SANATORIA URBANISTICA E VINCOLI DI TUTELA AMBIENTALE
del Prof. Paolo DELL'ANNO

07/12/2009 15.48
 
 
 
prof. Paolo Dell’Anno
 
 
Sanatoria urbanistica
e vincoli di tutela ambientale
 
 
(1) Premessa introduttiva
Il tema della sanabilità degli illeciti urbanistici ed edilizi ha occupato per decenni la dottrina e la giurisprudenza, fin dalla prima sanatoria codificata dalla legge Nicolazzi (art. 13, L. 47/1985), di cui va annotata la singolare coincidenza temporale con la legge Galasso sui vincoli paesaggistici (L. 431/1985).
Lo consideremo pertanto come un tema ormai acquisito, anche se le ricorrenti tentazioni del legislatore di procedere a condoni, più o meno simulati o giustificati, lo rende tuttora controverso nelle sue motivazioni, nella sua estensione, e nella sua natura. La sanatoria degli illeciti edilizi, infatti, può essere concepita tanto come un disvalore assoluto, quanto come uno stato di necessità e perfino come un remedium concupiscentiae (all’edificazione senza regole).
Vorrei concentrare la mia attenzione, invece, sul secondo termine relazionale che intercorre nei procedimenti di sanatoria, quello dell’eventuale compresenza di vincoli ambientali, anch’essi violati da interventi di modificazione del territorio, facendo specifico riferimento alle attività produttive.
Tutti i procedimenti di sanatoria contemplati dal legislatore fanno salva la conformità dell’opera ai vincoli ambientali esistenti, quale condizione esogena – ma altrettanto rilevante – ai fini della positiva conclusione del procedimento. Né potrebbe avvenire in altro modo, attesa la diversità degli interessi pubblici tutelati dai procedimenti urbanistici e da quelli ambientali, circostanza che la giurisprudenza – anche penale – non ha mancato di sottolineare.
Si presenta a questo punto la necessità di identificare in modo meno generico l’origine, la tipologia e la funzione dei vincoli di tutela ambientale, la loro rilevanza nelle attività di trasformazione del territorio da parte di insediamenti produttivi, per delineare un’ipotesi della loro sottosizione a procedimenti paralleli di sanatoria, quale condizione indefettibile per la legittimazione postuma dell’opera realizzata o dell’attività compiuta.
L’argomento non ha finora attratto l’attenzione specifica della dottrina giuspubblicistica, sia urbanistica che più direttamente ambientale. Un isolato contributo generale sulla sanatoria dei procedimenti amministrativi finisce per  confondere l’istituto della sanatoria con quello della convalida, sottovalutando la differenza ontologica sussistente tra un procedimento a istanza di parte finalizzato a eliminare l’illegalità che ha connotato il proprio comportamento, nei confronti dell’altro che di norma prende avvio d’ufficio per la rimozione delle illegittimità da cui è affetto l’atto amministrativo, con la conseguente prevalenza degli interessi pubblici di cui si richiede la tutela.
La giurisprudenza amministrativa ha fornito contributi sistematici molto interessanti e convincenti sul tema della sanatoria amministrativa, circoscritti tuttavia alle autorizzazioni postume in materia paesaggistica (denominate in alcune sentenze come sanatorie ambientali). Anche se la novella del codice dei beni culturali e del paesaggio (d. lgs. 42/2004) si è incaricata di escludere in modo radicale ogni ipotesi di sanabilità degli illeciti paesaggistici (con la sola eccezione di quelli di minore entità ed offensività ai beni protetti: art. 146, comma 10, lett. c), le argomentazioni sviluppate in precedenza dai giudici amministrativi conservano la loro piena validità scientifica, costituendo un criterio di interpretazione del fenomeno giuridico della sanatoria applicabile anche agli illeciti ambientali.
Va sottolineato che non va confuso il problema della sanabilità degli illeciti ambientali sotto il profilo amministrativo – in procedimento connesso con quello della sanatoria urbanistica ed edilizia – con gli effetti sanzionatori penali eventualmente previsti per gli interventi abusivi. Nei casi di condotta a contenuti illeciti plurimi, sussiste una totale asimmetria degli effetti amministrativi e di quelli penali, stante la loro autonomia, che solo il legislatore potrebbe riconciliare con specifiche disposizioni normative, analoghe a quelle più volte introdotte per i reati edilizi. Ma nessuna norma esiste attualmente nell’ordinamento positivo che valga a escludere la punibilità del reato commesso, una volta che sia stata completata la procedura di sanatoria contemplata dalla disciplina di settore[1].
 
(2) Tassonomia dei vincoli ambientali.
Quali sono i vincoli ambientali che assumono efficacia interdittiva nei confronti dell’attività del privato, la cui violazione concorre con gli illeciti urbanistici ed edilizi?
Sotto il profilo della fonte, i vincoli possono risultare dalla legge, da atti di normazione secondaria, ovvero da atti amministrativi generali (piani, programmi), ed anche da atti amministrativi puntuali (prescrizioni contenute in approvazioni o autorizzazioni).
Tra i principali possiamo menzionare:
Ø      Divieti di produzione: una determinata attività viene espressamente inibita dalla legge (ad es., il divieto di produzione di amianto o di biossido di titanio), con l’effetto di impedire anche la costruzione di fabbriche di tale materiale e la prosecuzione delle attività in esercizio.
Ø      Zonizzazioni di salvaguardia (le zone di protezione dei parchi e delle riserve naturali; le zone umide, le zone a speciale protezione dell’avifauna); in tali aree sono vietati insediamenti produttivi non riconducibili alle attività agro-silvo-pastorali; nelle zone di tutela integrale è inibita qualsiasi attività antropica.
Ø      Distanze di sicurezza o fasce di rispetto, da osservarsi nella localizzazione di determinati impianti (elettrodotti, discariche, autostrade, impianti a rischio di incidente rilevante, centrali nucleari); la giurisprudenza amministrativa ammonisce che tali vincoli presentano una valenza biunivoca, in quanto inibiscono sia la realizzazione degli insediamenti produttivi a distanza minore da quella prevista dalla legge nei confronti degli abitati sia le edificazioni private entro la fascia di rispetto[2].
Ø      Localizzazioni negative, consistenti nella definizione di criteri vincolanti che precludono la localizzazione di alcune categorie di impianti in aree caratterizzate da peculiari esigenze di salvaguardia (rischio sismico, aree esondabili, aree a rischio idrogeologico); la fonte di tali vincoli è rinvenibile nei piani di gestione dei rifiuti, ma anche negli strumenti urbanistici di vario livello.
Ø      Divieti di attività, che escludono dati interventi ovvero operazioni a rilevanza ambientale (ad es., lo scarico sul suolo o sottosuolo di acque reflue industriali; lo smaltimento dei rifiuti nell’ambiente idrico). L’incapacità di conformazione ai suddetti divieti implica l’impossibilità di esercizio delle iniziative imprenditoriali.
Ø      Limiti di accettabilità. Si tratta di soglie legali dell’inquinamento, la cui scrupolosa osservanza rende lecita l’attività che produce emissioni nell’ambiente, mentre la violazione dei limiti fissati dalla legge o dall’autorizzazione costituisce un illecito a rilevanza penale. Di conseguenza, il superamento dei limiti integra una fattispecie di reato di cui va interrotto il nesso causale. Con la conseguenza che l’impresa che non è in grado di rispettare i limiti imposti non può proseguire la sua attività fino all’adozione di idonee ed efficaci misure di risanamento, e che l’impossibilità di conseguire tale risultato implica il divieto di prosecuzione dell’iniziativa economica.
Tra i secondi, assumono rilevanza le prescrizioni contenute nelle autorizzazioni (di cui si è anticipato una specie, quella dei limiti di emissione), finalizzate alla più efficace e specifica tutela di interessi ambientali tipici di un determinato contesto ambientale.
I vincoli derivanti dalla prima categoria non sono sanabili in via amministrativa, onde un eventuale intervento con finalità di sanatoria dovrebbe avvenire nella forma legislativa del condono. Non sussistendo allo stato alcuna ipotesi in materia ambientale che prefiguri tale eventualità, se ne può prescindere.
I vincoli derivanti da atti del secondo gruppo presentano tutti il requisito della modificabilità, sussistendone le condizioni di interesse pubblico. Ad es., il piano di gestione dei rifiuti solidi urbani che prevedeva la localizzazione di un impianto integrato di smaltimento e recupero di rifiuti, può essere variato con un nuovo assetto impiantistico o una nuova localizzazione, che tengano conto di esigenze sopravvenute o di circostanze non valutate a suo tempo (ad es., l’esistenza di impianti di iniziativa privata che sono in grado di soddisfare la domanda). In modo analogo, le prescrizioni espresse nell’autorizzazione possono essere modificate o soppresse alla luce di considerazioni scientifiche o tecnologiche che ne escludono l’efficacia o la necessità, ovvero riviste all’esito di una più favorevole ricognizione dello stato delle matrici ambientali.
 
(3) La sanatoria degli illeciti ambientali: analisi della tesi ostativa.
Vi è ora da chiedersi se è rinvenibile nell’ordinamento un principio giuridico che prevede ed ammetta – a date condizioni – la sanabilità degli illeciti ambientali, ovvero – in modo speculare – se sussistono consistenti argomenti contrari a tale ipotesi.
Possono essere richiamati, per la loro natura di rilievi di natura generale, le principali eccezioni sollevate dalla dottrina nei confronti delll’istituto della sanatoria, tanto in materia urbanistica ed edilizia quanto in materia paesaggistica: Esamineremo i motivi ostativi secondo tre profili sistematici:
a)           Profilo strutturale. La mancanza di disposizioni normative esplicite che disciplinino – ammettendola – la sanatoria degli abusi ambientali escluderebbe ogni sua applicazione in via “pretoria”. E’ stato sostenuto nei giudizi amministrativi (con particolare vigore da parte dell’avvocatura erariale) che le disposizioni rinvenibili nel t.u. dell’edilizia (d. lgs. 380/2001, art. 36) rivestirebbero natura eccezionale e derogatoria, onde sarebbe illegittima una loro estensione al settore paesaggistico in via analogica, inammissibile in una materia assoggettata al criterio di stretta interpretazione. Inoltre, la creazione in via di prassi amministrativa (o anche giurisprudenziale) di una sanatoria “non codificata” violerebbe il principio di tipicità degli atti amministrativi, corollario ineludibile del principio di legalità.
A tali rilievi critici può replicarsi sottolineando – in primo luogo – che non risulta fondata la tesi della mancanza di norme che ammettano la sanabilità dei vincoli ambientali, perché nel d. lgs. 152/2006 sono rinvenibili molteplici norme in tal senso. Di esse si dirà più diffusamente in appresso. L’esistenza di disposizioni legislative che rendono legittimo un procedimento di sanatoria, fissandone i presupposti, le modalità e l’efficacia, vale a escludere l’asserito carattere eccezionale e derogatorio dell’istituto. In altri settori, comunque connessi in quanto incidono sulle trasformazioni del territorio, possiamo ricordare – accanto all’art. 36, t.u. edilizia – l’art. 43 t.u. espropriazioni, quali norme che prevedono direttamente forme di sanatoria.
In secondo luogo, il principio di tipicità degli atti amministrativi non va inteso in modo talmente rigido da escludere qualsiasi discrezionalità dell’amministrazione nell’apprezzamento dei modi con i quali soddisfare l’interesse pubblico ad essa affidato, anche se si inverte la sequenza procedimentale. Tale principio, al contrario, va correttamente interpretato come riferito all’indefettibilità della funzione di specie ed alla tipicità degli interessi pubblici perseguite con l’atto amministrativo.
b)           Profilo funzionale. Una più insidiosa obiezione attiene alla natura dei procedimenti autorizzatori ambientali, che sono ispirati alla logica di una valutazione preliminare dell’impatto che una determinata attività umana può provocare sull’ambiente, onde la sanatoria – in quanto implica una decisione “postuma” – risulterebbe incompatibile con la finalità di prevenzione che connota tali atti.
In materia di autorizzazione allo scarico in ambiente idrico, la Corte di Giustizia ha avuto occasione di fissare il principio – poi divenuto jus receptum – dell’inammissibilità dell’istituto del silenzio-assenso nei procedimenti ambientali a carattere permissivo, perché il giudizio sulla (relativa) innocuità ambientale dell’opera progettata dal privato, sulla sua efficacia prestazionale, sulla sua idoneità tecnologica, è riservato alla pubblica amministrazione competente e non può essere sostituito da un’autodichiarazione del privato interessato o da una presunzione legale, che legittimano l’omissione di provvedimento.
A questo rilievo può ribattersi che la sanatoria ambientale non esclude una volta per tutte l’intervento autorizzativo della competente autorità, essendo preclusa l’applicazione del silenzio-assenso ai procedimenti ambientali. Più semplicemente, nei procedimenti collegati per l’unità del fatto della vita, si inverte la sequenza procedimentale.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato è sul punto concorde ed esaustiva: anche nei procedimenti implicitamente collegati tra loro, la mancanza della positiva conclusione dell’autorizzazione paesaggistica prima del rilascio del titolo permissivo edilizio non rende quest’ultimo illegittimo (quasi si riscontrasse un vincolo genetico della fattispecie) ma soltanto lo sottopone ad una condizione sospensiva dell’efficacia, che sarà risolta al momento dell’effettivo rilascio anche del titolo paesaggistico. Anche su queste statuizioni, peraltro, si è abbattuta la scure del legislatore delegato, che non solo nel nuovo codice paesaggistico ha introdotto un divieto esplicito di autorizzazioni in sanatoria, ma ha perfino introdotto un nesso di presupposizione nei confronti del permesso di costruire. Ennesima vicenda di interferenza del legislatore su un orientamento sgradito della giurisprudenza, ancorchè consolidato.
Nello stesso senso è orientata la giurisprudenza comunitaria, che ha riconosciuto la potestà dello Stato di effettuare “ora per allora” la valutazione di impatto ambientale omessa al momento della realizzazione dell’opera o della sua attivazione, sanzionandolo però con l’obbligo di risarcire il danno eventualmente cagionato al privato da siffatta omissione ed onerando l’operatore della sospensione dell’attività fino al conseguimento della valutazione positiva.
La giurisprudenza fissa una condizione sostanziale, valutabile caso per caso: l’acquisizione postuma non deve riguardare atti di cura di interessi pubblici che la legge postula sia necessario considerare in via prioritaria nei confronti di altri ai fini della decisione finale in quanto concorrono ad essa con specifiche valutazioni di merito. Condizione che non ricorre nel caso in cui i procedimenti non sono legati da nessi di presupposizione ma di mera consecuzione, configurandosi come procedimenti di tutela parallela, per la cura di interessi pubblici che restano distinti. Nella disciplina positiva, l’autorizzazione paesaggistica è quasi sempre prevista come adempimento successivo all’approvazione di progetti di opere pubbliche e private a rilevanza ambientale. Perfino il procedimento di valutazione di impatto ambientale, che la novella contenuta nel d. lgs. 4/2008 trasforma in un provvedimento autorizzatorio onnicomprensivo, non include l’autorizzazione paesaggistica, che deve essere rilasciata all’esito di un distinto ed autonomo procedimento.
Nella prospettiva dianzi esaminata perde rilevanza anche un ulteriore argomento, richiamato da una parte degli studiosi di diritto urbanistico, in ordine all’incompatibilità della sanatoria nei confronti dell’obbligatorietà del meccanismo sanzionatorio previsto dalla legge per gli abusi ambientali.
L’esegesi delle norme sanzionatorie ambientali, infatti, non convalida questa tesi, dal momento che la rimozione degli atti autorizzativi – ove ne siano state violate le prescrizioni – costituisce una misura estrema da adottarsi per i soli casi di maggiore gravità, mentre l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi sui quali sono state svolte attività abusive di rilevanza ambientale (ad es., discarica di rifiuti) costituisce una misura di carattere eccezionale. Nella maggior parte degli abusi, infatti, la disciplina settoriale ammette in modo implicito la loro sanabilità, sempre che l’opera risulti conforme alla disciplina ambientale di specie (i vincoli di cui diremo tra breve…) ed alla normativa urbanistica.
A questo riguardo va richiamata l’attenzione sul procedimento di approvazione degli impianti di gestione dei rifiuti, la cui conclusione può comportare anche la variante degli strumenti urbanistici ed il rilascio del permesso di costruire. La dottrina ha definito come “cedevole” la posizione della disciplina urbanistica nei confronti dell’interesse pubblico che connota le attività di gestione dei rifiuti, qualificazione che sembra rendere più agevole la considerazione della sanabilità complessiva di impianti ed opere connotate da forme di illegalità che incidono sia sulla disciplina urbanistica che su quella ambientale.
c) Profilo sistematico-ordinamentale. Si è sostenuto da una parte della giurisprudenza penale che sussisterebbe un’intrinseca contraddizione tra la sanatoria di illeciti ambientali e l’intangibilità della tutela dell’ambiente, in quanto valore costituzionale primario ed assoluto.
La tesi è suggestiva ma non acquisisce sostanza dirimente. La stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato il principio che non sussiste una gerarchia tra valori costituzionali bensì un’esigenza di loro ponderazione e bilanciamento (vengono citati, tra gli altri, la protezione della salute, l’iniziativa economica, la libertà di comunicazione, la proprietà privata, la difesa della Patria, il rispetto di obblighi internazionali). La necessità di assicurare all’interesse ambientale un elevato livello di tutela non lo colloca in un vertice inattingibile della piramide costituzionale, ma vale ad escluderne il sacrificio totale quando anche altri interessi pubblici (e privati) devono trovare adeguata soddisfazione.
 
(4) Esempi di norme che prevedono forme di sanatoria ambientale.
Si è accennato alla presenza nell’ordinamento settoriale ambientale di norme che richiamano in modo esplicito o implicito procedimenti volti alla sanatoria di illeciti ambientali, sia per quanto riguarda l’attivazione di impianti o la messa in esercizio di attività produttive senza avere richiesto (o prima di avere ottenuto) il prescritto titolo permissivo, sia con riferimento alla violazione di prescrizioni contenute nell’autorizzazione.
L’esempio più significativo – tanto da acquisire un valore emblematico – è rinvenibile nella novella del d. lgs. 4/2008 al codice ambientale (d. lgs. 152/2008), che ha radicalmente rielaborato la natura giuridica, il procedimento e l’efficacia della valutazione di impatto ambientale. La realizzazione di un’opera senza la preventiva valutazione d’impatto ambientale obbligatoria comporta l’annullabilità degli atti amministrativi di consenso, mentre viene affidato all’autorità amministrativa l’obbligo di sospendere i lavori in corso o l’esercizio dell’iniziativa, mentre la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi costituiscono misure repressive facoltative, che possono essere subordinate all’esito dello svolgimento della valutazione di impatto ambientale ”postuma”, la quale ha il compito di attestare la compatibilità dell’opera e la sua conformità alle discipline applicabili.
In materia di bonifica dei siti contaminati viene contemplata un’ipotesi di non punibilità dei reati ambientali commessi qualora vengano adempiuti gli obblighi sostanziali e procedimentali contemplati nel progetto di bonifica approvato dall’autorità competente (art. 257, comma 4, d. lgs. 152/2006). Nel progetto sono contemplate anche opere e impianti (ad es., di trattamento dei rifiuti liquidi emunti dalla falda) la cui approvazione può anche rivestire efficacia sanante di eventuali irregolarità commesse.
Infine, nel medesimo codice ambientale sono statuite specifiche procedure sanzionatorie per i comportamenti illeciti dei privati, in materia di scarichi di acque reflue, di gestione dei rifiuti, di emissioni in atmosfera, che prevedono una diffida a conformarsi alle prescrizioni autorizzatorie e l’intervento ablativo dell’autorità solo qualora permanga l’inadempimento (articoli 130, 208, 210, 215, 278, d. lgs. 152/2006). Il ripristino della legalità da parte del soggetto diffidato non esclude l’imputazione della responsabilità penale, ma nemmeno l’eventuale sanatoria amministrativa (ad es., la modifica di prescrizioni).
Il principio di neutralità della sanatoria amministrativa nei confronti degli eventuali illeciti penali che concorrono a costituire la condotta del soggetto agente comporta da un lato la sussistenza del presupposto indefettibile della conformità dell’iniziativa alla normativa ambientale vigente, ma anche alle altre normative di tutela, come quelle urbanistiche ed edilizie, per le ragioni dianzi esplicitate.
In questa prospettiva, va sottolineato che nell’ordinamento positivo non è dato rinvenire nessi di presupposizione tra i diversi atti permissivi previsti dalle normative settoriali che disciplinano la costruzione e l’esercizio di intraprese produttive. Accanto all’esempio già ricordato della disciplina paesaggistica, che si colloca in una sorta di “splendida autonomia” nei confronti di tutte le altre, anche le norme in materia di scarichi di acque reflue e di emissioni in atmosfera non richiamano alcun vincolo procedimentale nei confronti dei profili urbanistici ed edilizio. Per quanto riguarda i rifiuti, invece, si è già accennato alla circostanza che l’approvazione dei progetti di impianti di gestione dei rifiuti può comportare la variazione autoritativa degli strumenti urbanistici ed il rilascio contestulae del permesso di costruire.
E’ appena il caso di sottolineare che siffatti problemi potrebbero trovare un’adeguata sede di composizione nella sede della conferenza dei servizi disciplinata dagli articoli 14 e seguenti della legge 241/1990, ma sussistono ancora resistenze e gelosie da parte delle amministrazioni locali che spesso vanificano l’intento di razionalizzazione e di semplificazione assunto dal legislatore quasi 20 anni fa
 
(5) La sanatoria degli illeciti ambientali: elementi a favore della tesi sulla sua ammissibilità.
Dopo avere intavolato il complesso delle motivazioni ostative e di quelle favorevoli alla prospettiva della sanatoria in materia ambientale, ed avere effettuata una (si spera) accurata “discovery” delle norme che contemplano forme di sanatoria, sembra utile interrogarsi se sono configurabili principi che possano militare in senso favorevole.
La risposta – come diremo tra poco – è positiva, ma impone alcune precisazioni preliminari. In primo luogo, occorre operare alcune distinzioni nella categoria generale degli illeciti ambientali.
Vanno distinti gli abusi conseguenti ad atti illegittimi della pubblica amministrazione da quelli derivanti dall’attività svolta dal privato sine titulo. Nel primo gruppo ricadono gli atti viziati da incompetenza, violazione di norme procedimentali sostanziali rilevanti sul contenuto del provvedimento adottato, omessa acquisizione di pareri obbligatori, mancata ponderazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti. Nel secondo gruppo rientrano sia la mancata richiesta del titolo legittimante da parte del privato sia la decisione della pubblica amministrazione di non rilasciare l’atto permissivo richiesto perché ritenuto non dovuto o non necessario (ad es., in materia di valutazione di impatto ambientale o di autorizzazione integrata ambientale), ed inoltre quando l’atto di consenso è stato annullato dall’autorità giudiziaria o dalla stessa amministrazione, in regime di autotutela.
Si tratta di casi la cui diversità comporta inevitabilmente una disciplina differenziata, per soddisfare esigenze anche contrastanti tra di loro. Nel primo gruppo, ad es., può risultare opportuno adottare misure di vera e propria convalida, a migliore tutela dell’interesse pubblico di specie. Nel secondo gruppo, viceversa, ferma restando la salvaguardia dell’interesse pubblico, emerge l’interesse del privato affinchè la pubblica amministrazione rinnovi il procedimento ovvero ne svolga uno del tutto nuovo, in vista del rilascio di un provvedimento con efficacia esplicita di sanatoria nei confronti degli interventi realizzati in assenza di titolo legittimante.
Per quanto concerne i principi desumibili dall’ordinamento, il primo di essi sembra essere quello del potere generale di convalida degli atti amministrativi viziati, codificato nell’art. 21-nonies della legge 241/1990, che disciplina anche modalità ed effetti dell’annullamento d’ufficio. In modo simmetrico, non può non sussistere la potestà dell’amministrazione di promuovere – anche mediante un procedimento di secondo grado – un atto di sanatoria, che valga a ripristinare la legalità. E ciò può avvenire anche su istanza di parte.
Un secondo caposaldo – richiamato dalla giurisprudenza amministrativa sull’ammissibilità del rilascio di autorizzazioni postume, cioè che invertano la sequenza procedimentale “ordinaria” – è rappresentato dal principio di economia dei mezzi giuridici, in virtù del quale occorre valutare se l’opera realizzata in assenza del titolo legittimante avrebbe potuto ricevere il necessario consenso ove fosse stato ritualmente richiesto. Se questa operazione concettuale si risolve in m modo positivo, non avrebbe senso imporre la previa ablazione  dell’opera salvo autorizzarne l’integrale ripristino nelle medesime condizioni fattuali e giuridiche. Gli stessi principi costituzionali di ragionevolezza e di proporzionalità sembrano militare in favore della tesi “conservativa”.
Un terzo caposaldo, infine appare richiamabile nel principio di non offensività, in virtù del quale viene sanzionato l’illecito di mera “disubbidienza” cioè la violazione dell’obbligo di sottoporre alla pubblica amministrazione la valutazione della legittimità dell’attività nei casi nei quali essa è subordinata ad un atto positivo ed espresso di rimozione del limite legale. Se l’intervento risulta conforme alle normative vigenti – mediante un giudizio postumo – non sussiste lesione apprezzabile degli interessi pubblici protetti, e dunque la sanzione ablatoria è in contrasto con il principio di proporzionalità.
Sussiste, infine, un argomento “metagiuridico”: la dottrina ha più volte denunciato l’oscurità, la contraddittorietà, la frammentazione della normativa ambientale, alla quale non ha posto rimedio (anzi potrebbe averne aggravato i difetti) il c.d. codice ambientale. L’applicazione della normativa ambientale è tuttora disomogenea sul territorio nazionale, e sembra più affidata all’estemporaneità dei casi giudiziari che ad una costante e coerente azione amministrativa di prevenzione, informazione e gestione dei controlli.
Il ripristino della legalità, dunque, non può avvenire soltanto per via repressiva, ma anche riconducendo nell’alveo della conformità normativa vicende che hanno violato norme e procedimenti spesso di difficile interpretazione ed applicazione.
 
Tivoli, 11 dicembre 2009
(prof. Paolo Dell’Anno)


[1] Nel c.d. codice ambientale esiste in effetti una norma che costituisce una esimente dei reati ambientali commessi, qualora venisse attivata la procedura di bonifica, con impliciti effetti anche di sanatoria (d. lgs. 152/2006, art. 257,. comma 4). Stante la sua natura eccezionale, se ne dirà in appresso.
[2] Esistono anche fasce di rispetto nei confronti delle aree cimiteriali, ma essee soddisfano prevalenti interessi sanitari ed esigenze culturali e religiose.