoso in relazione alla riperimetrazione della fascia di rispetto cimiteriale e che la buona fede dell’imputata emergeva dall’affidamento da lei riposto nei certificati di destinazione urbanistica, nella variante al piano di fabbricazione, nella delibera n. 34 del 1991, nel decreto del Presidente della Giunta regionale n. 899 del 1991.
È sufficiente qui richiamare, quanto alla macroscopicità e alla conseguente facile riconoscibilità della violazione del vincolo cimiteriale e alla sua rilevanza anche sul piano dell’elemento soggettivo, le considerazioni appena sopra svolte; mentre le pretese difficoltà interpretative della relativa normativa (art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265) appaiono manifestamente insussistenti, in forza di quanto già osservato sub 9.1.2., in relazione alla implausibilità logica dell’interpretazione secondo cui la fascia di rispetto andrebbe computata a partire dal centro del cimitero.
10.3. – Quanto sopra evidenziato vale a far ritenere inammissibile anche il settimo motivo di impugnazione, strettamente connesso ai precedenti, perché riferito all’erronea applicazione della normativa amministrativa e di pianificazione già richiamata. Esso si basa, infatti, su pretese ambiguità dell’art. 338 del r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 e sul generico richiamo di una consulenza di parte relativa a tale interpretazione e della pretesa esistenza di un’area di rispetto, di 1750 m², che sarebbe ricompresa nell’ambito del cerchio riprodotto nelle tavole di rappresentazione grafica, nel cui ambito non sarebbero stati realizzati edifici. Ed è evidente che, anche a prescindere dalla rilevata genericità della censura, nessun rilievo può essere comunque attribuito ad una consulenza tecnica di parte quanto all’interpretazione di norme di diritto; mentre è preclusa alla Corte di cassazione l’effettuazione di un nuovo calcolo dell’ampiezza dell’area del vincolo cimiteriale; calcolo già correttamente effettuato, peraltro, nella sentenza impugnata.
10.4. – Il quarto motivo di ricorso – con cui si deduce la violazione dell’art. 483 cod. pen., lamentando che, in riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha trasformato l’assoluzione per i capi B, E, G, I, M, O (relativi a false attestazioni di conformità alla normativa urbanistica dei fabbricati realizzati) in una pronuncia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione – è infondato.
La difesa contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui, poiché le richieste di rilascio dei certificati di agibilità parziale attestavano la conformità dei fabbricati alle norme urbanistiche vigenti, era palese la falsità della dichiarazione in relazione alla violazione delle distanze cimiteriali. Si lamenta, in particolare, che la sentenza avrebbe trascurato l’insussistenza del dolo e avrebbe spostato l’oggetto del falso dal certificato di agibilità alla richiesta di rilascio del certificato; richiesta che sarebbe priva di contenuto del contenuto di attestazione che è il presupposto del reato di cui all’art. 483 cod. pen. A fronte di tale prospettazione, deve rilevarsi che, dalla semplice lettura dei capi di imputazione emerge che gli stessi non si riferiscono a falsi nei certificati di agibilità, ma a falsi nelle relazioni di accompagnamento alle richieste, redatte dall’imputata (come ben evidenziato anche alle pagg. 30-34 della sentenza) ed idonee a configurare il reato, perché contenenti una falsa rappresentazione della realtà fattuale e non una interpretazione di diritto. Deve rilevarsi, altresì, che la macroscopicità della violazione del vincolo cimiteriale rende evidentemente sussistente il dolo.
10.5. – Il sesto motivo, riferito al reato di cui al capo Z – con cui si contesta l’argomentazione della Corte d’appello secondo cui lo stesso costituirebbe una lottizzazione abusiva – è infondato.
Valgono, sul punto, le considerazioni già svolte sub 9.2., 9.2.1., 9.2.2., in relazione alla posizione del coimputato Coscarella. Ne deriva che il reato debba essere ritenuto prescritto e che la prescrizione debba essere dichiarata da questa Corte, non potendosi ritenere inammissibile il motivo di ricorso che lo riguarda. L’avvenuto accertamento della responsabilità penale, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, giustifica, però, la confisca dei quattro magazzini, disposta dalla Corte d’appello (v. supra 9.2.3.).
10.6. – Da quanto procede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di Altomari, per essere il reato a lei ascritto estinto per prescrizione, con assorbimento della censura sub 3.8., in quanto riferita al trattamento sanzionatorio e alle circostanze del reato. Il ricorso deve essere nel resto rigettato.
10.7. – È fondato, nei limiti che seguono, il quinto motivo di ricorso, riferito alla demolizione. Valgono sul punto le considerazioni già svolte sub 9.5., in relazione alla posizione del coimputato Coscarella. L’ordine di demolizione deve essere, dunque, revocato, perché non avrebbe potuto essere impartito, in mancanza dei presupposti soggettivi e oggettivi; a tale revoca consegue anche la revoca delle statuizioni civili, perché il risarcimento del danno alle parti civili è stato riconosciuto esclusivamente quale ristoro delle demolizioni.
11. – I ricorsi di Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Parise Giuseppe sono infondati. Quelli di Greco Franco Loris e Greco Romolo Ottavio sono inammissibili, salvo che in relazione al capo Z, ascritto a Greco Romolo Ottavio.
11.1. – Tutti i ricorrenti sub 11. lamentano, in primo luogo, la violazione degli artt. 498, 499, 511, 525, 533 cod. proc. pen., in relazione alla “continuità dell’organo giurisdizionale”. La censura è inammissibile, perché formulata in modo non specifico, tanto da non consentire a questa Corte di valutarne la fondatezza sul piano giuridico. Infatti, la difesa si limita ad evidenziare che, a seguito del mutamento della composizione del Tribunale, era stata disposta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e che si era proceduto all’audizione dei testi Stabile, Matarese, Guido, con la semplice conferma delle dichiarazioni precedentemente rese nell’udienza di fronte al Tribunale nell’originaria composizione, nonostante l’espresso diniego difensivo. I ricorrenti non spiegano, però, quale sia la rilevanza di queste prove testimoniali ai fini della decisione, che si è basata essenzialmente sulla soluzione di questioni di diritto e sulla valutazione di prove documentali. Le considerazioni appena svolte si attagliano pienamente anche al motivo aggiunto di impugnazione, con cui si contesta la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, con violazione degli artt. 525, 526, 533, 603 cod. proc. pen., e 6, par. 3, Cedu, a fronte di una reformatio in peius. Infatti, neanche con tale doglianza, la difesa ha adeguatamente specificato la rilevanza delle prove non rinnovate ai fini della decisione.
11.2. – Il secondo motivo di ricorso – con cui si deducono vizi della motivazione, nonché la violazione dell’art. 338 del r.d. n. 1256 del 1934, per la mancata considerazione del fatto che, dall’esame testimoniale, sarebbe emerso che la misurazione della distanza del cimitero andava fatta prendendo in considerazione il centro del cimitero e che tale interpretazione si desumerebbe anche dall’intervento operato dal legislatore con la novella del 2002, la quale aveva introdotto espressamente l’indicazione del perimetro – è anch’esso inammissibile.
La difesa svolge sul punto considerazioni analoghe a quelle dei coimputati, riportate sub 2.1., 2.2., 3.2., 3.7. Possono perciò valere sul punto, le considerazioni già svolte sub 9.1., 9.1.2., 10.1., 10.2., 10.3., circa il criterio di misurazione della fascia di rispetto cimiteriale e circa l’irrilevanza della prova tecnico-testimoniale su tale questione di diritto.
11.3. – Quanto al terzo motivo di doglianza, riferito ai capi R) e T) dell’imputazione, le posizioni dei ricorrenti devono essere differenziate.
11.3.1. – Deve infatti evidenziarsi che Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Parise Giuseppe sono stati condannati per il capo R) loro ascritto solo con la sentenza di secondo grado e che le critiche da loro mosse a tale sentenza appaiono infondate, a fronte di una motivazione logica e coerente su tutti i profili essenziali della responsabilità penale, ma non inammissibili, perché sufficientemente specifiche e comunque riconducibili alla categoria dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.
La difesa fa leva sulla pretesa scarsa conoscenza della pratica edificatoria e sulla correttezza formale della stessa, nonché sulla circostanza che gli acquirenti finali degli immobili appositamente realizzati siano stati comunque ritenuti in buona fede; elementi sostanzialmente fatti propri dai giudici di primo grado.
A tali considerazioni la Corte d’appello (pagg. 35-40 della sentenza) ha però correttamente opposto la sostanziale chiarezza dell’interpretazione del richiamato art. 338 del r.d. n. 1265 del 1934 circa il criterio di computo della fascia di rispetto cimiteriale (su cui v. ampiamente sub 9.1.2.). A questo deve aggiungersi che la deroga alla fascia di rispetto di 200 m poteva riguardare solo l’ampliamento dei cimiteri esistenti e non anche l’attività edificatoria privata, mentre nel caso di specie è pacifico che alcuni edifici siano stati realizzati addirittura a meno di 50 m dal confine cimiteriale, distanza assolutamente inderogabile per l’edilizia privata. La sentenza argomenta adeguatamente anche circa la ritenuta sussistenza del dolo intenzionale, rilevando che l’eclatante violazione di legge rende evidente come lo scopo finale perseguito dagli imputati fosse quello di avvantaggiare ingiustamente la società costruttrice, a ciò dovendosi aggiungere l’immediato impatto visivo delle opere abusive nell’ambito territoriale, sia per il ristretto contesto in cui la vicenda si è sviluppata, sia per la notorietà mediatica della stessa. Del tutto generico risulta, infine, il rilievo secondo cui la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre il confronto richiesto dalla difesa, essendo addivenuta ad una riforma peggiorativa della sentenza di primo grado. La difesa non precisa, infatti, quali sarebbero stati i termini e la valenza probatoria di un tale confronto, in una vicenda in cui la decisione si basa essenzialmente su interpretazioni di diritto e prove documentali.
11.3.2. – La doglianza proposta nell’ambito dello stesso motivo di ricorso in relazione alle posizioni di Greco Franco Loris e Greco Romolo Ottavio deve essere invece considerata inammissibile, trattandosi della mera riproposizione di rilievi già esaminati e motivatamente disattesi dei giudici di primo e secondo grado, nella loro conforme valutazione di colpevolezza degli imputati; riproposizione che attinge al merito della responsabilità penale e non può, perciò, essere ricondotta alla categoria dei vizi denunciabili con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. E deve ricordarsi che l’inammissibilità del ricorso per cassazione preclude in ogni caso la possibilità di rilevare d’ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609, comma 2, cod. proc. pen., l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv. 266818 – 1). A ciò deve aggiungersi che, in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l'autonomia dell'azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l'ammissibilità dell'impugnazione per uno dei reati possa determinare l'instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Rv. 268966).
In relazione a Greco Franco Loris, devono qui evidenziarsi la logicità e la coerenza delle considerazioni già svolte in primo grado e ribadite in grado d’appello circa la connessione del reato di cui al capo R) – su cui valgono le considerazioni sora svolte – con quello di cui al capo D) (dichiarato prescritto solo in grado di appello), riferito al rilascio del permesso di costruire del 1° agosto 2006, del tutto illegittimo, perché in palese violazione di legge e regolamento. Né l’imputato avrebbe potuto invocare un inesistente affidamento incolpevole, trattandosi di soggetto dotato di specifica competenza tecnica, che aveva partecipato, in diverse vesti, a più fasi della vicenda illecita.
Analoghe considerazioni valgono per l’imputato Greco Romolo Ottavio, la cui posizione è caratterizzata dal collegamento tra il reato di cui al capo R) e quello di cui al successivo capo T). Come sottolineato dai giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, l’imputato aveva favorito il perdurare della situazione illecita, perché aveva adottato un’ordinanza di sospensione dei lavori, poi inspiegabilmente prorogata in data 8 luglio 2008, consentendo l’acquisizione di un parere legale allo scopo precipuo di procedere all’adozione della delibera finalizzata alla sanatoria attraverso l’illegittima riduzione della fascia di rispetto, evitando così di emettere la doverosa ordinanza di demolizione e omettendo, in ogni caso, di rilevare la mancata presentazione di un piano di lottizzazione. La Corte d’appello evidenzia, poi, ulteriori elementi dai quali desumere la macroscopicità delle violazioni e l’intenzionalità delle stesse, consistenti nell’omissione degli accertamenti, nonostante la vicenda avesse assunto rilevanza mediatica e nell’inspiegabile rilascio di certificati di agibilità per alcuni dei corpi di fabbrica. Tra queste, la vicenda relativa all’uso di una cappella gentilizia a fini di sepoltura, per la quale l’imputato, con provvedimento del 1° agosto 2007, aveva dichiarato la decadenza dal diritto di uso, perché nel raggio di 200 m dalla cappella stessa insistevano unità abitative collocate su un quoziente di terreno che non erano di proprietà della famiglia che aveva interesse all’uso della cappella, così dimostrando – ove fosse necessario - piena conoscenza dello stato di fatto e di diritto dell’area (pagg. 23-28 della sentenza impugnata e, in particolare, punti 1,2,3,4 delle pagg. 27-28). A fronte di una tale convergenza di elementi di prova, risultano del tutto irrilevanti le doglianze difensive relative alla mancata valutazione dei pareri legali resi dall’avv. Salerno su richiesta del Consiglio comunale per verificare la possibilità di sanare l’illegittima insistenza delle costruzioni sulla fascia di rispetto cimiteriale. E la circostanza che il legale non sia stato indagato nel presente di procedimento – che dipende da strategie accusatorie insindacabile in questa sede – non implica certo che i pareri in questione possano essere considerati legittimi. Quanto, poi, all’interesse degli imputati e dell’impresa coinvolta, lo stesso emerge dalla macroscopica illegittimità dell’operazione, articolata in numerose fasi caratterizzate da plurime violazioni di legge, alcune poste in essere con maldestra pervicacia e con l’intervento di una pluralità di soggetti. In tale quadro deve essere ritenuta pienamente logica e coerente la valutazione, a carico degli imputati, delle patologiche stasi e accelerazioni verificatesi nel procedimento, allo scopo di piegarne lo svolgimento a fini illeciti.
11.3.3. – Deve essere invece dichiarata la prescrizione del reato di cui al capo Z), ascritto a Greco Romolo Ottavio. Valgono, sul punto, le considerazioni già svolte sub 9.2., 9.2.1., 9.2.2., 10.5., in relazione alla posizione dei coimputati. Ne deriva che il reato debba essere ritenuto prescritto e che la prescrizione debba essere dichiarata da questa Corte, non potendosi ritenere inammissibile la doglianza che lo riguarda. L’avvenuto accertamento della responsabilità penale, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, giustifica, però, la confisca dei quattro magazzini, disposta dalla Corte d’appello (v. supra 9.2.3., 10.5.).
12. – Dal complesso delle considerazioni che precedono, deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui al capo Z) dell’imputazione, per essere lo stesso estinto per prescrizione; la stessa sentenza deve essere, del pari, annullata senza rinvio, nei confronti di Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Parise Giuseppe, in relazione al reato di cui al capo R) dell’imputazione, per essere lo stesso estinto per prescrizione; l’ordine di demolizione dei cinque fabbricati ad uso abitazione, garage ed esercizio commerciale, denominati corpi D, E, F, G, H, e le statuizioni civili devono essere revocati; i ricorsi di Coscarella Antonio, Altomari Angelina, Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Parise Giuseppe devono essere nel resto rigettati; deve essere dichiarata la definitività della risposta confisca dei quattro magazzini “corpi di fabbrica E ed F”; il ricorso di Greco Romolo Ottavio deve essere dichiarato in ammissibile nel resto, con rideterminazione della pena suo carico, per i residui reati di cui ai capi R) e T), in anni uno e mesi nove di reclusione, dovendosi escludere la pena di due mesi di reclusione applicata in aumento per il reato di cui al capo Z) (pag. 49 della sentenza d’appello); il ricorso di Greco Franco Loris deve essere dichiarato inammissibile; tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di Greco Romolo Ottavio, Coscarella Antonio e Altomari Angelina, in relazione al reato di cui al capo Z), per essere lo stesso estinto per prescrizione.
Annulla senza rinvio la medesima sentenza, nei confronti di Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Parise Giuseppe, in relazione al reato di cui al capo R), per essere lo stesso estinto per prescrizione.
Revoca l’ordine di demolizione dei cinque fabbricati ad uso abitazione, garage ed esercizio commerciale, denominati “corpi D, E, F, G, H”.
Revoca le statuizioni civili.
Rigetta nel resto i ricorsi di Coscarella Antonio, Altomari Angelina, Falsia Luigi, Greco Antonietta, Muoio Maria Luisa, Greco Mario Domenico, Ventrella Ugo, Pizzino Umberto, Parise Giuseppe.
Dichiara la definitività della risposta confisca dei quattro magazzini “corpi di fabbrica E ed F”.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di Greco Romolo Ottavio e ridetermina la pena suo carico, per i residui reati di cui ai capi R) e T), in anni uno e mesi nove di reclusione.
Dichiara inammissibile il ricorso di Greco Franco Loris e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2019.