Cass. Sez. III n. 4222 del 1 febbraio 2023 (CC 19 gen 2023)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. Espositore
Urbanistica.Sanatoria condizionata

E’ illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, né di quello paesaggistico, e dunque non costituisce neppure valido presupposto per la revoca dell’ordine di rimessione in pristino, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 12 maggio 2022 la Corte d’appello di Napoli ha rigettato la richiesta avanzata da Salvatore Espositore, volta a ottenere la revoca dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo oggetto della sentenza del Pretore di Ischia del 13 marzo 1996, impartito con tale sentenza, divenuta definitiva il 7 febbraio 1998, sospendendone, in via cautelare, l’esecuzione fino alla irrevocabilità della decisione di rigetto.

2. Avverso tale ordinanza il condannato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato la violazione e l’errata applicazione degli artt. 39 e 43 della l. n. 724 del 1994, 32 della l. n. 47 del 1985, 34 del d.P.R. 380/2001 e 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 e un vizio della motivazione.
Ha contestato la correttezza della ricostruzione dell’epoca di completamento del fabbricato compiuta dal giudice dell’esecuzione, secondo la quale i lavori abusivi erano proseguiti oltre il 31 dicembre 1993, costituente il termine ultimo per poter beneficiare del condono previsto dalla l. n. 724 del 1994, in quanto a tale data il fabbricato abusivo (costituito da un manufatto della superficie di circa 70 mq ed altezza di 2 mt., con un ampliamento della estensione di 22 mq. e altezza interna di 2,80 mt.), era completo di muri perimetrali e di copertura e nel periodo di tempo compreso tra il 31 dicembre 1993 e il 19 aprile 1996 non era stato compiuto alcun accertamento da cui fosse possibile ricavare che l’opera non era stata ultimata; ha precisato che l’accertamento in ordine all’epoca di completamento dei lavori di edificazione doveva riguardare solamente il suddetto fabbricato della superficie lorda di 70 mq. e interna di 54 mq., perché solo per tale manufatto era stata presentata istanza di sanatoria e non anche per le opere successive, non rientranti nel condono.
Ha censurato l’adesione da parte del giudice dell’esecuzione alle conclusioni dei consulenti nominati dal pubblico ministero, i quali, raffrontando le opere oggetto dell’istanza di condono e quelle rinvenute nel corso dei sopralluoghi eseguiti nel 2018 e nel 2019, avevano concluso che l’opera esistente costituiva una nuova costruzione, perché il manufatto aveva assunto caratteristiche del tutto diverse in termini di dimensioni e struttura rispetto a quelli rappresentati nell’istanza di condono. Ha esposto che l’immobile da demolire e oggetto dell’istanza di condono ha una superficie utile interna di 54 mq. e una superficie lorda di 72,20 mq., identica, in termini di dimensioni e di struttura a quella descritta nella richiesta di condono e consegue alla demolizione della maggior consistenza del fabbricato riscontrata dai consulenti del pubblico ministero nel 2018 e nel 2019. A seguito del parere favorevole della Sovrintendenza ai Beni Artistici e Paesaggisti il 31 gennaio 2022 il Comune di Forio aveva quindi rilasciato il titolo edilizio in sanatoria di dette opere. Gli ulteriori incrementi volumetrici (una tettoia di 10 mq. ed un balcone e una camera), esclusi dalla richiesta di sanatoria ai sensi della l. n. 724 del 1994, non erano stati oggetto di giudizio ed erano stati demoliti in conformità alla s.c.i.a. a tale scopo presentata e al relativo progetto di riqualificazione, tempestivamente depositato nell’ambito della procedura di rilascio del titolo edilizio in sanatoria. La demolizione degli incrementi volumetrici non oggetto di istanza di sanatoria aveva quindi determinato il rientro dell’immobile nell’originaria volumetria dichiarata nella domanda di condono ai sensi della l. n. 724 del 1994, oggetto del permesso di costruire in sanatoria, che doveva quindi ritenersi legittimo, secondo l’interpretazione della disciplina del condono fornita dalla giurisprudenza amministrativa (si richiamano le sentenze n. 665 del 2018 e 3943 del 2015 del Consiglio di Stato).
Ha criticato anche l’affermazione contenuta nell’ordinanza impugnata secondo cui il titolo abilitativo in sanatoria sarebbe illegittimo in quanto contenente prescrizioni, in quanto l’emanazione di titoli edilizi condizionati o recanti prescrizioni sarebbe, secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, pienamente legittima e ammissibile, anche in considerazione della circostanza che il responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Forio aveva specificato che avrebbe provveduto a rilasciare il titolo edilizio in sanatoria solamente dopo aver compiuto gli accertamenti in ordine alla previa demolizione della parte eccedente la domanda di condono, in conformità alle prescrizioni contenute nel parere vincolante della Soprintendenza, e dopo aver eseguito le verifiche previste dalla normativa vigente in ordine alla stabilità del sito dove si trova l’immobile oggetto della sanatoria, cosicché le prescrizioni unite al titolo abilitativo non si ponevano in contrasto con la natura e la tipicità del provvedimento, negandone la funzione, ed erano tra l’altro già state oggetto di ottemperanza da parte del ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato l’errata applicazione degli artt. 32 e 33 l. n. 47 del 1985 e del piano stralcio per l’assetto idrogeologico (p.s.a.i.) dell’Autorità di bacino regionale della Campania centrale (approvato con delibera della Giunta regionale n. 466 del 21 ottobre 2015), nonché un vizio della motivazione, che sarebbe carente e manifestamente illogica, con riferimento al rilievo della inammissibilità della sanatoria ai sensi dell’art. 42 del suddetto p.s.a.i., non essendo stato considerato quanto esposto nella memoria difensiva depositata nel procedimento di esecuzione, a proposito del fatto che il fabbricato di proprietà del ricorrente, sito in località Scannella del Comune di Forio, si trova al di fuori della perimetrazione delle aree assoggettate a vincolo idrogeologico ai sensi del R.D. 3267 del 1923 e non è, quindi, soggetto alla autorizzazione di cui all’art. 7 di tale R.D.
Ha, inoltre, esposto che le norme di attuazione del p.s.a.i. consentivano, benché l’area nella quale insiste il fabbricato sia classificata come zona R3 (zona arancione) e P3 (a pericolosità elevata), la continuazione delle attività antropiche preesistenti, residenziali o meno, e dunque anche la conservazione degli immobili preesistenti, e anche di completare gli interventi iniziati prima della adozione dello stesso p.s.a.i., anche se in contrasto con le previsione di tale piano, sulla base di una valutazione di compatibilità demandata ai comuni, tenendo conto del fatto che i vincoli ostativi alla sanatoria sono esclusivamente quelli imposti prima della esecuzione delle opere, oltre che comportanti inedificabilità assoluta, tra i quali quindi non potevano essere compresi quelli imposti dal p.s.a.i., approvato solamente nel 2015.
Ha lamentato anche la mancata o, comunque, insufficiente considerazione dei documenti prodotti nel procedimento di esecuzione, dai quali emergevano la stabilità dell’area nella quale insiste il fabbricato sanato e oggetto dell’ordine di demolizione e la sicurezza dell’edificio, con la conseguente illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, in quanto slegata dalle risultanze processuali.
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato la violazione dell’art. 8 CEDU e un vizio della motivazione, con riferimento alla errata o, comunque, insufficiente e inadeguata considerazione delle condizioni socio-economiche e familiari del ricorrente, che si era attivato per reperire altra sistemazione abitativa per sé e per la propria famiglia, presentando una istanza in data 13 maggio 2021 al Comune di Forio, che aveva avuto esito negativo, non essendo state considerate le condizioni di indigenza della famiglia del ricorrente, composta dalla moglie e quattro figli maggiorenni ma privi di reddito, che traeva il proprio reddito unicamente dalla pensione di invalidità del ricorrente (disoccupato dal 2019 e invalido dal 2018 con riduzione permanente della capacità lavorativa del 67%), e anche le modeste dimensioni della casa del ricorrente, realizzata per la necessità di fornire una abitazione al suo nucleo familiare.
Ha prospettato l’erroneità del criterio di bilanciamento adottato dal giudice dell’esecuzione tra il diritto alla abitazione e alla salute e quello pubblico alla salvaguardia del territorio e dell’assetto urbanistico e la violazione del principio di proporzionalità da osservare nel dare attuazione all’ordine di demolizione delle opere abusive (si richiamano le sentenze 405 del 2021, 2935 del 2021, 22847 del 2021 e 32869 del 2022).
2.4. Con il quarto motivo ha lamentato la violazione dell’art. 6 CEDU, dell’art. 125 cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento alla mancata risposta al rilievo difensivo sollevato nel corso del procedimento di esecuzione a proposito dell’eccessivo ritardo nella esecuzione della demolizione e alla conseguente violazione dell’art. 6 CEDU.
Ha evidenziato che l’inerzia della Procura Generale presso la Corte d’appello di Napoli nel dare attuazione all’ordine di demolizione si era protratta per 31 anni dalla scoperta dell’abuso, determinando, unitamente all’omesso esercizio del potere repressivo da parte dell’amministrazione preposta alla vigilanza in materia urbanistico – edilizia, un legittimo affidamento sul mantenimento dell’opera e la violazione del principio di ragionevole durata del processo.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso, sottolineando che lo stesso ricorrente aveva riconosciuto esservi stati incrementi del fabbricato originario successivamente al 31 dicembre 1993, con la conseguente correttezza della decisione adottata dal giudice dell’esecuzione, stante l’illegittimità di un permesso di costruire in sanatoria con prescrizioni o condizionato; ha evidenziato l’inammissibilità dei rilievi in ordine alla scarsa pericolosità del fabbricato e del sito, in quanto volti a censurare valutazioni di merito, e l’infondatezza delle denunce di violazione degli artt. 6 e 8 della C.E.D.U., in considerazione dell’ampio arco temporale intercorso tra la decisione e l’esecuzione e anche della situazione di pericolo conseguente all’esistenza del fabbricato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.

2. Il primo motivo di ricorso, mediante il quale è stato censurato il rilievo da parte del giudice dell’esecuzione della inefficacia del permesso di costruire in sanatoria ottenuto dal ricorrente, sia a causa della realizzazione successivamente al 31 dicembre 1993 di opere ulteriori rispetto a quelle abusive e oggetto del condono, sia per l’esistenza in tale atto sanante di prescrizioni, non è fondato.
La Corte d’appello di Napoli ha escluso l’efficacia sanante invocata dal ricorrente al fine di ottenere la revoca dell’ordine di demolizione, rectius dell’ordine di rimessione in pristino, in quanto impartito in relazione al reato paesaggistico, essendo stato dichiarato estinto per oblazione quello urbanistico, evidenziando che dai sopralluoghi e dagli accertamenti tecnici disposti dal pubblico ministero era emerso che successivamente al 31 dicembre 1993, termine stabilito per poter beneficiare del condono previsto dalla l. n. 724 del 1994, la originaria conformazione delle opere abusive aveva subito delle modificazioni, attraverso la realizzazione di nuovi corpi di fabbrica in aderenza a quello originario, che ne avevano aumentato superficie e volumetria, ritenendo irrilevante la successiva demolizione di tali opere ulteriori, in virtù della quale il Comune di Forio aveva rilasciato il titolo abilitativo sanante.
Tale conclusione è corretta, in quanto conforme all’orientamento già espresso da questa Corte e che il Collegio condivide e ribadisce, secondo cui la volumetria eccedente i limiti previsti dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai fini della condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993, non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge (così Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021, Medusa, Rv. 282163, che, in motivazione, ha spiegato che “ammettere lavori - sia pur di demolizione - che modifichino il manufatto abusivo, alterandone significativamente la struttura e riducendone la volumetria, al fine di rendere sanabile, dopo la scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la condonabilità delle opere, ciò che certamente in allora non lo sarebbe stato costituisce indebito aggiramento della disciplina legale poiché sposta arbitrariamente in avanti nel tempo il termine finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio, addirittura legittimando ulteriori interventi abusivi”).
Nel caso in esame, peraltro, non sussiste neppure il requisito della anteriorità delle opere abusive al termine del 31 dicembre 1993, in quanto la realizzazione del fabbricato abusivo, originariamente della superficie di 72 mq. e con volume di 220 mc., proseguì successivamente a tale data, essendo pacificamente emerso che il ricorrente violò più volte i sigilli apposti a tale opera fino all’agosto 1995 (quando sostituì i solai e realizzò altre opere abusive), cosicché non può certo dirsi che l’opera, neppure nella sua consistenza originaria, fosse stata ultimata alla data del 31 dicembre 1993, essendone proseguita la realizzazione, sia mediante l’esecuzione di opere di completamento (quali i solai), sia attraverso l’edificazione di ulteriori corpi di fabbrica in aderenza a quello originario (ottenendo un fabbricato della superficie complessiva di 102 mq. e con volume di 354 mq.), di cui, come ricordato, non rileva la successiva demolizione (eseguita allo scopo di conseguire la sanatoria del fabbricato originario, rilasciata dal Comune di Forio in assenza dei requisiti richiesti dalla l. 724/94 e, dunque, correttamente ritenuta inefficace dal giudice dell’esecuzione).
La prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza, infatti, una nuova condotta illecita, a prescindere dall'entità dei lavori eseguiti, e ciò anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine di prescrizione, in quanto i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di abusività dell'opera principale alla quale strutturalmente ineriscono (v., in tal senso Sez. 3, n. 26367 del 25/03/2014, Stewart, Rv. 259665, secondo cui in tema di reati edilizi, in relazione ai lavori eseguiti sui manufatti originariamente abusivi e irregolarmente sanati o condonati sono configurabili le fattispecie di illecito previste dall'art. 44 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 330, anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione e al conseguimento illegittimo del condono o della sanatoria sia maturato il termine di prescrizione, atteso che i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di illegittimità dall'opera principale alla quale strutturalmente ineriscono; nel medesimo senso già Sez. 3, n. 41079 del 20/09/2011, Latone, Rv. 251290, e, da ultimo, Sez. 3, n. 30673 del 24/06/2021, Saracino, Rv. 282162, e Sez. 3, n. 2231 del 13/12/2021, dep. 2022, Pesenti, non massimata).
Altrettando corretto risulta il rilievo della inefficacia del “titolo abilitativo edilizio in sanatoria” rilasciato al ricorrente dal Comune di Forio a causa della apposizione allo stesso di condizioni, tra l’altro, indeterminate, consistendo nella redazione di un progetto di riqualificazione paesaggistica del fabbricato da sanare e nella demolizione della superficie eccedente la domanda di condono, in quanto questa Corte ha costantemente affermato che è illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, né di quello paesaggistico, e dunque non costituisce neppure valido presupposto per la revoca dell’ordine di rimessione in pristino, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (così, da ultimo, Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020, Murra, Rv. 280281, nonché, in precedenza, Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Carratù, Rv. 266034, e Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260973).
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza dei rilievi sollevati con il primo motivo di ricorso, stante la piena correttezza di quanto osservato dal giudice dell’esecuzione a proposito della illegittimità e della conseguente inefficacia del titolo abilitativo edilizio in sanatoria ottenuto dal ricorrente, tra l’altro non appartenente al novero di quelli espressamente previsti dalla legge, adottato in assenza dei presupposti normativamente previsti, con l’indebita apposizione di condizioni generiche e di assai difficile realizzazione, in area caratterizzata da un elevato rischio idrogeologico.

3. Il secondo motivo, mediante il quale sono state prospettate ulteriori violazioni di disposizioni di legge sostanziale e vizi della motivazione, con riferimento al rilievo ostativo attribuito dal giudice dell’esecuzione alle previsioni del piano stralcio per l’assetto idrogeologico (p.s.a.i.) dell’Autorità di bacino regionale della Campania centrale (approvato con delibera della Giunta regionale n. 466 del 21 ottobre 2015), pur prescindendo dal carattere assorbente della infondatezza del primo motivo, cui consegue l’inefficacia della sanatoria ottenuta dal ricorrente, è, comunque, anch’esso infondato.
La Corte d’appello di Napoli ha escluso, in considerazione dell’elevato rischio geologico dell’area del Comune di Forio nel quale sono state realizzate le opere abusive destinate alla demolizione, la sanabilità di dette opere, condividendo, alla luce degli accertamenti tecnici disposti dal pubblico ministero, il rilievo ostativo attribuito a tale rischio, ai sensi dell’art. 42 delle disposizioni di attuazione del p.s.a.i.
La rilevanza attribuita dal ricorrente alla assenza, nella località Scannella del Comune di Forio, nella quale si trova il fabbricato abusivo, di vincoli idrogeologici di cui al R.D. 3267 del 1923, essendo detta località al di fuori della perimetrazione delle aree assoggettate a vincolo idrogeologico ai sensi del R.D. 3267 del 1923, è errata, non essendo stata rilevata l’illegittimità del titolo sanante in conseguenza della esistenza di un vincolo idrogeologico ai sensi di tale regio decreto, bensì a causa della classificazione di detta area a rischio idrogeologico molto elevato, con pericolo di frana P3 e pericolo idraulico R3/R4 secondo il suddetto p.s.a.i., e della conseguente impossibilità assoluta del rilascio di un titolo sanante, ai sensi del citato art. 42 delle relative disposizioni di attuazione, non adeguatamente considerata dalla amministrazione comunale nel rilascio del titolo abilitativo in sanatoria.
Anche il rilievo attribuito dal ricorrente alla possibilità, prevista dalle medesime norme di attuazione del p.s.a.i., di proseguire, nell’area nella quale insiste il fabbricato abusivo, nonostante detta classificazione come area a rischio elevato, le attività antropiche preesistenti, residenziali o meno, è errato, perché tale possibilità non implica anche la conservazione di fabbricati abusivi il cui mantenimento sia incompatibile con il suddetto rischio idrogeologico, ma solo di proseguire le attività umane svolte in precedenza in dette aree, purché compatibili con il relativo rischio idrogeologico, dunque non certo il mantenimento di fabbricati abusivi realizzati in zone a rischio elevato, il cui mantenimento è stato subordinato dai consulenti del pubblico ministero alla realizzato di complesse e articolate opere idrauliche e di mantenimento della coltre vegetazionale.
Altrettanto errata risulta, poi, l’affermazione secondo cui i vincoli conseguenti alla approvazione del p.s.a.i. non sarebbero applicabili alle opere abusive da demolire, in quanto realizzate prima della approvazione di tale piano, in quanto a tale data, ossia nel 2015, non era ancora stato rilasciato il suddetto titolo abilitativo edilizio, per la cui emissione avrebbero, quindi, dovuto essere considerati anche detti vincoli, secondo quanto espressamente stabilito dal citato art. 42 delle disposizioni di attuazione del p.s.a.i., vincoli che sono frutto di una analisi aggiornata del rischio idrogeologico esistente nella Campania centrale, e dunque anche nell’Isola di Ischia, nella quale di trova il Comune di Forio, e dei quali quindi l’autorità amministrativa deputata al rilascio dei titoli edilizi avrebbe dovuto tenere conto.
Risultano, in definitiva, infondati anche i rilievi sollevati con il secondo motivo di ricorso.

4. Il terzo motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità nel bilanciamento tra il diritto alla abitazione e alla salute e l’interesse pubblico alla esecuzione della demolizione, a fini di salvaguardia del territorio e dell’assetto urbanistico, non è fondato.
Il giudice dell’esecuzione non ha affatto pretermesso il principio sancito dalle Corti di giustizia sovranazionali e anche da questa Corte Suprema, secondo il quale deve sussistere una proporzione tra la sanzione di carattere amministrativo e i beni interessi travolti dall'esecuzione di detta sanzione, posto che nel caso di specie il giudice dell’esecuzione ha sottolineato la allarmante situazione di pericolo rilevata nell’area in cui insiste l’opera da demolire, considerata attentamente e ritenuta prevalente, anche alla luce del considerevole periodo di tempo tra la realizzazione dell’opera e l’avvio dell’esecuzione della demolizione, nel corso del quale il ricorrente, le cui condizioni di salute non sono state ritenute ostative al trasferimento in altra abitazione, avrebbe potuto reperire altra lecita sistemazione abitativa per sé e per il proprio nucleo familiare.
Si tratta di rilievi corretti e coerenti con l’ormai consolidato orientamento interpretativo di questa Corte a proposito del necessario contemperamento tra l’obbligo di dare attuazione all’ordine di demolizione e l'esigenza di garantire il rispetto della vita privata e familiare e del domicilio, di cui all'art. 8 della CEDU (v. Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, D’Auria, Rv. 282950; Sez. 3, n. 423 del 14/12/2020, dep. 2021, Leoni, Rv. 280270; Sez. 3, n. 48021 del 11/09/2019, Giordano, Rv. 277994), nell’ambito del quale è stata attribuita prevalenza, in modo ampiamente e logicamente argomentato, alle esigenze di salvaguardia del territorio e di incolumità della popolazione residente, stante il rilevato elevato rischio di frana, che il ricorrente ha censurato in modo infondato, tra l’altro sul piano delle valutazioni di merito, e cioè della correttezza di detto giudizio di bilanciamento, che invece risulta operato in modo pienamente logico dal giudice dell’esecuzione, sottolineando la rilevanza del rischio idrogeologico e del pericolo di frana esistente nell’area.

5. Il quarto motivo, relativo alla violazione dell’art. 6 CEDU, a causa dell’eccessivo periodo di tempo trascorso tra la scoperta dell’abuso e l’esecuzione della demolizione, e anche alla omessa considerazione dei rilievi sollevati sul punto nel procedimento di esecuzione, è manifestamente infondato.
Per quanto riguarda tale ultimo aspetto va considerato che, per consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, è inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado (ma si tratta di principio senz’altro estensibile, per identità di ratio, anche ai ricorsi avverso provvedimenti resi in sede esecutiva) che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (ex plurimis, da ultimo, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281; nel medesimo senso, già, Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019, Liberti, Rv. 276745; Sez. 3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell’Utri, Rv. 263980). Ne consegue che la doglianza relativa alla mancata considerazione dei rilievi sollevati innanzi al giudice dell’esecuzione, circa il tempo trascorso tra la scoperta dell’abuso e l’avvio dell’esecuzione dell’ordine di demolizione, mediante l’emissione dell’ingiunzione a demolire, è inammissibile, stante la manifesta infondatezza di detti rilievi. Con essi, infatti, il ricorrente, dal richiamo a consolidati, e condivisibili, orientamenti della Corte EDU, a proposito della necessità che le decisioni giudiziarie vengano assunte entro un tempo ragionevole, non fa discendere alcuna conseguenza concreta, né sul piano processuale, ossia come vizi in procedendo, né su quello sostanziale, come lesione di diritti o interessi del ricorrente medesimo, cosicché detti rilievi risultano manifestamente infondati.
Va aggiunto che, da tempo, questa Corte ha escluso la rilevanza del trascorrere del tempo sulla validità e sulla efficacia dell’ordine di demolizione, escludendone la natura di pena accessoria e, con essa, l’applicabilità allo stesso della disciplina della prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen., in considerazione del fatto che detto ordine ha natura di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l'autore dell'abuso (Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, De Lorier, Rv. 265540, che, tra l’altro, ha precisato che tali caratteristiche dell'ordine di demolizione escludono la sua riconducibilità anche alla nozione convenzionale di "pena" elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU; conf. Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, Ordinanza n. 19742 del 14/04/2011, Mercurio, Rv. 250336; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670).
Ne consegue che risultano manifestamente infondati i rilievi del ricorrente in ordine alla incompatibilità tra il tempo trascorso tra la pronuncia della sentenza di condanna e l’esecuzione della demolizione, correttamente considerato dal giudice dell’esecuzione per escludere la sproporzione prospettata dalla ricorrente, che in tale arco di tempo avrebbe potuto procurarsi una sistemazione abitativa alternativa, essendo consapevole dell’obbligo di soggiacere alla demolizione della propria abitazione abusiva, perché, come evidenziato a proposito del terzo motivo, tale considerazione è proprio volta a consentire la salvaguardia di quei diritti fondamentali che sarebbero, ad avviso del ricorrente, pregiudicati dall’esecuzione della demolizione; inoltre, i rilievi sollevati dal ricorrente a proposito dell’eccessivo arco di tempo trascorso tra la pronuncia della sentenza e la sua esecuzione non sono applicabili alla esecuzione della demolizione, in considerazione del fatto che questa non ha natura di pena accessoria (tanto che, come ricordato, non è soggetta alla disciplina della prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen.), ma di sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, priva di finalità punitive e con effetti che ricadono sul soggetto che è in rapporto col bene, indipendentemente dal fatto che questi sia l'autore dell'abuso, che può essere disposta ed eseguita dalla autorità amministrativa, alla cui inerzia può sopperire il giudice penale, senza che ciò incida sulla ragionevole durata del processo, nell’ambito del quale tale ordine ha carattere accessorio ed incidentale, come pure la sua esecuzione.
Ne consegue, in definitiva, la manifesta infondatezza delle doglianze proposte con il quarto motivo di ricorso.

6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato, a cagione della infondatezza dei primi tre motivi e della inammissibilità del quarto.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 19/1/2023