Cass. Sez. III n. 5508 del 12 febbraio 2020 (UP  2 ott 2019)
Pres. Liberati Est. Zunica Ric. Ardigò
Urbanistica.Lottizzazione e strumento urbanistico in contrasto con norme di rango sovraordinato

Il reato di lottizzazione abusiva è configurabile anche quando lo strumento urbanistico esiste ed è rispettato dai privati autori dell’intervento edilizio, ma è esso stesso in contrasto con norme di rango sovraordinato, posto che l’interesse protetto dalla legge non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della Pubblica Amministrazione, ma è anche quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato assetto urbanistico.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 aprile 2018, la Corte di appello di Brescia confermava la sentenza del 19 luglio 2017, con cui il Tribunale di Brescia, nell’ambito di un articolato giudizio a carico di 19 imputati, aveva condannato, per quanto in questa sede rileva, Francesco Briarava, Rubens Burani, Mauro Salvadori e Fabrizio Vezzani alla pena di anni 1 di arresto ed euro 20.000 di ammenda ciascuno, con i doppi benefici di legge, in quanto ritenuti colpevoli del reato di cui all’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 a loro ascritto al capo A, relativo a una lottizzazione abusiva realizzata nel territorio di Campione del Garda, agendo Briarava quale Sindaco, Salvadori quale redattore del piano urbanistico e reale progettista, Burani quale procuratore della coop. “Coopsette”, poi denominata “Campione del Garda s.p.a”, società proprietaria delle aree, di cui Vezzani diveniva poi legale rappresentante a partire dal 23 dicembre 2009.
In particolare, secondo la prospettiva accusatoria recepita nelle due decisioni di merito, gli imputati, nelle predette qualità, procedevano a un intervento di recupero dell’area con demolizione e ricostruzione, realizzazione di nuovi edifici e potenziamento delle infrastrutture turistiche, residenziali e sportive, in forza di un piano particolareggiato di iniziativa pubblica approvato nel 2005 dal Comune di Tremosine con una variante approvata nel 2010, atti amministrativi questi illegittimi, in quanto adottati in violazione della legge regionale n. 41 del 1997 e delle delibere della Giunta Regionale del 6 agosto 1998 e del 15 gennaio 1999, che, alla luce dell’elevato rischio idrogeologico, consentivano in quell’area, per le sole consistenze preesistenti, interventi di demolizione senza ricostruzione, di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, mentre nel caso di specie veniva assentita la costruzione di edifici di notevole mole e complessità, ovvero un parcheggio multipiano e un edificio denominato “Sailing Village”, fatti accertati nel giugno 2013, con lavori non ancora terminati.
Con statuizione del Tribunale parimenti confermata in secondo grado, veniva disposta inoltre la confisca dei terreni e degli edifici di proprietà della “Coopsette” e/o “Campione del Garda”, ancora oggetto del sequestro preventivo disposto dal G.I.P. di Brescia il 27 giugno 2013, compresi nella frazione di Campione del Garda (PR 03, 05, 07, 08, 10 e 11 B) e del parcheggio pubblico “Park Nord”.
Gli imputati venivano inoltre condannati, unitamente al responsabile civile, Comune di Tremosine, al risarcimento del danno, da liquidare in separata sede, in favore delle parti civili Elena Bonomelli ed Ermes Chiappani, società Tremosine Univela società sportiva dilettantistica, società Campione Univela s.r.l., oltre che al pagamento delle provvisionali a ciascuna di esse liquidate, mentre i soli imputati venivano condannati al risarcimento del danno in favore del Comune di Tremosine, in cui favore veniva liquidata una provvisionale pari a euro 50.000.
2. Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, gli imputati Francesco Briarava, Rubens Burani, Mauro Salvadori e Fabrizio Vezzani, nonché il Comune di Tremosine sul Garda, quale responsabile civile, tramite i loro rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.
2.1. Francesco Briarava ha sollevato quattro motivi.
Con il primo, la difesa contesta l’erronea applicazione dell’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla formulazione del giudizio di colpevolezza.
Si osserva al riguardo che le uniche due opere costruite disattendendo il vincolo idrogeologico, ovvero il parcheggio multipiano e il complesso del Sailing Village, non erano tali da integrare la trasformazione urbanizzata ipotizzata nella sentenza impugnata, trattandosi di opere scollegate dal restante tessuto urbano.
Il fatto delineato dall’istruttoria non sarebbe quindi inquadrabile né nell’ipotesi del primo periodo della lett. C) dell’art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, né in quella di cui al secondo periodo del medesimo articolo, non essendo ricompreso il vincolo idrogeologico tra quelli indicati tassativamente dalla predetta norma.
Si evidenzia in ogni caso che Briarava non ha avuto alcun ruolo nell’approvazione della variante del 2010, che ha rimaneggiato in maniera consistente il piano particolareggiato del 2005, con cui non erano stati ancora definiti i particolari dell’edificazione, tanto è vero che i permessi di costruire sono stati rilasciati dal nuovo Sindaco Diego Ardigò solo dopo l’approvazione della variante del 2010.
La difesa peraltro osserva che il piano particolareggiato del 2005 non era qualificabile come macroscopicamente illegittimo, per cui ben poteva ritenersi che Briarava, in perfetta buona fede, essendo divenuto da poco Sindaco, abbia confidato nella legittimità dei vari atti che ne hanno preceduto l’approvazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della omessa declaratoria di estinzione del reato nei confronti di Briarava, il quale dopo il giugno 2009 non aveva più ricoperto alcun incarico istituzionale nel Comune di Tremosine, per cui non aveva alcuna possibilità di far sospendere i lavori o rimuoverne l’illegittimità.
Con il terzo motivo, oggetto di doglianza è il trattamento sanzionatorio, dolendosi la difesa del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della determinazione della pena in misura distante dal minimo edittale, non essendosi considerato che le iniziali contestazioni si erano notevolmente ridimesionate, che l’apporto del ricorrente è stato davvero minimo e che l’immobile costruito è molto diverso da quello ipotizzato nel 2005 durante l’amministrazione Briarava.
Con il quarto motivo, infine, la difesa censura le statuizioni civili della condanna, osservando al riguardo che il danno risarcito non era conseguenza immediata e diretta della commissione del reato ascritto all’imputato, avendo i giudici di merito fatto riferimento alla frana verificatasi il 19 novembre 2014, evento questo estraneo alle imputazioni e privo di legami con i fatti di causa.
2.2. Rubens Burani ha sollevato sette motivi.
Con il primo, deduce l’erronea applicazione dell’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 e la manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che il vincolo idrogeologico non rientra nella elencazione tassativa di cui all’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001, per cui, non potendosi ritenere consentita alcuna applicazione analogica, il fatto al più doveva essere ricondotto nella previsione di cui alla lett. B) del d.P.R. n. 380 del 2001, con conseguente esclusione della confisca, non venendo in rilievo nel caso di specie alcuna lottizzazione abusiva.
Con il secondo motivo, la difesa lamenta l’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il profilo oggettivo, rilevando che il vincolo idrogeologico era conosciuto dalla P.A. e dall’impresa già prima della promulgazione del piano particolareggiato del 2005, ma era considerato suscettibile di riduzione in forza della realizzazione di opere di mitigazione e messa in sicurezza, essendo stata prevista una condizione di salvaguardia del territorio fatta propria dagli strumenti urbanistici, per cui i piani particolareggiati del 2005 e del 2010 furono legittimamente deliberati dall’Ente territoriale e consentivano le singole concessioni a condizione della preventiva realizzazione di opere di messa in sicurezza, opere che furono completate sulla base di progetti regionali e interventi dei privati, previa approvazione di tutti gli enti competenti.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole dell’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il profilo soggettivo, osservando che la Corte di appello, senza alcuna motivazione, aveva rigettato la questione della macroscopica illegittimità degli atti amministrativi quale fattore coessenziale per la configurazione dell’elemento soggettivo del reato contestato, non spiegando perché, alla luce dei principi elaborati dalla Suprema Corte, non si potesse riconoscere in capo a Burani il legittimo affidamento sulla regolarità degli atti amministrativi al momento della stipula della Convenzione con il Comune.
Con il quarto motivo, oggetto di doglianza è l’erronea applicazione dell’art. 158 cod. pen., non avendo la Corte di appello tenuto conto della cd. cessazione soggettiva della permanenza; si osserva in particolare che nel reato permanente la prescrizione decorre dal momento in cui l’agente non ha più incidenza sul protrarsi dell’evento lesivo e non ha più il potere di condizionare l’evento in corso di permanenza e neppure quello di affrontarlo e risolverlo, ponendo fine a una situazione di illegittimità; ciò posto, per Burani doveva ritenersi maturata la prescrizione, in quanto, dopo la firma della convenzione con il Comune, egli non ha più avuto un ruolo nella vicenda, né aveva poteri o doveri di intervento.
Con il quinto motivo, si contesta l’esercizio da parte della Corte di appello di una potestà riservata a organi amministrativi, avendo la sentenza impugnata affermato la sindacabilità del piano particolareggiato da parte del giudice penale, con conseguente disapplicazione, pur trattandosi di un atto di governo politico del territorio emesso erga omnes e fondato su scelte discrezionali, avendo la Consulta riconosciuto la natura conformativa dei piani particolareggiati, espressione del potere autoritativo di condizionare il diritto di proprietà.
Con il sesto motivo, la difesa deduce nuovamente l’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, rilevando che l’imputazione è imperniata sulla illegittimità del piano particolareggiato e non sull’opera abusiva, mentre gli art. 30 e 44 non puniscono l’illegittimità della previsione del piano, ma l’inizio delle opere in violazione degli strumenti urbanistici.
Con il settimo motivo, infine, è stato censurato il diniego delle attenuanti generiche, non essendo stato considerato dai giudici di merito che Burani aveva avuto un contatto con la presente vicenda solo nel 2006, allorquando sottoscrisse come procuratore speciale le convenzioni con il Comune, avendo pertanto un legittimo affidamento sulla regolarità degli atti amministrativi.
2.3. Mauro Salvadori ha sollevato cinque motivi.
Con il primo, deduce l’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, evidenziando che la Corte di appello si era limitata ad accertare il grado di consistenza dell’intervento edilizio, senza porsi il problema preliminare su se il tipo di intervento effettuato rientrasse nel novero di quelli tipizzati dal combinato disposto degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001; la risposta a tale quesito non poteva che essere negativa, posto che il secondo periodo della lett. C) non richiama espressamente anche il vincolo idrogeologico, per cui, stante il divieto di analogia in malam partem, tale fattispecie non era invocabile.
Né il fatto poteva essere inquadrato nella fattispecie di cui al primo periodo, perché le aree oggetto di intervento erano zone già urbanizzate e ampiamente edificate, mentre il primo periodo della lettera C) si riferisce agli interventi realizzati su aree nude o scarsamente urbanizzate, rilevando come discrimen tra il primo e il secondo periodo non la consistenza dell’intervento edilizio, ma il tipo di aree su cui lo stesso viene realizzato, “terreni” in un caso, quindi aree nude, “zone” nel secondo caso, cioè aree oggetto di pianificazione urbanistica.
Con il secondo motivo, la difesa lamenta l’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui l’illegittimità del piano particolareggiato, atto di natura programmatica, è stata ritenuta idonea a integrare il reato di lottizzazione abusiva per violazione del vincolo idrogeologico, non potendosi prescindere dalla valutazione dei singoli atti amministrativi adottati, non essendo il piano particolareggiato macroscopicamente illegittimo e non comportando il vincolo idrogeologico il divieto assoluto di edificare, tanto è vero che erano state previste opere idonee a contenerne il relativo rischio.
Con il terzo motivo, il ricorrente censura l’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) primo periodo e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, oltre che la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, nella parte in cui non era stata affrontata la questione della idoneità in concreto della condotta del ricorrente a integrare l’elemento oggettivo del reato, avendo valorizzato la Corte di appello il ruolo dell’arch. Salvadori solo nell’ottica della verifica dell’elemento soggettivo, senza chiarire in che modo il ricorrente, quale progettista di singole opere, abbia concorso in termini di contributo causale alla lottizzazione abusiva.
Con il quarto motivo, la difesa si duole del diniego delle attenuanti generiche e della determinazione della pena base nella misura media della forbice edittale, non avendo la Corte valutato il corretto comportamento processuale dell’imputato e il fatto che le originarie contestazioni si erano notevolmente ridimensionate, per cui il richiamo della gravità del fatto risultava inconferente.
Con il quinto motivo, infine, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’art. 185 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha riconosciuto la sussistenza di un diritto al risarcimento del danno in favore delle parti civili determinando le relative provvisionali, osservando al riguardo che, quanto al Comune di Tremosine, era stato attribuito un risarcimento in difetto della sussistenza di un danno, essendo la normativa in tema di vincolo idrogeologico estranea alla competenza comunale ed essendo venute meno tutte le altre contestazioni inizialmente formulate, mentre, rispetto alle altre parti civili, si evidenzia che il danno risarcito non era conseguenza immediata e diretta della commissione del reato, avendo i giudici di merito ricavato dalla commissione del reato la causa diretta della frana verificatasi il 19 novembre 2014, evento naturale questo tuttavia estraneo alle imputazioni e privo di legami con i fatti di causa.
2.4. Fabrizio Vezzani ha sollevato sei motivi.
Con il primo, lamenta l’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il profilo oggettivo, evidenziando che la Corte di appello, accentuando l’errore di valutazione già compiuto dal primo giudice, è giunto ad affermare che la lottizzazione abusiva sarebbe stata realizzata nel 2005 con la deliberazione del piano particolareggiato e nel 2010 con l’approvazione della variante, mentre in realtà il piano particolareggiato e le relative convenzioni avevano stabilito la preventiva realizzazione di opere di messa in sicurezza.
La conoscenza del vincolo idrogeologico da parte della P.A. e delle imprese deponeva quindi a favore dell’innocenza del ricorrente, stante la condizione di salvaguardia del territorio e la conformità dei lavori agli strumenti urbanistici, aspetto questo confermato anche dalle assoluzioni intervenute in primo grado.
Con il secondo motivo, la difesa lamenta l’illogicità della motivazione rispetto alla valutazione da parte dei giudici di merito della potestà politico-amministrativa dell’ente pubblico, costituendo il piano particolareggiato, sia nella versione originaria sia nella sua variante, espressione dell’autonomia politica dell’ente territoriale, essendo come tale insindacabile in sede giurisdizionale.
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole dell’erronea applicazione degli art. 44 lett. C) e 30 del d.P.R. n. 380 del 2001 sotto il profilo soggettivo, rilevando che l’assenza di macroscopica illegittimità degli atti amministrativi e l’assoluzione degli amministratori pubblici dal reato di abuso d’ufficio imponevano l’assoluzione anche dell’imputato almeno dal punto di vista soggettivo, tanto più che la mancanza di dolo era stata rimarcata nella stessa sentenza impugnata.
Con il quarto motivo, oggetto di doglianza è la mancanza e illogicità della motivazione in ordine agli specifici addebiti elevati a carico del ricorrente, non avendo la sentenza impugnata distinto la posizione di Vezzani da quella degli altri protagonisti della vicenda che lo hanno preceduto, essendo egli divenuto amministratore della società “Campione del Garda” solo il 23 dicembre 2009, senza aver avuto alcuna ingerenza nella redazione della convenzione del 2005, mentre, quanto alla variante del 2010, le due sentenze di merito hanno convenuto sul fatto che la seconda convenzione fosse più restrittiva della prima, comportando un incremento di oneri per il privato sottoscrittore.
Con il quinto motivo, viene censurata l’erronea applicazione degli art. 30 e 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stato affermato che il vincolo idrogeologico rientra nella previsione di cui all’art. 44 lett. C), configurandosi invece la lottizzazione abusiva solo in caso di interventi in aree sottoposte a vincoli storici, artistici, archeologici, paesaggistici e ambientali in assenza o in difformità essenziale del titolo abilitativo, mentre il vincolo idrogeologico esula da tale perimetro, non essendo menzionato dall’art. 44 lett. C) del già citato d.P.R.
Con il sesto motivo, infine, la difesa censura il diniego delle attenuanti generiche, non essendo stato considerato né lo status di incensurato dell’imputato, né l’assenza di intenti maliziosi o fraudolenti, essendosi la difesa concentrata unicamente su aspetti tecnici con trasparenza e linearità.
2.5. Il Comune di Tremosine sul Garda, quale responsabile civile, ha sollevato tre motivi.
Con il primo, la difesa contesta la condanna dell’Ente comunale al risarcimento dei danni, sottolineando che gli imputati hanno perseguito interessi economici personali, non agendo nemmeno indirettamente per tutelare interessi pubblici, per cui la responsabilità civile del Comune non era ravvisabile, avendo la tesi dell’occasionalità necessaria seguita dalla Corte di appello ampliato a dismisura la sfera di responsabilità ascrivibile alla Pubblica Amministrazione.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la condanna risarcitoria per non avere la Corte di appello riconosciuto il concorso di colpa degli acquirenti degli immobili, che avrebbero avuto l’onere di verificare la legittimità dei loro acquisti.
Con il terzo motivo, infine, la difesa del Comune eccepisce la mancanza di legittimazione attiva delle parti civili Elena Bonomelli ed Ermes Chiappani e delle società “Tremosine Univela” e “Campione Univela”, in quanto, a fondamento delle richieste risarcitorie, avevano indicato il presunto mancato godimento degli immobili di loro proprietà, che è stato liquidato non come conseguenza diretta dei reati contestati, ma come effetto della frana del novembre 2014 e delle ordinanze che ne sono conseguite, aspetti questi estranei alle imputazioni, non essendo contestato ad alcun imputato il disastro colposo rispetto a tale vicenda.
    3. Il 26 luglio 2018 la difesa delle parti civili “Tremosine Univela” e “Campione Univela” depositava una memoria con cui chiedeva il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

        I ricorsi sono infondati, ma, avuto riguardo al tempus commisi delicti, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente all’affermazione della penale responsabilità degli imputati in ordine al residuo reato di lottizzazione abusiva, perché estinto per prescrizione.
      1. Prima di affrontare le doglianze sollevate dai ricorrenti, si ritiene utile, in via preliminare, una breve ricostruzione della vicenda storica sottesa all’unica imputazione per cui è intervenuta condanna, ovvero quella avente ad oggetto il reato di lottizzazione abusiva (capo 1), dovendosi precisare che per il residuo reato di abuso d’ufficio, contestato al capo 2 agli imputati Briarava e Salvadori, è intervenuta in primo grado assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
Orbene, i fatti di causa riguardano le trasformazioni urbanistiche che, soprattutto a partire dal 2005, hanno interessato Campione del Garda, piccola frazione del Comune di Tremosine, che si affaccia sulla sponda bresciana del lago di Garda, con un territorio sormontato da una montagna di roccia di circa 300 metri e diviso in due zone da un torrente, ovvero, Campione di Sotto, corrispondente alla zona a Sud, dove insistevano a suo tempo un cotonificio e la residenza dei titolari del cotonificio, e Campione di Sopra, corrispondente alla zona Nord del paese, dove un tempo si trovavano le case degli operai del cotonificio.
A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, venivano avviati i primi provvedimenti di riqualificazione dell’area, volti a superare l’esclusiva vocazione industriale del paesino e a valorizzarne le potenzialità turistiche e immobiliari.
Il percorso di riqualificazione dell’area urbana conosceva un momento di svolta nel 2005, allorquando, con delibera del Consiglio comunale n. 18 del 31 maggio 2005, veniva adottato il piano particolareggiato di iniziativa pubblica, che prevedeva una profonda ristrutturazione urbanistica dell’area, con demolizioni, ricostruzioni e modifiche radicali di destinazioni d’uso, piano approvato in via definitiva con delibera del Consiglio Comunale n. 31 del 29 novembre 2005.
Sindaco del Comune di Tremosine era all’epoca l’imputato Francesco Briarava.
Coinvolta nella riqualificazione urbana, anche quale proprietaria delle aree, era la società cooperativa “Coopsette”, di cui era procuratore speciale Rubens Burani, in forza di mandato del 16 marzo 2006 alla stipula della convenzione urbanistica con il Comune di Tremosine, avente ad oggetto l’attuazione del piano.
Il 30 novembre 2009, la “Coopsette” cedeva la proprietà delle aree alla società “Campione del Garda”, di cui diveniva legale rappresentante, a partire dal 23 dicembre 2009, l’odierno ricorrente Fabrizio Vezzani, mentre della redazione del piano urbanistico si occupava l’imputato Mauro Salvadori, il quale, essendo anche il reale progettista degli interventi, ne curava pure le fasi esecutive.
Intanto, divenuto nelle more Sindaco di Tremosine Diego Ardigò (imputato condannato ma non ricorrente, essendo pertanto divenuta irrevocabile nei suoi confronti la sentenza impugnata il 10 giugno 2018), il Consiglio comunale, con delibera n. 46 del 18 ottobre 2010, approvava una variante al piano particolareggiato del 2005, intensificando la vocazione turistica e residenziale della frazione di Campione del Garda, soprattutto nella zona Nord.
Per effetto di tali atti di pianificazione amministrativa, venivano realizzati una serie di interventi, consistenti, a Campione di Sotto, nell’abbattimento dei fabbricati industriali al fine di ricavare una grande zona di servizi e parcheggi, mentre a Campione di Sopra veniva realizzato un autosilo di tre piani per circa 7.000 mq. di pianta; inoltre, gli edifici residenziali di proprietà della “Coopsette” venivano ristrutturati o sopraelevati, venendo inoltre costruite una struttura per la protezione e l’alaggio di imbarcazioni sportive, nonché il Sailing Village, complesso immobiliare con destinazione recettiva e attrezzature per lo svago.
Ora, secondo l’iniziale prospettiva accusatoria, sia il piano particolareggiato del 2005 che la variante approvata nel 2010 sono stati ritenuti illegittimi, per una pluralità di aspetti: 1) violazione del vincolo cimiteriale, essendo stata assentita la realizzazione di interventi di nuova costruzione nella zona di rispetto compresa nei 200 metri dal cimitero esistente; 2) violazione degli art. 28 della l. n. 1150 del 1942 e 46 della legge regionale n. 12 del 2005, nella misura in cui contenevano un errato calcolo degli standard urbanistici a vantaggio della “Coopsette”; 3) mancata sottoposizione della variante del 2010 alle procedure di Valutazione ambientale strategica (VAS) e alla valutazione di impatto ambientale (VIA); 4) non conformità al Piano territoriale di coordinamento provinciale della Provincia di Brescia con riferimento a due fasce di tutela paesistica; 5) non conformità al Piano territoriale di coordinamento provinciale del Parco regionale Alto Garda; 6) non conformità alla normativa in tema di tutela idrogeologica.
Sulla scorta di tali contestazioni, il G.I.P. presso il Tribunale di Brescia, con decreto del 27 giugno 2013, disponeva il sequestro preventivo di diversi immobili e strutture connesse, facenti parte del “Villaggio Campione del Garda”.
La vicenda cautelare subiva tuttavia alterne vicende, posto che la decisione del Tribunale del Riesame di Brescia, che aveva annullato il decreto del G.I.P. stante la ritenuta insussistenza del fumus del reato ipotizzato, veniva a sua volta annullata da questa Sezione della Corte di cassazione e, in sede di rinvio, il Tribunale del Riesame, con ordinanza del 13 maggio 2014, che resisteva al vaglio di legittimità (Sez. IV, n. 11631 del 19/02/2015), disponeva l’immediato ripristino del vincolo cautelare sui beni di proprietà delle società “Coopsette” e “Campione del Garda”, ritenendo sussistente, tra le varie violazioni contestate, solo quella concernente il mancato rispetto della normativa che impedisce, in caso di pericolo idrogeologico massimo, la realizzazione di ogni opera diversa da quelle di ristrutturazione e/o risanamento delle strutture esistenti o di demolizione delle stesse, vietando cioè l’edificazione di strutture edilizie nuove.
Tale impostazione veniva poi sostanzialmente recepita dai giudici di merito, i quali, esclusa la pertinenza delle ulteriori violazioni descritte nell’imputazione avente ad oggetto il reato di lottizzazione abusiva, hanno osservato che entrambi gli atti di pianificazione territoriale avevano programmato la trasformazione della fascia di territorio a ridosso della falesia di Campione del Garda in violazione del vincolo idrogeologico vigente, posto che già il piano particolareggiato del 2005 prevedeva la realizzazione del parcheggio multipiano e della Università della vela (edificio PR 11) a ridosso della zona coperta da inedificabilità assoluta, previsione questa che veniva ribadita anche nel 2010, allorquando veniva approvata la variante che riproponeva, con modifiche, la realizzazione dell’edificio PR11 a ridosso della falesia, senza che fosse intervenuta alcuna riperimetrazione.
Per completezza deve solo aggiungersi che, nelle more del procedimento penale, dopo la fissazione dell’udienza preliminare, ovvero in data 19 novembre 2014, si verificava in Campione sul Garda una frana che interessava una porzione rocciosa della falesia, che si staccava finendo ai piedi della montagna, interessando, tra le altre cose, una porzione del parcheggio multipiano.
Da ciò seguivano nell’immediatezza alcune ordinanze contingibili e urgenti del Sindaco di Tremosine di sgombero e interdizione al transito veicolare e pedonale di una porzione dell’abitato di Campione del Garda (tra cui gli edifici PR10 e PR11), ordinanze che venivano revocate, per quanto concerne i predetti edifici, con successiva ordinanza n. 60 del 17 dicembre 2015.
      2. Così ripercorsa in sintesi la vicenda per cui si procede, è possibile ora procedere alla disamina delle doglianze difensive, premettendosi al riguardo che quelle concernenti la configurabilità del reato sotto il profilo oggettivo possono essere affrontate unitariamente, perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili.
      3. Deve innanzitutto osservarsi che può ritenersi conclamata nel caso di specie la contrarietà del piano particolareggiato del 2005 e della successiva variante del 2010 alla normativa in materia di vincoli idrogeologici come richiamati dal Piano regolatore generale del 2003 all’epoca vigente nel Comune di Tremosine, Piano al quale era allegata la relazione geologica generale del 25 gennaio 2001 redatta dal geologo Michele Conti, che individuava un’ampia fascia del territorio della frazione di Campione del Garda, in particolare quella a ridosso della falesia, come a rischio idrogeologico massimo (classe 4 di fattibilità geologica), o appena inferiore al massimo (classe 3 di fattibilità geologica).
In quella zona non poteva dunque essere consentita qualsiasi nuova edificazione, potendosi eseguire solo opere tese al consolidamento o alla sistemazione idrogeologica per la messa in sicurezza dei siti e la mitigazione del rischio.
Nel corso degli anni, invero, sono stati sì compiuti vari interventi volti alla eliminazione o alla riduzione del rischio idrogeologico e pur tuttavia, in ordine alla zona a ridosso della falesia, non è intervenuta alcuna riperimetrazione dell’area, tanto è vero che lo studio idrogeologico redatto nel 2012 e recepito nel Piano regolatore dello stesso anno riportava la medesima perimetrazione delle aree in classe 3 e classe 4, con i limiti del P.R.G. del 2003, dovendosi rilevare anzi che, con delibera della Giunta Regionale del 30 novembre 2011, Campione del Garda è indicata ancora come area a rischio idrogeologico massimo.
Ciononostante, nei provvedimenti di pianificazione del 2005 e del 2010, sono stati previsti e poi realizzati interventi di forte impatto urbanistico, come l’autorimessa pubblica Park Nord, il Sailing Village e gli edifici PR10 e PR08.
Parimenti evidente è che gli interventi realizzati hanno integrato una vera e propria lottizzazione, essendo stata realizzata una trasformazione urbanistica di ampia parte del territorio, con il compimento di opere di urbanizzazione e di potenziamento di quelle esistenti, con la costruzione di un nuovo porto, di edifici a uso residenziale e commerciale e di un parcheggio pubblico multipiano, con ampliamento del lungolago e con demolizioni di edifici e vaste ristrutturazioni.
La contrarietà delle previsioni del piano particolareggiato e della variante alle prescrizioni ricollegabili all’esistenza del vincolo idrogeologico correttamente è stata ritenuta idonea a integrare la contravvenzione di lottizzazione abusiva che, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Rv. 220708), si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest’ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione.
Il reato di lottizzazione abusiva è dunque configurabile anche quando, come appunto avvenuto nella vicenda in esame, lo strumento urbanistico esiste ed è rispettato dai privati autori dell’intervento edilizio, ma è esso stesso in contrasto con norme di rango sovraordinato, posto che l’interesse protetto dalla legge non è soltanto quello di assicurare che la modifica del territorio avvenga sotto il controllo della Pubblica Amministrazione, ma è anche quello di garantire che tale sviluppo si verifichi in piena aderenza al programmato assetto urbanistico.
Nell’ottica di tale verifica, deve ritenersi senz’altro legittimo il sindacato dell’atto amministrativo da parte del giudice penale, anche rispetto al piano particolareggiato, che, rispetto al P.R.G., svolge una funzione integrativa più che meramente attuativa, finendo con il rappresentare esso stesso uno strumento urbanistico autonomo (Sez. 3, n. 4911 del 14/07/2016 dep. 2017, Rv. 269261), avendo la giurisprudenza amministrativa chiarito che si tratta di uno strumento di concreta e definita sistemazione della struttura presente e futura dell’agglomerato edilizio (ex multis Cons. Stato, Sez. 4, n. 407 del 01/04/1998).
Ora, circa i limiti del sindacato del giudice penale sull’atto amministrativo nei reati urbanistici, deve richiamarsi la condivisa affermazione della giurisprudenza di legittimità (Sez. Un., n. 11635 del 12/11/1993, Rv. 195359 e Sez. 3, n. 26144 del 22/04/2008, Rv. 240728), secondo cui il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dalla concessione edificatoria; dunque, anche nei casi in cui nella fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo, o l’autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, il giudice penale non deve limitarsi a verificare l’esistenza ontologica del provvedimento amministrativo, ma deve verificare l’integrazione o meno della fattispecie penale, in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela (cioè l’interesse alla tutela del territorio), nella quale gli elementi di natura extra-penale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo.
È infatti la stessa descrizione normativa del reato che impone al giudice penale un riscontro diretto di tutti gli elementi che concorrono a determinare la condotta criminosa, ivi compreso l’atto amministrativo, dovendosi precisare che, come ribadito da questa Corte (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Rv. 273218 e Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Rv. 234469), qualora il provvedimento amministrativo costituisce il presupposto dell’illecito penale, il giudice, accertando l’esistenza di profili di illegittimità sostanziale del titolo abilitativo, non pone in essere la procedura di disapplicazione riconducibile all’art. 5 della l. n. 2248 del 1865 n, allegato E, posto che viene operata un’identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all’oggetto della tutela, da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici.
Non può sottacersi peraltro che, nel caso di specie, il sindacato del piano particolareggiato e della variante ha riguardato non il contenuto politico delle scelte discrezionali della P.A., ma solo la parte concernente le specifiche violazioni del P.R.G. relative alle previsioni a tutela dell’equilibrio idrogeologico, per cui, avendo la valutazione giudiziaria riguardato un ambito prettamente tecnico, non può parlarsi di indebita ingerenza del giudice penale nella sfera d’azione riservata all’autonomia degli organismi politici e amministrativi.
3. Ciò posto, deve ora affrontarsi un tema sollevato da tutti i ricorrenti, i quali hanno obiettato che il reato di lottizzazione abusiva non sarebbe configurabile in caso di interventi realizzati in aree sottoposte a vincolo idrogeologico, in quanto l’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 richiama soltanto i vincoli storici, artistici, archeologici, paesaggistici e ambientali.
Orbene, la questione è stata già affrontata nella richiamata sentenza della Quarta Sezione di questa Corte n. 11631 del 19 febbraio 2015 resa nella fase cautelare, le cui argomentazioni risultano ritenersi pienamente condivisibili.
Deve ribadirsi infatti anche in questa sede che l’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001 si compone di due periodi, aventi ciascuno una diversa e autonoma portata precettiva: il primo prevede che si applica “l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 30.986 a 103.290 euro, nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dall’art. 30, comma 1”, mentre il secondo periodo estende la stessa pena anche alla distinta fattispecie integrata da “interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso”, ciò nell’implicito ma ovvio presupposto che si tratti di interventi edilizi diversi della lottizzazione abusiva, già di per sé soggetta, senza alcuna ulteriore specificazione, al predetto trattamento sanzionatorio in forza del primo periodo, dando luogo una diversa interpretazione a un’intrinseca e insanabile contraddizione tra la prima e la seconda parte della medesima disposizione.
Dunque, il fatto che il secondo periodo del citato art. 44 non faccia riferimento alla violazione del vincolo idrogeologico può solo significare che tale violazione rimane sottratta al trattamento sanzionatorio previsto dalla norma e alla confisca contemplata dal comma 2 del medesimo art. 44, solo se e in quanto costituisca effetto di interventi edilizi che, per la loro entità, non integrino una lottizzazione abusiva, ovvero si tratti di interventi circoscritti e comunque di dimensioni tali da non determinare una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni.
In caso contrario, ove cioè si configuri una lottizzazione abusiva, la ravvisata violazione di norme a tutela dell’equilibrio idrogeologico può essere sufficiente a giustificare la rilevanza penale del fatto, dovendosi considerare che in tal caso la norma di riferimento è l’art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, che individua i requisiti della lottizzazione abusiva, che può essere materiale o negoziale.
La prima si ha qualora, come avvenuto nel caso di specie, vengano iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione, mentre il secondo tipo di lottizzazione si verifica quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o l’eventuale previsione di opere di urbanizzazione e in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio.
Orbene, in nessuna delle predette ipotesi, la violazione del vincolo idrogeologico, che di per sé può essere indice della abusività della lottizzazione, si pone in senso ostativo alla configurabilità della fattispecie, assumendo rilievo la tipologia del vincolo imposto sull’area solo nell’ottica della diversa ipotesi di cui all’art. 44 lett. C) del d.P.R. n. 380 del 2001, in cui infatti non vi è alcun richiamo all’art. 30, ciò a ulteriore riprova della diversità strutturale tra le due previsioni criminose in esame, unificate soltanto ai fini della cornice edittale della pena.
In definitiva, mentre per gli interventi edilizi occasionali e inidonei a integrare una trasformazione urbanistica è importante verificare la natura del vincolo gravante sull’area, dovendosi escludere la rilevanza penale del fatto se le opere abusive ricadono in zona sottoposta solo a vincolo idrogeologico, nei diversi casi di lottizzazione abusiva, in cui venga modificato l’assetto del territorio in misura ben più significativa ed estesa, come avvenuto nella frazione di Campione sul Garda tra il 2005 e il 2013, il reato ex art. 44 lett. C), primo periodo, del d. P.R. n. 380 del 2001 può ritenersi integrato anche nel caso di interventi in violazione del vincolo idrogeologico, non essendovi alcuna preclusione normativa in tal senso, stante il combinato disposto degli art. 30 e 44 del medesimo decreto e non venendo in rilievo alcuna analogia in malam partem, essendo evidente che l’elencazione dei vincoli si riferisce solo alla fattispecie di cui al secondo periodo.   
A ciò deve solo aggiungersi che, contrariamente a quanto sostenuto dalle difese, la lottizzazione abusiva non è configurabile solo quando l’edificazione avvenga su “terreni nudi”, ovvero non precedentemente interessati da interventi edilizi, non essendo tale presupposto indicato nella norma definitoria di cui al citato art. 30 del d.P.R. n. 380 del 2001, norma che, in un’ottica di tutela sostanziale del territorio, pone l’accento non tanto sulle caratteristiche strutturali dell’area interessata, quanto piuttosto sul fatto che le opere intraprese siano tali da comportare la trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione.
Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 44946 del 25/01/2017, Rv. 271788), deve trattarsi di “interventi in grado di conferire all’area un diverso assetto territoriale, con conseguente necessità di predisporre nuove opere di urbanizzazione o di potenziare quelle già esistenti”, il che è avvenuto nella vicenda in esame attraverso la pluralità di opere che hanno trasformato in turistica la vocazione in origine industriale di Campione del Garda.
Di qui l’infondatezza delle censure difensive circa la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva contestato al capo A della rubrica.
     4. Anche nella disamina delle singole posizioni soggettive, l’apparato argomentativo delle sentenze di merito resiste alle obiezioni difensive.
Sul punto deve premettersi che, nel soffermarsi sul ruolo dei ricorrenti, i giudici di merito hanno correttamente applicato il principio, già espresso da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, Rv. 264718), secondo cui il reato di lottizzazione abusiva può essere integrato anche a titolo di colpa, per cui non occorre la prova di una compartecipazione dolosa, essendo consentito l’addebito della condotta illecita anche per in caso di negligenza, per cui, in quest’ottica, sono state legittimamente respinte le doglianze circa la mancata conoscenza di una materia tecnica come quella sull’esistenza del vincolo idrogeologico, avendo ciascun ricorrente l’onere di informarsi sulla tipologia dell’area interessata dagli interventi, alla cui realizzazione ognuno ha fattivamente contribuito a vario titolo, avendo peraltro tutti gli strumenti per conoscere le caratteristiche della zona.
Allo stesso modo, non appare affatto irragionevole la considerazione dei giudici di merito secondo cui il limitato arco temporale in cui ciascun imputato ha agito non è ostativa all’affermazione della loro responsabilità a titolo di concorso, venendo in rilievo una fattispecie che, pur consumandosi con il compimento dell’ultimo atto integrante la condotta illecita (Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Rv. 271330), ben può estrinsecarsi, come avvenuto nella vicenda in esame, nella realizzazione, anche in fasi temporali diverse, di una pluralità di iniziative, progettuali, organizzative o direttamente esecutive, ciascuna delle quali funzionale allo scopo di porre in essere l’illegittima trasformazione urbanistica.
Tanto premesso, deve ribadirsi che, nella verifica del ruolo dei singoli ricorrenti, l’analisi compiuta dai giudici di merito non presenta incoerenze argomentative.
     4.1. Quanto alla posizione di Briarava, Sindaco di Tremosine dal 2004 al 2009, è stato sottolineato come egli fosse in carica al momento dell’adozione del piano particolareggiato del 2005, avendo inoltre autorizzato nella sua veste molti degli interventi di trasformazione urbanistica, tra cui ad esempio l’autostilo.
All’imputato è riconducibile poi la decisione di lottizzare anche la zona vincolata contraddistinta da elevato rischio idrogeologico, essendo l’edificio PR11 già presente nel piano particolareggiato del 2005, anche se non definito nei dettagli.
La conoscenza da parte di Briarava dell’esistenza del vincolo idrogeologico è stata desunta, in maniera tutt’altro che illogica, da una pluralità di documenti, a partire dalla relazione accompagnatoria al piano particolareggiato e dalle richieste di riperimetrazione rivolte alla Regione nel 2008 e nel 2009, avendo inoltre l’imputato partecipato alla riunione del 19 luglio 2006 presso la Comunità Montana, in cui si era dibattuto anche del tema della inedificabilità delle aree.
La circostanza che il Sindaco Briarava non fosse in carica al momento della approvazione del variante del 2010 è stata ragionevolmente ritenuta non dirimente, posto che la scelta originaria del Comune del 2005 di cui il ricorrente fu protagonista ha comunque condizionato l’evoluzione successiva della vicenda.
      4.2. Quanto a Rubens Burani, è stata rimarcata la circostanza, non certo secondaria, secondo cui egli, quale procuratore speciale della “Coopsette”, ha firmato in data 17 marzo 2006 la convenzione urbanistica con il Comune di Tremosine che recepiva il piano particolareggiato del 2005, venendo consentito alla predetta cooperativa di edificare pur in presenza di un vincolo che era ben noto alle parti coinvolte, essendo del tutto eventuale la mitigazione del rischio idrogeologico, che infatti anche negli anni successivi non si è più concretizzata.
Del resto, tra soggetti privati e amministratori pubblici, rispetto alla modifica dell’assetto del territorio, si era creata negli anni un’interlocuzione non episodica, tale da escludere che la trasformazione urbanistica che ha interessato il territorio di Campione del Garda sia stata opera solo di una delle parti coinvolte.
      4.3. La commistione tra operatori pubblici e privata si è del resto palesata rispetto al ruolo dell’architetto Mauro Salvadori, il quale, oltre ad avere redatto il piano particolareggiato e la variante del 2010, è stato anche il professionista che si è occupato di seguire i progetti delle singole opere per conto della “Coopsette”, per cui nel suo caso il coinvolgimento nel reato appare ancor del tutto evidente, confermando un modus agendi che ha contraddistinto la dinamica dei rapporti intercorsi tra coloro che a vario titolo hanno contribuito alla lottizzazione.
      4.4. Quanto infine alla posizione di Vezzani, in maniera non illogica, è stata valorizzata dai giudici di merito la sua veste di amministratore, a partire dal 23 dicembre 2009, della società “Campione del Garda s.p.a.”, divenuta proprietaria delle aree il 30 novembre 2009, società per conto della quale il ricorrente veniva incaricato di procedere alla stipula di singoli atti di cessione di immobili già edificati, ovvero di portare a compimento gli adempimenti connessi al piano particolareggiato del 2005 e alla variante del 2010, avendo i testi Paternalini e Parodi confermato il ruolo attivo e non meramente formale dell’imputato, il quale peraltro, già dal 2008, era capo del settore sviluppo immobiliare della società.
La tesi della buona fede del ricorrente, secondo cui la riperimetrazione sarebbe stata frutto di una dialettica esclusiva tra Comune e Regione, è stata superata efficacemente nelle due conformi sentenze di merito (le cui motivazioni sono destinate a integrarsi reciprocamente), con il richiamo alla circostanza che le società “Coopsette” e “Campione del Garda” si erano fatte carico dell’esecuzione di varie opere di messa in sicurezza che non erano state portate a termine, per cui al sopravvenuto rilascio dei permessi di costruire da parte del Comune non poteva attribuirsi effetto scusante, stante il pregresso coinvolgimento dei soggetti privati nella realizzazione, poi mai completata, delle opere volte a contenere l’elevato rischio idrogeologico delle aree, per cui non può affermarsi che da parte di Vezzani fosse inesigibile la conoscenza della natura abusiva della lottizzazione, in considerazione del ruolo di primo piano rivestito in un momento storico in cui la trasformazione urbanistica del territorio era ancora in corso.  
In definitiva, deve ribadirsi che, in quanto fondata su una disamina puntuale delle fonti probatorie disponibili e sorretta da argomentazioni coerenti e logiche, l’attribuzione delle condotte illecite agli imputati non presenta vizi di legittimità.
       5. Residuano le censure sul trattamento sanzionatorio, suscettibili anch’esse di essere affrontate congiuntamente, perché tra loro sovrapponibili.  
       5.1. Iniziando dalle doglianze sul diniego delle attenuanti generiche, occorre premettere che, secondo il costante orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269), in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede  di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione.
È stato inoltre precisato (cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899) che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione.  
Orbene, in applicazione di tale premessa interpretativa, devono ritenersi non configurabili i vizi evocati, in termini invero non adeguatamente specifici, dalle difese di Briarava, Burani, Salvadori e Vezzani, avendo i giudici di merito rimarcato, per ciascuno di essi, l’assenza di concreti elementi meritevoli di positivo apprezzamento, non potendosi ritenere dirimenti in senso contrario né il loro status di incensurati, né la scelta di sottoporsi a interrogatorio, ciò a fronte di una vicenda di non trascurabile gravità, alla cui integrazione hanno contribuito tutti i ricorrenti, con ruoli e tempi diversi, ma ciascuno in maniera significativa.
Deve comunque escludersi che il trattamento sanzionatorio riservato agli imputati sia stato ispirato da eccessivo rigore, ove si consideri, da un lato, che tutti gli imputati hanno fruito dei doppi benefici di legge (sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna) e, dall’altro, che la pena detentiva irrogata dal Tribunale (anni 1 di arresto) è, sia pur di poco, inferiore alla media tra il minimo (5 giorni) e il massimo edittale (anni 2), mentre la pena pecuniaria applicata (euro 20.000 di ammenda) è addirittura inferiore alla misura minima di euro 30.986. Di qui l’infondatezza delle doglianze difensive.
      5.2. Parimenti infondate solo le doglianze relative alle statuizioni civili.
In proposito, deve osservarsi, quanto alle statuizioni in favore del Comune di Tremosine sul Garda, nei cui confronti è stata liquidata una provvisionale di euro 50.000, che la Corte territoriale ha richiamato, in maniera non irragionevole, il danno subito dall’Ente territoriale dal mancato rispetto della normativa a tutela della corretta pianificazione del territorio, oltre che il danno all’immagine scaturito dal sequestro delle opere, con inevitabili ripercussioni pure sul turismo.
Rispetto poi alle ulteriori statuizioni civili (a carico, oltre che dei ricorrenti, anche del Comune di Tremosine, in tal caso nella veste di responsabile civile) in favore dei privati Bonomelli e Chiappani e delle società “Campione Univela” e “Tremosine Univeva società sportiva”, la motivazione dei giudici di merito risulta parimenti immune da censure: ed invero, quanto alle parti civili Chiappani e Bonomelli, proprietari di un appartamento sito nell’edificio PR10 e di un posto auto sito nel parcheggio “Park Nord” e destinatari di una provvisionale quantificata in complessivi 10.000 euro, è stata sottolineata la circostanza che gli stessi si sono visti privati, dal sequestro preventivo del giugno 2013 alla revoca dell’ordinanza sindacale disposta nel gennaio 2015, dei predetti immobili, avendo i provvedimenti ascrivibili agli imputati riguardato degli immobili realizzati nella zona di inedificabilità di cui alla classe 4 sottoposta a vincolo idrogeologico.
Quanto alle società “Campione Univela” e “Tremosine Univeva società sportiva”, la prima proprietaria dell’immobile denominato “Sailing Village” (PR11), la seconda concessionaria di un’area demaniale con realizzazione di opere portuali, è stato sottolineato che le stesse non hanno potuto disporre fino al 17 dicembre 2015 degli immobili e delle aree di reciproca spettanza, in quanto, pur avendo impugnato le decisioni cautelari del Sindaco dinanzi al T.A.R., non hanno immediatamente ottenuto tutela, stante la necessità di verificare in concreto l’efficacia delle opere di messa in sicurezza, proprio perché gli immobili e le aree in questione si trovavano nella zona di elevata pericolosità geologica.
I danni subiti dalle due società, nelle forme del danno emergente e del lucro cessante, sono stati compiutamente esaminati nella relazione del dr. Alessandro Molinari, per cui nei due gradi di merito è ritenuta congrua in loro favore una provvisionale quantificata in euro 50.000 per ciascuna delle due società.
Ora, premesso che la liquidazione delle provvisionali non è contestata, deve solo precisarsi che le censure su eventuali profili di colpa concorrente delle parti civili, peraltro dedotti in questa sede in maniera non specifica, potranno essere fatti valere nella sede civile cui è stata demandata la determinazione degli importi finali, dovendosi unicamente aggiungere che ai ricorrenti non è stato addebitato, né poteva esserlo, l’evento franoso verificatosi a Campione del Garda nel novembre 2014, evento questo estraneo alle imputazioni, il cui richiamo non può che essere inteso nella misura in cui la frana a ridosso della falesia e le ordinanze contingibili e urgenti che ne sono seguite non hanno fatto altro che rendere palese e attuale l’esistenza dei rischi connessi con la programmazione e la realizzazione di interventi edilizi in una zona sottoposta a vincolo idrogeologico.
      5.3. In ordine alle residue censure sollevate più nello specifico nel ricorso del Comune di Tremosine, nella veste di responsabile civile, deve osservarsi che i giudici di merito hanno individuato il fondamento della responsabilità dell’ente territoriale nel fatto che i due Sindaci, Briarava e Ardigò, non hanno operato a proprio vantaggio, posto che la riqualificazione urbana di Campione del Garda è stata decisa e realizzata nell’esercizio nel mandato pubblico e in occasione della attività d’ufficio, non essendovi stata dunque alcuna interruzione del rapporto di immedesimazione organica, tanto più ove si consideri che, nel giudizio di primo grado, è stata esclusa la configurabilità del reato di abuso d’ufficio proprio in base al rilievo secondo cui, per tutti gli imputati, il perseguimento di un interesse pubblico, se pure attuato in violazione di legge, ha costituito l’obiettivo principale degli imputati e non un pretesto occasionale al fine di favorire illecitamente altri.
Di qui l’assoluzione degli imputati per difetto dell’elemento soggettivo del reato, il che si pone in coerenza con l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’agire dei pubblici funzionari non si è collocato al di fuori dell’adempimento delle funzioni pubbliche da parte degli imputati, che ha costituito l’occasione necessaria per il compimento di atti penalmente rilevanti, per cui deve ribadirsi che, come precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 32941 del 28/04/2010, Rv. 248392), l’amministrazione pubblica assume la veste di responsabile civile in relazione al fatto illecito del funzionario che abbia comportato l’adozione di un provvedimento amministrativo illegittimo, da cui sia derivato un danno a una situazione soggettiva tutelata dall’ordinamento, perché in capo all’amministrazione stessa si configura l’elemento della colpa per violazione delle regole di imparzialità, correttezza e di buona amministrazione.
Ne consegue che, anche rispetto alle statuizioni concernenti il responsabile civile e le parti civili, non sono ravvisabili nelle sentenze di merito profili di criticità.
      6. Ciò posto, deve tuttavia rilevarsi, stante comunque la non manifesta infondatezza delle doglianze proposte, che il residuo reato di lottizzazione abusiva, la cui data di consumazione è stato correttamente fatta coincidere dalla Corte territoriale con quella del decreto di sequestro che ha interrotto per tutti gli imputati la permanenza (13 giugno 2013), si è estinto per prescrizione in data 17 luglio 2018, dovendosi aggiungere al termine massimo di cinque anni il periodo di 34 giorni per l’unica sospensione verificatasi nel corso del processo.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente all’affermazione della penale responsabilità degli imputati in ordine al residuo reato di lottizzazione abusiva, perché estinto per prescrizione.
L’infondatezza delle doglianze difensive giustifica inoltre la conferma delle statuizioni civili, dovendo i ricorrenti e il responsabile civile, Comune di Tremosine sul Garda, essere condannati al pagamento, in solido tra loro, delle spese del grado sostenute dalle parti civili “Tremosine Univela Società Sportiva Dilettantistica” e “Campione Univela s.r.l.”, liquidate complessivamente in euro 4.200, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, nonché al pagamento delle spese del grado sostenute dalle parte civili Elena Bonomelli e Ermes Chiappani, liquidate in euro 4.200, oltre spese generali al 15% e accessori.
Briarava, Burani, Salvadori e Vezzani devono essere inoltre condannati al pagamento, in solido tra loro, delle spese del grado sostenute dal Comune di Tremosine sul Garda, questa volta nella veste processuale di parte civile, liquidate in euro 3.500, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Infine, stante la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, affermata nei gradi di merito e ribadita in sede di legittimità, deve essere confermata anche la statuizione sulla confisca, in assenza peraltro di formali censure al riguardo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’affermazione della penale responsabilità degli imputati in ordine al residuo reato di lottizzazione abusiva, perché estinto per prescrizione.
Rigetta nel resto i ricorsi e conferma la statuizione sulla confisca e le statuizioni civili. Condanni i ricorrenti e il responsabile civile, Comune di Tremosine sul Garda, al pagamento, in solido tra loro, delle spese del grado sostenute dalle parti civili Tremosine Univela Società Sportiva Dilettantistica e Campione Univela s.r.l., liquidate complessivamente in euro 4.200, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, nonché al pagamento delle spese del grado sostenute dalle parte civili Bonomelli Elena e Chiappani Ermes, liquidate in complessivi euro 4.200, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Condanna altresì i ricorrenti al pagamento, in solido tra loro, delle spese del grado sostenute dalla parte civile, Comune di Tremosine sul Garda, liquidate in euro 3.500, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Così deciso il 02/10/2019