Che ne è stato dello Stato?
(Spunto da TAR Toscana, n° 378/2021, depositata il 10.03.2021)
di Massimo GRISANTI
Con sentenza n° 378 del 10.03.2021, i Giudici del TAR per la Toscana, condividendo i provvedimenti adottati dal probo dirigente del Comune di Massa e Cozzile, hanno statuito che in forza del motu proprio del 24 marzo 1783 del Granduca Pietro Leopoldo di Toscana le mura che cingono il centro storico della cittadina di Cozzile, in provincia di Pistoia, appartengono al patrimonio comunale ed ai sensi e per gli effetti dell’art. 10 d.lgs. 42/2004 afferiscono al demanio culturale comunale. L’appartenenza pubblica delle mura esclude la legittimazione di coloro i quali, proprietari di fabbricati inglobanti le mura storiche nelle unità immobiliari, intendono modificarle con attività edilizia interessante i locali di proprietà privata.
Statuiscono i Giudici del TAR:
< … 5. Con il terzo motivo l’istante sostiene che, anche se la parete interessata dalla s.c.i.a. facesse parte delle mura urbane, non vi sarebbe alcuna prova che quest’ultime apparterrebbero al Comune; inoltre, anche se si trattasse di bene pubblico, competente ad adottare misure cautelari sarebbe la Soprintendenza (alla quale spetta la facoltà di ordinare l’inibizione o la sospensione degli interventi ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 42/2004) e non il Comune (donde anche il vizio di carenza di potere): i beni pubblici sono assoggettati a tutela (art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004) mentre i beni privati sono sottoposti a tutela in via cautelare, in modo definitivo solo dopo la verifica positiva e quindi dopo la dichiarazione di interesse culturale.
Il mezzo è infondato.
Il fatto che il ricorrente intervenga su un bene che, per fisionomia e origini storiche, fa parte delle mura urbane, giustifica la valutazione secondo cui si tratta di opere ricadenti su bene pubblico (si veda la citata relazione del 19.3.2015, la quale trova conferma nella delibera ricognitiva della giunta comunale n. 129 del 27.9.2018 e nell’annessa relazione tecnico-storica: documenti n. 12 e n. 12a depositati in giudizio dal Comune).
Invero la relazione del responsabile del Settore richiamata nell’impugnata ordinanza inibitoria fa riferimento all’edificazione dell’abitazione del ricorrente sulle mura perimetrali del nucleo storico, le quali, ai sensi dell’art. 39 del regolamento urbanistico, ai fini del loro recupero devono essere assoggettate a un progetto unitario di recupero e riqualificazione di iniziativa pubblica, nell’implicito presupposto che la loro proprietà sia pubblica.
La proprietà comunale delle mura trova infine riscontro in studi e approfondimenti successivi all’adozione degli atti impugnati: la giunta comunale, con deliberazione n. 129 del 27.9.2018, nel recepire la relazione di un esperto (architetto Ceccanti) frutto di ricerche storiche, ha dato atto dell’appartenenza delle mura al Comune, sull’assunto che la proprietà pubblica risale ad un atto Granducale del 1783.
Ciò precisato, si osserva che l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 consente all’Ente pubblico di intervenire dopo 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. a fronte di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale e previo accertamento dell’impossibilità di tutelare tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. La competenza al riguardo fa capo al Comune, giacché il potere di vigilanza in tema di s.c.i.a. rientra nelle attribuzioni comunali in virtù dell’art. 146 della L.R. n. 65/2014 (e prima ancora in virtù dell’art. 84 bis della L.R. n. 65/2014).
Pertanto l’interesse storico culturale e la proprietà pubblica da un lato e l’art. 146 della L.R. n. 65/2014 sotto il profilo della competenza dall’altro giustificano l’adozione dell’atto impugnato.
(…)
L’art. 19 della legge n. 241/1990 non condiziona all’esistenza di un vero e proprio vincolo la possibilità di intervenire sulla s.c.i.a., una volta trascorso il termine di 30 giorni, a tutela del patrimonio artistico e culturale; in ogni caso, la rilevanza delle mura in questione nell’ambito dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 trova ragione nell’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004, che sottopone a tutela i beni culturali di cui all’art. 10, comma 1, prima dell’istituzione del vincolo e quindi attribuisce rilevanza ai beni di interesse storico ancorché manchi ancora la formale dichiarazione di interesse culturale. Il fatto che si tratti di bene immobile esistente da secoli e che appartenga al Comune (come addotto nella menzionata nota della Soprintendenza, nella relazione del responsabile comunale del Settore e, infine, nella successiva relazione storica recepita dalla giunta comunale con deliberazione n. 129 del 27.9.2018) giustifica il valore di bene culturale meritevole di tutela, pur nell’attuale assenza di un vincolo istituito ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, e quindi giustifica l’applicazione dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 … >.
Ciò avviene a Cozzile, cittadina praticamente sconosciuta all’universo mondo.
Ma non avviene a San Gimignano, che, invece, è una Città tanto conosciuta all’universo mondo da costituire la World Heritage list dell’UNESCO, il cui ingresso, nel 1990, è stato fatto precedere da questa motivazione: “Capolavoro del genio creativo umano, porta la testimonianza unica di una civiltà del passato e l’eccezionale esempio di un complesso architettonico e paesaggistico, testimonianza di importanti tappe della storia umana”.
La questione dell’appartenenza delle storiche mura, bastioni, rocche, torri e simili edifici già esistenti al tempo del Granducato di Toscana fu trattata funditus dall’Avv. Stolfi dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Firenze il 21 febbraio 1938, con nota protocollo n° 1079 indirizzata alla Regia Soprintendenza all’Arte Medioevale e Moderna per la Toscana II, il quale così si espresse:
< … Con motu proprio del 24 marzo 1783 il Granduca Pietro Leopoldo di Toscana stabilì che “le mura castellane, eccettuate quelle che recingono le città nelle quali si esige la Gabella alle Porte, come pure i Bastioni, Rocche, Torri e simili Edifizi, devono riguardarsi a tutti gli effetti, come appartenenti alle rispettive Comunità, le quali ne potranno disporre come crederanno nel loro interesse. In conseguenza di che non altrimenti alla Camera delle Comunità di Firenze e rispettivamente all’Ufficio dei Fossi di Pisa ma solo alle suddette comunità vuole la R.A.S. che appartenga la facoltà di concedere licenze per demolire ed occupare le suddette mura castellane … e che il prezzo che sarà concordato, come, pure, il ritratto dei materiali, debba andare a beneficio delle rispettive predette comunità per computarsi fra le partite della Entrata annuale ecc.”.
Di tale motu proprio venne data notificazione dall’Auditore delle Regalie l’11 aprile 1783 (ved. Racc. delle leggi del Granducato di Toscana 1782-1783, pag. 153).
Da quanto sopra si deduce che le mura castellane dei paesi facenti parte del Granducato di Toscana, prima del detto motu-proprio appartenevano al Demanio dello Stato (Camera delle comunità), di poi passarono dal demanio dello Stato ai Comuni, in occasione della legislazione generale sui Comuni di Pietro Leopoldo di Toscana, nell’anno 1782.
Che, in particolare, poi, le mura di San Gimignano, prima del 1783 appartenessero al Demanio dello Stato di Firenze, è con sicurezza attestato anche dal Repetti (Diz. Geogr. Della Toscana, ed. 1843, V. San Gimignano p. 42), il quale dichiara che “nell’ultima guerra sostenuta dalla Repubblica Fiorentina (nell’anno 1528) anche le mura castellane di San Gimignano furono rassettate siccome può rilevarsi da una lettera del 27 settembre 1528 scritta dai Dieci di Balia di Guerra a Nicolò Fabbrini di Firenze, allora potestà e Commissario di San Gimignano.
Tale circostanza di fatto potrà essere opportunamente accertata da codesta On. Soprintendenza mediante ricerche negli archivi del Comune di San Gimignano.
Alla tesi dell’appartenenza delle mura al Comune, non contrastano le disposizioni degli art. 427 e 429 del Codice civile, poiché le mura cui accennano tali disposizioni di legge sono quelle che servono o servivano (come i bastioni delle piazze da guerra e le fortezze) alla difesa militare dello Stato. Ora, questa funzione non hanno certamente né, da parecchi secoli, hanno più le mura di San Gimignano, la cui importanza è puramente artistica e storica (ved. in proposito, per le mura di Roma, il Mantellini Lo Stato ed il Codice Civile ed. 1882 vol. II, pag. 118 e segg.).
In conclusione: a meno che non si verifichi la circostanza prevista dal Motu proprio Granducale, le mura di San Gimignano si debbono ritenere di proprietà del Comune di tale città e ad esso fa carico l’onere della manutenzione e del restauro delle mura stesse.
Naturalmente, poiché le mura di San Gimignano sono soggette alle disposizioni della legge del 20 giugno 1909 n. 364 e del regolamento approvato con R.D. 30 gennaio 1913 n. 363, il Ministero dell’Educazione Nazionale potrà far restaurare le mura, ponendo le spese relative a carico del Comune se ed in quanto l’Ente sia in grado di sostenerle, ai sensi dell’art. 4 capov, 2° della legge e 40 e segg. del Regolamento >.
Sono passati ottantatre anni da allora senza che il Comune, tantomeno la Soprintendenza di Siena, abbiano apprestato la prescritta tutela alle mura della Città di San Gimignano: mura storiche inglobate negli edifici privati, in cui sono state aperte finestre e fatte oggetto della costruzione di terrazzi e logge, sopraelevazioni di interi piani, per poi formare oggetto di pratiche di condono edilizio (addirittura anche positivamente evase). Porzioni di un complesso monumentale, dichiarato tale con decreto del 13 febbraio 1928 del Ministro dell’Istruzione, che sono di fatto alienate in manifesta violazione dell’obbligo di destinazione alla fruizione pubblica.
La situazione, meritevole di particolare attenzione, non è stata mai presa in considerazione nonostante una specifica denuncia del 15.4.2019 e desta maggiori preoccupazioni per ciò che riguarda l’ex Convento di San Domenico, che ha svolto funzioni di convento dalla sua prima edificazione, risalente al XIV secolo, fino al 1787, anno della soppressione del monastero, per poi essere destinato a carcere dal 1833 al 1995, data dalla quale è rimasto per lo più inutilizzato. Ora, dopo il passaggio dal demanio statale alla Regione Toscana e al Comune di San Gimignano, grazie ad un project financing verrà trasformato da privati in albergo di lusso, così sottraendolo alla pubblica fruizione per almeno settant’anni, in palese contrasto col vincolo di destinazione e fruizione fissato dall’art. 101, commi 1, 2 lett. f) e 3 d.lgs. 42/2004 per i complessi monumentali appartenenti agli enti pubblici.
Tale situazione del patrimonio demaniale culturale non è confinata a Cozzile, ma è esteso a tutte le cittadine medievali toscane, nessuna esclusa, anche Siena e la stupenda Massa Marittima.
Il tutto avviene nella cosiddetta Terra del Buongoverno dell’Ambrogio Lorenzetti, retta ininterrottamente, da quasi ottanta anni da chi ha sempre professato bene, ma razzolato decisamente male da oltre quarant’anni per quanto riguarda la tutela del patrimonio culturale.
Che tristezza! Che ne è stato dello Stato?
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Pubblicato il 10/03/2021
N. 00378/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00852/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 852 del 2015, proposto da
Fernando Mario Martini, rappresentato e difeso dall'avvocato Matteo Guerri, con domicilio eletto presso lo studio Jacopo Primavera in Firenze, via XXIV Maggio, 3, e domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
contro
Comune di Massa e Cozzile, rappresentato e difeso dall'avvocato Franco Arizzi, con domicilio eletto presso il suo studio in Firenze, lungarno A. Vespucci n. 20 e domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Firenze, Pistoia e Prato, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato e domiciliati per legge presso la stessa in Firenze, via degli Arazzieri 4;
per l'annullamento
- dell'ordinanza di sospensione dei lavori n. 20 del 26.2.2015, con la quale, ai sensi dell'art. 21-quater della legge 241/1990 e s.m.i., è stato ordinato di sospendere i lavori in corso di esecuzione sull'immobile in Via Martini, 22;
- della nota prot. n. 2048 del 2.4.2015 della Soprintendenza delle Belle Arti e Paesaggio per le Province di Firenze, Pistoia e Prato;
- del provvedimento di "Inibizione e Ordine di ripristino" del 16.4.2015, notificato il 24.4.2015, a mezzo del quale il Responsabile del Settore Urbanistica e Edilizia privata del Comune di Massa e Cozzile ha inibito di realizzare ulteriori lavori (fra quelli compresi nella S.C.I.A. prot. n. 10442 del 28.10.2014 relativa all'immobile posto in Via Martini n. 22) suscettibili di incidere o interessare strutture murarie esterne ed ha ordinato di ripristinare entro novanta giorni dalla notifica del provvedimento l'assetto murario esterno preesistente all'intervento e, per l'effetto, di eliminare la tamponatura della preesistente finestra e ogni altra modifica eventualmente apportata alle predette mura;
- di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Massa e Cozzile, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo e della Soprintendenza per Beni Architettonici e Paesaggistici per le Provincie di Firenze, Pistoia e Prato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2021 il dott. Gianluca Bellucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il signor Fernando Mario Martini è proprietario di una parte di un immobile destinata ad abitazione, nel borgo di Cozzile. Trattasi di edificio schedato come di medio valore e inserito dal piano strutturale nell’invariante B “Centri storici”, mentre il regolamento urbanistico lo classifica in zona A1 (centri e nuclei storici).
Egli ha presentato domanda di assenso per la ristrutturazione dell’immobile con realizzazione di 2 abitazioni e posti auto.
Il responsabile del settore edilizia del Comune di Massa e Cozzile, sulla base del parere favorevole della commissione comunale per il paesaggio datato 10.4.2014, ha rilasciato l’atto di assenso alla realizzazione dei lavori, dopo il quale il ricorrente ha presentato, in data 28.10.2014, segnalazione certificata di inizio attività, la quale prevedeva tra l’altro la tamponatura di un’apertura e nuove aperture.
Nel febbraio 2015 è stata eseguita la tamponatura dell’esistente apertura.
Il responsabile del procedimento, con ordinanza del 26.2.2015, ha ordinato la sospensione dei lavori, stante la necessità di verifiche da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Firenze (documento n. 9). Quest’ultima, con nota del 2.4.2015 (documento n. 11), ha rilevato che le strutture murarie interessate dalla s.c.i.a. sembravano appartenere alle mura urbane riferibili alla proprietà comunale, sottoposte a tutela ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004 sino alla verifica dell’interesse culturale ex art. 12.
Il Comune di Massa e Cozzile, con ordinanza del 16.4.2015, ha inibito all’interessato gli ulteriori lavori, suscettibili di incidere sulle strutture murarie esterne, previsti nella s.c.i.a. e ha ordinato di eliminare la tamponatura della preesistente finestra e ogni altra modifica eventualmente apportata alle mura urbane. Tale ordinanza assumeva a presupposto la predetta nota della Soprintendenza, l’art. 146, comma 2 lett. c, della L.R. n. 65/2014 (che prevede la sanzione demolitoria in caso di pericolo di danno per il patrimonio storico artistico culturale), l’art. 146, comma 3, della citata legge regionale e l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990
Avverso le predette ordinanze il ricorrente è insorto deducendo:
1) Violazione degli artt. 21 quater, 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990.
E’ illegittimo un atto di sospensione dei lavori a tempo indeterminato.
2) Violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per motivazione perplessa e dubbiosa; carenza di istruttoria.
La richiamata nota della Soprintendenza si limita a ipotizzare che le mura interessate dalla s.c.i.a. appartengano alle mura urbane, cosicchè l’ordinanza inibitoria impugnata si basa su motivazione incerta e dubbiosa; anche l’istruttoria ha dato un esito dubitativo.
3) Violazione degli artt. 10, comma 1, 12 e 28 del d.lgs. n. 42/2004, dell’art. 97 della Costituzione e degli artt. 822, 824 e 826 c.c.; eccesso di potere per errore sui presupposti, travisamento, carenza di istruttoria e sviamento; incompetenza.
Anche se vi fosse l’ipotizzata appartenenza alle mura urbane, l’Amministrazione non ha richiamato alcun titolo in forza del quale le mura in questione apparterrebbero al Comune (un immobile di interesse storico rientra nel demanio pubblico alla duplice condizione dell’appartenenza all’ente pubblico e della verifica della natura di bene culturale). Anche se il bene fosse pubblico e valesse l’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004, competente ad adottare misure cautelari sarebbe stata la Soprintendenza e non il Comune, stante l’art. 28, comma 2.
4) Violazione degli artt. 7, 19 commi 3 e 4, 21 quinquies e 21 nonies della legge n. 241/1990, nonché dell’art. 146 della L.R. n. 65/2014.
L’adozione di atti inibitori, nell’art. 19 della legge n. 241 e nell’art. 146, comma 2 lett. c, della L.R. n. 65/2014, è subordinata all’impossibilità di conformare l’intervento alla normativa vigente e comunque è circoscritta ai casi di pericolo di danno per il patrimonio artistico culturale; nel caso di specie la proprietà pubblica e l’appartenenza alle mura urbane sono solo ipotizzate. E’ mancata la comunicazione di avvio del procedimento. Ai sensi dell’art. 19, comma 3, della legge n. 241/1990, è salvo il potere di autotutela ai sensi degli artt. 21 quinquies e nonies nei casi di cui al comma 4 (relativi all’intervento dell’Amministrazione successivo al decorso del termine previsto dal comma 3), talché il potere interdittivo è limitato dalla disciplina dell’autotutela. L’art. 146, comma 2 lett. c, della L.R. n. 65/2014 va applicato in conformità al novellato art. 19, commi 3 e 4, della legge n. 241/1990, pena l’incostituzionalità della norma regionale.
5) Violazione degli artt. 10, commi 1 e 3, 12, 13 e 14 del d.lgs. n. 42/2004 e dell’art. 28 del d.lgs. n. 42/2004; eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità; sviamento.
L’appartenenza del bene al Comune e l’interesse storico sono stati solo ipotizzati; esso inoltre presenta terrazzi, aperture, antenne paraboliche.
Si è costituito in giudizio il Comune di Massa e Cozzile, il quale ha eccepito sia l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione in ordine al capo del provvedimento che ha motivato l’inibitoria con la violazione della disciplina locale ex art. 146, comma 2 lett. b, della L.R. n. 65/2014, sia l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse stante la presentazione della pratica edilizia n. 218/2018 e, prima ancora, della pratica edilizia n. 12/2017 (archiviata dal Comune), riguardanti un diverso progetto delle aperture in corrispondenza delle antiche mura
Con ordinanza n. 410 del 17.6.2015 è stata respinta l’istanza cautelare sulla base delle seguenti argomentazioni: “Considerato: che il ricorso appare sprovvisto del necessario fumus di fondatezza, tenuto conto della natura dell’immobile oggetto dell’intervento edificatorio controverso, della sua classificazione e delle disposizioni del Piano strutturale e del Regolamento urbanistico applicabili alla fattispecie; che nel necessario bilanciamento degli interessi coinvolti quello del privato a realizzare un miglioramento funzionale dell’immobile (nella specie, una cantina) è senz’altro recessivo rispetto all’interesse pubblico alla conservazione di beni di rilievo culturale”.
All’udienza del 9 febbraio 2021 la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
1. In via preliminare occorre pronunciarsi sulle questioni in rito.
Il Comune ha eccepito l’inammissibilità del gravame, in quanto l’impugnato provvedimento si incentra sia sulla difformità dagli strumenti urbanistici (risultante dalla richiamata relazione tecnica), sia sulla tutela di interessi sensibili, mentre il ricorrente ha impugnato solo quest’ultima parte, con la conseguenza che il provvedimento, anche se il ricorso fosse accolto, si sorreggerebbe comunque sul motivo non contestato.
L’eccezione non ha pregio.
L’impugnata ordinanza non fa riferimento a difformità della s.c.i.a. dallo strumento urbanistico. Tale riferimento è invece contenuto nella richiamata relazione del responsabile del Settore, che però non è stata espressamente recepita in parte qua nel provvedimento adottato.
2. E’ stata eccepita l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il deducente ha presentato una nuova pratica edilizia, nella quale sono previste aperture delle mura del tutto diverse da quelle oggetto della controversia in esame.
L’eccezione non può essere accolta.
Il ricorrente, pur presentando una nuova pratica edilizia (che non è ancora sfociata in un titolo abilitante), non ha rinunciato alla s.c.i.a. presentata il 28.10.2014. Inoltre, egli si è riservato di proporre azione risarcitoria per i danni derivanti dagli atti impugnati, cosicchè l’eventuale accoglimento del ricorso varrebbe anche a sostenere la pretesa di risarcimento del pregiudizio subito, rilevando così comunque l’interesse risarcitorio.
3. Con la prima censura il ricorrente contesta l’impugnata ordinanza di sospensione dei lavori in quanto priva dell’indicazione della durata del periodo di sospensione ed emessa senza alcuna garanzia di partecipazione al procedimento e senza comparazione degli interessi pubblici con l’interesse del privato; secondo il ricorrente, inoltre, l’atto di sospensione è illegittimo in quanto incompatibile con la disciplina speciale dettata in materia di s.c.i.a..
La censura è inammissibile.
All’ordinanza di sospensione dei lavori in corso datata 26.2.2015 (per propria natura provvisoria, ai sensi del richiamato art. 21 quater della legge n. 241/1990) è subentrato, in data 16.4.2015, l’ordine di inibizione di ulteriori lavori e di ripristino dello stato dei luoghi, talché, al momento della proposizione del ricorso, l’impugnata ordinanza di sospensione non era suscettibile di arrecare alcuna lesione al ricorrente.
Pertanto, l’interesse del signor Martini si è trasferito sul provvedimento da ultimo adottato, il quale ha determinato il venire meno dell’efficacia dell’atto cautelare del Comune.
Deve pertanto essere accolta l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di gravame per difetto di interesse, sollevata dalla difesa del Comune di Massa e Cozzile.
4. Con la seconda doglianza l’esponente afferma che l’ordine di ripristino richiama la nota del 2.4.2015 con la quale la Soprintendenza si limita a ipotizzare che le strutture murarie oggetto dell’intervento appartengano alla cinta fortificata di Cozzile, con la conseguenza che il provvedimento finale si basa su una motivazione incerta e dubbiosa, ovvero su una motivazione inadeguata e su una istruttoria carente.
Il rilievo è infondato.
L’impugnata ordinanza non si limita a recepire il giudizio espresso dalla Soprintendenza in data 2.4.2015 ma si basa anche sulla relazione del responsabile del Settore Lavori Pubblici del 19.3.2015 (documento n. 10 depositato in giudizio nel maggio 2015 dal deducente), secondo cui “si può ragionevolmente ritenere che l’unità abitativa sia edificata sulle mura perimetrali del nucleo storico” e il muro sul quale è stata progettata l’apertura di porte e finestre è da ricondursi alle antiche mura (pagine 12 e 13 del documento n. 10). Risulta quindi un’istruttoria che non si incentra su dati incerti, ma su valutazioni espresse dal responsabile del Settore in relazione alle caratteristiche concrete delle mura in questione, di cui sono visibili resti inglobati nelle abitazioni.
Del resto anche la polizia municipale, in data 24.2.2015, aveva segnalato che erano stati rilevati lavori di apertura di finestre verso l’esterno delle mura “costituenti la cinta muraria del centro storico di Cozzile” (si vedano le note prot. n. 1760 e 1761 del 24.2.2015), mentre la Soprintendenza, con missiva datata 25.2.2015, aveva segnalato “lavori di apertura di alcune finestre sulle antiche mura urbane”.
Ad abundantiam il Collegio rileva che l’immobile del ricorrente, secondo la relazione del responsabile del Settore, fra l’altro appartiene all’invariante dei centri storici prevista dal piano strutturale e assume valore testimoniale ai sensi dell’art. 29 delle NTA del piano strutturale, il che rafforza l’esistenza delle ragioni di conservazione del bene palesate nell’atto impugnato.
5. Con il terzo motivo l’istante sostiene che, anche se la parete interessata dalla s.c.i.a. facesse parte delle mura urbane, non vi sarebbe alcuna prova che quest’ultime apparterrebbero al Comune; inoltre, anche se si trattasse di bene pubblico, competente ad adottare misure cautelari sarebbe la Soprintendenza (alla quale spetta la facoltà di ordinare l’inibizione o la sospensione degli interventi ai sensi dell’art. 28 del d.lgs. n. 42/2004) e non il Comune (donde anche il vizio di carenza di potere): i beni pubblici sono assoggettati a tutela (art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004) mentre i beni privati sono sottoposti a tutela in via cautelare, in modo definitivo solo dopo la verifica positiva e quindi dopo la dichiarazione di interesse culturale.
Il mezzo è infondato.
Il fatto che il ricorrente intervenga su un bene che, per fisionomia e origini storiche, fa parte delle mura urbane, giustifica la valutazione secondo cui si tratta di opere ricadenti su bene pubblico (si veda la citata relazione del 19.3.2015, la quale trova conferma nella delibera ricognitiva della giunta comunale n. 129 del 27.9.2018 e nell’annessa relazione tecnico-storica: documenti n. 12 e n. 12a depositati in giudizio dal Comune).
Invero la relazione del responsabile del Settore richiamata nell’impugnata ordinanza inibitoria fa riferimento all’edificazione dell’abitazione del ricorrente sulle mura perimetrali del nucleo storico, le quali, ai sensi dell’art. 39 del regolamento urbanistico, ai fini del loro recupero devono essere assoggettate a un progetto unitario di recupero e riqualificazione di iniziativa pubblica, nell’implicito presupposto che la loro proprietà sia pubblica.
La proprietà comunale delle mura trova infine riscontro in studi e approfondimenti successivi all’adozione degli atti impugnati: la giunta comunale, con deliberazione n. 129 del 27.9.2018, nel recepire la relazione di un esperto (architetto Ceccanti) frutto di ricerche storiche, ha dato atto dell’appartenenza delle mura al Comune, sull’assunto che la proprietà pubblica risale ad un atto Granducale del 1783.
Ciò precisato, si osserva che l’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 consente all’Ente pubblico di intervenire dopo 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. a fronte di pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale e previo accertamento dell’impossibilità di tutelare tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente. La competenza al riguardo fa capo al Comune, giacché il potere di vigilanza in tema di s.c.i.a. rientra nelle attribuzioni comunali in virtù dell’art. 146 della L.R. n. 65/2014 (e prima ancora in virtù dell’art. 84 bis della L.R. n. 65/2014).
Pertanto l’interesse storico culturale e la proprietà pubblica da un lato e l’art. 146 della L.R. n. 65/2014 sotto il profilo della competenza dall’altro giustificano l’adozione dell’atto impugnato.
La richiamata relazione del responsabile del settore lavori pubblici fa anche riferimento all’art. 29 delle NTA del piano strutturale, secondo cui negli edifici di valore testimoniale non si possono alterare le sagome e le dimensioni delle aperture esterne relativamente al fronte principale, all’art. 39 del regolamento urbanistico, secondo cui le mura vanno assoggettate a un progetto unitario di recupero e riqualificazione di iniziativa pubblica, e alle norme del piano strutturale secondo cui non sono ammesse modifiche incidenti sugli elementi verticali strutturali, il che rafforza le esigenze di salvaguardia palesate nelle impugnate ordinanze.
6. Con la prima parte del quarto motivo l’istante deduce che la normativa di riferimento (art. 146 della L.R. n. 65/2014 e art. 19 della legge n. 241/1990) restringe il potere di controllo e intervento successivo dell’Amministrazione limitandolo ai casi in cui si verifichi un potenziale pregiudizio ad interessi primari, mentre invece nella fase istruttoria dell’impugnato ordine di rimessa in pristino manca il suddetto presupposto, trattandosi di bene non facente parte del patrimonio storico artistico culturale e paesaggistico, non sottoposto ai vincoli previsti dal codice dei beni culturali e assoggettato unicamente ad un vincolo dettato dalla disciplina locale, rispetto al quale il progetto de quo ha ottenuto il parere favorevole della commissione per il paesaggio.
La censura non è condivisibile.
Lo spirare del termine di 30 giorni dalla presentazione della s.c.i.a. non preclude al Comune l’adozione della misura inibitoria e dell’ordine di rimessa in pristino, purché sussistano i presupposti dell’azione amministrativa di autotutela ex art. 21 nonies della legge n. 241/1990 e vi sia la necessità di ovviare al pericolo di danno per il patrimonio artistico e culturale.
I lavori in questione incidono sulle mura di cinta di Cozzile, risalenti al XII secolo e il cui interesse culturale e storico è nella loro natura (come si evince dagli atti istruttori, costituiti dalla relazione del responsabile del settore e dalla nota della Soprintendenza datata 2.4.2015), nonostante non vi sia un vincolo istituito in base al d.lgs. n. 42/2004.
L’art. 19 della legge n. 241/1990 non condiziona all’esistenza di un vero e proprio vincolo la possibilità di intervenire sulla s.c.i.a., una volta trascorso il termine di 30 giorni, a tutela del patrimonio artistico e culturale; in ogni caso, la rilevanza delle mura in questione nell’ambito dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990 trova ragione nell’art. 12, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004, che sottopone a tutela i beni culturali di cui all’art. 10, comma 1, prima dell’istituzione del vincolo e quindi attribuisce rilevanza ai beni di interesse storico ancorché manchi ancora la formale dichiarazione di interesse culturale. Il fatto che si tratti di bene immobile esistente da secoli e che appartenga al Comune (come addotto nella menzionata nota della Soprintendenza, nella relazione del responsabile comunale del Settore e, infine, nella successiva relazione storica recepita dalla giunta comunale con deliberazione n. 129 del 27.9.2018) giustifica il valore di bene culturale meritevole di tutela, pur nell’attuale assenza di un vincolo istituito ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, e quindi giustifica l’applicazione dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241/1990.
7. Con la seconda parte del quarto motivo l’esponente lamenta la violazione delle garanzie procedimentali ex art. 7 della legge n. 241/1990.
Il rilievo non ha pregio.
L’impugnata ordinanza di rimessa in pristino è stata preceduta dall’ordinanza di sospensione dei lavori, la quale si basava sulla necessità, segnalata dalla Soprintendenza nella missiva richiamata nell’ordinanza stessa, di compiere verifiche circa “l’apertura di alcune finestre sulle antiche mura urbane” (documento n. 7).
Pertanto il ricorrente è stato messo in condizione di interloquire con il Comune e con la Soprintendenza prima dell’adozione della definitiva inibitoria, ed a fronte della problematica sollevata non ha opposto alcun principio di prova circa la sua piena proprietà della parete coinvolta dai previsti lavori o circa l’estraneità alle antiche mura di cinta urbane delle aperture oggetto della s.c.i.a..
8. Con la terza parte del quarto motivo l’esponente deduce che il potere interdittivo esercitato nel caso di specie doveva essere sottoposto alle regole sul potere di autotutela nel rispetto dei presupposti indicati sia dal comma 3 che dal comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990.
Il rilievo non è condivisibile.
Il potere di autotutela può assumere la forma dell’inibitoria ove ricorrano i presupposti di cui al citato art. 19, commi 3 e 4. Nel caso in esame sussiste la necessità di evitare un pericolo immediato di danno per il patrimonio culturale (che concettualmente include l’interesse storico, come conferma l’esplicitazione espressa nell’art. 10, comma 1, del d.lgs. n. 42/2004), mentre l’interesse pubblico è in re ipsa, in quanto si è posta l’urgenza di evitare che fosse compromessa l’integrità delle antiche mura urbane (la Soprintendenza, con nota del 25.2.2015, aveva segnalato che “sono in atto lavori di apertura di alcune finestre sulle antiche mura urbane”, mentre la polizia municipale aveva a sua volta accertato lavori esecutivi della s.c.i.a. presentata il 28.10.2014, comprendenti l’apertura di 3 finestre verso l’esterno delle mura “costituenti la cinta muraria del centro storico di Cozzile”: si vedano le due note del 24.2.2015) e di un bene di proprietà comunale.
E’ inoltre nella natura dei fatti verificatisi e del bene in questione che il divieto di realizzare ulteriori lavori e il contestuale ordine di eliminare le modifiche già realizzate, contenuti nell’impugnata ordinanza, costituivano l’unico modo di conformare l’attività privata alla normativa (di tutela) vigente, talché risulta rispettata anche la parte del comma 4 dell’art. 19 della legge n. 241/1990 richiedente “l’accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente”: il perseguimento della tutela dell’integrità delle mura in questione non aveva altra alternativa che quella dell’immediato blocco dei lavori e del ripristino dell’originario stato dei luoghi.
9. Con la quarta parte del quarto motivo il ricorrente solleva la questione di incostituzionalità dell’art. 146, comma 2, lett. c, della L.R. n. 65/2014 per contrasto con l’art. 19, commi 3 e 4, della legge n. 241/1990 e violazione dell’art. 117 della Costituzione.
La questione è irrilevante, in quanto, come visto, gli atti impugnati trovano comunque fondamento giuridico nel citato art. 19 della legge n. 241/1990; per la stessa ragione non può incidere la pronuncia n. 49/2016 della Corte Costituzionale, riferita all’art. 84 bis, comma 2, della L.R. n. 1/2005, sostituito dall’art. 146 della L.R. n. 65/2014.
10. Con il quinto mezzo il ricorrente, nel contestare la richiamata relazione del responsabile del Settore Lavori Pubblici, sostiene che il bene non appartiene all’ente pubblico e che si tratta di riconoscimento del valore culturale a un bene privato ai sensi dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42/2004, con la conseguenza che il Comune aveva al massimo un potere cautelare in attesa dell’intervento della Soprintendenza; aggiunge che, mancando la dichiarazione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 42/2004, nessun potere di ordine ripristinatorio poteva essere riconosciuto al Comune, e che il provvedimento è viziato da eccesso di potere per difetto di proporzionalità. Il bene in questione presenta terrazzi, aperture e antenne installate, alteranti l’originaria struttura, cosicché non vi è un vulnus tale da giustificare misure ripristinatorie.
Il motivo è infondato.
Valgono al riguardo le considerazioni espresse nella trattazione delle precedenti censure: come visto le progettate aperture interessano mura di interesse culturale/storico di proprietà pubblica e la competenza del Comune all’adozione degli atti impugnati si radica sul potere di vigilanza in materia di s.c.i.a.. Inoltre, come evidenziato nella pronuncia sulla domanda cautelare, nel bilanciamento degli interessi coinvolti quello del privato a realizzare un miglioramento funzionale dell’immobile (nella specie, una cantina) è senz’altro recessivo rispetto all’interesse pubblico alla conservazione di beni di rilievo culturale, talché infondata risulta anche la censura incentrata sulla violazione del principio di proporzionalità.
Né le pregresse modifiche della sagoma delle mura possono far venire meno le ragioni di tutela su cui si basano gli atti impugnati: precedenti alterazioni dello stato delle cinta murarie non possono giustificare ulteriori lesioni della loro integrità, ovvero un progressivo venire meno delle originarie caratteristiche che fanno di esse una testimonianza storica, la cui conservazione risponde a un interesse pubblico prevalente sull’interesse privato perseguito con la presentazione di pratiche edilizie tese a modificare l’originario assetto del luogo.
11. In conclusione, il ricorso deve essere in parte dichiarato inammissibile (relativamente all’impugnata ordinanza di sospensione dei lavori) e in parte respinto (relativamente al provvedimento inibitorio con ordine di ripristino).
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, stante la particolarità delle questioni dedotte, ferma restando la liquidazione delle spese relative alla fase cautelare, disposta con l’ordinanza n. 410/2015, di rigetto della domanda di sospensione degli atti impugnati.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2021, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza secondo quanto previsto dall'art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 convertito con modificazioni nella legge n. 176/2020 e come modificato dall’art. 1 del d.l. n. 183/2020, con l'intervento dei magistrati:
Eleonora Di Santo, Presidente
Gianluca Bellucci, Consigliere, Estensore
Silvia De Felice, Referendario