TAR Lombardia (MI), Sez. II, n. 2070, del 9 agosto 2013
Urbanistica.Paesaggio e urbanistica

Mentre l’urbanistica sovrintende al razionale sfruttamento antropico del territorio e trova nella disciplina edilizia la sua concreta attuazione, il paesaggio attiene, invece, alla preservazione di valori estetici, storici e culturali, i quali sono difesi con la previsione di vincoli conformativi, diretti ed indiretti, che ne limitano in concreto le possibilità di intervento, normalmente ammesse su altri beni non rilevanti per questi profili. Ciò spiega perché non è possibile estendere automaticamente la disciplina urbanistico-edilizia ai bene paesaggistici, ossia a beni particolari ad "uso controllato".
La strutturale e funzionale separazione degli interessi pubblici coinvolti giustifica, poi, a livello sistematico, la diversità della stessa disciplina ordinaria in tema di autorizzazione paesaggistica, che l'art. 146, comma 4, d.lgs. 42/2004 configura come atto "autonomo" e "presupposto" rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Questi ultimi, quindi, non possono essere rilasciati in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi edilizi effettuati senza titolo, salvi i casi richiamati dall’art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. 42/2004. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02070/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00088/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 88 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
- Yucatan Prima Snc e arch. Piero Baracchi, rappresentati e difesi dagli avv. Claudio Sala, Maria Sala e Claudia Borroni, con domicilio eletto presso Claudio Sala in Milano, via Hoepli, 3;

contro

- Comune di Milano, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Rita Surano e Antonello Mandarano, elettivamente domiciliato in Milano, via P. Andreani, 10;

per l'annullamento

> quanto al ricorso introduttivo:

- del provvedimento del Comune di Milano datato 14.10.2011, di comunicazione dell’inefficacia della denuncia di inizio attività (dia) presentata in data 24/09/2009 e di avvio del procedimento per l’applicazione delle corrispondenti sanzioni, nonché, di comunicazione dell’avvio del procedimento volto all’annullamento del titolo abilitativo formatosi a seguito delle dia presentate rispettivamente il 07/05/2008 e il 07/06/2008, e contestuale ordine di sospensione dei lavori iniziati in seguito alla presentazione delle predette dia;

e per la condanna del Comune di Milano al risarcimento dei danni tutti subiti e subendi;

> quanto ai motivi aggiunti depositati in data 19/04/2012:

- del provvedimento del 23.1.2012, PG. 57492/2012 e PG. 57946/2012 con cui, quanto alla dia del 07/05/2008 e successiva dia del 07/06/2011, viene comunicato che il procedimento avviato col provvedimento del 14/10/2011 “si è favorevolmente concluso per quanto attiene all’edifico A”; mentre, quanto alla dia del 24/09/2009 (edificio B) si dà atto che la stessa resta priva di efficacia, per mancanza della necessaria autorizzazione paesaggistica;

- e, dove occorrer possa:

- della comunicazione datata 19.1.2012, PG. 40074/2012 di preavviso di diniego della richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica, in relazione all’edificio B;

- della comunicazione datata 23.01.2012, di preavviso di diniego della domanda di permesso di costruire a sanatoria, in relazione all’edificio B;

e per la condanna del Comune di Milano al risarcimento dei danni tutti subiti e subendi;

> quanto ai motivi aggiunti depositati il 28/06/2012:

- del provvedimento datato 03/05/2012, di rigetto della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica (edificio B);

- del provvedimento del 4/5/2012, di rigetto della domanda di permesso di costruire in sanatoria e contestuale ordine di demolizione (edificio B);

e per la condanna del Comune di Milano al risarcimento dei danni tutti subiti e subendi.



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Milano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 marzo 2013 la dott.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

Con l’odierno ricorso, notificato il 23.12.2011 e depositato il successivo 13.01.2012, gli esponenti hanno impugnato il provvedimento in epigrafe specificato, assumendone la illegittimità sotto più profili.

Essi, in particolare, riferiscono che la snc Yucatan Prima (da ora anche solo la società o Yucatan) è proprietaria di un’area sita in Milano, Via Gola 16, che, già classificata zona B2, in seguito alla variante al PRG vigente approvata l’11.12.2008, è stata classificata zona B di recupero R6.2, assoggettata a “vincolo dei Navigli” ai sensi del d.lgs. n. 42/2004.

Su detta area insisteva un fabbricato a destinazione artigianale e relative superfetazioni.

Il 14/6/2007 Yucatan ha presentato in Comune, ex art. 112 del regolamento edilizio (RE), un progetto preliminare di ristrutturazione edilizia del predetto immobile, che prevedeva la demolizione dell’edificio esistente e la realizzazione di un nuovo edificio a destinazione residenziale, di 4 piani fuori terra, oltre ad un piano sottotetto senza permanenza di persone (s.p.p.). Secondo la ricostruzione degli istanti, il progetto avrebbe previsto il trasferimento della superficie lorda di pavimento (slp) esistente, su un immobile che mantenesse l’allineamento stradale sulla Via Gola e sulla Via Plichi (“Edificio A”), ma considerando sin da subito la possibilità di completare l’intervento con un risvolto sulla Via Plichi (“Edificio B”).

Il 14/06/2007 la Commissione edilizia integrata ha espresso parere favorevole sull’edificio A.

Il 20.12.2007 è stata stipulata col Comune apposita Convenzione planivolumetrica per l’edificio A, in attuazione della quale è stata richiesta e poi conseguita (il 25/2/2008) l’autorizzazione paesaggistica.

Il 07/05/2008 è stata, quindi, presentata la dia riproducente gli stessi elaborati della Convenzione del 2007 e dell’autorizzazione paesaggistica del 2008.

Successivamente, approvata la variante generale per le zone omogenee B2, a seguito del riconoscimento di un maggior indice fondiario (i.f.) per la predetta zona, si è resa disponibile una slp aggiuntiva, idonea a rendere attuabile la progettazione dell’edificio B, prospettata, a mente degli istanti, sin dall’inizio dell’iter amministrativo sin qui descritto.

E’ stato, perciò, richiesto un parere preliminare alla Commissione Edilizia integrata dagli esperti paesaggisti sul progetto definitivo dell'immobile riguardante l'edificio B, previsto quale integrazione e completamento dell’edificio A, già assentito.

La Commissione ha espresso il proprio parere favorevole ai sensi dell'art.112 del RE in data 28/5/2009; indi, con decreto del 04.09.2009, il Direttore del competente Settore comunale ha emesso la propria determinazione dirigenziale di approvazione dello schema di integrazione alla convenzione stipulata tra il Comune di Milano e la società Yucatan Prima.

Detto schema, oltre a richiamare espressamente il parere favorevole della Commissione Edilizia del 28.5.2009, ha previsto che "per l'intervento in questione è pertanto possibile procedere, previa stipulazione della presente Convenzione volta a disciplinare gli aspetti planivolumetrici ed urbanizzativi, alla richiesta di permesso di costruire o alla presentazione della DIA".

È stata, quindi, stipulata con il Comune di Milano la Convenzione Integrativa, in esecuzione della quale, in data 24/9/2009, è stata presentata la dia per la realizzazione dell’Edificio B, quale variante essenziale alla dia originaria del 7.5.2008.

Per l'edificio A, in data 07/06/2011, è stata presentata una dia per l'esecuzione di opere di completamento ai sensi dell'art. 105 del Regolamento Edilizio vigente.

Sennonché, rispettivamente in data 26/10/2011 ed in data 28/10/2011, è stato notificato all' Arch. Baracchi ed alla Yucatan Prima S.n.c., il provvedimento in epigrafe citato, datato 14/10/2011, PG. 750556/2011del 18/10/2011, con il quale l’Amministrazione Comunale:

a) quanto all'edificio A e alle dia 7.5.2008 e 7/6/2011, ha avviato un procedimento volto all'annullamento dei rispettivi titoli ed ha ordinato la sospensione delle opere;

b) quanto all'edificio B ed alla dia 24/09/2009, sul presupposto che "non è stata richiesta la necessaria e preventiva autorizzazione paesaggistica ai sensi degli artt. 146 e 159 del d.lgs. n. 42/2004, atteso che l’autorizzazione paesaggistica n. 108 dei 25.2.2008 è relativa al progetto di cui alla dia del 7.5.2008, mentre la dia del 24.9.2009 è stata presentata ai sensi dell’art. 70 del R.E. e riguarda interventi in variante essenziale rispetto al primo titolo”, ha ritenuto la dia del 24.9.2009 priva di effetti, avviando il procedimento di applicazione delle sanzioni e ordinando, comunque, la sospensione delle opere eventualmente in corso di realizzazione.

Contro l’anzidetto provvedimento i ricorrenti hanno interposto l’odierno gravame, affidato a tre motivi, due dei quali relativi all’edificio B e, il terzo, concernente l’edificio A.

Si è costituito il Comune di Milano, controdeducendo con separata memoria alle censure avversarie e sollevando eccezioni di inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso (per acquiescenza e/o per sopravvenuta scadenza della sospensione disposta con gli atti impugnati e, comunque, per l’edificio A, a seguito del consolidamento della dia del 28/10/2011).

Al dichiarato scopo di riprendere al più resto i lavori dell'edificio A, i ricorrenti hanno presentato in Comune la dia del 28.10.2011, finalizzata a superare le irregolarità come sopra riscontrate, mentre, quanto all’edificio B, essi hanno, in via cautelativa presentato in data 24/11/2011 domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica e, in data 16/12/2011, domanda di accertamento di conformità urbanistica.

Con comunicazione datata 19/01/2012 il Comune ha preavvisato gli istanti “che si procederà a respingere la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica”.

Con comunicazione datata 23.01.2012 il Comune ha preavvisato i ricorrenti del diniego in itinere in risposta alla domanda di accertamento di compatibilità urbanistica.

Con determinazione del 23.01.2012 il Comune ha, quindi, comunicato:

- che il procedimento avviato per l’annullamento dei titoli edilizi rilasciati in relazione all'Edificio A (dia 7.5.2008 e 7/6/2011) si è favorevolmente concluso;

- che, di contro, la dia del 24/9/2009 resta priva di efficacia in quanto non dotata della relativa autorizzazione paesaggistica.

Tali determinazioni sono state attinte, in parte qua, dai motivi aggiunti depositati in data 19/4/2012.

Con essi si deducono sia vizi da illegittimità derivata dal provvedimento datato 14/10/2011, attinto dal ricorso introduttivo, che vizi autonomi.

Ha resistito il Comune con memoria, eccependo l’inammissibilità dei motivi aggiunti per difetto di interesse, trattandosi di atti privi di autonoma lesività.

Con provvedimento datato 03/05/2012 il Comune ha, quindi, respinto la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica, mentre, con provvedimento del 04/05/2012, l’ente stesso ha respinto la domanda di accertamento di conformità urbanistica, ordinando la demolizione delle opere eseguite.

Entrambi i provvedimenti da ultimo citati sono stati attinti dai motivi aggiunti depositati il 28/06/2012, che fanno leva sia su vizi di invalidità derivata che su vizi propri.

In prossimità della data fissata per la discussione nel merito del gravame entrambe le parti hanno depositato memorie, mentre solo la ricorrente ha replicato.

Alla pubblica udienza del 21/03/2013 la causa, dopo la discussione delle parti, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Preliminarmente, il Collegio ritiene utile, per comodità espositiva, esaminare il ricorso e i motivi aggiunti trattando separatamente le censure riguardanti i titoli edilizi aventi ad oggetto l’edificio A, da quelle attinenti i titoli dell’edificio B.

2. Sempre in via preliminare, e con specifico riguardo all’azione di annullamento proposta in relazione all’edificio A, il Collegio deve rilevare la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, sia per la parte rivolta alla sospensione dei lavori, che per la parte rivolta alla comunicazione di avvio del procedimento di annullamento.

2.1. Sotto il primo aspetto, giova rammentare che la sospensione ha effetto sino all’adozione del provvedimento definitivo ed è destinata a rimanere priva di effetti alla scadenza del termine di quarantacinque giorni fissato dall’art. 27, co. 3 del d.P.R. n. 380/2001 (cfr., ex multis,

T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, Sent. 13-07-2012, n. 2006; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I quater, Sent. 21-12-2011, n. 9969).

Si spiega, perciò, l’orientamento della giurisprudenza (cfr., da ultimo T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, Sent. 07-05-2012, n. 191), incline a ritenere che le impugnazioni di tali ordinanze di sospensione dei lavori, divenute inefficaci a seguito del decorso del termine massimo di efficacia previsto dalla legge, sono inammissibili ove la perdita degli effetti si verifichi prima della proposizione dell'impugnazione, o improcedibili, se, al contrario, la perdita di efficacia sopraggiunga nel corso del processo (cfr. da ultimo, T.A.R. Lazio, sede Roma, sez. II, 2 gennaio 2012, n. 1, id. sez. II, 14 novembre 2011, n. 8825, id. 9 maggio 2011, n. 3989, id. 22 dicembre 2010, n. 38234, e sez. I, 8 novembre 2011, n. 8579 e 4 giugno 2010, n. 15297, nonché, T.A.R. Valle d'Aosta16 maggio 2011, n. 35; T.A.R. Puglia, sez. Lecce, sez. III, 7 aprile 2011, n. 620).

Nel caso di specie, prima ancora della conclusione del procedimento avviato con l’atto impugnato (procedimento poi archiviato con provvedimento del 23.01.2012, a seguito della presentazione della dia del 28/10/2011), è giunto a scadenza (il 12.12.2011) il termine di 45 gg. entro il quale, ai sensi dell’art. 27, co. 3 cit., l’amministrazione avrebbe dovuto assumere il provvedimento definitivo.

Ne consegue che i ricorrenti, alla scadenza del suddetto termine e, quindi, anteriormente alla proposizione dell’odierno giudizio, avrebbero potuto riprendere lo svolgimento dei lavori, stante la decadenza del provvedimento di sospensione.

Deriva da ciò che, al momento della proposizione del ricorso introduttivo, gli istanti erano privi di interesse all’azione di annullamento, quanto meno in ordine alla sospensione disposta in relazione all’edificio A.

2.2. Quanto all’azione di annullamento rivolta alla comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, non v’è dubbio che si tratti di un atto privo di autonoma lesività e, dunque, non autonomamente impugnabile.

3. Risulta, pertanto, accertata l’inammissibilità, in parte qua, del ricorso.

4. Quanto alla domanda risarcitoria formulata in relazione ai danni asseritamente prodotti dalla sospensione dei lavori in relazione all’edificio A, osserva il Collegio come di essa difettino i presupposti di cui all’art. 2043 c.c., sia con riferimento all’agire illegittimo della p.a., che rispetto all’elemento soggettivo della colpa dell’amministrazione.

4.1. Tra le irregolarità riscontrate dal Comune in relazione alle dia dell’edificio A, infatti, viene correttamente annoverato il mancato conteggio nella s.l.p. della superficie del bagno (originariamente progettato al piano terra dell’edificio A), non riconducibile fra i casi di esclusione di cui all’art. 10 del regolamento edilizio comunale.

Di ciò si trae ulteriore conferma, avendo riguardo al comportamento dei ricorrenti, i quali, subito dopo la notifica del provvedimento impugnato, hanno depositato in Comune la dia del 28/10/2011 (per l’esecuzione di opere in variante ordinaria), concernente la trasformazione di servizio igienico in locale impianti (non produttivo di s.l.p.) al piano terra dell’edificio A (e la cui istruttoria da parte comunale ha avuto esito favorevole, riscontrabile nella comunicazione di archiviazione del procedimento del 23.01.2012, già citata).

4.2. Non sussiste, comunque, neppure la colpa dell’amministrazione, atteso che la stessa risulta avere operato al fine precipuo di assicurare la rispondenza dell’attività edilizia alle norme di legge e di regolamento, in conformità al chiaro disposto dell’art. 27, co. 1 e 3 d.P.R. cit.

5. Ne consegue che, con riferimento all’edificio A, il ricorso introduttivo risulta inammissibile in ordine alla domanda demolitoria e infondato in ordine a quella risarcitoria.

6. Si può, a questo punto, passare all’esame della parte del ricorso rivolta a contestare il provvedimento impugnato, laddove riferito alla declaratoria di inefficacia della dia datata 24/09/2009, concernente l’edificio B, e al relativo ordine di sospensione dei lavori.

6.1. Ebbene, osserva il Collegio come – anche in relazione a tale parte del provvedimento – l’operato comunale risulta, ad un più approfondito esame, immune dalle dedotte censure.

I motivi che vengono in rilievo, da esaminare congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono così rubricati dagli istanti:

- violazione e falsa applicazione dell’art. 42 della l.r. n. 12/2005, difetto dei presupposti di fatto e di diritto, mancata applicazione dell’art. 11 della legge n. 241/1990, violazione dei principi di economia procedimentale e di non aggravamento del procedimento, mancata applicazione degli artt. 1398 e 1399 c.c. e dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990; contraddittorietà con precedenti determinazioni comunali;

- violazione del giusto procedimento, dell’art. 22 d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 42 l.r. n. 12/2005, dell’art. 81 del R.E.; difetto di istruttoria e di motivazione.

Si lamenta, in sostanza, che il Comune non avrebbe tenuto conto che il progetto dell’edificio B aveva già passato il vaglio della Commissione Edilizia, concretizzatosi nel parere favorevole del 28.05.2009.

Detto progetto, poi, sarebbe stato concordato tra il Comune e la società con la seconda convenzione (intervenuta dopo la variante al P.R.G. che avrebbe consentito un incremento dell’i.f. sull’area de qua), avente carattere integrativo di quella stipulata in data 20.12.2007 (per l’edificio A). Indi, proseguono gli istanti, proprio poiché era già intervenuto il parere favorevole della C.E., la Convenzione relativa all’edificio B, il cui schema risulta approvato dal Comune con determinazione del 04.09.2009, avrebbe contemplato la possibilità di presentare direttamente la dia, senza previa richiesta di autorizzazione paesaggistica.

In altri termini, secondo la medesima impostazione, la convenzione integrativa, approvata il 4/9/2009 e stipulata l’8/9/2009 (da ora anche solo c.i.), avrebbe tenuto luogo dell’autorizzazione paesaggistica che, quindi, non avrebbe dovuto considerarsi più necessaria da parte del Comune.

Gli esponenti chiedono, così, di attribuire alla c.i. gli effetti dell’accordo sostitutivo di autorizzazione paesaggistica, ex art. 11 della legge n. 241/1990.

In ogni caso, essi lamentano altresì la mancata convocazione della conferenza di servizi da parte del Comune, all’uopo prevista per l’ottenimento dell’autorizzazione in questione.

6.2. La difesa del Comune, dal canto suo, contesta la suesposta ricostruzione degli istanti, sia in punto di diritto che in punto di fatto.

Essa evidenzia, sotto il primo profilo, che il provvedimento di autorizzazione paesaggistica avrebbe natura tipica sotto il profilo del procedimento, della forma e della competenza e che, nel caso di specie, la convenzione urbanistica del 2009 non potrebbe mai assumerne portata sostitutiva.

Ciò, in quanto detta c.i. non sarebbe stata accompagnata dal procedimento disciplinato dal d.lgs. n.42/2004 e non conterrebbe gli elementi tipici dell'autorizzazione suddetta (oltre a non essere stata sottoscritta dal dirigente dell'Ufficio Tutela del Paesaggio del Comune di Milano, bensì, dal dirigente del Settore Piani e Programmi Esecutivi per l 'Edilizia).

Soprattutto, prosegue la difesa comunale, la tesi di controparte sarebbe da respingere in punto di fatto, dal momento che, un'attenta lettura della convenzione originaria e dell'atto integrativo della stessa, rivelerebbe come il Comune di Milano non abbia affatto inteso sostituire l'autorizzazione paesaggistica con tali atti. In tal senso, si sottolinea come nella convenzione il Comune abbia esplicitamente prescritto a Yucatan di munirsi della specifica autorizzazione paesaggistica prima di eseguire le opere edilizie, sottoponendo il relativo progetto al distinto procedimento descritto nella parte terza del Decreto legislativo n. 42/2004. Tanto si ricaverebbe, a mente del Comune, anzitutto, dall'atto pubblico notarile del 20/12/2007 (cfr. docc. l e 6 allegati della produzione comunale), nel quale, alla lettera J delle premesse, si legge: ''per l'intervento in questione è pertanto possibile procedere alla formalizzazione dei titoli abilitativi all'edificazione, previa stipulazione della presente Convenzione volta a disciplinare gli aspetti plani volumetrici e previo ottenimento dell'autorizzazione paesaggistica ai sensi della parte terza del D. Lgs. 4212004 ... ''. Tale prescrizione, sottolinea sempre la difesa dell’amministrazione, sarebbe preceduta da una premessa (lettera f) nella quale si darebbe atto che è già stato acquisito un primo parere favorevole della commissione edilizia. Tale parere, dunque, non esimerebbe Yucatan dall'esperire lo specifico procedimento di autorizzazione paesaggistica ex D.Lgs. 42/2004, prescritto nella successiva lettera J. L'atto pubblico notarile stipulato il giorno 08/09/2009 si limiterebbe, perciò, ad integrare la convenzione originaria, facendone salvi tutti i contenuti non espressamente modificati, al solo fine di consentire alla Società lo sfruttamento di un incremento dell'indice di edificabilità del lotto derivato da una variante urbanistica intervenuta medio tempore. In ultima analisi, secondo il Comune, la c.i. non esimerebbe affatto Yucatan dal munirsi della necessaria autorizzazione paesaggistica per la realizzazione del nuovo edificio ed, anzi, la impegnerebbe a tenere fermi tutti gli obblighi assunti con la convenzione precedente. L'accordo del 2009 avrebbe, perciò, apportato solo "integrazioni" alla convenzione stipulata in data 20112/2007, limitandosi a disciplinare unicamente gli aspetti planivolumetrici ed urbanizzativi. Se l' amministrazione avesse inteso sostituire l'autorizzazione paesaggistica con una convenzione urbanistica, prosegue il Comune, avrebbe dovuto, quanto meno, esplicitare tale volontà ed attribuire cosi formalmente all'accordo il valore sostitutivo di cui all'art. 11 della legge n. 24l/90, a torto invocato dalla ricorrente. Nessuna affermazione di questo tipo è contenuta, invece, nella convenzione, né nell'atto integrativo della stessa. La mancanza della previa autorizzazione paesaggistica avrebbe, in definitiva, impedito – sempre stando alla tesi patrocinata dall’amministrazione in causa - che la dia del 24/9/2009 divenisse efficace, sicché l'intervento sarebbe irrimediabilmente abusivo, perché realizzato in mancanza non solo della necessaria autorizzazione paesaggistica, ma, anche, di un titolo abilitativo efficace. Altrimenti opinando, conclude il Comune, verrebbero completamente obliterate le funzioni e le competenze della Soprintendenza, cui l'art. 146 del D.lgs. n. 42/2004 assegna una specifica attività di controllo (prima successivo, adesso preventivo), che nel caso di specie sarebbe stata del tutto omessa, poiché la ricorrente non avrebbe mai avviato il procedimento di cui all' art. 146 cit.

6.3. Il Collegio ritiene utile, per la soluzione delle questioni implicate dall’odierna vicenda, riepilogare brevemente i riferimenti normativi rilevanti in subiecta materia.

Va richiamato, in primo luogo, l’art. 23 del d.P.R. n. 380/2001, ai sensi del quale, qualora l’immobile oggetto dell’intervento edilizio sia sottoposto, come nel caso che qui ci occupa, ad un vincolo la cui tutela compete, anche in via di delega, all’amministrazione comunale, il termine di trenta giorni ad essa assegnato per l’esercizio del potere inibitorio decorre dal rilascio del relativo atto di assenso; in caso di atto non favorevole, ovvero, in sua assenza, la denuncia resta priva di effetti (comma 3 art. cit.). Analoga previsione è posta, a livello regionale, dall’art. 42, co. 13 della legge n. 12/2005.

L’art. 159 del d.lgs. n. 42/2004, applicabile ratione temporis (anche in forza della previsione di cui all’art. 82, co. 1 della legge regionale n. 12/2005), nel dettare il “regime transitorio in materia di autorizzazione paesaggistica” ha previsto che l’amministrazione competente, anche in via di delega, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, ne dia immediata comunicazione alla Soprintendenza che, se ritiene l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio può annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione (commi 2 e 3 articolo cit.).

L’art. 81 del R.E. del Comune prevede, dal canto suo, che, nelle zone soggette a tutela paesistico -ambientale, in caso di opere edilizie che comportano alterazione dello stato dei luoghi, i proprietari debbono presentare contestuale richiesta di autorizzazione paesistica-ambientale (comma 1). Ancor più incisivamente, il comma successivo statuisce che: “il provvedimento edilizio non può essere rilasciato prima o comunque disgiuntamente dall’emanazione dell’autorizzazione paesistica da parte del dirigente preposto”.

6.4. Sulla base del suesposto quadro normativo, ritiene il Collegio che la c.i. del 2009 non può essere intesa come sostitutiva dell’autorizzazione paesaggistica, ostando a ciò una serie di ragioni.

In primo luogo, la circostanza che la stessa convenzione del 2009 deve essere letta come integrativa di quella del 2007, ai soli fini dell’incremento volumetrico resosi disponibile dopo l’approvazione della variante allo strumento urbanistico.

Il parere della C.E. espresso nella seduta n. 17 del 29/05/2009, in essa richiamato, non può, pertanto, supplire all’assenza dell’autorizzazione paesaggistica, trattandosi di atti distinti, aventi ciascuno una specifica valenza, sostanziale e procedimentale. Per la stessa ragione, non può assumere rilievo la disamina svolta sul progetto dell’edificio B, in via del tutto preliminare, dalla C.E., in occasione dell’esame del progetto dell’edificio A (sfociato nel parere del 14/06/2007).

Gli artt. 146 e ss. del d.lgs. n. 42/2004 configurano, infatti, l’autorizzazione paesaggistica come “atto autonomo e presupposto” (cfr. art. 146, co. 4 d.lgs. cit.) rispetto agli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio-urbanistico, per il quale la normativa sopra citata pone a carico dei soggetti interessati alla realizzazione degli interventi edilizi in zone vincolate l’onere di presentarne specifica richiesta all’amministrazione competente (cfr. art. 146 cit., co. 7).

L’intervento della Commissione edilizia (organo competente al rilascio del parere, ai sensi dell’art. 81, co. 5 legge reg. 12/2005 sino all’istituzione delle Commissioni per il paesaggio, di cui all’art. 148 del d.lgs. cit.) deve essere correttamente qualificato come atto endoprocedimentale del procedimento autorizzatorio che si svolge dinanzi all’ente sub-delegato competente.

Esso, come noto, deve poi trovare completamento nel successivo procedimento di verifica di conformità dell’autorizzazione alle prescrizioni di tutela del paesaggio, che si svolge, ex art. 159 cit. co. 3, dinanzi alla Soprintendenza (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, sent. 07/01/2008 n. 30, per cui sussiste una sorta di “dualità” del procedimento riguardante l’esame complessivo della conformità paesaggistica dell’iniziativa edilizia del richiedente: da una parte, un momento iniziale di ordine autorizzatorio, di competenza dell’ente territoriale delegato; dall’altra, un momento successivo, di verifica dell’autorizzazione rilasciata, appartenente alla competenza dell’autorità statale, con conseguente autonomia del procedimento dinanzi a quest’ultima).

Nel caso di specie, nessuna richiesta di autorizzazione paesaggistica risulta presentata da parte degli istanti, prima della dia del 24/09/2009, come normativamente prescritto. Da ciò la sanzione dell’inefficacia, di cui all’art. 23 d.P.R. cit., che inevitabilmente colpisce la stessa dia e che trova conferma anche nella normativa regionale, all’art. 42 cit., co. 13.

È mancata, nei fatti de quibus, sia l’autorizzazione paesaggistica che il necessario controllo su di essa da parte della Soprintendenza.

6.5. D’altro canto, un’ulteriore riflessione s’impone in ordine all’applicazione dell’art. 11 della legge 241/1990, prospettata da parte ricorrente.

L’accordo sostitutivo potrebbe, infatti, intervenire solo su provvedimenti di esclusiva competenza comunale, trattandosi dell’unico ente che ha sottoscritto, insieme alla società, l’accordo de quo; sennonché, nella vicenda in esame, vi sono aspetti che necessariamente sfuggono alla competenza comunale, in quanto coinvolgenti un’autorità statale (la Soprintendenza) il cui apporto non potrebbe in ogni caso essere vanificato.

Anche qualora si volesse configurare la verifica della Soprintendenza alla stregua di un atto di controllo, comunque, da esso non si potrebbe prescindere per la realizzazione, in zona vincolata, di un intervento come quello di cui alla dia del 24/09/2009. Di ciò si trae esplicita conferma anche nell’art. 11 cit., il quale prevede, al comma 3, che “gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi”.

Nel caso in esame, non soltanto non è rintracciabile una chiara previsione della c.i. che autorizzi a ritenere che l’amministrazione abbia voluto sostituire con essa l’autorizzazione paesaggistica, ma è mancato del tutto il coinvolgimento della Soprintendenza, che non ha mai esaminato il progetto de quo prima della sua realizzazione (giunta sino allo stadio del “rustico”, come meglio sarà chiarito nel prosieguo).

6.6. Neppure si può ritenere che fosse onere del Comune convocare all’uopo una conferenza di servizi, poiché ciò è espressamente previsto solo nel caso in cui la tutela del vincolo non competa, a differenza del caso in esame, allo stesso Comune.

7. Ne consegue che, per la parte concernente l’edificio B, il ricorso in epigrafe citato deve essere respinto.

8. Deve, conseguentemente, respingersi anche la domanda risarcitoria con esso avanzata, per difetto dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c., in primo luogo, quello dell’agire illegittimo della p.a.

9. Si può, così, passare all’esame del primo atto di motivi aggiunti, che è diretto avverso due preavvisi di diniego, in epigrafe meglio specificati, oltre che, avverso la comunicazione del 23/01/2012, nella parte in cui essa dà atto che la dia del 24/09/2009 “è tuttora priva di efficacia”.

9.1. I motivi aggiunti in esame – come correttamente rilevato dalla difesa resistente – sono inammissibili per difetto di interesse, vertendo su atti non provvedimentali, privi come tali di autonoma lesività.

9.2 Ciò deve essere ribadito anche con specifico riguardo alla comunicazione di presa d’atto della perdurante inefficacia della dia, risultando la stessa meramente confermativa della determinazione assunta in data 14/10/2011.

9.3 Quanto al preavviso di diniego della compatibilità paesaggistica, le doglianze articolate dagli istanti in ordine al mancato invio della richiesta alla Soprintendenza sono del tutto inconferenti, trovando esse la loro sede naturale in occasione dell’impugnazione del provvedimento conclusivo o, in mancanza, attraverso l’attivazione del rito del silenzio, all’uopo previsto; quel che è certo, è che esse non possono essere avanzate a fronte di una comunicazione effettuata ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990.

9.4 In ogni caso, si fa notare per completezza come, atteso l’esito del ricorso introduttivo, le censure che fanno leva sull’illegittimità derivata degli atti impugnati con i motivi aggiunti siano destituite di fondamento, stante l’accertamento della legittimità degli atti presupposti, ricavabile da quanto sin qui esposto.

9.5. Quanto alle restanti censure, con cui si lamenta, in sostanza, la mancata considerazione da parte dell’amministrazione delle osservazioni presentate dagli istanti, le stesse risultano infondate già in punto di fatto, atteso che le osservazioni predette risultano prese in esame dal Comune nelle sede a ciò deputata, ovvero, in occasione della motivazione dei provvedimenti definitivi, come meglio chiarito nel prosieguo.

10. Stante l’infondatezza dei suesposti motivi deve, pertanto, respingersi la domanda risarcitoria con essi formulata, per difetto dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c.

11. Si può, così, passare all’esame degli ultimi motivi aggiunti, con cui sono stati impugnati i provvedimenti conclusivi di diniego di accertamento di compatibilità paesaggistica e di diniego di accertamento di sanatoria ex art. 36 d.P.R. 380/2001.

Detti motivi fanno leva:

I) sull’invalidità derivata, promanante dal provvedimento impugnato col ricorso introduttivo e da quelli gravati coi motivi aggiunti;

II) con specifico riguardo al diniego di accertamento paesaggistico: sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, sulla violazione delle garanzie partecipative, la violazione del principio del buon andamento, la violazione e falsa applicazione dell’art. 167 d.lgs. n. 42/2004, sull’eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e sviamento, per genericità, contraddittorietà intrinseca, irrazionalità e illogicità manifeste;

III) con specifico riguardo al diniego di accertamento di conformità urbanistica: sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, sulla violazione delle garanzie partecipative, la violazione del principio del buon andamento, la violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del d.P.R. n. 380/2001, sull’eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione e sviamento, per genericità, contraddittorietà intrinseca, irrazionalità e illogicità manifeste.

11.1 Quanto al primo motivo, il rigetto del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti depositati il 19 aprile 2012, come sopra scrutinati, ne spiega adeguatamente l’infondatezza.

11.2. Prima di esaminare i restanti due motivi, il Collegio ritiene opportuno premettere alcuni cenni di carattere generale sulla relazione esistente tra la materia dell’urbanistica e quella del paesaggio, richiamando all’uopo alcuni riferimenti contenuti nella recente sentenza del T.A.R. Campania - Salerno, Sez. I - 5 giugno 2013 n. 1429, ricca di approfondimenti su tale specifico tema.

Ebbene, mentre l’urbanistica sovrintende al razionale sfruttamento antropico del territorio e trova nella disciplina edilizia la sua concreta attuazione, il paesaggio attiene, invece, alla preservazione di valori estetici, storici e culturali, i quali sono difesi con la previsione di vincoli conformativi, diretti ed indiretti, che ne limitano in concreto le possibilità di intervento, normalmente ammesse su altri beni non rilevanti per questi profili.

Ciò spiega perché non è possibile estendere automaticamente la disciplina urbanistico-edilizia ai bene paesaggistici, ossia a beni particolari ad "uso controllato" (così, la sentenza del T.A.R. Salerno, cit.).

La strutturale e funzionale separazione degli interessi pubblici coinvolti giustifica, poi, a livello sistematico, la diversità della stessa disciplina ordinaria in tema di autorizzazione paesaggistica, che l'art. 146, comma 4, d. lgs. 42/2004 configura come atto "autonomo" e "presupposto" rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio. Questi ultimi, quindi, non possono essere rilasciati in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi edilizi effettuati senza titolo, salvi i casi richiamati dall’art. 167, commi 4 e 5, d. lgs. 42/2004.

Riguardo a questi ultimi, l'art. 167, comma 4, lett. a), d. lgs. 42/2004 chiarisce che "l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5", tra gli altri, "per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati".

Il fondamento della menzionata disposizione è di consentire, in deroga al già indicato divieto generale, l'autorizzazione paesaggistica postuma esclusivamente per i c.d. abusi minori, ossia quelli che non producano aumento di "superfici utili", "volumi" ovvero "aumento di quelli legittimamente realizzati".

È evidente, quindi, il profilo sanzionatorio-punitivo contenuto nella previsione in parola, che non può che costituire una prerogativa intangibile del legislatore nazionale, in ossequio alla salvaguardia del bene paesaggio, assistito da previsione di rango costituzionale.

Il legislatore nazionale, perciò, in coerenza con l’accentuato profilo costituzionale dell’interesse pubblico alla preservazione del paesaggio, ha volutamente differenziato la disciplina in materia di accertamento postumo di conformità degli interventi effettuati in assenza o in difformità dal titolo edilizio, a seconda che il bene da tutelare sia l’ordinato assetto del territorio sotto i profili urbanistici ed edilizi ovvero la tutela del paesaggio; la conformità in sanatoria è sempre possibile nel primo caso, anche qualora sia presente un incremento dei volumi o delle superfici (ex art. 36 d.P.R. 380/2001), mentre risulta inammissibile nel secondo caso, qualora vi sia da presidiare il paesaggio.

Il diverso approccio del legislatore, più pragmatico e disponibile nel caso di attività edilizia senza titolo od in difformità da questo, rispetto ai casi di attività edilizia privi di nulla osta paesaggistico trova, peraltro, una chiara spiegazione anche sotto il profilo logico giuridico. Ed invero, per quanto riguarda l’attività edilizia senza titolo o in difformità da questo, l’amministrazione locale non ha che da svolgere un controllo di conformità tra la singola costruzione abusiva e le previsioni contenute nei piani di programmazione e nella regolamentazione edilizia comunale (regolamento edilizio e norme tecniche di attuazione); simile riscontro postumo è invece inimmaginabile in tema di paesaggio, per il quale l’amministrazione competente deve svolgere un giudizio, che non si riduce ad un riscontro deduttivo di conformità, ma implica una valutazione di merito, sugli aspetti anche estetici, valutazione che potrebbe essere irrimediabilmente compromessa nel momento in cui il nuovo volume è già venuto ad esistenza.

11.3 Su tali premesse, va affermata la legittimità dell’operato del Comune di Milano, laddove ha ritenuto di denegare la domanda di accertamento paesaggistico sul presupposto della riscontrata presenza di lavori che “abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” (cfr. art. 167, co. 4 cit.). In siffatte evenienze, infatti, se da un lato non è ravvisabile spazio alcuno al dispiegarsi del giudizio di merito sulla compatibilità paesaggistica dell’opera da parte della competente amministrazione, dall’altro non si può prospettare alcuna ingerenza dell’autorità sub-delegata al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica nella sfera di competenza della Soprintendenza.

La valutazione sulla presenza o meno di una nuova superficie utile o volume (ovvero di un loro rispettivo incremento) dà luogo ad un accertamento che prescinde dall’apprezzamento di valori estetici o, comunque, di merito, di spettanza della Soprintendenza, derivando esso dall’applicazione di norme giuridiche disciplinanti l’attività urbanistico-edilizia.

11.4. Procedendo in tal senso, va ribadito che il Comune non si è affatto sostituito alla Soprintendenza, mediante l’espressione di un giudizio di merito sulla compatibilità paesaggistica dell’opera, ma ha ritenuto che l’opera stessa, in quanto concretizzatasi nella creazione di un nuovo volume, non potesse essere assoggettata al giudizio estetico, a causa della preclusione in tal senso esercitata dalla previsione normativa poc’anzi citata.

Una chiara conferma in tal senso si ha dalla lettura della risposta data dalla Soprintendenza alla sollecitazione da parte del Comune del 31.10.2012 (cfr. doc. nn. 22 e 23 della produzione comunale), ove si afferma chiaramente che quanto contestato a carico della società (“edificio B”) non rientri affatto tra le fattispecie dell’art. 167 cit. Anche l’affermazione della Sovrintendenza (sempre ivi riportata), per cui la stessa – a seconda dell’esito dell’odierno giudizio - si è dichiarata disponibile a “valutare …la qualità paesaggistica dell’intervento” non può che confermare l’assunto per cui occorre distinguere il giudizio paesaggistico da quello sull’esistenza dei presupposti legittimanti tale giudizio, ai sensi del più volte citato art. 167 (cfr. ad ulteriore conferma, quanto ricavabile dalla stessa memoria di parte ricorrente, depositata il 28.06.2012, ove, a pg. 17, si legge che: “le due nozioni di <<volume e superfici utili>> vanno intesi in senso edilizio-urbanistico”).

11.5. Né si può, poi, ritenere che la realizzazione dell’edificio B al “rustico” impedisca la configurazione di un nuovo volume.

In disparte l’esplicita conferma nel senso dell’ “evidente aumento di superficie utile” contenuta nella predetta nota della Soprintendenza del 23.11.2012, va precisato che sussistono chiare indicazioni, normative e giurisprudenziali, a favore della detta configurazione.

In primis, va chiarito che, in base alle norme tecniche rientranti nella comune esperienza, per "rustico" deve intendersi il complesso dei lavori che riguardano, oltre alla muratura portante (negli edifici realizzati con sistema tradizionale) o all'intelaiatura in cemento armato o in travi di acciaio, anche le tamponature perimetrali (Cass. Penale Sez. III, sent. n. 7573 del 27-06-1992; id. Sez. III, sent. n. 4722 del 16-04-1988). Nel caso di specie, mentre non è posta in dubbio la ricorrenza di siffatti lavori in relazione all’edificio B, parte ricorrente contesta che l’esecuzione al rustico dell’edificio B possa essere qualificata alla stregua di nuovo volume.

Sennonché, a conferma della correttezza dell’operato dell’amministrazione, è sufficiente notare come lo stesso legislatore abbia a tal punto ritenuto significativa, sotto il profilo urbanistico-edilizio, la realizzazione dell’opera al rustico, da farla coincidere con l’ultimazione dell’opera, rilevante ai fini dell’applicazione della normativa sul condono edilizio (cfr. l’art. 31, co. 2 della legge n. 47/1985).

11.6. Quanto al dedotto difetto di motivazione, va rimarcato che si è, qui, in presenza di un’attività vincolata dell’amministrazione, in relazione alla quale la sufficienza della motivazione va valutata in rapporto ai ristretti margini di valutazione ad essa rimessi dalla norma oggetto di applicazione.

Nel caso in esame, il Comune ha correttamente rilevato l’assenza dei presupposti per richiedere la valutazione paesaggistica alla Soprintendenza, stante la creazione di nuovi volumi, e ciò è sufficiente a supportare la motivazione del provvedimento oggetto di contestazione (cfr. a proposito di un caso analogo di diniego comunale preclusivo del parere della Soprintendenza: Cons. Stato, Sez. VI, Sent. 05-04-2013, n. 1885, per cui: “… il Collegio non ritiene che possano invocarsi come vizi invalidanti l'omessa richiesta di parere alla Soprintendenza o il mancato preavviso di diniego, risultando la sanatoria - nella rappresentata situazione di fatto e di diritto - inammissibile ed il diniego stesso, pertanto, vincolato per ragioni normative e non rimesso ad apprezzamento discrezionale di compatibilità paesaggistica, (con conseguente applicabilità dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990, che esclude l'annullamento di un atto per vizi di forma o di procedura, quando il contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso)).

12. Quanto sin qui esposto dà, quindi, ampia ragione della infondatezza del secondo motivo sopra riportato e consente di passare, così, all’esame dell’ultimo motivo aggiunto, avente ad oggetto il diniego di accertamento di conformità.

12.1 Esso assume, a proprio esclusivo presupposto, l’esistenza del diniego di accertamento di compatibilità paesaggistica, ricavandone, a norma di legge (ex art. 22 co. 6 d.P.R. cit.), il diniego del permesso in sanatoria per mancanza della conformità urbanistico-edilizia richiesta dall’art. 36, co. 1 d.P.R. cit.

Richiamando quanto sin qui argomentato, va ribadito che la realizzazione dell’edificio al rustico è di per sé idonea ad integrare la creazione di una “nuova costruzione”, rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67 R.E. (per cui: “1. Sono di nuova costruzione gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non disciplinati nei precedenti articoli. Sono altresì da considerarsi tali:

1.1 la costruzione di nuovi edifici fuori terra o interrati ovvero l’ampliamento di quelli esistenti sia all’interno che all’esterno della sagoma esistente;…”).

Legittima risulta, pertanto, l’applicazione della sanzione della demolizione, di cui all’art. 33 d.P.R. n. 380/2001, trattandosi qui di un intervento riconducibile al co. 3 e non ai co. 1 o 2 dell’art. 22 d.P.R. cit.

12.2. La motivazione del diniego impugnato appare, pertanto, sufficiente e del tutto immune dalle censure di eccesso di potere come sopra dedotte, in ragione del suo carattere cogente, derivante dalla riscontrata presenza di un abuso edilizio in ambito vincolato, confermata dal presupposto diniego di compatibilità paesaggistica.

13. L’infondatezza dei suesposti motivi aggiunti trae seco anche quella della domanda risarcitoria con essi proposta.

14. Per le suesposte considerazioni, il Collegio così statuisce sul ricorso e i motivi aggiunti come in epigrafe specificati:

- dichiara in parte inammissibile, quanto all’azione di annullamento per l’edificio A, e per il resto respinge, quanto all’edificio B e all’azione risarcitoria, il ricorso introduttivo;

- dichiara in parte inammissibili, quanto all’azione di annullamento, e per il resto respinge, i primi motivi aggiunti;

- respinge i secondi motivi aggiunti, in ogni loro domanda.

15. Compensa le spese di lite nella misura del 50%, in ragione della complessità fattuale della vicenda, mentre, per la restante parte, le pone a carico dei ricorrenti e a favore della resistente amministrazione, liquidandole come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così statuisce:

- dichiara in parte inammissibile e per il resto respinge il ricorso introduttivo;

- dichiara in parte inammissibili e per il resto infondati i primi motivi aggiunti;

- respinge i secondi motivi aggiunti in ogni loro domanda.

Pone le spese di lite nella misura del 50% a carico dei ricorrenti e a favore del Comune, liquidandole in complessivi euro 2.500,00; le compensa per la restante parte.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nelle camere di consiglio dei giorni 21 marzo 2013 e 23 maggio 2013, con l'intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Giovanni Zucchini, Consigliere

Concetta Plantamura, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/08/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)