Cass.Pen. Sez. III n. 32962 del 28 luglio 2023 (UP 21 giu 2023)
Pres. Marini Rel. Galanti Ric. Anzalone
Ambiente in genere.Procedura estintiva delle contravvenzioni e rapporto con art. 131-bis codice penale
 
La causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen. può trovare applicazione ai limitati casi (che il Collegio indica in via esemplificativa e non esaustiva) in cui la procedura estintiva sarebbe concretamente applicabile, avendo l’imputato posto in essere tutte le attività riparative necessarie, ma non è stata attivata per cause a lui non riconducibili (in tal caso, infatti, non vi è stata alcuna valutazione negativa da parte dell’organo di vigilanza), ovvero ai casi in cui, anche alla luce della «condotta susseguente al fatto» (in virtù della modifica intervenuta nel testo dell’articolo 131-bis cod. pen., per effetto del d.lgs. n. 150/2022), sulla base di un esame ex post, l’«offesa» risulti di speciale tenuità, ovvero ancora alle ipotesi in cui la procedura sia stata attivata, con pagamento della somma e adempimento delle prescrizioni, ma oltre il termine assegnato.  In tal caso, in presenza di attività occasionale e di una condotta sostanzialmente inoffensiva, sarebbe applicabile la speciale tenuità del fatto di cui all’articolo 131-bis cod. pen. Al contrario, non sembra praticabile la strada della particolare tenuità del fatto nel caso in cui le prescrizioni non siano state ottemperate, ovvero nel caso in cui l’indagato abbia chiesto di essere ammesso alla procedura estintiva agevolata e l’organo di controllo abbia ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’ammissione. Nel primo caso, infatti, la condotta dell’indagato/imputato dovrà essere valutata, negativamente, quale «condotta susseguente» al fatto; nel secondo caso, la presenza di un danno o pericolo concreto e attuale, tale da non consentire la definizione agevolata, non potrà essere valutato in termini di «particolare tenuità del fatto» (salvo che, in concreto, il giudice non valuti la sussistenza di manifesti errori nella valutazione negativa operata dall’organo di controllo).


RITENUTO IN FATTO 

    1. con sentenza del 07/12/2022, il Tribunale di Napoli condannava l’imputato alla pena di euro 4.000 di ammenda in ordine alla commissione della contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, d. lgs. 152/2006, per avere effettuato attività di raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi (3 mc di rifiuti da costruzione e demolizione) all’interno del camion tg. BZ592453, di cui il giudice disponeva la confisca.

    2. Avverso tale sentenza l’imputato propone, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione.
2.1. con il primo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento all’articolo 256 d. lgs. 152/2006; si duole in particolare l’imputato dell’interpretazione fornita dal giudice in ordine alla nozione di «attività» di raccolta e trasporto, che doveva ritenersi assolutamente «occasionale», meramente preparatoria, e quindi non punibile, come da giurisprudenza citata nel ricorso;
2.2.  con il secondo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., in riferimento all’articolo 256 e agli artt. 318-bis e seguenti del d. lgs. 152/2006; lamenta il ricorrente come il provvedimento risulta totalmente erroneo in riferimento alla omessa applicazione della procedura di estinzione prevista per le contravvenzioni ambientali dal Testo Unico, avendo l’Anzalone ottemperato a tutte le prescrizioni impostegli dall’autorità;
2.3.  con il terzo motivo, lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento all’articolo 256 del d. lgs. 152/2006 e all’articolo 131-bis cod. pen.; lamenta il ricorrente come il giudice abbia motivato in modo apparente in ordine alla mancata applicazione al reato contestato della speciale causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto, applicazione ritualmente richiesta; la motivazione è inoltre contraddittoria laddove ritiene che in ragione della modesta gravità del fatto il giudice abbia deciso di applicare la sola pena pecuniaria anziché dichiarare la non punibilità;
2.4. con il quarto motivo, lamenta la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento all’articolo 62-bis cod. pen., avendo il giudice omesso di motivare in ordine al rigetto della concessione delle circostanze attenuanti generiche, se non con formula di stile.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

    1. Il ricorso è complessivamente inammissibile e in parte infondato.

    2. Il primo motivo, in particolare, è infondato.
La sentenza, a pagina 3, ricostruisce i fatti nel modo che segue: l’autocarro era intestato alla ditta dell’Anzalone; i rifiuti (3 mc) erano stati caricati sul camion e trasportati senza formulario; la ditta dell’Anzalone era sprovvista di autorizzazione o iscrizione all’Albo dei gestori ambientali. A ciò consegue, secondo il giudice, l’illiceità della condotta.
Tale soluzione appare conforme alla giurisprudenza consolidata della Corte (Sez. 3, n. 44438 del 15/12/2017, dep. 2017,Tocci , n.m.), secondo cui «ai fini della configurabilità del reato di trasporto non autorizzato di rifiuti propri non pericolosi di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), del cit. d.lgs. è sufficiente anche una condotta occasionale. Difatti detto reato ha natura istantanea e si perfeziona nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica (così: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 24 giugno 2016, n. 26435; idem Sezione III penale, 29 febbraio 2016, n. 8193; idem Sezione 3 penale, 2 marzo 2015, n. 8979). Discende da ciò che per trasporti episodici, occasionali di rifiuti non pericolosi, privi dei caratteri sopra illustrati, le imprese che li producono, pur non essendo tenute all’obbligo di iscrizione nell’albo nazionale gestori ambientali, anziché provvedere al trasporto con mezzi propri, debbono rivolgersi ad imprese esercenti servizi di smaltimento, regolarmente autorizzate ed iscritte all’albo gestori ambientali; per contro, l’esecuzione del trasporto di rifiuti con mezzi propri e non autorizzati integra una condotta comunque riconducibile alla previsione sanzionatoria cui all’art. 256, comma 1, del cit. D.Lgs. (in tal senso: Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 19 giugno 2013 n 26614; idem Sezione 3 penale, 3 marzo 2009, n.9465)».
La Corte (Sez. 3, n. 2290 del 28/11/2017, dep. 2018, Defilippis, n.m.) ha altresì ribadito che «anche l’occasionale attività di trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti nell’esercizio della propria attività d’impresa richiede l’iscrizione nell’Albo nazionale gestori ambientali, sia pur nell’apposita sezione di cui all’art. 212, comma 8, d.lgs. 152/2006 e secondo la procedura semplificata ivi descritta, che presuppone una comunicazione. L’inadempimento di tali obblighi di comunicazione e iscrizione integra, per pacifico orientamento, la contravvenzione di cui all’art. 256, comma 1, lett. a), d.lgs. 152/2006 (Sez. 3, n. 26435 del 23/03/2016, Pagliuchi, Rv. 267660, secondo cui “nelle ipotesi di trasporti occasionali o episodici di rifiuti propri non pericolosi, risponde del reato di cui all’art. 256, comma primo, D.Lgs. n. 152 del 2006, chiunque vi provveda con mezzi propri e non autorizzati, anziché attraverso imprese esercenti servizi di smaltimento iscritte all’Albo nazionale dei gestori ambientali”) … Ed invero, il reato ascritto è istantaneo e, con riguardo alla condotta del trasporto rifiuti contestata all’imputato, si consuma in occasione di ogni singolo trasporto effettuato da soggetto non autorizzato (Sez. 3, n. 8979 del 02/10/2014, Cristinzio e a., Rv. 262514; Sez. 3, n. 21655 del 13/04/2010, Hrustic, Rv. 247605), posto che una continuativa ed organizzata attività abusiva di trasporti, ricorrendone gli altri presupposti, potrebbe invece integrare il ben più grave delitto di cui all’art. 260, comma 1, d.lgs. 152/2006 (Sez. 3, n. 26614/2013 del 12/07/2012, Trevisan, Rv. 257075)».
Ancora, la Corte ha affermato che il carattere non occasionale della condotta di trasporto illecito di rifiuti può essere desunto anche da indici sintomatici, quali la provenienza del rifiuto da una attività imprenditoriale esercitata da chi effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito, dall’utilizzo di mezzi indicativi di professionalità e stabilità nell’esercizio di tale attività (Sez. 3, n. 16355 del 16/03/2023, Abom), principio cui – come visto - il giudice si è attenuto nel valutare la condotta dell’imputato.
Il motivo di ricorso, pertanto, che censura la motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui non avrebbe considerato il necessario carattere «organizzato» e «continuativo» della condotta di trasporto rifiuti, per poterla definire in termini di «attività», è infondato.

3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza chiarisce che non ricorrono le condizioni per dichiarare estinto il reato ascritto al ricorrente ai sensi dell’articolo 318-septies d.lgs. n. 152/2006, «non essendo stato attestato che egli abbia adempiuto alle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza (né se e quali fossero) e al pagamento della contravvenzione di cui all’articolo 318-quater».
Sul punto la Corte osserva che, per quanto emerge dalla documentazione affidata al suo vaglio, sembrerebbe che lo smaltimento dei rifiuti provenienti da C&D sia stato operato in ossequio a provvedimento di «dissequestro temporaneo» disposto dall’autorità giudiziaria, e non in ottemperanza alle prescrizioni impartite dall’Autorità di vigilanza (che peraltro non può essere la Guardia di Finanza, p.g. procedente nel caso di specie), della cui esistenza il giudice stesso è all’oscuro.
La Corte (Sez. 3,  n. 49718 del 25/09/2019, Fulle, Rv. 277468 – 01), sul punto, ha stabilito che la procedura di cui agli articoli 318-bis e ss. d. lgs. 152/2006 non è obbligatoria, e che «l’omessa indicazione all’indagato, da parte dell’organo di vigilanza o della polizia giudiziaria, ai sensi degli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, delle prescrizioni la cui ottemperanza è necessaria per l’estinzione delle contravvenzioni, non è causa di improcedibilità dell’azione penale».  L’obbligatorietà della speciale procedura in esame non può, del resto, «essere dedotta neppure dall’uso dell’indicativo utilizzato dal legislatore nella disposizione di cui all’art. 318-ter d.lgs. 152/06 (“… impartisce al contravventore un’apposita prescrizione asseverata tecnicamente … “), poiché si tratta di una mera scelta di stile espositivo, atteso che, nei casi concreti, si possono verificare situazioni analoghe a quelle già esaminate nella disciplina della prevenzione degli infortuni sul lavoro, come nel caso in cui l’organo di vigilanza decida di non impartire alcuna prescrizione, perché non vi è alcunché da regolarizzare o perché la regolarizzazione è già avvenuta ed è congrua» (Sez. 3,  n. 24633 del 27/01/2021, Porrati, Rv. 281730 – 01).
Ancora, Sez. 3,  n. 24483 del 04/12/2020, Feronia srl, Rv. 281575 – 01 ha precisato che «la formale assenza della procedura estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale nei casi in cui, legittimamente, l’organo di vigilanza ritenga di non impartire alcuna prescrizione di regolarizzazione, tenuto conto che l’imputato può comunque richiedere di essere ammesso all’oblazione, sia in sede amministrativa, sia successivamente in sede giudiziaria e nella stessa misura agevolata. Tale principio è stato espressamente applicato da Sez. 3, n. 49718 del 25/09/2019, Rv. 269140, anche alla procedura estintiva disciplinata dagli artt. 318-bis e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, ancorché - si badi - l’oblazione assolta in sede giudiziaria ai sensi dell’art. 318-septies, comma 3, comporti il pagamento di una somma maggiore di quella dovuta in caso di corretto e tempestivo adempimento della prescrizione impartita ai sensi dell’art. 318-ter».
    Pertanto, in caso di eventuale omessa attivazione della procedura di estinzione agevolata, l’imputato avrebbe potuto attivare il meccanismo di cui all’articolo 162-bis cod. pen. per definire il procedimento (Sez. 3,  n. 24633 del 27/01/2021, cit.: «la facoltà di cui all’art. 162-bis cod. pen. di richiedere l’oblazione speciale non è alternativa a quella prevista dagli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, potendo essere esercitata non solo quando non ricorrano le condizioni per l’esperimento della procedura estintiva di settore, ma anche quando il contravventore abbia ritenuto di non avvalersene»; Sez. 3, n. 7678 del 13/1/2017, Bonanno, Rv. 269140), ma non può invocare la speciale causa estintiva in parola.

4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen..
Il motivo è infondato.
4.1. L’art. 131-bis cod. pen. prevede la «non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, anche in considerazione della condotta susseguente al reato, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale».
4.2. In particolare, la norma (Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta, n.m.), oltre allo sbarramento del limite edittale (la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena), «richiede (congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione) la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Il primo degli “indici-criteri” (così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo) appena indicati, ossia la particolare tenuità dell’offesa, si articola a sua volta in due “indici-requisiti” (sempre secondo la definizione della relazione), che sono la «modalità della condotta» e «l’esiguità del danno o del pericolo», da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’articolo 133 cod. pen., (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato intensità del dolo o grado della colpa, nonché alla luce della condotta successiva al fatto, a seguito della modifica introdotta dal d. lgs. n. 150 del 10/10/2022).
Si richiede pertanto al giudice di rilevare se, sulla base dei due «indici-requisiti», sussista l’«indice-criterio» della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della «non abitualità» del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità.
4.3. La norma in parola prevede (Corte cost., sent. n. 120 del 2019) «una generale causa di esclusione della punibilità che si raccorda con l’altrettanto generale presupposto dell’offensività della condotta, requisito indispensabile per la sanzionabilità penale di qualsiasi condotta in violazione di legge». Essa persegue (Sez. U., n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064 – 01) finalità strettamente connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio della risposta punitiva, con la realizzazione di effetti positivi anche sul piano deflattivo, attraverso la responsabilizzazione del giudice nella sua attività di valutazione in concreto della fattispecie sottoposta alla sua cognizione». Il suo scopo primario (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591), è infatti «quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo» (la relazione illustrativa del d. lgs. 28/2015 parla di «irrilevanza» del fatto).
Tale disposizione attraversa orizzontalmente tutta l’area del diritto penale sostanziale. Sul punto, Sez. U., n. 24990 del 30/01/2020, Dabo, Rv. 279499, hanno stabilito che «l’istituto della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa non connette alla mera individuazione del bene giuridico protetto alcun rilievo ai fini del giudizio sull’utilità e necessità della pena. Al contrario, il legislatore ha affidato la selezione delle fattispecie alle quali è applicabile quella causa di non punibilità alla considerazione della gravità del reato, desunta dalla pena edittale, e della non abitualità del comportamento; mentre nessuno degli altri indicatori idonei ad escludere la particolare tenuità dell’offesa elencati al secondo comma dello stesso art. 131-bis ha diretto e generale riguardo al tipo di bene giuridico protetto».
Analogamente, Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 – 01, ha stabilito che «il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza. L’istituto persegue dunque finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio, con effetti anche in tema di deflazione. Lo scopo primario è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo. Proporzione e deflazione s’intrecciano coerentemente».
Si richiede, in breve, «una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta; e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto. Per ciò che qui interessa, non esiste un’offesa tenue o grave in chiave archetipica. E’ la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore» (Sez. U, n. 13681/2016, Tushaj, citata).
Concludono le Sezioni Unite Tushaj nel senso che «si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall’agente … Allora, essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storica nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto».
4.4. Tali dicta si fondano su una interpretazione di tipo letterale e sistematico della norma, che il Collegio condivide.
Tuttavia, nel caso in esame, occorre procedere ad una ulteriore valutazione di tipo sistematico, coerentemente con la concreta disciplina approntata dal legislatore in riferimento alla particolare natura del bene giuridico tutelato.
Che l’«ambiente» sia un bene particolare lo ha chiarito di recente la Corte Costituzionale, che con sentenza n. 76/2019 ha stabilito che l’aver previsto in materia ambientale una somma più elevata per l’oblazione delle contravvenzioni, rispetto a quella prevista per le contravvenzioni in materia di sicurezza del lavoro, non dà luogo a una ingiustificabile incongruenza, trattandosi, piuttosto, di una soluzione parametrata al maggior grado di intensità con cui il legislatore ha inteso modulare la tutela dell’ambiente.
Ciò vale, a maggior ragione, dopo che la L.C. n. 1/2022 ha modificato la Carta Fondamentale, aggiungendo all’articolo 9 l’espressa previsione della tutela de «l’ambiente, la biodiversita’  e  gli  ecosistemi,  anche nell’interesse  delle  future  generazioni» (c.d. «unborn generations»), e all’articolo 41, secondo comma, precisando che l’esercizio dell’attività economica privata è libero, ma non può svolgersi «in modo da recare danno alla salute, all’ambiente».
    Tale premessa appare di notevole importanza in quanto introduce una particolarità propria dei reati che offendono il bene in argomento: le disposizioni costituzionali dianzi evidenziate (e soprattutto la modifica all’articolo 41 della Carta Fondamentale), infatti, proiettano i loro effetti precettivi anche sulla disciplina dei meccanismi sanzionatori e riparatori.
    4.5. A tal proposito, gli articoli 318-bis e seguenti del d. lgs. 152/2006 (o «TUA»), introdotti dalla legge n. 68 del 28 maggio 2015, più o meno coeva al d.lgs. n. 28 del 16 marzo 2015 (che ha invece introdotto l’articolo 131-bis cod. pen.), declinano in modo concreto proprio quella peculiarità che è propria del bene giuridico in argomento, prevedendo una particolare causa di estinzione del reato relativa alle «ipotesi contravvenzionali in materia ambientale previste dal presente decreto che non hanno cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette».
    Tuttavia, il successivo articolo 318-ter, comma 3, prevede che «con la prescrizione l’organo accertatore può imporre specifiche misure atte a far cessare situazioni di pericolo ovvero la prosecuzione di attività potenzialmente pericolose», cosi evidenziando, sia pure in modo non del tutto chiaro, che anche condotte connotate da potenziale pericolo (si possono ipotizzare i casi di pericolo non «concreto e attuale») possono usufruire del regime estintivo; si applica quindi il c.d. criterio «finalistico» della «rimovibilità degli effetti», indicato anche nelle Linee Guida del SNPA del 20/12/2021 n. 150/21 relative alla procedura estintiva in parola.
    Non a caso, questa Corte ha ritenuto (Sez. 3, n. 36405 del 18/04/2019, Rossello, Rv. 276681 - 01) che «la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia ambientale, prevista dagli artt. 318-bis e ss. del d.lgs. n. 152 del 2006 si applica tanto alle condotte esaurite - come tali dovendosi intendere quelle prive di conseguenze dannose o pericolose per cui risulti inutile o impossibile impartire prescrizioni al contravventore - quanto alle ipotesi in cui il contravventore abbia spontaneamente e volontariamente regolarizzato l’illecito commesso prima dell’emanazione di prescrizioni».
    Il meccanismo segue lo stesso schema procedurale delineato dagli artt. 19 e segg. del d.lgs. n. 758/1994 per le contravvenzioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, ed è stato, con l’art. 70 del d. lgs. n. 150/2022 (lo stesso che ha modificato l’art. 131-bis cod. pen.), a sua volta disciplinato in modo analogo in riferimento alle contravvenzioni in materia di alimenti «che hanno cagionato un danno o un pericolo suscettibile di elisione mediante  condotte  ripristinatorie   o risarcitorie» (art. 12-ter e ss. della l. 283/1962), così evidenziandosi come quello della «rimovibilità degli effetti» sia ormai un principio di legislazione ampiamente utilizzato con finalità deflattiva, ma anche in grado di sortire un effetto riparatorio/ripristinatorio.
Come osservato in dottrina, il legislatore ha ritenuto che una tutela effettiva delle matrici ecologiche non potesse essere assicurata unicamente attraverso i tradizionali strumenti repressivi, ma anche e soprattutto facendo leva su misure di carattere preventivo, da un lato stimolando (per gli enti) l’adozione di Modelli di organizzazione e gestione ex art. 6, d. lgs. n. 231/2001, così da ridurre il rischio di commissione dei reati ambientali, e dall’altro prevedendo procedure estintive finalizzate a ottenere una tutela postuma del bene giuridico tutelato.
Tale sistema, evidenzia ancora la dottrina, ruotando su comportamenti «controffensivi» tempestivi dello stesso reo, collima perfettamente con l’idea rieducativa della pena, ponendosi in linea di perfetto ossequio al precetto costituzionale e soddisfacendo, nel contempo, anche esigenze di general-prevenzione positiva (i.e. di orientamento culturale dei consociati).
Il Collegio ritiene che, ai fini dell’apprezzamento del mancato danno o pericolo, il testo della norma (che parla di danno o pericolo «concreto e attuale» di danno) induce a ritenere che si debba operare una verifica fattuale delle conseguenze effettivamente già prodotte dalla condotta incriminata, procedendo ad una applicazione del c.d. principio di offensività «in concreto», come ribadito da Corte cost. n. 141/2019, secondo cui tale principio opera «su due piani distinti. Da un lato, come precetto rivolto al legislatore, il quale è tenuto a limitare la repressione penale a fatti che, nella loro configurazione astratta, presentino un contenuto offensivo di beni o interessi ritenuti meritevoli di protezione (cosiddetta offensività “in astratto”). Dall’altro, come criterio interpretativo-applicativo per il giudice comune, il quale, nella verifica della riconducibilità della singola fattispecie concreta al paradigma punitivo astratto, dovrà evitare che ricadano in quest’ultimo comportamenti privi di qualsiasi attitudine lesiva (cosiddetta offensività “in concreto”)».
Un giudizio, quindi, sul fatto storico, analogo a quello che il giudice opera ai fini dell’applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen..
4.6. Gli articoli 318-bis e seguenti del TUA delineano quindi un procedimento, di natura giurisdizionale, che si articola in una precisa scansione logico temporale, generalmente destinata a concludersi con l’archiviazione del procedimento:
1) l’accertamento di una contravvenzione ambientale che non ha cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette;
2) la possibilità di «eliminare» questa contravvenzione ed ottenere la «regolarizzazione» della situazione (la Corte ritiene comunque possibile adire il meccanismo estintivo possa applicarsi anche nel caso in cui, previo accertamento dell'assenza di danno o pericolo concreto di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette, l'autorità amministrativa di vigilanza competente non abbia impartito prescrizioni per regolarizzare la situazione di fatto che integra la contravvenzione accertata, sia nel caso in cui la fattispecie è a condotta esaurita, sia nel caso in cui il trasgressore abbia autonomamente provveduto, precedentemente all'emanazione della prescrizione, all'adempimento degli obblighi di legge sanzionati – Sent. n. 36405/2019, cit.);
3) la emanazione di una prescrizione per la regolarizzazione da parte della P.G.;
4) la regolarizzazione, con l’adeguamento alla prescrizione, da parte del contravventore entro i termini e i modi da essa stabiliti;
5) il pagamento di una somma pari a un quarto del massimo della pena pecuniaria. Sul punto la Corte rammenta che l’articolo 26-bis del d. l. n. 36 del 30/04/2022, convertito, con modificazioni, in l. n. 79 del 29/06/2022 («Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR)», c.d. “decreto PNRR 2”), ha modificato l’articolo 318-quater TUA, da un lato, stabilendo l’«onerosità» dell’attività di asseverazione tecnica e di redazione della prescrizione (i cui saranno determinati con decreto del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze); dall’altro precisando che tali costi, da porsi a carico del contravventore, si sommino a quelli dovuti per l’estinzione del reato;
6) La verifica giurisdizionale dell’intervenuta estinzione del reato (art. 318-septies).
4.7. Occorre quindi verificare se ed in che limiti l’assenza di «danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette», quale causa (concreta) in grado di innescare il meccanismo prescrizioni/pagamento/estinzione del reato, sia compatibile con la presenza delle condizioni di fatto (modalità della condotta/esiguità del danno o del pericolo/non abitualità del comportamento) che consentono di ritenere l’offesa «di particolare tenuità».
Dogmaticamente non sussistono ostacoli, trattandosi, nell’un caso, di una causa di estinzione del reato e, nell’altro, di una causa di non punibilità di un fatto tipico.
Del resto, sottolinea il Collegio, oltre a differire nella loro intrinseca natura, i due istituti hanno un ambito di applicazione e delle conseguenze differenti.
Il meccanismo estintivo approntato dal TUA trova applicazione solo alle «contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda», mentre il 131-bis cod. pen. si applica ai «reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena».
Inoltre, la particolare tenuità del fatto può essere invocata in qualunque stato e grado del processo ed anche applicata d’ufficio dal giudice, potendo rientrare, per assimilazione alle altre cause di proscioglimento, per le quali vi è l'obbligo di immediata declaratoria in ogni stato e grado del processo, nella previsione di cui all'art. 129 c.p.p. (Sez. 6, n. 13219 del 20/02/2019, Pastore, n.m.), mentre la procedura estintiva incontra rigorose preclusioni. Sul punto, la Corte (Sez. 3, n. 36405 del 18/04/2019, Rossello, Rv. 276681 – 01) ha precisato che è possibile per l’indagato formulare richiesta di attivazione della procedura di cui agli artt. 318–ter e quater del d. lgs 152/2006 nella fase delle indagini preliminari, all’organo di vigilanza o alla polizia giudiziaria, ovvero o al p.m. (nell’ipotesi di cui all’art. 318-quinquies del d. lgs. cit.); tuttavia, risulta «preclusa e tardiva ogni richiesta effettuata nella fase dibattimentale del procedimento», ove non effettuata nella fase delle indagini.
Inoltre, la procedura di cui all’articolo 318-bis in parola, se correttamente svolta (e salvo l’obbligo di controllo giurisdizionale), attribuisce un vero e proprio diritto all’imputato, laddove la particolare tenuità del fatto costituisce oggetto di valutazione discrezionale da parte del giudice.
E, tuttavia, in concreto, i termini della questione sono più complessi, essendo entrambi gli istituti attivabili alla luce di una valutazione di fatto e sul fatto, in applicazione del principio di offensività in concreto.
Se, infatti, presupposto di attivazione della procedura estintiva ex art. 318-bis ss. TUA è la «assenza» di danno o pericolo concreto e attuale per l’ambiente, ciò significa che, normalmente, i casi in cui non sia stata attivata la procedura sono quelli in cui in cui tale danno o pericolo sussistano (assumeranno a tal fine rilevanza, ai fini dell’esclusione della procedura estintiva, le situazioni di fatto suscettibili di evolvere, con qualificato grado di probabilità e in un arco temporale ridotto, in ipotesi di danno alle matrici ambientali).
In tali casi, ove tale danno o pericolo siano «esigui», e sussistano gli altri requisiti (modalità della condotta e non abitualità del comportamento), sarebbe teoricamente sempre attivabile l’articolo 131-bis cod. pen..
Ma tale ricostruzione, pur se sistematicamente coerente, se applicata indiscriminatamente potrebbe condurre ad effetti aberranti, risolvendosi nella creazione di un sistema in cui l’indagato, per beneficiare dell’estinzione delle contravvenzioni che non hanno cagionato danno o pericolo per l’ambiente, sarebbe costretto a pagare/adempiere a delle prescrizioni, mentre per reati che tali danni hanno cagionato (sia pur in modo lieve) potrebbe godere del più benevolo regime di cui all’articolo 131-bis cod. pen. (che non impone pagamenti né comportamenti riparativi di sorta), determinando una torsione del sistema stesso, con evidenti effetti negativi in ordine alla spinta all’adesione al meccanismo conformativo/deflattivo previsto dal TUA.
4.8. Ritiene quindi il Collegio che la causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis cod. pen. possa trovare applicazione ai limitati casi (che il Collegio indica in via esemplificativa e non esaustiva) in cui la procedura estintiva sarebbe concretamente applicabile, avendo l’imputato posto in essere tutte le attività riparative necessarie, ma non è stata attivata per cause a lui non riconducibili (in tal caso, infatti, non vi è stata alcuna valutazione negativa da parte dell’organo di vigilanza), ovvero ai casi in cui, anche alla luce della «condotta susseguente al fatto» (in virtù della modifica intervenuta nel testo dell’articolo 131-bis cod. pen., per effetto del d.lgs. n. 150/2022), sulla base di un esame ex post, l’«offesa» risulti di speciale tenuità, ovvero ancora alle ipotesi in cui la procedura sia stata attivata, con pagamento della somma e adempimento delle prescrizioni, ma oltre il termine assegnato.
In tal caso, in presenza di attività occasionale e di una condotta sostanzialmente inoffensiva, sarebbe applicabile la speciale tenuità del fatto di cui all’articolo 131-bis cod. pen..
4.9. Al contrario, non sembra praticabile la strada della particolare tenuità del fatto nel caso in cui le prescrizioni non siano state ottemperate, ovvero nel caso in cui l’indagato abbia chiesto di essere ammesso alla procedura estintiva agevolata e l’organo di controllo abbia ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’ammissione.
Nel primo caso, infatti, la condotta dell’indagato/imputato dovrà essere valutata, negativamente, quale «condotta susseguente» al fatto; nel secondo caso, la presenza di un danno o pericolo concreto e attuale, tale da non consentire la definizione agevolata, non potrà essere valutato in termini di «particolare tenuità del fatto» (salvo che, in concreto, il giudice non valuti la sussistenza di manifesti errori nella valutazione negativa operata dall’organo di controllo).
Ed infatti, se in linea generale la peculiare natura del bene in oggetto richiede, da parte dell’autorità giudiziaria, una valutazione particolarmente rigorosa in ordine agli effetti della condotta sulle matrici ambientali, nel caso in esame tale valutazione è stata già effettuata dal legislatore mediante la selezione delle condotte penalmente rilevanti per le quali è escluso il meccanismo estintivo/riparativo: in tali casi, non appare possibile addurre l’esistenza dei presupposti di cui all’articolo 131-bis cod. pen. avendo il conditor legis, a monte, escluso che possa rinvenirsi in tali condotte una offesa «particolarmente tenue».
4.10. Tra le ipotesi indicate al par. 4.8 rientra proprio il caso che occupa il Collegio, in presenza di una contravvenzione in cui avrebbe potuto essere attivata la procedura estintiva di cui agli artt. 318-bis e ss. d. lgs. 152/2006 (ma non lo è stata) e avendo proceduto l’imputato a porre in essere attività riparative (lo smaltimento dei rifiuti).
Premessa quindi la teorica applicabilità dell’istituto al caso in esame, e scendendo in concreto al motivo di ricorso, sul punto il giudice ritiene che «non vi è spazio per una pronuncia ai sensi dell’articolo 131-bis cod. pen., atteso il quantitativo di rifiuti (3 mc, come si legge nel verbale di sequestro) e il rilevante danno per l’ambiente che ne sarebbe derivato, ove il trasporto fosse stato portato a compimento».
Sul punto la motivazione, che è insindacabile quanto al fatto (ossia alla valutazione attribuita al dato volumetrico dei rifiuti), non appare illogica, né contraddittoria, non potendosi che convenire con l’affermazione secondo cui i rifiuti, in assenza di formulario di identificazione, sarebbero stati sicuramente smaltiti mediante abbandono abusivo.
Va in proposito (Sez. 3, n. 30681 del 01/06/2022, Varriale, n.m.) ricordato che «ai fini dell’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità dell’offesa dev’essere effettuato con riferimento ai criteri di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., ma non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (Sez. 6 - , n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647 – 01)».
Analogamente, Sez. 3, n. 34151/2018, Foglietta, citata, ha evidenziato che «deve ritenersi del tutto adeguata la motivazione espressa che valorizzi l’assenza anche di uno solo dei requisiti richiesti dall’art. 131-bis cod. pen. Invero, allorquando il giudice del merito evidenzia, con adeguata motivazione, la sussistenza di un elemento fattuale ostativo all’applicazione della disposizione in esame per difetto di una delle condizioni richieste tale dato, evidentemente ritenuto prevalente, consente di limitare l’esame a quest’ultimo, senza necessità di prendere in considerazione altri elementi implicitamente ritenuti non rilevanti».
Nessuna contraddittorietà è poi desumibile dalla applicazione della pena della ammenda: «si tratta del legittimo esercizio di un potere discrezionale del giudice in sede di corretto adeguamento della pena, rispetto al quale, tuttavia, la scelta della ammenda se da una parte risponde alla valutazione della migliore correlazione di tale sanzione sia ai fatti che alla personalità dell’imputato, non incide di per sé sul distinto e diverso profilo della speciale tenuità del fatto, inerente il diverso e specifico aspetto della portata offensiva del medesimo» (Sez. 3, n. 30681 del 01/06/2022, dianzi cit.).
Il motivo è pertanto infondato.

5. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
5.1. In riferimento alle circostanze di cui all’articolo 62-bis cod. pen., la Corte (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli) ritiene che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisca un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; analogamente Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»).
Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, )».
Ancora, «la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio» (Sez. 3, n. 9836 del 9 marzo 2016).
La Corte ritiene inoltre (Sez. 3, n. 10085 del 21/11/2019, Rv. 279063 - 02) che «il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione». In sostanza, affinché sussista obbligo di motivazione è necessario che la richiesta non sia generica ma in qualche modo giustificata da dati di fatto astrattamente idonei a giustificare la richiesta (Sez. 5, n. 1099 del 26/11/1997, dep. 1998, Pirri, Rv. 209683 - 01).
5.2. Scendendo in concreto, il giudice ha ritenuto non concedibili le circostanze attenuanti generiche non avendo l’imputato «portato alla cognizione del giudice (pag. 3) elementi che rendano l’imputato meritevole delle attenuanti generiche, non essendo a tal fine sufficiente il dato della incensuratezza».
Tale motivazione, sia pure estremamente stringata, non appare porsi in contrasto con la l’indirizzo interpretativo della Corte relativo al diniego delle attenuanti in parola.

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. 
Così deciso il 21/06/2023.