Il decreto “Terra dei fuochi”: un commento a caldo...

di Carlo RUGA RIVA

 

 





Sommario: 1. Ratio e scopi del nuovo reato nuovo reato.– 2. I requisiti di fattispecie.



  1. Ratio e scopi del nuovo reato

Il 3 dicembre il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo di un decreto legge che prevede, tra l’altro, l’introduzione del “reato di combustione illecita di rifiuti”.

Come affermato nella relazione illustrativa al decreto legge, l’introduzione del delitto mira a sanzionare un fenomeno – i fuochi appiccati ai rifiuti - fin qui non adeguatamente contrastabile con le fattispecie di reato esistenti.

Vuoi per la scarsa severità delle fattispecie contravvenzionali di abbandono di rifiuti (art. 255, co. 1 d.lgs. n. 152/2006) e di smaltimento illecito tramite combustione (art. 256, co. 1 d.lgs. n. 152/2006) 1, applicabili tra l’altro ai soli titolari di imprese, vuoi per l’inapplicabilità ai casi in esame della fattispecie delittuosa di incendio, la quale presuppone un incendio di vaste dimensioni, di notevole capacità diffusiva e di difficile spegnimento, idoneo a mettere in pericolo l’incolumità pubblica.

D’altra parte il fenomeno “patagonico” della terra dei fuochi2 è previsto come reato solo dall’art. 6 del d.l. n 210/2008, conv. dalla l. n. 210/2008, il quale però presuppone l’avvenuta dichiarazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti – qui come vedremo requisito di aggravante e e non presupposto del fatto tipico –, non si estende ai rifiuti urbani (tranne quelli domestici ingombranti con determinate caratteristiche) e, soprattutto, è punito meno severamente del reato in commento.

Agli occhi del legislatore il nuovo reato sembra finalizzato non solo alla tutela dell’ambiente, ma anche alla tutela della salute e – new entry – alla tutela della sicurezza agroalimentare, come dimostrato dall’art. 2 del decreto legge in commento, il quale prevede l’obbligo per il Pubblico Ministero procedente per un reato ambientale che implichi “un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare”, di informare il Ministero della Salute o delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonché dall’art. 3, ove gli interventi urgenti per garantire la sicurezza agroalimentare in Campania sono riferiti espressamente agli “effetti contaminanti di sversamenti e smaltimenti abusivi, anche mediante combustione”.

  1. I requisiti di fattispecie

Il nuovo delitto, punibile solo a titolo di dolo, incrimina, con la pena della reclusione da due a cinque anni, “chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate”.

La disposizione abbraccia tutte le tipologie di rifiuto, compresi quelli urbani, propri o altrui.

L’unica eccezione è rappresentata dai “rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali”: in tal caso all’autore della relativa combustione si applicherranno le più mite sanzioni dell’art. 255 d.lgs. n. 152/2006 (art. 256-bis, co. 6)3.

Due le condotte espressamente incriminate: il bruciare rifiuti abbandonati e il bruciare rifiuti depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate.

Il fatto tipico non sembra abbracciare la condotta di chi bruci senza avere l’autorizzazione i propri rifiuti regolarmente detenuti: tale ipotesi continuerà a ricadere nella fattispecie contravvenzionale di gestione abusiva di rifiuti tramite incenerimento.

Non particolarmente felice appare la descrizione della seconda condotta tipica: la formula sintattica utilizzata parrebbe esigere sia il deposito incontrollato (ad es. in contrasto con le norme tecniche o le prescrizioni relative alle coperture dagli agenti atmosferici) che la sua collocazione in aree non autorizzate (ad esempio fuori del perimetro di stoccaggio indicato nell’autorizzazione).

Mancando uno dei due requisiti il reato non dovrebbe considerarsi integrato.

Ove le condotte sopra descritte abbiano ad oggetto rifiuti pericolosi la pena è della reclusione da tre a sei anni.

E’ verosimile che gli interpreti si arrovelleranno sulla natura di tale ipotesi: circostanza aggravante, soggetta ad eventuale bilanciamento con circostanze attenuanti, o fattispecie autonoma?

La giurisprudenza, in linea con fattispecie formulate in modo analogo4, è prevedibile opterà per la tesi della fattispecie autonoma, funzionale tra l’altro ad evitare bilanciamenti con eventuali cirocstanze attenuanti.

L’art. 256-bis co. 2 del d.lgs. n. 152/2006 stabilisce che “le stesse pene si applicano a colui che tiene le condotte di cui all’art. 255, comma 1, in funzione del successivo abbruciamento (sic) dei rifiuti”.

L’equiparazione quoad penam appare eccessiva: la condotta di chi deposita illecitamente rifiuti è meno grave di chi li brucia, non foss’altro perché oltre a inquinare il suolo (e magari la sottostante falda acquifera) quest’ultimo inquina altresì l’aria.

D’altra parte il nesso funzionale (e psicologico, sembrerebbe nella forma del dolo specifico) dell’abbandono con il futuro “abbruciamento” – orrendo termine inventato di (mal)sana pianta, destinato a fare sventurata compagnia ad altri consimili pari-suffisso quali “sversamento” e “collettamento” – non sembra compensare il minor pregiudizio attuale all’ambiente arrecato da chi deposita ma (almeno) non brucia.



Alla descrizione del fatto tipico di cui al co. 1 si antepone l’ormai consueta clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato”, mirante a risolvere il concorso apparente di norme a favore di altre fattispecie interferenti con quella in esame.

Quali i reati evocati? Verosimilmente, l’incendio doloso, punito egualmente nel minimo ma più severamente nel massimo (sette anni), quanto alla pena base5, nonché il disastro doloso nella forma aggravata di cui all’art. 434, co. 2 c.p. (reclusione da tre a dodici anni).

Ai sensi dell’art. 256-bis co. 3 la pena è aumentata di un terzo se il reato di cui al comma precedente, ovvero l’abbandono di rifiuti funzionale alla combustione, è commesso nell’ambito dell’attività di impresa o comunque di un’attività organizzata (anche criminale, ovvero clandestina).

L’aggravante in parola dimostra, a contrario, che il reato-base ben può essere commesso da un privato ed anche con un solo atto di abbandonono o deposito incontrollato funzionale alla combustione.

La lettera della legge non consente di comprendere nella aggravante il delitto di combustione di rifiuti di cui al co. 1.

Si tratta di esito certo discutibile (sorge il sospetto che l’unitario comma originario sia stato sdoppiato in seguito), ma obbligato pena la violazione del divieto di analogia in malam partem.

L’art. 256-bis, co. 4 prevede un’ulteriore aggravante (non quantificata e dunque fino ad un terzo) “se i fatti di cui al comma 1 sono commessi in territori che, al momento della condotta e comunque nei cinque anni precedenti, siano o siano stati interessati da dichiarazioni di stato di emergenza nel settore dei rifiuti ai sensi della legge 24 febbraio 1992, n. 225”.

La disposizione segna due novità: lo stato di emergenza non costituisce più presupposto di norme incriminatrici6, ma più modestamente di circostanze aggravanti; vale non solo per il presente, ma anche per il passato prossimo (ovvero per i cinque anni antecedenti).

La retroattività appare di dubbia ragionevolezza: l’assenza attuale di emergenza sembra significare, agli occhi del legislatore, il venir meno della situazione di particolare vulnerabilità dell’ambiente che sola giustifica un trattamento differenziato per uguali condotte7.

Il co. 5 dell’art. 256-bis estende l’ormai onnipresente disciplina della confisca8 al mezzo di trasporto utilizzato per il reato di cui al comma 1 (non anche quello di cui al co. 2), “salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato, la quale provi la propria buona fede in ordine all’uso del bene, avvenuto a sua insaputa (rimembranza scajoliana) e non collegabile ad un suo comportamento negligente”.

Alla sentenza di condanna o di patteggiamento (non al decreto penale di condanna) “consegue la confisca dell’area sulla quale è commesso il reato, se di proprietà dell’autore o del compartecipe al (sic) reato”, fatti salvi gli obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi”.

Si tratta di reati di pericolo, posti nell’intenzione del legislatore a tutela di un fascio plurimo di interessi interconnessi: ambiente, salute e sicurezza agroalimentare, come desumibile dai citati artt. 2 e 3 del decreto in commento.

Trattandosi di delitti, sarebbe astrattamente configurabile il tentativo, a patto che lo si consideri compatibile con i reati di pericolo.

Tuttavia, in concreto, la questione è in parte risolta diversamente dal legislatore che, come visto, incrimina con la stessa pena prevista per la combustione di rifiuti colui che li abbandona o deposita “in funzione del successivo abbruciamento”.

Sicchè, in definitiva, l’autore della tentata combustione di rifiuti che li abbia previamente abbandonati o depositati irregolarmente risponderà del reato consumato di cui all’art. 256-bis, co. 3, il quale anticipa la tutela ad una fase propedeutica all’incendio.

Il tentativo residuerebbe solo in capo a chi, non autore o complice dell’abbandono o del deposito di rifiuti, tentasse di bruciarli.

L’art. 1, co. 2 del decreto in esame, forse avvertendo un vago senso di insicurezza e di perfettibilità delle disposizioni fin qui esaminate, precisa che esse “acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

Speriamo che nelle more il legislatore (o qualche interprete più attento del sottoscritto) chiarisca i punti segnalati come problematici, e quanto meno espunga dal testo la parola “abbruciamento”, degna di Cetto La Qualunque più che di un legislatore italoparlante.

Quale che sia la valutazione circa l’opportunità di introdurre il nuovo reato nei termini sopra descritti, certo è che il nuovo reato rientra nello schema del diritto penale ambientale contemporaneo: frutto dell’emergenza – cristallizzata nell’aggravante di cui al co. 4 –, di pericolo astratto, con spettro di tutela plurimo – l’interconnessione tra ambiente, salute e sicurezza agroalimentare –.

Anche il ricorso al delitto doloso è scelta ormai non più eccezionale: a partire dall’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 (e dal suo predecessore), passando per l’art. 181, co. 1-bis d.lgs. n. 42/2004 per arrivare alle numerose fattispecie delittuose contenute nella disciplina penale “campana” sui rifiuti, gli ultimi interventi normativi tendono a superare il tradizionale modello delle fattispecie contravvenzionali punibili anche a titolo di colpa.



Carlo Ruga Riva

Associato di diritto penale

Università degli Studi di Milano-Bicocca



1 Vedi da ultimo Cass. sez. III, 17.10.2013, n. 45307, in Ius Explorer, relativa all’incenerimento a terra di piume di uccelli.

2 Come si legge in wikipedia, il nome “Terra del Fuoco” fu dato nel XVI secolo dai marinai europei che transitavano davanti alle sue coste (si tratta dell’arcipelago dell'America del sud, situato all'estremità meridionale del continente), notando dei fuochi accesi dagli indigeni per proteggersi dal freddo.

3 In tal caso “si applicano le sanzioni di cui all’art. 255”, ovvero, parrebbe, le sanzioni amministrative pecuniarie per i privati e le più miti sanzioni penali dell’art. 256, co. 2, cui rinvia l’art. 255, per i titolari di imprese: arresto da tre mesi a un anno o l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti non pericolosi; arresto da sei mesi a due anni e l’ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro se si tratta di rifiuti pericolosi.

4 Per una sintesi dell’orientamento giurisprudenziale che nelle analoghe disposizioni di cui agli artt. 256 e 257 d.lgs. n. 152/2006 individua circostanze fattispecie autonome sia consentito rinviare a C. RUGA RIVA, Rifiuti, in Trattato teorico pratico di diritto penale, diretto da F. PALAZZO e PALIERO, volume XI, Reati contro l’ambiente e il territorio, a cura di PELISSERO, Torino, 2013, 69 s.

5 Come si vedrà nel testo il delitto in commento prevede aggravanti (co. 3 e 4) che comportano pene maggiori, nel massimo, a quella prevista per il reato di incendio doloso.

6 Su tale modello sia consentito rinviare a C. RUGA RIVA, Stato di emergenza e delimitazione territoriale: verso un nuovo diritto penale dell’eccezione?, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2009, 1090 ss.; ID., Diritto penale, regioni e territorio. Tecniche, funzione e limiti, Milano, 2012, 183 ss.

7 Come noto la disciplina speciale in tema di rifiuti, rimasta in vigore in tempi diversi in Campania, Calabria e nella provincia di Palermo, è stata ritenuta legittima da Corte cost. n. 83/2010; sul tema sia consentito rinviare a C. RUGA RIVA, E’ costituzionalmente legittima la disciplina penale campana in tema di rifiuti? in www.lexambiente.it. Sulla questione v. anche VERGINE, Nuovi orizzonti del diritto penale ambientale? in A&S 2009, 7.

8 Sulla quale vedi VERGINE, Brevi note sulla confisca nei reati ambientali, in VINCIGUERRA-DASSANO, Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli, 2010, 1040 ss.