TAR Molise Sez. I n. 223 del 6 giugno 2016
Acque.Uso collettivo dell’acqua pubblica

Già il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, c.d. Testo unico sulle leggi sanitarie, istituiva l'obbligo, a carico dei Comuni, isolatamente oppure organizzati in consorzi volontari, di essere fornito di acque pure, con ciò di fatto rendendo l'approvvigionamento idrico e il servizio idrico universale (a favore cioè di tutti i cittadini) un vero obbligo di legge. Dopo di ciò, la legge "Galli" n.36 del 5 gennaio 1994, all’art. 1, ribadiva il principio per cui <<le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà>>. Infine, l’art. 97 del citato T.u. dell’ambiente n. 152/2006 ha previsto, in via generale, che <<le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo il criterio di solidarietà>>. La stessa Corte costituzionale e la giurisprudenza amministrativa non hanno mancato di evidenziare, in alcuni loro pronunciamenti, che la risorsa idrica è prioritariamente un bene comune, anche se di esso può essere ammesso un utilizzo economico. Dal che si evince che l’uso collettivo dell’acqua pubblica fa sempre premio sull’uso privato.

 

N. 00223/2016 REG.PROV.COLL.

N. 00408/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 408 del 2014, proposto da Castellina S.r.l., in persona del legale rappresentante p. t., con sede legale in Roma, rappresentata e difesa dagli avv.ti Vincenzo Colalillo, Vincenzo Iacovino e Massimo Di Nezza, con elezione di domicilio in Campobasso, corso Umberto I, n. 43,

contro

Regione Molise, in persona del Presidente p. t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, presso la cui sede in Campobasso, via Garibaldi n. 124, è domiciliata,

nei confronti di

Comune di Castelpizzuto (Is), in persona del Sindaco p. t., rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Di Pardo, presso il cui studio in Campobasso, traversa via Crispi n. 70/A, è elettivamente domiciliato,

per l'annullamento

dei seguenti atti: 1) in parte qua, la determinazione dirigenziale n. 568 datata 11.8.2014, avente a oggetto <<ditta Castellina S.r.l. – conferimento concessione mineraria per lo sfruttamento dell’acqua minerale naturale denominata “Castellina” un località Folgora Casale in agro del Comune di Castelpizzuto (Is) >>; 2)tutti gli atti preordinati, consequenziali o connessi, ivi compresi gli atti istruttori e tecnici; 3)il provvedimento con il quale è stata rilasciata o riservata la concessione mineraria in favore del Comune di Castelpizzuto per l’emungimento nella sorgente S2; 4)il verbale di delimitazione della sorgente S2, nella parte in cui attesta il ripristino, nel sopralluogo del 2.7.2014, della connessione idrica tra captazione della sorgente S2 e stazione di pompaggio/sollevamento del Comune come in origine autorizzato (nel 1978);

 

Visto il ricorso con i relativi allegati, nonché le due successive memorie della società ricorrente;

Visti l’atto di costituzione in giudizio e la successiva memoria dell’Amministrazione comunale intimata, nonché la memoria di costituzione della Regione Molise;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2016 il dott. Orazio Ciliberti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

I – La ricorrente società, titolare di concessione mineraria – rilasciata in ragione del D.P.R. 26.11.1993 n. 1562, poi con d.P.G.R. nn. 1562/93 e 143/97 e con delibera di G.R. Molise n. 1855/1997, quindi rinnovata per dieci anni, con la successiva determina regionale n. 130/2004 – coltiva e sfrutta un giacimento acquifero in agro del Comune di Castelpizzuto, rivendicando, tra l’altro, l’emungimento di acque dalle sorgenti S1, S2 ed S3, aventi un unico bacino di alimentazione, che – a suo dire – non avrebbe interferenza con la zona di captazione dell’acquedotto comunale di Castelpizzuto. Tale assunto non è stato, tuttavia, condiviso da questo T.a.r., all’uopo adito dal Comune per impedire l’attingimento di acque dalle menzionate tre sorgenti (vedansi, a tal riguardo, le sentenze nn. 505/2013, 506/2013, 315/2014, appellate dinanzi al Consiglio di Stato). La ricorrente contesta che il Comune abbia una facoltà di emungimento sulla sorgente S2, sicché ritiene illegittimo che la Regione Molise abbia concesso al Comune lo sfruttamento dell’acqua minerale da quella sorgente. Insorge, con il ricorso notificato il 14.11.2014 e depositato il 20.11.2014, per impugnare i seguenti atti: 1) in parte qua, la determinazione dirigenziale n. 568 datata 11.8.2014, avente a oggetto <<ditta Castellina S.r.l. – conferimento concessione mineraria per lo sfruttamento dell’acqua minerale naturale denominata “Castellina” un località Folgora Casale in agro del Comune di Castelpizzuto (Is) >>; 2)tutti gli atti preordinati, consequenziali o connessi, ivi compresi gli atti istruttori e tecnici; 3)il provvedimento con il quale è stata rilasciata o riservata la concessione mineraria in favore del Comune di Castelpizzuto per l’emungimento nella sorgente S2; 4)il verbale di delimitazione della sorgente S2, nella parte in cui attesta il ripristino, nel sopralluogo del 2.7.2014, della connessione idrica tra captazione della sorgente S2 e stazione di pompaggio/sollevamento del Comune come in origine autorizzato (nel 1978). Deduce i seguenti motivi: 1) violazione e falsa applicazione della normativa di cui al R.D. 29.7.1927 n. 1443, violazione della legge 7.11.1941 n. 1360, violazione del D.P.R. 9.4.1959 n. 128, violazione della legge 16.5.1970 n. 270 art. 11 comma 4, violazione del D.P.R. 14.1.1972 n. 2, violazione della L.R. 22.5.1973 n. 7, violazione del D.L. 22.6.1991 n. 230; 2)violazione e falsa applicazione del D.P.R. 18.4.1994 n. 382, violazione del D.P.R. 2.9.1999 n. 348, violazione del D.Lgs. 8.10.2011 n. 176; 3)violazione e falsa applicazione della L.R. 12.11.2012 n. 17, violazione della L.R. 18.4.2014 n. 11, artt. 29 e 58; 4)violazione delle statuizioni di cui alla delibera di G.R. n. 368 del 1°.8.2014; 5)violazione dell’art. 14 della legge 7.8.1990 n. 241 e dell’art. 12 comma 1 del D.P.R. 18.4.1994 n. 382 (in materia di conferenza di servizi), eccesso di potere sotto diversi profili e, in particolare, per erroneità nella presupposizione di fatti, sviamento, vizi della motivazione, illogicità manifesta, violazione dell’art. 97 Cost..

Con successiva memoria, la società ricorrente ribadisce e precisa le proprie deduzioni e conclusioni.

Si costituisce la Regione intimata, deducendo – anche con successiva memoria - l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Si costituisce il Comune di Castelpizzuto, controinteressato, per resistere nel giudizio. Con successiva memoria chiede la reiezione del ricorso.

All’udienza del 18 maggio 2016, la causa viene introitata per la decisione.

II – Il ricorso è ammissibile, oltre che infondato.

III – In primo luogo, va rilevato che la giurisdizione sulla causa appartiene al giudice amministrativo.

La giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 15303 del 4 luglio 2015, ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine ai rapporti derivanti da concessioni di attività minerarie, laddove un ente pubblico territoriale abbia provveduto a disciplinare l'esercizio dell’attività medesima. Anche nel presente caso, invero, ci si trova dinanzi a un atto con cui è stata disposta la disciplina dello sfruttamento della concessione e dell'esercizio dell'attività di emungimento di acque minerali. Nel medesimo senso è, d'altra parte, orientata la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr.: Cons. Stato, V sez., 27.4.2015 n. 2061), con riferimento al riparto fra giudice ordinario e giudice amministrativo, in relazione alla controversia relativa alla concessione di beni (art. 133 comma 1, lett. b, c.p.a.), essendo stato affermato che sono devolute al giudice amministrativo le controversie nelle quali l'Amministrazione opera nelle vesti di autorità, pur se i rapporti tra Amministrazione e amministrati possano essere ricondotti a una relazione di diritto-obbligo, cioè a un rapporto negoziale (cfr. anche: Cons. Stato, V sez., 22.10.2014 n. 5214 e giurisprudenza ivi citata). Nell'affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, si rammenta, infine, che la presente controversia non rientra nella cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, essendo la materia delle acque minerali estranea alla materia delle acque pubbliche e rientrando, invece, in quella delle miniere (cfr.: Cons. Stato, IV sez., 14.5.2004 n. 3050).

IV – Il ricorso è da ritenersi, nel merito, assolutamente infondato.

V – La società ricorrente, dedita all’imbottigliamento e al commercio di acqua minerale, impugna una concessione mineraria rilasciata in suo favore – con la determinazione dirigenziale regionale n. 568 del 2014 – a tenore della quale la medesima società ha ottenuto il permesso di sfruttamento delle sorgenti idriche S1 ed S2, in località Folgara di Castelpizzuto (Is). A dire della ricorrente, la determinazione amministrativa dimezzerebbe la capacità produttiva e il profitto economico dell’azienda, derivanti dalla captazione delle acque minerali, a vantaggio dell’acquedotto del Comune di Castelpizzuto. In particolare, la ricorrente si duole del fatto che la Regione, disponendo il couso della sorgente S2, privilegerebbe a suo danno gli interessi dell’ente comunale che non avrebbe titolo per derivare acqua potabile dalla sorgente S2 e potrebbe alimentare l’acquedotto da altre sorgenti situate in altre località, come la fonte Aquina. Per meglio dire, la società Castellina ritiene di avere un titolo poziore rispetto al Comune, in ragione della precedenza, in ordine temporale, della sua concessione (per il principio prior in tempore, potior in jure).

Tale assunto, invero, risulta già smentito dal decisum di cui alle sentenze di questo T.a.r. nn. 505/2013 e 506/2013, che hanno rinvenuto l’illegittimità della concessione mineraria rilasciata nel 1993 e rinnovata in favore della società Castellina nel 2004 (con naturale scadenza al novembre 2013). L’assunto è, altresì, contraddetto dal fatto che per l’acquedotto comunale di Castelpizzuto, sin dal 1978, erano pianificate, finanziate e realizzate opere di connessione alla fonte S2, per compensare i periodi di magra della sorgente Aquina, dalla quale originariamente era attinta dal Comune l’acqua a uso potabile, per l’approvvigionamento della comunità cittadina. Una perizia tecnica del 2009, a suo tempo disposta dal G.u.p. del Tribunale di Isernia, ha accertato che la sorgente accordata dalla concessione mineraria alla detta società privata nel 1993 era da individuarsi nella S1, mentre quella dedicata sin dal 1978 all’allacciamento dell’acquedotto comunale era la S2, sennonché per ragioni inesplicabili (e in ipotesi riconducibili a un’abusiva manipolazione delle reti e delle condotte idriche), la società privata attingeva dalla fonte S2 e il Comune risultava allacciato alla fonte S3. Va detto che nel 2014, la società Castellina ha presentato alla Regione istanza per il rilascio di una concessione mineraria per le tre sorgenti S1, S2 ed S3 della località Folgara e, nel frattempo, non ha mai spesso di attingere acqua dalle prime due. La Regione, dopo una conferenza di servizi tenuta in data 9.6.2014 – a tenore dell’art. 12 del D.P.R. n. 382/1994 – ha adottato la determinazione dirigenziale n. 568 datata 11.8.2014, avente a oggetto <<ditta Castellina S.r.l. – conferimento concessione mineraria per lo sfruttamento dell’acqua minerale naturale denominata “Castellina” un località Folgora Casale in agro del Comune di Castelpizzuto (Is) >>, con la quale ha ammesso formalmente al couso della sorgente S2 la società e il Comune, ma non ha disposto il ripristino della connessione tra la captazione della sorgente medesima e la stazione di pompaggio e sollevamento del Comune, disattendendo così una precisa prescrizione della conferenza di servizi del 9.6.2014 (e la sentenza di ottemperanza di questo T.a.r. n. 315/2014).

VI - La suesposta ricostruzione in fatto fornisce un quadro della situazione che, di per sé, smentisce ogni assunto di parte ricorrente. Ma, a ben vedere, anche le singole censure del ricorso, singolarmente esaminate, sono da ritenersi inattendibili.

Quanto alla dedotta violazione della legge 16.5.1970 n. 270 art. 11 comma 4, e del D.L. 22.6.1991 n. 230, i riferimenti normativi non trovano riscontro alla ricerca. Anche per quel che riguarda i richiamati disposti di cui al D.P.R. 2.9.1999 n. 348 e alla L.R. 12.11.2012 n. 17, trattasi con evidenza di normativa inconferente, da ritenersi erroneamente citata in rubrica.

La menzionata legge 7.11.1941 n. 1360 reca in sé una semplice classificazione delle sostanze minerali, il D.P.R. 9.4.1959 n. 128 contiene una disciplina di polizia di miniere e cave, il D.P.R. 14.1.1972 n. 2 è la normativa di ritaglio e trasferimento di funzioni statali alle Regioni in materia di acque minerali, il D.Lgs. 8.10.2011 n. 176 attua una Direttiva comunitaria sulla utilizzazione e il commercio di acque minerali, la L.R. 18.4.2014 n. 11, all’art. 29, fissa criteri per la determinazione dei canoni concessori, la delibera di G.R. n. 368 del 1°.8.2014 adegua i canoni di concessione alle tariffe nazionali, il D.P.R. 18.4.1994 n. 382, all’art. 3, disciplina i permessi di ricerca di giacimenti minerari. Si tratta, ancora una volta, di riferimenti normativi richiamati in modo generico inappropriato, sicché le relative doglianze sono da ritenersi inammissibili (cfr.: Cons. Stato III, 9.5.2012 n. 2687).

Gli art. 15 e 26 del R.D. 29.7.1927 n. 1443 e la L.R. 22.5.1973 n. 7 regolano la concessione mineraria, ma non prevedono alcun divieto di concessione in couso della risorsa.

Le norme di cui all’art. 14 della legge 7.8.1990 n. 241 e all’art. 12 comma 1 del D.P.R. 18.4.1994 n. 382 (in materia di conferenza di servizi), nella specie, non risultano violate né disattese o, per meglio dire, il ricorrente non spiega in che modo esse lo sarebbero.

Neppure è dato rilevare nel caso in esame alcun sintomo dell’eccesso di potere (quali l’erroneità nella presupposizione di fatti, lo sviamento, i vizi della motivazione, l’illogicità manifesta), poiché il provvedimento impugnato – se riguardato dal lato dell’interesse della ricorrente – ha completato e concluso un procedimento di conferenza di servizi, all’apparenza ineccepibile nella forma e forse discutibile nella sostanza, ma sol perché ha oltremodo tutelato il detto interesse del privato, a detrimento dell’uso collettivo della risorsa idrica pubblica che, nella logica della normativa di settore di cui all’art. 97 del D.Lgs. 3.4.2006 152 (T.U. dell’ambiente), avrebbe dovuto essere oggetto di particolare attenzione, favore e privilegio.

Se anche fosse vero – e presumibilmente lo è - che il couso della sorgente S2 sia un metodo tecnicamente impraticabile, allora la società ricorrente non avrebbe interesse a dedurre il supposto profilo di illegittimità dell’atto di concessione in couso (in termini di carente istruttoria o di eccesso di potere), poiché allora la Regione avrebbe dovuto accordare l’uso esclusivo della detta fonte all’acquedotto comunale, in ragione dell’asserita preferenza dell’uso idrico collettivo rispetto a quello commerciale privato.

Giova rammentare, a tal proposito, che già il R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, c.d. Testo unico sulle leggi sanitarie, istituiva l'obbligo, a carico dei Comuni, isolatamente oppure organizzati in consorzi volontari, di essere fornito di acque pure, con ciò di fatto rendendo l'approvvigionamento idrico e il servizio idrico universale (a favore cioè di tutti i cittadini) un vero obbligo di legge. Dopo di ciò, la legge "Galli" n.36 del 5 gennaio 1994, all’art. 1, ribadiva il principio per cui <<le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà>>. Infine, l’art. 97 del citato T.u. dell’ambiente n. 152/2006 ha previsto, in via generale, che <<le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa che è salvaguardata ed utilizzata secondo il criterio di solidarietà>>. La stessa Corte costituzionale e la giurisprudenza amministrativa non hanno mancato di evidenziare, in alcuni loro pronunciamenti, che la risorsa idrica è prioritariamente un bene comune, anche se di esso può essere ammesso un utilizzo economico (cfr.: Corte cost.1.4.2014 n. 64; idem 19.7.1996 n. 259; Cons. Stato III, 16.12.2013 n. 1837). Dal che si evince che l’uso collettivo dell’acqua pubblica fa sempre premio sull’uso privato.

VII – In conclusione, il ricorso non può essere accolto, perché infondato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge, perché infondato.

Condanna la società ricorrente alle spese del giudizio, complessivamente e forfetariamente liquidate in euro 4.000,00 (quattromila), di cui 2.000,00 (duemila) oltre Iva e c.p.a., al Comune di Castelpizzuto e 2.000,00 (duemila) oltre Iva e c.p.a., alla Regione Molise.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Campobasso, nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2016, con l'intervento dei magistrati:

 

Silvio Ignazio Silvestri, Presidente

Orazio Ciliberti, Consigliere, Estensore

Luca Monteferrante, Consigliere

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 06/06/2016

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)