Consiglio d Stato Sez. VI n. 5737 del 5 dicembre 2017
Beni Culturali.Studio di artista
Lo studio d'artista va riguardato come ‘universitas rerum’ rappresentativa della vita professionale dell'artista, traccia visibile dell'unicità delle sue attitudini individuali di produzione e ricerca; attraverso questo tipo di vincolo, la legge intende preservare non la traccia della vita dell'artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso, processo che è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un ‘interesse particolarmente importante’, come prescritto dalla legge. L'interesse particolarmente importante, d'altra parte, va riferito sia al generale lascito culturale dell'artista, sia all'entità della testimonianza che è condensata nel suo studio-laboratorio e nelle relative vestigia; lo studio, in altri termini, per le sue caratteristiche intrinseche, deve essere tale da rappresentare un fattore primario delle forme della produzione di un artista considerato, a giudizio dell'Amministrazione, particolarmente importante.
Pubblicato il 05/12/2017
N. 05737/2017REG.PROV.COLL.
N. 06485/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6485 del 2016, proposto dal signor-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Consulta, 50;
contro
il Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo (Mibact), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
i signori -OMISSIS-, non costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MOLISE – CAMPOBASSO, n. 183/2016, resa tra le parti, concernente una dichiarazione di interesse particolarmente importante di una porzione di immobile e di una collezione pittorica, situate nel -OMISSIS-);
Visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Mibact;
Viste le memorie difensive delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 9 novembre 2017 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti l’avvocato Pietroluongo, su delega dell’avvocato Sartorio, per l’appellante, e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Mibact;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Dopo aver acquisito la relazione storico–artistica della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise, il Direttore regionale, con provvedimento del 23 luglio 2008, ha dichiarato di interesse particolarmente importante, ai sensi del Codice per i beni culturali n. 42 del 2004, la porzione di un immobile, nonché la collezione pittorica ivi esistente, sita nel territorio del Comune-OMISSIS-.
La relazione si è basata sulle seguenti considerazioni.
«-OMISSIS-(1894 -1981), musicista e pittrice di notevoli capacità artistiche…ha dimorato e lavorato, per quasi tutto il corso della propria esistenza, … (presso) il castello-OMISSIS-, sottoposto a tutela già dal 1988, …tra i monumenti molisani di maggiore interesse storico –architettonico…
…Discendente da una famiglia ascesa nel sec. XIX al rango dell'alta borghesia molisana per aver amministrato i beni dei conti Caracciolo, (-OMISSIS-) si formò da giovane negli ambienti della ‘Belle Epoque’ napoletana. Incoraggiata dal padre Giacinto, valente avvocato e letterato, intraprese giovanissima gli studi artistici entrando in contatto con maestri di chiara fama. Frequentò dapprima il conservatorio musicale di Napoli, poi quello di Roma.
Si specializzò, quindi, a Berlino e a poco più di vent'anni fu considerata dalla critica dell'epoca una pianista di eccezionale valore. Sostenuta ancora dal padre intraprese gli studi di disegno e di pittura in quanto riteneva le due arti complementari tra loro. Frequentò, perciò, l'accademia di Parigi, quella di Salisburgo ed infine quella di Venezia.
Nonostante i suoi lunghi viaggi di studio in Italia ed all'estero, però, fu proprio a Torella che -OMISSIS-svolse maggiormente la sua attività di artista, attratta com'era dai paesaggi molisani e dalla gente comune che frequentava la sua casa.
Quando nel 1981-OMISSIS-morì, i suoi eredi vollero conservare la sua dimora nello stato in cui lei l'aveva lasciata nei suoi arredi e nelle attrezzature da lavoro testimonianza di una intera esistenza dedicata alla produzione artistica. Le stanze della dimora, disposte in sequenza tra loro si presentano come scompartimenti che racchiudono, al pari di una esposizione museale, stralci di vita artistica integrata suggestivamente con funzioni, arredi ed oggetti di uso quotidiano.
L'ingresso, che corrisponde all'antica cucina del castello, ad esempio, è illuminata da un lampadario in ferro battuto disegnato dalla stessa-OMISSIS-e realizzato, sotto la sua direzione, da un fabbro locale, mentre le pareti sono decorate da alcuni olii rappresentanti paesaggi e scorci del paese.
La sala da pranzo ospita una rassegna di circa quaranta opere fra olii e disegni raffiguranti in gran parte, ritratti ed autoritratti.
La stanza dove-OMISSIS-dimorava maggiormente, ferma nel tempo, testimonia la sua vita quotidiana. Qui c'è il suo cavalletto, la sua tavolozza, il cappello di paglia che le serviva, quando lavorava all'aperto, il suo camice nero macchiato di colori, il suo letto, il pianoforte di studio ed un grande specchio a ballerina per autoritratti, ma ciò che più colpisce ancora oggi in quest'ambiente è l'odore dei colori ad olio. Anche le pareti della sua stanza sono decorate con studi, ritratti e paesaggi. Fra questi colpisce un grande studio di mani, quelle dell'artista da vecchia.
La cosiddetta "stanza del pianoforte a coda" è fra le più interessanti. Qui su una parete è situata una grande tela, copia del Paolo III di Tiziano, eseguita dall'artista ed il pianoforte Steinweg databile ai primi anni del '900.
Vi è, poi, la biblioteca ottocentesca che conserva, oltre ai testi librari, anche le memorie legali del padre ed una interessante collezione de ‘La scena illustrata’. Qui, si possono osservare, inoltre, alcuni calchi in gesso ed un manichino di legno che la Ciamarra utilizzava come modelli.
Nella stanza successiva, anch'essa tappezzata di disegni e quadri, c’è la biblioteca donata dal conte ungherese Ladislao Postay. Un armadio a muro, invece, contiene l'archivio privato della famiglia anch'esso sottoposto a tutela con decreto 16.12.2003 in cui si conservano importanti atti di interesse documentario ed un vasto epistolario di-OMISSIS-con il direttore del museo di Capodimonte Angelo Conti.
Per i motivi su esposti l'intera abitazione di -OMISSIS-può essere considerata come "studio di artista” in quanto le opere, gli arredi ed i documenti in essa conservati fanno parte di un "unicum" inscindibile e, quindi, interamente meritevole di tutela sotto l'aspetto storico-artistico».
Nella motivazione del decreto, si evidenzia in particolare che «la porzione di fabbricato…per la funzione rivestita, negli anni, di luogo di incontri artistici e culturali e ambiente di lavoro della pittrice…riveste una indubbia e specifica valenza storico –artistica idonea a conferirle la tipologia di ‘Studio d’artista’»; e si legge inoltre che «le numerose e pregevoli opere pittoriche dell’artista -OMISSIS-custodite nello Studio costituiscono una collezione di grande valore che riveste, nel suo complesso, un eccezionale interesse artistico e storico non divisibile».
2. Tale decreto di vincolo (anche) «di studio d’artista», ai sensi dell’art. 51 del Codice n. 42 del 2004, venne impugnato dall’ing.-OMISSIS-, con il ricorso n. 460 del 2008, dinanzi al TAR del Molise.
Il signor -OMISSIS-è comproprietario, insieme ai germani Leonardo e Maria Luisa -OMISSIS-, figli, questi ultimi, della defunta -OMISSIS-, di una porzione del Castello di Torella, di fondazione alto medioevale e acquistato, all’inizio del XX secolo, dal nonno materno del ricorrente.
Egli si trova tuttora, e da tempo, in lite con i signori -OMISSIS-, dinanzi al giudice civile.
Il ricorso proposto avanti al TAR del Molise è stato respinto, nella resistenza del Mibact e dei signori -OMISSIS-, con la sentenza in epigrafe, con la quale il ricorrente è stato condannato a rimborsare le spese di causa alle parti costituite.
In particolare, la sentenza del TAR:
- ha rilevato in fatto che la dichiarazione di interesse particolarmente importante è stata decretata dal Direttore regionale dopo che il procedimento era stato avviato, su segnalazione del signor -OMISSIS-, formulata il 12 novembre 2007, con avviso di avvio datato 14 novembre 2007 ed emesso ai sensi dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990, da parte della medesima Direzione regionale;
- ha respinto il primo motivo, basato sulla mancata considerazione e, comunque, sulla insufficiente confutazione delle argomentazioni addotte dal ricorrente in ambito procedimentale, assumendo che nella specie non viene in considerazione alcuna violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, posto che con la citata nota del Mibact – Direzione regionale del Molise, del 14 novembre 2007, era stato comunicato l’avviso di avvio del procedimento, ex art. 7, e non i motivi ostativi ex art. 10 bis, disposizione, quest’ultima, che, attenendo a interessi di natura pretensiva e riguardando i soli procedimenti a istanza di parte, nei quali di certo non rientra quello oggetto del presente giudizio, era stata invocata dal ricorrente in maniera inappropriata. Inoltre, l’avviso di avvio del procedimento è stato comunicato regolarmente, e proprio in forza di tale comunicazione il signor -OMISSIS-ha fatto pervenire le proprie osservazioni procedimentali;
- ha rigettato il secondo motivo, con il quale era stato dedotto che il procedimento non era stato avviato dalla Soprintendenza di settore come, invece, previsto dalla normativa, e che da parte della Soprintendenza stessa non era stato acquisito nemmeno un parere nel corso dell’istruttoria. In sentenza si legge che l’art. 14 del Codice n. 42 del 2004, nella parte in cui prevede che il Soprintendente avvia il procedimento, si limita a indicare solo una delle possibili modalità di avvio senza, tuttavia, escluderne altre, sicché è legittimo che il procedimento abbia preso l’avvio dalla nota del 14 novembre 2007 della Direzione regionale, vale a dire proprio dell’organo competente alla adozione del provvedimento finale, e su segnalazione del -OMISSIS-, posto che nulla esclude che l’iniziativa possa partire anche da privati;
- ha disatteso anche il terzo motivo, basato su difetto dei presupposti e travisamento dei fatti, essenzialmente in relazione alla circostanza che le opere della collezione sarebbero state realizzate negli ultimi anni della vita dell’artista, e la porzione del Castello riconosciuta come ‘Studio d’artista’ sarebbe stata in realtà oggetto di modifiche che ne avrebbero alterato la configurazione originaria. Quanto alla critica per cui le opere della collezione, anch’esse oggetto del decreto impugnato, sarebbero state realizzate da meno di un cinquantennio, nella sentenza si sottolinea che trova applicazione la disciplina specifica di cui all’art. 51 del Codice n. 42 del 2004, disposizione che, nell’indicare i presupposti per l’individuazione dello ‘Studio d’artista’, non si riferisce in alcun modo alla risalenza delle opere a oltre un cinquantennio, come avviene, al contrario, per la fattispecie ‘ordinaria’ di dichiarazione di interesse culturale di cui al combinato disposto degli articoli 13 e 10 del t. u. n. 42 del 2004;
- ha respinto anche la quarta censura, basata sulla violazione del termine di 210 giorni per la conclusione del procedimento e, per altro verso, incentrata sulla mancata adozione degli indirizzi di carattere generale sulla base dei quali il Mibact deve orientare, ai sensi dell’art. 12 del d. lgs. n. 42 del 2004, l’uniformità delle valutazioni che l’Amministrazione è chiamata a esprimere nella materia de qua;
- ha infine rigettato l’ultimo motivo, recante difetto di istruttoria, basato sul duplice assunto per cui le opere presenti nello studio di -OMISSIS-sarebbero state ivi portate dal figlio dopo la morte dell’artista, mentre, per altro verso, l’immobile avrebbe formato oggetto di numerosi interventi edilizi che avrebbero fatto perdere ai locali la propria originaria configurazione. La sentenza, dopo avere rammentato i limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni compiute dal Mibact in materia, evidenzia che la valutazione operata dall’Amministrazione non risulta irragionevole, tenuto conto della descrizione accurata contenuta nella relazione storico–artistica allegata al decreto impugnato, e del fatto che parte ricorrente non ha comprovato le proprie affermazioni circa i lavori eseguiti nel Castello e il trasporto postumo delle opere.
3. Il signor -OMISSIS-ha proposto appello con quattro motivi.
In sintesi, sub 1) si sostiene che la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui ha considerato priva di pregio la prima censura, basata sull’affermata violazione dell’obbligo di valutare le osservazioni procedimentali formulate dal ricorrente.
L’avviso di avvio del procedimento era stato infatti da lui riscontrato con osservazioni articolate e puntuali delle quali però il Direttore regionale, nel decreto impugnato, non avrebbe tenuto conto.
La sentenza avrebbe errato nel soffermarsi unicamente sull’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, senza considerare l’art. 14, comma 2, del Codice n. 42 del 2004 e l’art. 10 della l. n. 241 del 1990, rapportata all’avviso di avvio di cui all’art. 7 della legge medesima. Inoltre, la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe carente degli ‘elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini’, richiesti dal sopra citato art. 14, comma 2.
Sub 2) e 3), motivi da esaminarsi in modo congiunto, l’appellante contesta la sentenza di primo grado laddove non è stato ritenuto violato l’art. 14 del Codice n. 42 del 2004, nella parte in cui prevede che il Soprintendente avvia il procedimento.
Nell’appello si ribadisce che il procedimento sarebbe stato avviato dalla Direzione regionale in violazione della normativa citata e senza la preventiva acquisizione di alcuna proposta o valutazione da parte del Soprintendente di settore.
L’appellante sottolinea che l’art. 18 del d.P.R. n. 233 del 2007, recante il regolamento di riorganizzazione del Mibact, attribuisce alle Soprintendenze la competenza (lett. h) a istruire e a proporre i provvedimenti di verifica dell’interesse culturale, e (lett. i) a svolgere le istruttorie e a proporre al direttore generale centrale i provvedimenti relativi a beni di proprietà privata, sicché non poteva essere sottratto al Soprintendente il compito di avviare il procedimento sulla base di quanto prevede l’art. 14 del Codice n. 42 del 2004.
Inoltre, l’art. 17 del medesimo regolamento dispone che la Direzione regionale dichiara, su proposta delle Soprintendenze di settore, l’interesse culturale delle cose di proprietà privata. Del resto, si soggiunge nell’atto di appello, nella comunicazione di avvio del procedimento la Direzione regionale aveva richiamato l’attenzione della Soprintendenza, sollecitandola a predisporre l’atto di tutela.
Sotto un profilo ulteriore, si rimarca che la relazione storico–artistica è stata predisposta non dal Soprintendente di Campobasso, ma da un funzionario della Direzione regionale, con il risultato di una relazione generica, insufficiente ed errata.
Così come avrebbe errato la sentenza per non avere censurato il fatto che il procedimento aveva preso l’avvio dalla iniziativa esclusiva del signor Leonardo -OMISSIS-, e ciò in violazione, si sostiene, dell’art. 14 del Codice n. 42 del 2004, il quale prevede che è il Soprintendente a dover avviare il procedimento «anche su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato».
L’interpretazione estensiva propugnata dal TAR sarebbe errata. La ratio della norma sarebbe quella di attribuire soltanto a enti territoriali la facoltà di dare impulso al procedimento, e ciò per evitare che la norma medesima possa essere utilizzata a fini privatistici, come è accaduto nel caso di specie. Infine, la tempistica sarebbe sospetta, e comunque sintomatica di un’istruttoria frettolosa, poiché la richiesta del -OMISSIS- è datata 12 novembre 2007, e l’avviso di avvio del procedimento di apposizione del vincolo è di soli due giorni successivo.
La qualificazione dello ‘Studio d’artista’ con opere e arredi come un «unicum inscindibile» sembra sia stata fatta per ostacolare la possibilità di procedere a una divisione della proprietà per quote in capo ai legittimi proprietari.
Infine, sub 4), l’appellante, nel dedurre l’erronea valutazione dei presupposti in fatto e in diritto, incompetenza e violazione del Codice n. 42 del 2004 sotto svariati profili, rileva che il giudice di primo grado non avrebbe considerato che la relazione storico–artistica non solo sarebbe stata redatta da un funzionario incompetente, ma sarebbe anche generica e priva di una descrizione specifica delle opere che fanno parte della collezione dell’artista.
L’indagine tecnico–discrezionale compiuta con la relazione risulterebbe inadeguata rispetto al tipo di provvedimento finale adottato. Attraverso il «vincolo di studio d’artista» di cui all’art. 51 del t. u. n. 42 del 2004, va preservata non la traccia della vita dell’artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione sotteso alle opere che lo hanno reso famoso.
Nella specie, non sussisterebbero i presupposti per la configurazione dello ‘Studio d’artista’ e per l’apposizione del relativo vincolo.
Le conclusioni alle quali è giunto il TAR in ordine alla non irragionevolezza della relazione medesima sarebbero errate. In particolare, non risulterebbe provato che l’artista abbia esercitato la sua personale attività di produzione artistica nel Castello di Torella; per converso, parte delle opere sarebbe stata portata da Napoli nel Castello di Torella solo di recente; e inoltre sarebbe errato il rilievo secondo cui opere, arredi e documenti fanno parte di un unicum inscindibile.
Il Mibact si è costituito in giudizio e ha concluso per il rigetto dell’appello.
I signori Cammarata non si sono costituiti nel corso del secondo grado del giudizio.
L’appellante ha prodotto memorie e, in prossimità dell’udienza di discussione dell’appello nel merito, ha depositato la sentenza della Corte d’Appello di Bari – I Sezione civile, n. 716 del 2017, relativa a una controversia tra i signori -OMISSIS- e il signor -OMISSIS-.
All’udienza del 9 novembre 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4. Ritiene la Sezione che l’appello sia infondato e vada respinto.
La sentenza impugnata resiste alle critiche che le sono state rivolte.
4.1. Il Collegio ritiene di prendere le mosse dall’esame del motivo di appello con il quale sono dedotte violazioni di carattere più propriamente sostanziale, e non soltanto la inosservanza di regole procedimentali o anche attinenti alla competenza.
Viene anzitutto in discorso il quarto motivo, con il quale, anche in correlazione con taluni profili della terza censura, la sentenza di primo grado è contestata nella parte in cui è stata esclusa l’irragionevolezza, la genericità, l’insufficienza e, in definitiva, la inadeguatezza della valutazione complessiva compiuta dal Direttore regionale, e ricavabile specialmente dalla relazione storico-artistica allegata al decreto finale, posta a sostegno della dichiarazione di interesse particolarmente importante impugnata.
Al riguardo, va premesso in linea generale che, secondo una condivisile impostazione (sulla quale v. Cons. Stato, sez. VI, sent. n. 4198 del 2011), «l'art. 51, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42, prevede uno speciale - per tipologia e per effetti - tipo di vincolo a bene culturale, prevedendo, per gli ‘studi d'artista’, il divieto di ‘modificare la destinazione d'uso (...) nonché rimuoverne il contenuto, costituito da opere, documenti, cimeli e simili, qualora esso, considerato nel suo insieme ed in relazione al contesto in cui è inserito, sia dichiarato di interesse particolarmente importante per il suo valore storico’, con l'usuale procedimento di dichiarazione dell'interesse culturale dell'articolo 13.
Si deve anzitutto rilevare che questa disposizione del Codice dei beni culturali e del paesaggio replica l'art. 52, comma 1, del Testo unico di cui al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, e analogamente a quello riordina la norma che era nata con l'art. 4bis d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, introdotto dalla legge di conversione 6 febbraio 1987, n. 15, che nel quadro di misure urgenti per i contratti di locazione, escludeva dal rilascio locatizio gli studi d'artista il cui contenuto era tutelato, ‘per il suo storico valore’, da un decreto del Ministro per i beni culturali ‘che ne prescrive l'inamovibilità da uno stabile del quale contestualmente si vieta la modificazione della destinazione d'uso’.
La disposizione del Codice è incentrata sugli effetti del vincolo, ma non ne esplica testualmente i presupposti: vale a dire non dice cosa, analiticamente, si debba intendere per ‘studio d'artista’. Nondimeno, analogamente alla norma originaria, prevede che il vincolo sia introdotto sull'immobile (o sua porzione) ‘per il suo valore storico’, così riconducendo questa specie di vincolo al genus dei vincoli storici, di cui all'art. 10, comma 3, lett. d) del Codice medesimo. E con un tale riferimento essa va integrata, considerando fondamento della tutela l'immateriale storicità di cui il manufatto, con i suoi arredi e per il suo contesto, è documento.
La disposizione manifesta il tratto della sua specialità essenzialmente per ciò che concerne gli effetti: concernendo studi d'artista, vuole che la loro rilevanza culturale venga in rilievo sia sotto il profilo che si tratta di spazi che non possono subire mutamenti della destinazione, e il loro contenuto (‘opere, documenti, cimeli e simili’) non può essere rimosso dalla collocazione originaria senza pregiudicare quella capacità rappresentativa.
L'universitas rerum costituita dallo ‘studio d'artista’ rileva invero come museo della vita professionale dell'artista, traccia visibile dell'unicità delle sue attitudini individuali di produzione e di ricerca. Attraverso questo tipo di vincolo la legge intende preservare non la traccia della vita dell'artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso: processo che - nel caso di artisti mostratisi capaci di lasciare un segno significativo - è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un ‘interesse particolarmente importante’, come vogliono sia la norma di specie che quella di genere.
L'interesse particolarmente importante va riferito sia al generale lascito culturale dell'artista, sia all'entità della testimonianza che è condensata nel suo studio - laboratorio e nelle relative vestigia. Lo studio, in altri termini, per le sue caratteristiche intrinseche deve essere tale da rappresentare un fattore primario delle forme della produzione di un artista considerato, a giudizio dell'Amministrazione, particolarmente importante.
L'obiettivo perseguito da questa specifica disciplina di legge è di rendere immodificabile l'ambiente ed i luoghi nei quali operò l'artista, al fine di conservare intatta la testimonianza dei valori culturali in incorporati (cfr. Corte cost., 4 giugno 2003, n. 185)» .
Come è stato rilevato dalla giurisprudenza, «lo studio d'artista va riguardato come ‘universitas rerum’ rappresentativa della vita professionale dell'artista, traccia visibile dell'unicità delle sue attitudini individuali di produzione e ricerca; attraverso questo tipo di vincolo, la legge intende preservare non la traccia della vita dell'artista, ma la testimonianza delle condizioni materiali del processo di formazione ed azione che è sotteso alle opere che lo hanno reso famoso, processo che è dalla legge reputato realizzare un valore culturale in sé, sempre che si tratti di un livello tale da corrispondere ad un ‘interesse particolarmente importante’, come prescritto dalla legge. [...] L'interesse particolarmente importante, d'altra parte, va riferito sia al generale lascito culturale dell'artista, sia all'entità della testimonianza che è condensata nel suo studio-laboratorio e nelle relative vestigia; lo studio, in altri termini, per le sue caratteristiche intrinseche, deve essere tale da rappresentare un fattore primario delle forme della produzione di un artista considerato, a giudizio dell'Amministrazione, particolarmente importante [...].
Quanto ai presupposti per la concreta configurazione di uno studio d'artista, presupposti fattuali che costituiscono altrettante condizione per il legittimo esercizio del potere discrezionale conferito all'Amministrazione, gli stessi sono così sintetizzabili:
1) che l'artista abbia esercitato la sua personale attività di produzione artistica nell'immobile de quo, circostanza che instaura quel peculiare legame tra artista e immobile esplicativo della vicenda della sua propria vita artistica;
2) che, per converso, tale stato di fatto non risulti, al momento della imposizione del vincolo, modificato irreversibilmente e dunque non risulti reciso il nesso sopra individuato;
3) che il collegamento tra l'artista e l'immobile non sia, d'altra parte, occasionale o insignificante.
Al positivo riscontro dei detti presupposti fattuali, potranno dunque ritenersi giustificate le notevoli restrizioni al diritto di proprietà che il provvedimento implica con l'imporre una sorta di inalterabile ‘musealizzazione’ di quel contesto ambientale di produzione artistica, con il tacito supplemento pratico degli oneri di custodia dei suoi contenuti, posto che, come sopra detto, la norma stabilisce restrizioni alla proprietà che si spingono fino alla inamovibilità dello studio e all'immodificabilità della destinazione d'uso dello stabile, e che, come tali, sono ulteriori ed eccezionali rispetto all'ordinario effetto del vincolo storico-culturale, che comporta solo una, pur rigorosa, valutazione di compatibilità degli interventi con i valori oggetto del vincolo.
Da ciò la qualificazione della disposizione come di stretta interpretazione, non giustificante interpretazione estensiva e per converso riguardante le esclusive attività individuali dell'artista a concretare il profilo soggettivo necessario per giustificare il vincolo culturale, come nella disposizione indica, con inequivoca chiarezza, la parola ‘artista’ predicata di ‘studio’» (TAR Lazio, sent. n. 9533 del 2017).
Inoltre, «perché si possa parlare di studio d'artista, deve essere comunque ricreato - fosse pure con qualche limitata approssimazione, spesso inevitabile per le vicissitudini successive alla scomparsa di un autore - tale ambiente, così da conservare un reale collegamento con la vita e con l'opera dell'artista, in peculiare coerenza con la disciplina in esame [...] a contrario, non potrà essere assimilata ad uno studio d'artista una mera raccolta di cimeli a questi riferibili, ove manchi l'elemento costituito dalla sua volontà unificatrice» (TAR Veneto, Sez. II, 24 marzo 2010, n. 939, confermata da Cons. Stato, Sez. VI, n. 4198/2011).
In materia, le valutazioni della Soprintendenza e del Mibact sono espressione di discrezionalità tecnica e sono sindacabili in sede giurisdizionale per difetto di motivazione ed illogicità manifesta, nonché per errore di fatto che faccia emergere l'inattendibilità della valutazione compiuta, non potendo il giudice sovrapporvi la propria.
Va soggiunto che nella sentenza in epigrafe si rileva, in maniera corretta, che le valutazioni di settore sono caratterizzate da un «grado elevato di soggettività e di opinabilità»: da ciò, il TAR, in maniera altrettanto corretta, ha ritenuto che il sindacato giurisdizionale amministrativo debba essere circoscritto ai soli profili della irragionevolezza e del travisamento dei fatti.
Nella specie, la relazione storico – artistica allegata al decreto impugnato in primo grado – e che fa parte integrante del decreto stesso - risulta tutt’altro che generica, priva di descrizioni specifiche e, in definitiva, inadeguata.
Al contrario, come puntualmente si rileva in sentenza, il provvedimento contestato dinanzi al TAR è motivato in modo non travisato né irragionevole.
In particolare, risultano descritte in modo dettagliato «le stanze della dimora, disposte in sequenza tra loro (e che) si presentano come scompartimenti che racchiudono, al pari di una esposizione museale, stralci di vita artistica integrata suggestivamente con funzioni, arredi e oggetti di uso quotidiano»; è indicato il legame tra lo studio d’artista e l’immobile; è specificato un collegamento effettivo, e sufficientemente continuativo, tra la porzione d’edificio e l’attività artistica svolta al suo interno (al riguardo, si rinvia alla relazione, riprodotta nell’incipit di questa sentenza); lo stato di fatto non risulta significativamente modificato rispetto al tempo in cui «l’artista operava nei locali in questione«; è esatto poi (v. pag. 14 sent.) che la relazione, alla quale ancora una volta si fa rinvio, contiene una descrizione accurata delle opere presenti nella porzione di castello e nell’area adibita dall’artista a proprio studio «in cui – soggiunge la decisione impugnata - si dà conto di una situazione sostanzialmente immutata dal momento in cui l’artista operava nei locali in questione».
Dunque, diversamente da quanto ritiene l’appellante, sussistevano i presupposti per la qualificazione dell’abitazione come ‘studio d’artista’, e in modo legittimo è stato considerato configurabile, nell’abitazione in questione, uno ‘studio d’artista’ ai sensi dell’art. 51 citato, in maniera tale da legittimare l’apposizione del vincolo specifico.
Circa poi i rilievi – reiterati, nella sostanza, in grado di appello - secondo i quali «le opere sarebbero state portate nel sito solo successivamente e sarebbero stati eseguiti lavori successivi di modifica dei locali», bene la sentenza argomenta in proposito affermando che «dalla relazione (emerge con evidenza che) che la riconoscibilità dei locali in questione quali studio di artista deriva da una serie di fattori univoci che non si esauriscono solo nella configurazione strutturale dei locali o dalle opere ivi contenute, ma da ulteriori elementi fattuali (presenza del cavalletto, dei colori, del grembiule da lavoro ecc.) e persino sensoriali come gli odori tipici dei colori e le decorazioni delle pareti delle stanze eseguite dall’artista.
Ne consegue che, pur prescindendo dalla circostanza che parte ricorrente non ha fornito la prova delle sue affermazioni circa i lavori eseguiti nel Castello e il trasporto postumo delle opere, i locali in questione sono, comunque, univocamente riconoscibili come luoghi nei quali (l’artista) ha operato ed esercitato il proprio talento».
D’altra parte, è del tutto comprensibile che, dopo la morte di un artista, si abbia cura di concentrare le sue opere in un solo luogo, ed a maggior ragione nell’edificio ove aveva l’abitudine di ritornare per ragioni personali o per l’esercizio della propria attività: tale trasporto di opere, lungi dall’incidere negativamente sul pregio storico - artistico dell’edificio ad quem e del relativo studio d’artista, ne comporta indubbiamente un ulteriore pregio, proprio perché agevola la conservazione e la fruizione delle opere nel loro complesso, oltre che la comprensione dell’autore e delle sue opere unitariamente visibili.
Neppure rilevano le modifiche che più o meno abbia avuto il Castello di Torella, poiché ciò che conta non è l’assoluta immodificabilità nel corso del tempo degli ambienti in cui l’artista abbia svolto la propria attività (pur se tale immodificabilità va perseguita, affinché non vi siano degradi o perdite di memoria), bensì la perdurante esistenza del significato identitario dell’edificio, malgrado le opere che nel corso del tempo lo abbiano caratterizzato.
Lo sviamento dedotto sub 3), in finem, sull’assunto che la qualificazione dell’abitazione come ’studio d’artista’, con opere, arredi e documenti conservati in essa, quali parte integrante di un unicum inscindibile, tenderebbe allo scopo di ostacolare la possibilità di procedere a una divisione della proprietà per quote in capo ai legittimi proprietari, non risulta poi minimamente comprovato.
4.2. Il quarto motivo lamenta anche l’incompetenza del funzionario della Direzione regionale a redigere la relazione storico – artistica allegata al decreto impugnato in primo grado; profilo di censura che va esaminato in modo congiunto con i motivi secondo e terzo, con i quali è stata ribadita la violazione dell’art. 14 del Codice n. 42 del 2004, nella parte in cui è previsto che «il Soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell’interesse culturale» (v. amplius sopra, p. 3).
Per l’esame di tali censure, vanno riportati gli articoli 14 del Codice n. 42 del 2004, nonché gli artt. 18 e 17 del d.P.R. 233 del 207, sulla riorganizzazione del Ministero.
L’art. 14 del Codice, riguardante il «Procedimento di dichiarazione», dispone che «1. Il soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale, anche su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato, dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto. 2. La comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle prime indagini».
Gli articoli 18 e 17 del d.P.R. n. 233 del 2007 prevedono che:
- «1. Le strutture periferiche di cui all'articolo 16, comma 1, lettera b (vale a dire le Soprintendenze di settore) svolgono, in particolare, i seguenti compiti: … h) istruiscono e propongono i provvedimenti di verifica dell'interesse culturale; i) svolgono le istruttorie e propongono al direttore generale centrale competente i provvedimenti relativi a beni di proprieta' privata» (art. 18);
- «1. Le direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici coordinano l'attività delle strutture periferiche del Ministero di cui all'articolo 16, comma 1, lettere b) …presenti nel territorio regionale…Il direttore regionale, in particolare: a) esercita sulle attivita' degli uffici di cui all'articolo 16, comma 1, lettere b), c), d), e) ed f), i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, solo in caso di necessità ed urgenza, informati il direttore generale competente per materia ed il segretario generale, avocazione e sostituzione; …c) verifica la sussistenza dell'interesse culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ai sensi dell'articolo 12 del Codice; d) dichiara, su proposta degli uffici di cui all'articolo 16, comma 1, lettere b) (ossia la Soprintendenze) e f), l'interesse culturale delle cose di proprieta' privata ai sensi dell'articolo 13 del Codice» (art. 17).
Ciò premesso, i motivi e profili di appello, riassunti sopra al p. 3., non risultano fondati.
Infatti, anche se, di regola, spetta alla Soprintendenza avviare il procedimento, svolgere l’istruttoria e proporre, alla autorità emanante, l’adozione del provvedimento finale, tuttavia non può escludersi che, in taluni casi particolari e urgenti, la Direzione regionale assuma su di sé la responsabilità sia dell’istruttoria e sia della decisione finale: nessuna disposizione, espressamente o implicitamente, ha precluso alla Direzione regionale di attivare il procedimento, in quanto essa risulta preposta alla cura di interessi pubblici che può avere luogo comunque, con l’attivazione di procedimenti conseguenti alla segnalazione di qualsiasi soggetto pubblico o privato.
Nella specie, a quanto consta dalla lettura dell’atto d’appello (pag. 12), e allo stato degli atti, in seguito alla iniziativa del signor -OMISSIS- la Direzione regionale aveva per di più sollecitato la Soprintendenza, vanamente, a predisporre l’atto di tutela.
In mancanza dell’atto di impulso della Soprintendenza – e, comunque, in assenza di risposta, o di proposta, da parte di quest’ultima, e non essendovi stata una negativa verifica istruttoria della Soprintendenza medesima -, la Direzione regionale, quale organo periferico del Mibact competente a emanare il provvedimento conclusivo, ha ben potuto istruire il procedimento, affidando a un proprio funzionario l’elaborazione della relazione storico–artistica, e ha infine emanato il provvedimento finale conformemente a quanto dispone l’art. 17 del d.P.R. n. 233 del 2007.
Quanto poi alla sottolineatura di parte appellante per cui il procedimento è stato attivato su ‘segnalazione’ o ‘iniziativa’ del signor -OMISSIS-, vale a dire di un privato, ciò non inficia la legittimità del procedimento e dell’atto terminale giacché, se è vero che l’art. 14 del t. u. n. 42 del 2004 fa riferimento alla «motivata richiesta» di avvio del procedimento «della regione e di ogni altro enteterritoriale interessato», si deve ritenere che l’art. 14 vada interpretato nel senso che l’assenza di una richiesta scaturente da un’amministrazione territoriale non precluda l’attribuzione, in capo alla Direzione regionale, sussistendone i presupposto, di una ‘competenza procedimentale e finale piena’ in casi peculiari come quello in esame, in modo tale da ‘inglobare’ ogni altra attribuzione attinente ad esempio alla fase di avvio, senza escludere, secondo logica, che possano essere presi in considerazione atti di impulso iniziali provenienti da privati.
Al riguardo, ritiene la Sezione che:
- quando vi è la «motivata richiesta» prevista dall’art. 14 del Codice, la Direzione regionale ha l’obbligo di concludere il procedimento con un atto espresso (il che comporta che possa essere contestato il suo eventuale silenzio, da parte di chi vi abbia interesse);
- quando vi è la segnalazione di un qualsiasi altro soggetto, la Direzione regionale – pur se non ha l’obbligo di prenderla in esame – ben può ritenere sussistenti i presupposti per effettuare le valutazioni di propria competenza e, di conseguenza, concludere il procedimento anche con un provvedimento di imposizione del vincolo.
Alla luce delle considerazioni esposte sopra, tenuto conto del procedimento nel suo svolgersi e del fatto che il signor -OMISSIS-ha comunque avuto modo di formulare osservazioni in sede procedimentale (v. ricorso di I grado, pag. 3), il fatto che siano trascorsi solo due giorni, dal 12 al 14 novembre 2007, tra la segnalazione del -OMISSIS- e l’avviso di avvio della Direzione regionale, non concretizza alcun profilo di sviamento, ma al contrario evidenzia come nel caso di specie vi sia stata la pronta risposta dello Stato alla richiesta di tutelare il proprio patrimonio artistico e storico.
4.3. Infine, sul motivo d’appello di carattere procedimentale, imperniato sulla dedotta violazione degli articoli 14, comma 2, del Codice n. 42 del 2004, e 10, lett. b), della l. n. 241 del 1990, e riassunto sopra, al p. 3/1), pur dovendosi riconoscere, con l’appellante, che il riferimento, compiuto in sentenza, all’art. 10 bis della l. n. 241 del 1990, «non correttamente invocato nel caso di specie», non esauriva la materia del decidere, resta che dalla motivazione della relazione storico–artistica posta a base del decreto impugnato in primo grado si ricava che, sia pure implicitamente, ma non per questo meno necessariamente, alcune delle deduzioni svolte in sede procedimentale (e si intende fare riferimento alla presenza continuativa dell’artista a -OMISSIS-) sono state in concreto prese in considerazione dall’organo emanante.
Peraltro, le medesime deduzioni, reiterate anche in questa sede, non hanno evidenziato profili o circostanze di fatto tali da manifestare l’insussistenza dei presupposti per l’emanazione del contestato provvedimento, anche perché, come sopra si è rilevato, è del tutto ragionevole la qualificazione come studio d’artista dell’immobile dove periodicamente si recava e si esprimeva l’artista e dove, sia pure dopo la sua morte, siano state portate anche altre sue opere.
Da ultimo, l’affermazione per cui l’avviso di avvio del procedimento sarebbe stato carente degli elementi di identificazione e di valutazione della cosa, ricavabili dalle prime indagini, risulta smentita dal fatto che l’appellante è stato posto nella condizione di compiere osservazioni in sede procedimentale, sintetizzate nel ricorso di primo grado e attinenti alla intervenuta modifica, nel corso degli anni, degli ambienti qualificati come ‘studio d’artista’, al fatto che -OMISSIS-avrebbe realizzato la maggior parte delle sue opere non a -OMISSIS- ma a Napoli, e che le opere medesime sarebbero state spostate da Napoli al Castello.
In conclusione, l’appello va respinto. Sussistono tuttavia ragioni che giustificano in via eccezionale la compensazione integrale, tra le parti costituite, delle spese e dei compensi del secondo grado del giudizio.
Poiché sussistono i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle persone fisiche menzionate nella presente sentenza, si richiede alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 6485 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.
Spese del secondo grado del giudizio compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi delle persone fisiche menzionate nella sentenza, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini suindicati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 novembre 2017, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere, Estensore
Dario Simeoli, Consigliere
Italo Volpe, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marco Buricelli Luigi Maruotti