 Cass. Sez. III n. 7608 del 25 febbraio 2010 (Ud. 17 nov. 2009)
Cass. Sez. III n. 7608 del 25 febbraio 2010 (Ud. 17 nov. 2009) 
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Ammendola e altri
Urbanistica. Zone boscate già incendiate
In tema di abusi edilizi, il divieto di edificazione sui terreni già percorsi dal fuoco non è limitato alle sole aree individuate dal relativo censimento comunale ma riguarda tutte le aree effettivamente interessate da incendio, rientrando nell'attività ricognitiva del giudice l'individuazione delle stesse.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. LUPO    Ernesto            - Presidente  - del 17/11/2009
 Dott. GENTILE Mario              - Consigliere - SENTENZA
 Dott. FIALE   Aldo          - rel. Consigliere - N. 2028
 Dott. MARMO   Margherita         - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. MULLIRI Guicla Immacolata  - Consigliere - N. 23122/2009
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) AMMENDOLA ANTONIO FRANCESCO N. IL 22/09/1947;
 2) PLATI GIANFRANCO N. IL 28/07/1956;
 3) DE NICOLÒ ANTONIO N. IL 28/05/1959;
 avverso la sentenza n. 193/2008 CORTE APPELLO di POTENZA, del  			13/03/2009;
 visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
 udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/11/2009 la relazione fatta dal  			Consigliere Dott. ALDO FIALE;
 Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DI POPOLO Angelo,  			che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata: senza  			rinvio, quanto al capo A), per intervenuta prescrizione; con rinvio  			quanto al capo B);
 Uditi i difensori avv.ti Coppi Franco, Colagrande Roberto, sostituto  			processuale dell'avv. Scoca Gaetano, i quali hanno concluso chiedendo   			l'accoglimento del ricorso.
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 La Corte di appello di Potenza, con sentenza del 13.3.2009,  			confermava la sentenza 30.11.2007 del Tribunale di Matera - Sezione  			distaccata di Pisticci, che aveva affermato la responsabilità penale  			di:
 Ammendola Antonio Francesco e De Nicolò Antonio in ordine al  			reato di cui:
 L. 21 novembre 2000, n. 353, art. 10, comma 4, (perché -  			l'Ammendola quale rappresentante legale della società committente  			s.r.l. "Nettis Resort" nonché amministratore unico della società  			esecutrice dei lavori s.r.l. "Net Con" e il De Nicolò quale  			direttore dei lavori - realizzavano un porto turistico denominato  			"Porto degli Argonauti", in località Lido di Macchia del Comune  			di Pisticci, come da progetto approvato con accordo di programma  			stipulato il 10.3.2004, approvato con D.P.G.R. Basilicata 17 marzo  			2004, n. 74 e ratificato con Delib. Consiglio comunale Pisticci 25  			marzo 2004, n. 9 in violazione dei divieti di cui alla L. n. 353 del  			2000, art. 10, comma 1, in quanto l'opera ricadeva parzialmente su  			area boscata, ubicata in destra idrografica del fiume Basento  			devastata da un incendio nell'agosto 1998 - acc. fino all'1.10.2004);
 Ammendola Antonio Francesco e Plati Gianfranco in ordine al reato  			di cui:
 all'art. 483 c.p. (perché l'Ammendola - quale rappresentante  			legale della s.r.l. "Nettis Resort" - determinava il Plati a  			redigere una perizia giurata nella quale scientemente effettuava una  			perimetrazione delle aree già percorse dal fuoco nell'agosto 1998  			non corrispondente alla realtà- in Pisticci, il 7.2.2002) e,  			riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato:
 Ammendola alla pena di mesi tre di reclusione;
 Plati alla pena di mesi due di reclusione;
 De Nicolò alla pena di mesi due di arresto ed Euro 24.000,00 di  			ammenda, concedendo a tutti il beneficio della sospensione  			condizionale, applicando altresì l'indulto nei limiti di legge ed  			ordinando la demolizione delle opere edilizie realizzate e la  			remissione in pristino dello stato dei luoghi, entro il termine di  			due mesi dalla formazione del giudicato.
 Avverso tale sentenza hanno proposto unico e comune ricorso i  			difensori degli imputati, i quali - sotto i profili della violazione  			di legge e del vizio della motivazione - hanno eccepito che:
 1. Non sarebbe concretamente applicabile, nella specie, la L. n. 353  			de 2000, art. 10 (che avrebbe natura di norma penale in bianco),  			perché il terreno in questione non era stato previamente perimetrato  			ed inserito nel "catasto incendi".
 La corretta applicazione di detta norma presupporrebbe, invece, il  			necessario esperimento delle procedure di individuazione e  			perimetrazione previste dal comma 2, alle quali dovrebbe riconoscersi   			efficacia costitutiva e non soltanto dichiarativa.  			In mancanza di dette procedure, infatti, potrebbe profilarsi vizio di   			costituzionalità (in relazione all'art. 25 Cost., comma 2) per  			violazione del principio di determinatezza e tassatività delle norme  			penali.
 2. A fronte della carenza di una perimetrazione ufficiale delle aree  			percorse dal fuoco il 6 ed il 7 agosto 1998, neppure potrebbe  			configurarsi il ritenuto delitto di falsità ideologica del privato.  			Nessun effetto determinante potrebbe riconoscersi, in proposito, agli   			accertamenti postumi operati dalla polizia giudiziaria, tenuto anche  			conto che i verbali all'epoca redatti dalla Guardia Forestale e dai  			Vigili del Fuoco presenterebbero numerose e significative  			incongruenze reciproche, oltre a porsi in contrasto con le  			dichiarazioni rese in dibattimento dal teste Corallo Gaetano,  			ruspista che prestò la propria attività in occasione dello  			spegnimento dell'incendio.
 3. Gli interventi edilizi connessi alla realizzazione del porto erano   			già previsti negli strumenti urbanistici comunali vigenti alla data  			dell'incendio PRG approvato il 27.2.2004 - Variante parziale  			approvata il 3.4.1985 (annullata, però, dal TAR Basilicata con  			sentenza pubblicata il 25.7.1997) - Variante generale approvata il  			9.7.1990.
 4. Tutte le opere eseguite sarebbero state, comunque, esplicitamente  			autorizzate con la L.R. Basilicata 2 marzo 2004, n. 6 e detta  			autorizzazione legislativa renderebbe configurabile, in ogni caso, la   			scriminante dell'esercizio di un diritto, ex art. 51 c.p..  			5. Non potrebbe ravvisarsi, in punto di fatto, la contravvenzione di  			cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10 (per la quale la legge non  			consente la configurabilità del tentativo), perché, al momento  			dell'intervenuto sequestro, le opere non erano ancora "iniziate",  			essendo state eseguite soltanto "attività meramente preparatorie".  			6. Mancherebbe qualsiasi profilo di responsabilità nel comportamento  			tenuto dal De Nicolò, poiché quegli, come "direttore dei lavori",  			era privo di qualsiasi potere di verifica circa l'iter amministrativo   			seguito anteriormente al rilascio dell'autorizzazione.  			7. Incongruamente sarebbe stato denegato agli imputati il beneficio  			della non-menzione della condanna.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
 1. I giudici del merito hanno ritenuto provato, con assoluta  			certezza, il fatto che parte dell'area interessata dai lavori per la  			realizzazione del porto turistico in questione risultava percorsa da  			un incendio verificatosi tra il 6 ed il 7 agosto 1998.
 I procedimenti amministrativi ed i provvedimenti autorizzativi di  			detta infrastruttura risultavano inficiati dal deposito di una falsa  			perizia giurata, redatta dal Plati, nella quale veniva attestato  			che il progettato insediamento portuale non interessava le aree  			attraversate da quell'incendio, sicché non operavano i divieti posti  			dalla L. n. 353 del 2000.
 2. A fronte di tali conclusioni - a giudizio del Collegio - le  			doglianze svolte nel ricorso devono ritenersi infondate.  			3. La tutela delle zone boscate e dei pascoli i cui soprassuoli siano   			stati percorsi dal fuoco - al fine di contrastare il diffuso fenomeno   			della speculazione edilizia su terreni boschivi proprio a tale scopo  			bruciati - è stata inizialmente affidata all'applicazione delle  			misure di cui alla L. 1 marzo 1975, n. 47, art. 9, comma 4, ove  			veniva stabilito l'obbligo delle Regioni di predisporre piani per la  			difesa e conservazione del patrimonio boschivo, disponendosi altresì  			che:
 "Nelle zone boscate comprese nei piani di cui all'art. 1 della  			presente legge, i cui soprassuoli boschivi siano stati distrutti o  			danneggiati dal fuoco, è vietato l'insediamento di costruzioni di  			qualsiasi tipo.
 Tali zone non possono comunque avere una destinazione urbanistica  			diversa da quella in atto prima dell'incendio".
 Visto, però, il ritardo nella predisposizione dei piani anzidetti,  			il D.L. n. 332 del 1993 (convertito nella L. n. 428 del 1993) aveva  			stabilito che il vincolo di inedificabilità dovesse operare in tutte  			le zone boschive distrutte o danneggiate dal fuoco, anche al di fuori   			dei piani o nelle more della redazione di essi.
 I sindaci dovevano inviare ogni anno al Ministero dell'ambiente una  			planimetria, in adeguata scala, del territorio comunale percorso dal  			fuoco; in tale territorio non erano consentite destinazioni d'uso  			diverse da quelle in atto prima dell'incendio per almeno dieci anni.  			È poi intervenuta la L. 21 novembre 2000, n. 353 "Legge quadro in  			materia di incendi boschivi" le cui disposizioni rappresentano  			principi fondamentali dell'ordinamento ai sensi dell'art. 117 Cost.  			che, nel sancire la persistente efficacia dei piani antincendi  			boschivi già approvati dalle Regioni (art. 3, comma 5), ha previsto  			(art. 10, 1 comma):
 "Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi  			dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella  			preesistente all'incendio per almeno quindici anni. È comunque  			consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie alla  			salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente.  			In tutti gli atti di compravendita di aree e di immobili situati  			nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi  			previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il  			vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto.  			È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la  			realizzazione di edifici nonché di strutture ed infrastrutture  			finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti  			salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già  			rilasciata, in data precedente l'incendio e sulla base degli  			strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione   			o concessione".
 Tale ultima disposizione - nella formulazione successivamente  			introdotta dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria  			2004), art. 4, comma 173, - risulta attualmente così strutturata:
 "Le zone boscate ed i pascoli i cui soprassuoli siano stati percorsi  			dal fuoco non possono avere una destinazione diversa da quella  			preesistente all'incendio per almeno quindici anni.  			È comunque consentita la costruzione di opere pubbliche necessarie  			alla salvaguardia della pubblica incolumità e dell'ambiente.  			In tutti gli atti di compravendita di aree e di immobili situati  			nelle predette zone, stipulati entro quindici anni dagli eventi  			previsti dal presente comma, deve essere espressamente richiamato il  			vincolo di cui al primo periodo, pena la nullità dell'atto.  			Nei comuni sprovvisti di piano regolatore è vietata per dieci anni  			ogni edificazione su area boscata percorsa dal fuoco.  			È inoltre vietata per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la  			realizzazione di edifici nonché di strutture ed infrastrutture  			finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti  			salvi i casi in cui detta realizzazione sia stata prevista in data  			precedente l'incendio dagli strumenti urbanistici vigenti a tale  			data".
 3.1 La normativa posta dalla L. n. 353 del 2000 e successive  			modificazioni, dunque, sotto il profilo urbanistico:
 conforma il potere di pianificazione, stabilendo l'impossibilità di  			imprimere alle zone interessate una destinazione diversa da quella  			preesistente;
 delinea in maniera più specifica la portata del vincolo di  			inedificazione, prevedendo la salvezza di interventi anteriormente  			previsti e conformi alle prescrizioni di piano vigenti all'epoca  			della loro localizzazione.
 La necessità di fissare un'ampia disciplina di previsione e  			prevenzione del rischio di incendi boschivi si pone poi a fondamento  			della prevista redazione del "piano regionale per la programmazione  			delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli  			incendi boschivi" (il cui contenuto è dettagliatamente descritto  			dalla L. n. 353 del 2000, art. 3), restando ferma, in caso di  			inadempienza delle Regioni, la competenza ministeriale a predisporre  			"anche a livello interprovinciale le attività di emergenza per lo  			spegnimento degli incendi boschivi".
 In attuazione della finalità preventiva di detto piano regionale  			vengono previste, inoltre, la individuazione delle aree e dei periodi   			a rischio di incendio boschivo e la determinazione degli indici di  			pericolosità.
 A tale attività di prevenzione si connette la norma (L. n. 353 del  			2000, art. 10, comma 2) in base alla quale il Comune, entro novanta  			giorni dall'approvazione del piano, deve censire con apposito catasto   			i soprassuoli già percorsi dal fuoco nell'ultimo quinquennio e  			formare elenchi, provvisori (sui quali possono formulare osservazioni   			i privati interessati) e definitivi, suscettivi di revisione "con  			cancellazione delle prescrizioni relative ai divieti".  			Il Comune effettua, in tal modo, una mera attività di ricognizione;
 mentre deve ritenersi rimessa al giudice amministrativo ogni  			controversia sull'esattezza dell'individuazione e spetta comunque al  			giudice penale la verificazione degli elementi la condotta del reato  			di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10, comma 4.
 L'interpretazione coordinata e finalisticamente orientata delle  			citate disposizioni porta conseguentemente a concludere che  			l'operatività del vincolo di inedificazione, spazialmente limitata  			alle aree interessate dall'incendio, non risulta subordinata alla  			previa approvazione del piano regionale o all'attività di censimento  			riferibile al Comune, deponendo in tale senso anche l'ovvia  			considerazione per la quale ogni inadempienza amministrativa sul  			punto implicherebbe la vanificazione del presupposto fine di tutela.  			La conseguenza di tale ricostruzione comporta che, ove manchi il  			richiesto censimento, il Comune deve verificare per ciascuna domanda  			di intervento edilizio, l'esistenza o meno della circostanza che può  			impedire l'assentimento.
 È vero che, in tal modo, l'interessato non può presentare le  			osservazioni previste in sede di censimento, delle quali si è detto  			dianzi; egli, però, può comunque fare valere le proprie ragioni,  			dovendo essere coinvolto, ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241,  			art. 10 bis nella procedura di delibazione dell'istanza.  			In tal senso è orientata la giurisprudenza amministrativa vedi TAR  			Liguria, Sez. 1^, 21.2.2003, n. 225; TAR Lazio-Latina, 29.3.2006, n.  			210 e lo stesso Consiglio di Stato Sez. 4^, 1,7.2005, n. 3674 ha  			rilevato, in proposito, che "sarebbe incoerente rispetto alla ratio  			della norma, ai principi generali dell'ordinamento ed al corretto  			perseguimento degli interessi pubblici connessi e desumibili altresì  			dalla medesima L. n. 353, art. 1 ritenere che l'operatività dei  			divieti e, più in generale delle prescrizioni fondamentali della  			norma, oltretutto caratterizzati dalla sanzione penale in caso di  			violazione, possa essere subordinata all'effettivo adempimento di  			un'attività amministrativa di mera certificazione ed elencazione, e  			perciò di carattere dichiarativo e non costitutivo".  			Anche questa Corte Suprema, del resto, già si è pronunciata nel  			senso della "immediata operatività del divieto di edificazione",  			evidenziando che "la mancata attuazione della ricognizione e della  			stesura dell'apposito catasto non può essere confusa con la mancata  			realizzazione di una condizione sospensiva dell'efficacia della  			legge, poiché non è pensabile, senza contraddire con la lettera ed  			il fine della norma, che la sua attuazione sia affidata alla solerzia   			di qualche funzionario" così Cass., Sez. 5^, 27.6.2003, n. 27799,  			Cavani.
 3.2 La condotta del reato di cui alla L. n. 353 del 2000, art. 10,  			comma 4, consiste nel realizzare, "su soprassuoli percorsi dal  			fuoco", edifici o strutture ed infrastrutture finalizzati ad  			insediamenti civili ed attività produttive e la "ratio" della  			previsione è quella di impedire ogni utilizzo dei terreni percorsi  			dal fuoco (che costituisce, assai spesso, il movente degli  			incendiari).
 La norma non si riferisce ai soli terreni censiti - posizione  			restrittiva definitivamente abbandonata, come si è detto, già con  			il D.L. n. 332 del 1993 - e, conseguentemente, devono ritenersi  			assoggettati a sanzione tutti i comportamenti miranti a realizzare  			l'edificazione nelle aree percorse dal fuoco attraverso  			l'approntamento delle strutture ed infrastrutture a ciò necessaria.  			La individuazione di tali aree, ai fini dell'applicazione della  			sanzione penale, spetta all'attività ricognitiva del giudice e ciò  			non comporta violazione del principio di tassatività o di  			determinatezza, poiché tale principio non impone l'assenza, nella  			formulazione della fattispecie, di elementi, valutativi o normativi,  			elastici (aperti cioè a possibili soluzioni dipendenti  			dall'apprezzamento del giudice), ma postula una incompatibilità  			logica con elementi vaghi, e ciò si verifica quando i parametri  			definitori siano non individuabili o di contenuto indeterminabile,  			tanto da comportare la indeterminatezza del precetto già a livello  			generale ed astratto, precludendo di stabilire a priori ciò che è  			comandato o vietato.
 Nella fattispecie descrittiva in esame, considerata nel complesso dei   			suoi segni linguistici:
 non si configura - contrariamente a quanto postulato dalla difesa -  			un'ipotesi di norma penale in bianco, perché il precetto non ha  			carattere generico, esaurentesi in una mera enunciazione di "obbligo  			di ubbidienza" senza indicare le "condotte disubbidienti", e non ha  			bisogno, per concretizzarsi e divenire attuale, di essere integrato  			dal contenuto di atti normativi di grado inferiore;
 sicuramente è dato rinvenire, inoltre, il grado di determinatezza  			necessario e sufficiente a consentire al giudice di individuare, una  			volta compiuta l'attività interpretativa a lui demandata, il tipo di  			fatto predeterminato nella sua unità di disvalore.
 Non si configura, pertanto, alcun profilo di incostituzionalità  			(riconducibile al precetto posto dall'art. 25 Cost., dalla cui ratio  			viene desunto il principio di tassatività), in quanto  			all'apprezzamento del giudice viene demandato soltanto un atto di  			interpretazione e di accertamento fattuale in riferimento a parametri   			descrittivi tutt'altro che equivoci.
 3.3 Le esposte considerazioni evidenziano l'infondatezza dei motivi  			di ricorso con i quali i ricorrenti lamentano la inconfigurabilità  			dei reati ad essi ascritti in ragione del mancato esperimento delle  			procedure di individuazione e perimetrazione previste dalla L. n. 353   			del 2000, comma 2.
 Quanto poi all'accertamento operato dfti giudici del merito in ordine   			alla delimitazione dell'ambito territoriale effettivamente percorso  			dell'incendio ed al parziale sconfinamento in tale ambito della  			struttura portuale fondantesi: su aerofotogrammetria del AIMA del  			1997; su riprese fotografiche aeree del 23.9.1998; sulla  			comunicazione di notizia di reato 6.8.1998 della Guardia forestale di   			Scanzano Jonico; sulla documentazione fotografica del gennaio 2005,  			realizzata su delega del P.M. dal Nucleo investigativo antincendi  			boschivi; nonché sulla non illogica valutazione anche delle  			dichiarazioni rese dal teste Gaetano Corallo, va rilevato che le  			censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli  			passaggi della ricostruzione fattuale dell'episodio non sono  			proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura  			razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico  			e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi  			offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a  			sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una  			diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito  			della sentenza impugnata.
 4. Si è già detto che, con la legge n. 350/2003, è stato
 modificato della Legge-quadro n. 353 del 2000, art. 10, comma 1,  			quarto periodo, introducendosi una previsione di esclusione del  			divieto decennale di inedificabilità (per la realizzazione di  			edifici nonché di strutture ed infrastnitture finalizzate ad  			insediamenti civili ed attività produttive) nei casi in cui detta  			realizzazione sia stata prevista in data precedente l'incendio dagli  			strumenti urbanistici vigenti a tale data.
 Nel testo precedente alla modifica, invece, erano fatti salvi i casi  			in cui fosse "stata già rilasciata, in data precedente l'incendio e  			sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la  			relativa autorizzazione o concessione".
 Il nuovo sistema, dunque, è meno rigoroso: non si richiede, infatti,  			il pregresso rilascio di un titolo abilitativo, a seguito del  			connesso vaglio istruttorio; ritenendosi sufficiente la previsione  			dell'intervento negli strumenti urbanistici vigenti anteriormente  			all'incendio.
 4.1 Nella vicenda che ci occupa la pianificazione vigente nel Comune  			di Pisticci all'epoca dell'esperimento della procedura amministrativa   			per cui si procede risulta integrata da:
 piano regolatore generale approvato il 27.2.1974;
 variante parziale "Piano dei Lidi", adottata il 14.10.1982 e  			definitivamente approvata dalla Regione con Delib. 3 aprile 1985,  			pubblicata sul Bur del 16.6.1985;
 variante generale del PRG, adottata il 12.12.1984 e definitivamente  			approvata dalla Regione con Delib. 9 luglio 1990.
 La variante parziale "Piano dei Lidi" è stata annullata dal TAR  			Basilicata con sentenza pubblicata il 25.7.1997 (per ritenuto difetto   			di istruttoria) e, secondo la Corte di appello di Potenza, quella  			decisione - stante il ravvisato rapporto di identità tra il  			contenuto amministrativo della variante speciale e quello della  			variante generale - avrebbe implicato l'automatica caducazione anche  			degli atti della procedura amministrativa inerente la variante  			generale al PRG.
 Secondo la prospettazione difensiva, invece, il procedimento inciso  			dalla sentenza del TAR "non si pone in nessun rapporto di  			presupposizione con l'altro (diverso ed altrettanto autonomo)  			procedimento della variante generale".
 Erroneamente, pertanto, gli effetti dell'annullamento della variante  			parziale sarebbero stati ritenuti estesi anche alla variante  			generale, sulla considerazione (altrettanto erronea) che la prima  			dovesse configurarsi quale "atto presupposto" e la seconda quale  			"atto consequenziale".
 Tale valutazione non sarebbe corretta, non potendosi ravvisare tra i  			due atti "un collegamento così stretto, nel contenuto e nel modo di  			operare, da far ritenere che quello successivo sia in uno stretto  			rapporto di derivazione dal precedente".
 La variante generale approvata nel 1990 già destinava a porto l'area  			interessata dal progetto ed il successivo accordo di programma  			(approvato con D.P.G.R. Basilicata 17 marzo 2004, n. 74 e ratificato  			con Delib. Consiglio Comunale Pisticci 25 marzo 2004, n. 9) "non ha  			impresso una diversa destinazione all'area in questione ma ha inciso  			soltanto su alcuni parametri di ordine planimetrico e volumetrico in  			relazione all'intervento già previsto a livello di pianificazione  			generale dal relativo strumento urbanistico".
 Da ciò - sempre secondo l'assunto difensivo - l'applicabilità del  			"regime eccettuato" previsto dalla Legge-quadro n. 353 del 2000, art.   			10, comma 1, quarto periodo.
 4.2 A giudizio del Collegio, però, è irrilevante discettare, nella  			vicenda che ci occupa, circa l'estensione degli effetti giuridici  			della decisione giurisdizionale di annullamento della variante  			speciale.
 Quale che sia l'ambito di efficacia attribuibile a detto  			annullamento, infatti, la questione afferente l'esclusione del  			divieto decennale di inedificabilità va affrontata e risolta tenendo  			presente che la L. n. 353 del 2000, art. 10 - allorquando fa richiamo   			alla previsione della realizzazione delle infrastrutture, in data  			precedente l'incendio, dagli strumenti urbanistici vigenti - non si  			riferisce ad una previsione di zona, bensì ad una localizzazione di  			area.
 Nella specie non risulta che nella variante generale del 1990 fossero   			stati specificamente individuati i confini planimetrici dell'area in  			cui è stato poi progettato l'insediamento del porto e tanto deve  			anzi escludersi per la ritenuta necessità di addivenire  			successivamente ad un accordo di programma in variante, che, pur non  			modificando la destinazione di zona, ha inciso comunque sulla  			localizzazione dell'intervento, cioè proprio sui quei "parametri di  			ordine planimetrico" evocati dagli stessi ricorrenti nell'atto di  			gravame.
 5. Viene poi prospettata nel ricorso la configurabilità, in ogni  			caso, della scriminante dell'esercizio di un diritto, ex art. 51  			c.p., sull'assunto che tutte le opere eseguite sarebbero state,  			comunque, esplicitamente autorizzate con la L.R. Basilicata 2 marzo  			2004, n. 6.
 Anche questa doglianza deve ritenersi infondata, poiché la citata  			legge regionale ha proceduto all'approvazione di una "Variante al  			Piano territoriale paesistico di area vasta del Metapontina", per la  			localizzazione di porti turistici sulla costa jonica, ma, nelle  			"Carte delle trasformabilità" ad essa allegate, non risulta avere  			individuato i confini dell'area in cui si sarebbe dovuto insediare il   			"Porto degli Argonauti", in località Lido di Macchia del Comune di  			Pisticci.
 6. Il reato contravvenzionale ascritto ad Ammendola e De Nicolò  			è estinto, però, per intervenuta prescrizione.
 Detta contravvenzione risulta accertata "fino all'1.10.2004" e la  			scadenza della prescrizione coinciderebbe, pertanto, con l'1.4.2009.  			Nessun effetto concreto si riconnette al computo (secondo quanto  			stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza 11.1.2002, n. 1021,  			ric. Cremonese) di una sospensione del corso della prescrizione per  			complessivi mesi 3 e giorni 14, in seguito a rinvii disposti su  			richiesta dell'imputato e del difensore dal 21.9.2006 al 2.11.2006 e  			dal 21.11.2008 al 22.1.2009 non per esigenze di acquisizione della  			prova ne' a causa del riconoscimento di termini a difesa.  			Il termine ultimo di prescrizione, infatti, viene soltanto spostato  			al 15.7.2009.
 Deve essere conseguentemente eliminata, per il ricorrente  			Ammendola, la relativa pena di mesi uno di reclusione (mentre la  			pena inflitta al De Nicolò resta totalmente elisa in seguito alla  			declaratoria di estinzione dell'unico reato a lui contestato).  			6.1 L'estinzione per prescrizione del reato di cui alla L. n. 353 del   			2000, art. 10, comma 4, punito con le sanzioni di cui al D.P.R. n.  			380 del 2001, art. 44, lett. c), travolge l'ordine di demolizione  			delle opere illecite e di ripristino dello stato dei luoghi a spese  			del responsabile, impartito ai sensi dell'ultimo periodo dello stesso   			comma 4, fermi restando gli autonomi poteri-doveri delle autorità  			amministrative.
 Deve ritenersi che tale effetto rescindente si produca "ex legè",  			indipendentemente da un'espressa statuizione di revoca, tenuto conto  			che la norma conferisce al giudice penale soltanto il potere-dovere  			di impartire un ordine accessivo alla condanna, a tutela di un  			interesse correlato a quello di giustizia: il comando è già  			contenuto in astratto nella legge ed il giudice lo ribadisce nel caso   			concreto con l'effetto di semplificare l'accertamento; quando viene  			meno lo stesso presupposto della previsione legislativa (cioè la  			condanna) viene meno anche il comando.
 Nella fattispecie in esame, pertanto, la caducazione dell'ordine di  			demolizione e ripristino deve ritenersi conseguente alla pronuncia di   			estinzione del reato.
 7. La concessione del beneficio della non- menzione della condanna  			nel certificato del casellario giudiziale è rimessa  			all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e deve essere  			subordinata ad una valutazione positiva o negativa delle circostanze  			di cui all'art. 133 c.p., ma il giudice non è tenuto ad una  			specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della sua decisione   			sul punto.
 Nella fattispecie in esame, dunque, legittimo appare il diniego del  			beneficio con motivazione adeguatamente riferita alla considerazione  			che gli imputati hanno "callidamente inficiato l'intero iter  			amministrativo con la produzione di un atto del quale è stata  			dichiarata la falsità, al fine di realizzare una significativa  			trasformazione urbanistica".
 8. Al rigetto integrale del ricorso del Piati segue per quel  			ricorrente, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del  			procedimento.
 P.Q.M.
 la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615, 616 e 620  			c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata - limitatamente al   			capo a) dell'imputazione contestato ad Ammendola e De Nicolò -  			per essere il reato estinto per prescrizione ed elimina, per  			Ammendola, la relativa pena di mesi uno di reclusione.  			Rigetta il ricorso nel resto Plati Gianfranco al pagamento delle  			spese processuali.
 Così deciso in Roma, il 17 novembre 2009.
 Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010
 
                    




