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Brevi note alla sentenza della corte costituzionale 2004/196: il “divorzio” tra effetti penali ed effetti amministrativi della legge sul nuovo condono edilizio
di A. M. PICARDI
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La sentenza della Corte Costituzionale 196/2004 sarà sicuramente debitamente analizzata non solo dai costituzionalisti ma anche, e direi soprattutto, dagli studiosi del diritto penale, per la netta affermazione - già presente in altre sentenze che pure si sono occupate di leggi edilizie e di contrasto tra legislazione statale e regionale - della scissione di discipline e di effetti che derivano da una legge di sanatoria, a seconda che gli effetti estintivi si riferiscano alle sanzioni amministrative o a quelle penali.
Come ormai debitamente anticipato da note e articoli di stampa, la Consulta, in nome del “nuovo federalismo” derivante dalla riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, ha ritenuto che molte disposizioni dell’art. 32 del D.L. 269/03 conv. in L. 326/03, compreso l’allegato 1, risultassero incostituzionali per violazione delle competenze riservate al legislatore regionale nella materia concorrente del “governo del territorio”, poichè impediva alle Regioni di fare scelte diverse da quelle del legislatore statale, ancorché nell’ambito dei principi legislativi da questo determinati, ed in particolare impediva loro:
a) la possibilità di determinare limiti volumetrici inferiori a quelli indicati nella legge statale, per tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1;
b) le possibilità, condizioni e modalità per l’ammissibilità della sanatoria;
c) la possibilità di disciplinare in modo diverso gli effetti del silenzio del Comune sulla domanda di condono;
d) la possibilità di determinare in modo autonomo la misura dell’anticipazione degli oneri concessori, nonché le relative modalità di versamento.
Di conseguenza, la Consulta ha ritenuto incostituzionale la normativa statale anche nella parte in cui non consente alle Regioni di emanare la normativa di cui sopra, di specificazione, integrazione e dettaglio, entro un congruo termine.
In sostanza, la Corte ha correttamente riconosciuto che la normativa in materia di condono edilizio rientra in quella appartenente alla competenza concorrente Stato/Regioni del “governo del territorio”, che comprende ma non esaurisce i meri aspetti della “urbanistica e dell’edilizia” di cui all’originario testo dell’art. 117 Cost., poiché involge “tutto ciò che attiene all’uso del territorio e alla localizzazione di impianti o attività” (Corte Cost. 307/2003).
Ne consegue che spetta alle Regioni, e non allo Stato, individuare la suddetta disciplina, mentre deve ritenersi normativa di principio, perciò di esclusiva competenza statale:
a) la previsione del titolo abilitativo edilizio in sanatoria;
b) il limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili;
c) la determinazione delle volumetrie massime condonabili.
Sul punto la Consulta non ha fatto altro che applicare la sua giurisprudenza ormai consolidata, benché successiva alla recente legge costituzionale del 2001, legge che ha completamente “ribaltato” il criterio di riparto di attribuzione delle competenze Stato / Regioni, riconoscendo a queste ultime, e non allo Stato, la cd. “competenza residuale”.
Di gran lunga più interessante sono, invece, i suoi chiarimenti, debitamente espressi nella parte motiva della sentenza, in ordine al rapporto tra effetti penali e amministrativi della legge di sanatoria.
Ed invero, partendo dall’assunto secondo cui la disciplina inerente ai profili penalistici deve essere integralmente sottratta al legislatore statale – perché altrimenti si contravverrebbe non solo a quanto indicato alla lettera l) dell’art. 117, che riserva al legislatore statale la competenza esclusiva in materia di ordinamento penale, ma anche (come ha chiaramente affermato in altre sentenze) al principio di riserva di legge “statale” di cui all’art. 25 comma II Cost. e all’art. 3 co. I Cost. in materia di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge – la Corte ha espressamente chiarito che il legislatore regionale può solo intervenire per tutto ciò che riguarda i cd. effetti amministrativi, integrando o limitando i presupposti temporali e spaziali del condono edilizio, statuiti, nei parametri “massimi”, dal legislatore statale.
E tuttavia, il legislatore regionale non potrà mai incidere, con un suo intervento di dettaglio più o meno “limitativo”, sull’assoggettamento o meno dell’individuo, che ha commesso i fatti-reato di cui all’art. 44 D.P.R. 380/2001, alla sanzione penale ivi stabilita, nei casi in cui questi si avvalga della normativa nazionale per presentare, nei termini ivi previsti, domanda di condono astrattamente assentibile alla luce dei presupposti e parametri “massimi” stabiliti dal legislatore statale.
Ed invero la Consulta, nella parte motiva della sentenza in commento, si riporta ad un suo precedente pronunciamento (418/1995) sui rapporto tra legislazione statale e competenze della Provincia Autonoma di Trento, che subordinava la sanabilità amministrativa di cui all’art. 39 L. 724/94 anche al rispetto di tutta una serie di vincoli ulteriori determinati dalla legislazione provinciale, e coglie, da tale passaggio, l’occasione per separare gli “effetti penali” da quelli amministrativi così testualmente statuendo:
“Questa legislazione conferma, in una particolare realtà territoriale, quella che è una più generale caratteristica della legislazione sul condono, nella quale normalmente quest’ultimo ha effetti sia sul piano penale che sul piano delle sanzioni amministrative, ma che non esclude la possibilità che le procedure finalizzate al conseguimento dell’esenzione dalla punibilità penale si applichino ad un maggior numero di opere edilizie abusive rispetto a quelle per le quali operano gli effetti estintivi degli illeciti amministrativi; ciò è reso d’altra parte evidente nelle disposizioni dello stesso Capo IV della legge 47/1985, e successive modificazioni e integrazioni, che nell’articolo 38 disciplina separatamente, al secondo ed al quarto comma, i presupposti del condono penale (il versamento dell’intera oblazione) ed amministrativo (il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria) e nell’articolo 39 prevede che, ove si sia effettuata l’oblazione, si produca comunque l’estinzione dei reati anche ove le opere non possano conseguire la sanatoria.
D’altra parte, anche l’articolo 32 impugnato prevede, al comma 36, i presupposti per il verificarsi dell’effetto estintivo penale, mentre i diversi presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo in sanatoria sono regolati dal comma 37, così confermando che i due effetti possono essere indipendenti l’uno dall’altro, dal momento che l’effetto penale si produce a prescindere dall’intervenuta concessione della sanatoria amministrativa e anche se la sanatoria amministrativa non possa essere concessa”.
Tali importantissime affermazioni della Consulta evidenziano in modo chiaro e netto quanto sopra affermato dallo scrivente, e cioè che il giudice penale, per gli “effetti penali” e limitatamente ad essi, non può essere “condizionato” dai vari interventi, se ed in quanto “limitativi”, dei vari legislatori regionali, perché altrimenti rischierebbe di violare i vincoli costituzionali di cui agli artt. 3 comma I, 25 comma II e 117 comma II lettera l).
Egli, quindi, in base alla normativa nazionale di cui all’art. 32 del D.L. 269/03, dovrà limitarsi:
a) a sospendere il procedimento penale per tutto il tempo in cui è riconosciuta, all’imputato, la facoltà, per i reati edilizi astrattamente condonabili in base ai presupposti oggettivi e temporali statuiti dalla prefata legge statale, di chiedere il condono edilizio;
b) verificare il rispetto dei contenuti “minimi” disposti dal legislatore statale in ordine al contenuto della domanda e agli atti da depositare in allegato (senza prendere in considerazione eventuali ulteriori adempimenti disposti dalla Regione), in ordine all’epoca dell’abuso in relazione al termine “statale” di ultimazione entro il 31-3-03 (e non a quello eventualmente anteriore disposto dal legislatore regionale), nonché in ordine al quantum da versare e alle scadenze;
c) verificare il rispetto, ai sensi del comma 36 dell’art. 32 del D.L. cit., del termine di 36 mesi dalla presentazione della domanda e dal versamento della oblazione interamente corrisposta, ai fini degli effetti di cui all’art. 38 comma II L. 47/1985, cioè ai fini della estinzione dei reati edilizi ivi indicati (oggi refluiti nel D.P.R. 380/2001 ad eccezione dell’art. 221 T.U.LL.SS., ormai da tempo depenalizzato) e ai fini della estinzione dei procedimenti penali di esecuzione delle sanzioni amministrative (incidenti di esecuzione in materia di demolizione dei manufatti ex art. 7 l. 47/1985, oggi refluito nell’art. 31 comma IX D.P.R. cit.).
Tutto ciò a prescindere dal diritto dell’imputato al rilascio o meno del titolo abilitativo a sanatoria, che potrebbe, come espressamente riconosciuto anche dalla Consulta, anche, e legittimamente, non essergli riconosciuto dall’ente locale di riferimento.
Tale separazione di effetti, pur se opportunamente riconosciuta dal giudice costituzionale, non esimerà il giudice penale dal dover risolvere complessi problemi pratici, specie nei casi in cui le Regioni stabiliscano, nell’ambito delle loro competenze, ulteriori limiti temporali e/o spaziali per la sanabilità delle opere oppure interventi “addizionali” sul quantum della oblazione e degli oneri concessori.
Specie in questi ultimi casi il problema diventa non semplice, visto che, ai sensi del comma 32 dell’art. 32 del D.L. cit., la domanda di condono deve essere corredata anche, a pena di decadenza, non solo dal pagamento della oblazione ma anche dalla anticipazione degli oneri concessori: ebbene, sia sul quantum della oblazione che degli oneri concessori e, per queste ultime, sulle modalità di versamento, l’intervento del legislatore regionale può essere fortemente “condizionante” la “appetibilità” del condono edilizio, ma può essere anche “determinante” ai fini del riconoscimento della estinzione dei reati edilizi ex art. 38 comma II L. 47/1985 ?
Fermo restando che mai come in tale materia, estremamente complessa o opinabile, spetterà ai giudici (di merito e poi, se del caso, di legittimità) “l’ardua sentenza”, se si dovessero trarre le conseguenze dei predetti assunti si dovrebbe quantomeno interpretare la normativa in modo da evitare che gli interventi limitativi, e quindi maggiormente “selettivi”, del legislatore regionale, in termini di “an”, “quomodo”, “quando” e “quantum”, possano condizionare la applicabilità degli effetti penali estintivi della sanatoria edilizia.
Alberto Maria Picardi (magistrato)