Annullamento in autotutela del permesso di costruire alla luce dell'entrata in vigore dell'art. 21-nonies della legge 241/90, come modificato da ultimo dall'art. 6, comma 1, legge n. 124 del 2015. Prime pronunce giurisprudenziali. Spunti di riflessione

di Giuseppe COCCHI

L'entrata in vigore il 27 agosto 2015 della legge n°124/2015 (legge Madia) ha introdotto significative modifiche all'art. 21-nonies della legge generale sul procedimento amministrativo n°241/90; tale disposizione ha innovato e disciplinato le modalità ed i tempi per l'annullamento d'ufficio di un provvedimento amministrativo illegittimo da parte della medesima amministrazione che lo ha rilasciato, ovvero di un'altra amministrazione a ciò preposta.

Per dare piena contezza dell'articolo di legge in esame è utile riportare il testo normativo e la sua evoluzione nel tempo:

  • testo in vigore dal 8 marzo 2005 all'11 novembre 2014

Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

  • testo in vigore dal 12 novembre 2014 al 27 agosto 2015

Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.

  • testo vigente _ in vigore dal 28 agosto 2015

Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)

1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.

2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.

2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.

La prima riflessione da fare dopo la lettura dell'evoluzione storica del testo normativo è relativa alla la necessità avvertita dal legislatore, sin dalla modifica del 2014, di chiarire esplicitamente nella norma che la facoltà di annullare l'atto in autotutela lascia ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. Pertanto il testo normativo rafforza un concetto di responsabilità già insito nell'ordinamento giuridico (in maniera peonastica ad avviso di chi scrive), ribadendo che restano in capo al soggetto preposto a decidere sull'annullamento dell'atto illegittimo entro un termine “ragionevole”, tutte le responsabilità del caso (rilevabili in sede civile, penale, amministrativa, contabile e disciplinare), qualunque sia la decisione adottata, ivi compreso il silenzio.

Con la modifica dell'art. 21-nonies della legge 241/90, introdotta da ultimo con la legge 124/2015 (cd. legge Madia), il legislatore ha inteso stabilire che il termine “ragionevole” entro cui la pubblica amministrazione può decidere di provvedere all'annullamento d'ufficio non può essere superiore a diciotto mesi, se il provvedimento è un provvedimento autorizzatorio ovvero di concessione di vantaggi economici. Pur tuttavia lo stesso legislatore, nella medesima circostanza, con l'introduzione del comma 2-bis al medesimo art. 21-nonies, ha inteso precisare che il termine massimo di diciotto mesi non deve essere rispettato se il provvedimento amministrativo è fondato su false rappresentazioni dei fatti ovvero su “autodichiarazioni” non rispondenti al vero. In tal caso tale annullamento dovrebbe essere susseguente all'accertamento dei fatti con sentenza passata in giudicato.

Alla luce di quanto evidenziato, per gli operatori del settore urbanistico–edilizio, si rende necessaria una riflessione sull'impatto di una siffatta normativa generale sulla speciale normativa di cui al DPR 380/2001, meglio noto come TU dell'edilizia.

Più specificamente le riflessioni che seguono mirano a comprendere se ed in che modo la norma introdotta con la modifica all'art.21-nonies della L.241/90, introducendo il termine di diciotto mesi quale limite massimo di ragionevolezza entro cui la PA può annullare d'ufficio un generico provvedimento amministrativo di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, impatti sulla speciale normativa urbanistico-edilizia ed in particolar modo sulla possibilità di annullare d'ufficio un permesso di costruire illegittimo per violazione delle norme urbanistico-edilizie ovvero delle previsioni dei piani urbanistici.

In primo luogo occorre evidenziare che il permesso di costruire può rientrare nella sfera dei provvedimenti autorizzatori, le cui modalità di rilascio sono disciplinate, in primo luogo, dal DPR 380/2001. Alcune leggi speciali hanno altresì regolato la modalità per addivenire al rilascio di permessi di costruire in sanatoria (cd. condono edilizio) per edifici costruiti in aperta violazione della disciplina urbanistico edilizia.

Le fattispecie concrete per le quali una pubblica amministrazione potrebbe decidere di provvedere ad una nuova istruttoria al fine di valutare la legittimità del proprio operato ovvero dell'operato di un altra pubblica amministrazione sono molteplici; in ogni caso il presupposto dell'azione amministrativa è il ravvedimento del proprio operato a seguito del rilievo di una violazione di legge.

Il principio cui si ispira l'annullamento d'ufficio, infatti, deve necessariamente essere collegato al principio di legalità, per cui a fronte di un ravvedimento del proprio operato, ovvero dell'operato di altra amministrazione “controllata”, l'amministrazione opera in autotutela per ripristinare una condizione di “legalità”; pur tuttavia tale principio deve essere, in taluni casi, contemperato con il principio del legittimo affidamento che potrebbe essersi formato in capo al privato richiedente. Il richiedente, infatti, credendo di operare nel pieno rispetto della norma per effetto del provvedimento poi riconosciuto illegittimo dalla pubblica amministrazione, avrebbe potuto investire tempo e risorse nella realizzazione di un'opera (il bene della vita) in un secondo momento ritenuta “contra legem”.

Appare opportuno evidenziare che il principio del “legittimo affidamento”, sebbene non contenuto espressamente nelle norme, è stato assunto dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria a fondamento di numerosi giudicati; di fatto è sentire comune degli organi giudicanti che l'annullamento d'ufficio non può essere motivato con la semplice volontà di ripristinare la legalità violata ma comporta l'obbligo per l'amministrazione procedente di un nuovo contemperamento degli interessi in gioco, cioè dell'intesse pubblico generale al ripristino della legalità, degli interessi pubblici specifici (in particolar modo all’ordinato sviluppo del territorio ma anche se del caso alla tutela dell’ambiente, del paesaggi, della sicurezza delle popolazioni, della circolazione stradale e ferroviaria, etc.) in relazione all'interesse del privato richiedente e degli eventuali contro interessati. In altre parole l'atto di annullamento d'ufficio dovrà contenere una nuova “stringente” motivazione che chiarisca le ragioni per le quali il soggetto privato, che ha ritenuto estesa la propria sfera giuridica soggettiva in relazione ad una sua legittima aspirazione, debba vedersi nuovamente ridotta tale aspettativa.

Alla luce di quanto sopra esposto appare evidente che se è vero che il decorso del tempo sedimenta in capo al privato una legittima aspettativa di risultato, è altrettanto vero che il mero decorso del tempo non può essere la sola condizione atta ad ingenerare in capo al privato un affidamento giuridicamente rilevante. Non a caso la dottrina e la giurisprudenza pacificamente riconoscono che insieme all'elemento temporale, affinché si costituisca l'affidamento legittimo tutelato è necessario la sussistenza dell'elemento soggettivo che si concretizza nell'esistenza del vantaggio per il destinatario discendente dal provvedimento amministrativo e, soprattutto, l'elemento oggettivo della buona fede del destinatario del provvedimento, intesa quale “requisito di condotta” (ovvero un preciso“dovere giuridico”), presupposto necessario all’ottenimento dell’ampliamento della sfera giuridica soggettiva.

Con riferimento, poi, al permesso di costruire si dovrà accertare, anzitutto, che effettivamente si sia formato, con il rilascio del provvedimento ampliativo della sfera giuridica soggettiva del richiedente, un affidamento giuridicamente rilevante. Tale affidamento deve essere incolpevole; occorre, cioè, che il privato abbia confidato, senza colpa, sulla legittimità dell'atto autorizzatorio. Qualora emerga, infatti, anche eventualmente in giudizio, che egli ha indotto in errore, volontariamente o involontariamente, la pubblica amministrazione o che egli, utilizzando l'ordinaria diligenza, avrebbe potuto avere notizia dell'illegittimità di un tale atto, non può ritenersi formato alcun affidamento all'interno della propria sfera giuridica soggettiva. Così come alcun affidamento può ritenersi formato qualora il proprietario sia stato a conoscenza o avrebbe dovuto sapere dell'esistenza anche solo di un elemento che costituisce chiaro indice di una possibile patologia invalidante del permesso di costruire.

In tal senso la speciale normativa urbanistico edilizia di cui al DPR 380/2001 ha introdotto, con la modifica dell'articolo 20 comma 1 del TU 380/2001 (introdotto dal D.L. 70/2011 convertito nella L.106/2011), l'obbligo per il richiedente del permesso di costruire di accompagnare la propria domanda “da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all'efficienza energetica”.

Alla luce di tale dichiarazione, se acquisita dall'Ufficio procedente in fase istruttoria, sarà difficile, ad avviso di chi scrive, dimostrare in sede di sindacato di legittimità di un atto di autotutela ovvero d'annullamento d'ufficio, la buona fede ovvero l'inconsapevolezza del richiedente laddove l'annullamento sia motivato da una violazione della legge o della strumentazione urbanistica vigente. Pertanto il termine di diciotto mesi non avrà valore cogente; avrà grande importanza, invece, ai fini dell’eventuale sindacato da parte del giudice amministrativo, la motivazione che ha indotto l'amministrazione a revisionare il proprio operato e pertanto ad annullare un provvedimento già efficace ed in grado di sortire effetti nella sfera giuridica di terzi.

Sulla base di tale convincimento si comprende il motivo per cui il legislatore ha inteso introdurre, nello stesso momento, con la legge di modifica all'art.21-nonies della legge 241/90, il termine massimo entro cui esercitare il potere di annullamento d'ufficio al comma 1 ed il comma 2-bis dove specifica che tale termine non ha efficacia se l'atto si è formato per effetto di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci.

Pertanto è di ogni evidenza che nel caso di permessi di costruire rilasciati in presenza di dichiarazione asseverata del progettista incaricato che si dovesse rivelare falsa o mendace, il termine di “autoannullamento” non ha alcun limite. In tali casi è pacifico che anche gli atti di trasferimento tra vivi sono nulli a cascata. Il nuovo acquirente infatti per le norme sul codice civile dovrà rivolgersi al venditore per vedersi ristorato un eventuale danno da acquisto di un'immobile illegittimamente realizzato, laddove venga dimostrata la consapevolezza del venditore dell'illegittimità dell'atto legittimante la costruzione dello stesso.

Per quanto sopra esposto, ad avviso di chi scrive, l'amministrazione procedente che dovesse optare per il ravvedimento di un proprio provvedimento non dovrà preoccuparsi tanto del termine fissato dalla legge Madia in diciotto mesi, quanto piuttosto dovrà avere massima cura nel motivare il perché della propria decisione, evidenziando, senza remore, le ragioni che lo hanno condotto prima ad emettere il provvedimento rivelatosi illegittimo e poi ad annullarlo.

Il sindacato del giudice amministrativo, infatti, ha il solo compito di valutare il contenuto dell'atto che gli viene sottoposto e giammai potrà entrare nel merito delle ragioni e dei comportamenti che hanno condotto alla sua emissione; tali comportamenti, se “deviati”, restano nelle eventuali competenze di altro giudice, civile, penale o contabile.

Un provvedimento ben costruito e motivato, anche d'annullamento d'ufficio, mirante a tutelare e/o ripristinare il dominio dell'interesse pubblico, difficilmente potrà trovare le censure del giudice amministrativo; al contrario un atto maldestramente costruito nella motivazione potrà essere annullato dal giudice amministrativo, anche se la fattispecie concreta indurrebbe a pensare che non vi esistano ragioni per tale annullamento. In tale ultimo caso il giudice non ha alcuna concreta possibilità di rettificare l'atto maldestramente motivato, redatto dall'amministrazione, che si vedrà costretta, con l'annullamento del Giudice, a ripetere l'istruttoria ed ad emettere un nuovo provvedimento, alimentando ulteriori aspettative in capo al terzo richiedente che potrà contestare possibili profili risarcitori all'amministrazione.

Non a caso il legislatore, con l'art. 21-nonies comma 1 ultimo periodo, rammenta ai funzionari responsabili e più in generale all'amministrazione procedente, che: “Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

In base a tutto quanto sopra esposto, è necessario evidenziare che le prime pronunce giurisprudenziali nel campo dell'edilizia e dell'urbanistica relative alle modalità di applicazione ai permessi di costruire dell'art.21-nonies della legge 241/90 come di recente novellato, non aiutano le amministrazioni ed i funzionari responsabili ad assumere decisioni, palesandosi irrazionali e contraddittorie.

Di seguito ne esaminiamo alcune.

Numerose testate specializzate (non ultima i numeri di maggio e di settembre di “l'architetto”, rivista on-line distribuita gratuitamente a tutti i professionisti d'Italia iscritti all'ordine) hanno dato ampio risalto alla decisione del TAR Bari (Sez. III) sentenza n°351 del 17 marzo 2016.

L'autore dell'articolo così commenta:

La fattispecie esaminata dal TAR aveva per oggetto un ricorso presentato avverso il provvedimento di annullamento in autotutela di un permesso di costruire, adottato oltre il termine di 18 mesi previsto dal sopra citato articolo 21-nonies.

L’amministrazione intimata riteneva rispettata la previsione normativa in quanto entro il termine dei 18 mesi aveva provveduto a comunicare al ricorrente l’avvio del procedimento finalizzato alla revoca.

Il TAR Bari ha rigettato le difese dell’amministrazione resistente, condividendo le censure sollevate dal ricorrente e sottolineando come “ritenere sufficiente l’adozione della comunicazione di avvio del procedimento, per il rispetto del termine normativamente imposto, conduce a ritenerlo, di fatto, non perentorio ai fini dell’adozione dell’atto definitivo di autotutela.

Una siffatta conclusione esegetica si sostanzierebbe in una interpretazione sostanzialmente abrogativa della novella“.

In conclusione, con la sentenza qui commentata il termine di 18 mesi deve considerarsi perentorio con conseguente illegittimità del provvedimento di autotutela che interviene oltre la scadenza del predetto termine.”

Di diverso avviso è il giudice del TAR Veneto (sez. II) che con sentenza n° 861 del 22.07.2016 (poco pubblicizzata sulle riviste specializzate) è giunto ad una conclusione diametralmente opposta.

Il giudice veneziano, dopo aver dichiarato inammissibile il ricorso per altri motivi, così sentenzia:

nell’astratta ipotesi di accoglimento del ricorso il comune di ………... sarebbe obbligato in prima persona ad annullare la concessione edilizia di cui sopra in relazione al vincolo di accertamento (di non assentibilità dell’intervento) contenuto nella citata sentenza del Consiglio di Stato ed alla sussistenza del potere del comune di repressione degli abusi edilizi di cui all’art. 27 del testo unico dell’edilizia.

Il potere di repressione degli abusi edilizi di cui all’art. 27 del testo unico dell’edilizia non è inciso dall’art. 21 nonies della legge n° 241 del 1990 che prevede il limite temporale di diciotto mesi dall’adozione dell’atto illegittimo affinché questo possa essere annullato.

L’art. 27 del testo unico dell’edilizia costituisce infatti norma speciale che, in relazione alla necessaria tutela del territorio ed alla natura permanente degli illeciti edilizi, quand’anche assentiti da titolo edilizio, impone che sia assicurata in ogni tempo la vigilanza sul territorio con la conseguenza che sussiste in ogni tempo il potere del comune di annullare le concessione edilizie illegittime dallo stesso rilasciate”.

Per il giudice veneziano è ancora attuabile il brocardo latino “lex specialis derogat legi generali”; per quello barese non vale lo stesso principio.

Non è stato possibile verificare sui siti istituzionali dei due comuni convenuti in giudizio (e questo in disaccordo con gli obblighi di trasparenza ed accesso civico previsti dalle vigenti norme anticorruzione) se le decisioni del giudice di primo grado, per opposte ragioni, siano state appellate; ma anche il Consiglio di Stato non appare “granitico” nelle sue decisioni; per economia di trattazione si ci limita a segnalare le sentenze del CdS che trattano i medesimi argomenti: sez.V n°5411 del 23.10.2012; sez. IV n°1605 del 19.03.2013; sez. V n°3910 del 20.09.2016; sez. IV n°3805 del 28.04.2016; sez. VI n°3174 del 18.07.2016; ancora la sentenza del TAR Campania - Salerno n°1686 del 04.05.2016 e di contro la sentenza del TAR toscana sez. III n°825 del 27.05.2015.

Un commento meritano tuttavia le pronunce della stessa sezione del Consiglio di Stato, la VI sezione, che a distanza di poco tempo esprime due concetti giuridici completamente diversi.

Con la sentenza n°3403 del 23 giugno 2016 (pres. Santoro, est. Buricelli) la sez.VI così si esprime in ordine all'annullamento in autotutela:

In primo luogo, il “criterio dei 18 mesi”, di cui all’art. 6 della l. n. 124 del 2015, richiamato dal signor ….. nella memoria conclusiva, sulla base del principio “tempus regit actum”, non può trovare applicazione nella fattispecie in discussione, che riguarda un provvedimento adottato nel 2012.

Semmai, come il Comune non manca di segnalare, può essere utile rammentare che in materia edilizia l'art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001 fissa in dieci anni il termine - ragionevole - entro il quale la Regione può annullare provvedimenti comunali che autorizzano interventi edilizi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione. Potrebbe dunque trovare tuttora applicazione, se del caso, quale “parametro temporale” di legittimità e congruità dell’azione amministrativa di annullamento in via di autotutela in materia, il “criterio decennale”, riferito all’esercizio del potere comunale di autoannullamento in relazione a un permesso assentito nell’ottobre del 2008 e annullato nel maggio del 2012.

In ogni caso, anche a volere tenere conto del “criterio dei 18 mesi” introdotto nel 2015 quale elemento orientativo al fine di valutare, sotto il profilo della ragionevolezza del termine, la legittimità di un atto di annullamento in autotutela adottato sotto la disciplina previgente, resta il fatto che, avuto anche riguardo alla rappresentazione non veritiera dello stato dei luoghi da parte del privato richiedente, la circostanza che tra il rilascio del “permesso commissariale” e l’adozione del provvedimento comunale di annullamento in via di autotutela siano trascorsi tre anni e otto mesi non è in grado di inficiare il provvedimento impugnato in primo grado (cfr., sulla ragionevolezza del tempo, di circa quattro anni –gennaio 2009 / marzo 2005- entro il quale è stato disposto l’annullamento in autotutela di un permesso di costruire assentito in modo illegittimo, la già citata sentenza Cons. Stato, sez. IV, n. 3150 del 2012)”.

Con tale sentenza sembra doversi ritenere ammissibile la possibilità di annullamento di un permesso di costruire nel termine di 10 anni di un permesso illegittimo in attuazione del principio secondo cui la legge speciale deroga quella generale ed in ogni caso il termine di diciotto mesi di cui alla legge Madia non sarebbe perentorio.

Con altra sentenza n°5625 del 10 dicembre 2015 (Pres. Patroni Griffi, Est. Lopilato) la sez. VI si esprime così:

E’ illegittimo il provvedimento con il quale un Comune ha annullato, in via di autotutela, due concessioni edilizie in sanatoria rilasciate 13 anni prima, in quanto si tratta di costruzioni realizzate in un’area su cui graverebbe un vincolo monumentale storico e architettonico (ndr. l'atto di annullamento impugnato risale al 24 settembre 2013, n. 569, quando ancora non era stato introdotto con legge il termine dei 18 mesi). Infatti l’art. 21-nonies della legge 17 agosto 1990, n. 241 prevede che il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Nella specie, invece, manca il requisito rappresentato dalla valutazione motivata della posizione dei soggetti destinatari del provvedimento .

L’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990 indica, in modo tassativo, quali sono i casi di nullità del provvedimento: mancanza degli elementi essenziali dell’atto; difetto assoluto di attribuzione; violazione o elusione del giudicato; casi previsti dalla legge. Alla stregua di tale norma non può considerarsi nulla ma annullabile una concessione edilizia in sanatoria rilasciata in difformità dal modello legale, per mancanza del parere della Soprintendenza.

Il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, modificando l'art.21-nonies della L.241/90 ha posto uno sbarramento temporale all’esercizio del potere di autotutela, rappresento da «diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici». Anche nel caso in cui tale norma non sia applicabile ratione temporis, essa, in ogni caso, rileva ai fini interpretativi e ricostruttivi del sistema degli interessi rilevanti”.

Fermo restando che ad avviso di chi scrive, nel caso di specie trattandosi di parere obbligatorio e vincolante, la mancata acquisizione del parere della Sovrintendenza potrebbe far trapelare assenza di un elemento essenziale dell'atto (rilevando una carenza nella capacità dell’Autorità comunale di adottare l’atto conclusivo assorbendo la specifica competenza di altra Autorità preposta ad adottare un atto endoprocedimentale obbligatorio e pertanto si potrebbe rientrare nell’ipotesi di nullità dell'atto viziato e non di annullabilità), questa ultima pronuncia del giudice amministrativo merita in ogni caso una particolare attenzione per la forte apertura ad ipotesi di regolarizzazione, per il mero decorso del tempo, di immobili realizzati in assenza di titolo abilitativo oggetto di richiesta di condono edilizio da parte del terzo proprietario e successivo atto di assenso dell'amministrazione comunale senza l'acquisizione del parere dell'autorità preposta alla tutela dello speciale vincolo (sia esso archeologico, paesaggistico, idraulico o anche naturalistico-ambientale, etc.). Si tratta di ipotesi in cui l'ufficio comunale preposto “dimentica” di richiedere l’atto di assenso (nulla osta, parere, autorizzazione etc.) all'autorità preposta alla tutela del vincolo (per mero errore materiale, per ignoranza o per connivenze con il richiedente tutte da dimostrare) e rilascia il titolo abilitativo in assenza del “giudizio abilitante” dell'autorità preposta alla tutela del vincolo. La sentenza in parola addebita tutte le responsabilità dell'errore agli uffici comunali che non hanno richiesto il parere all'autorità preposta al vincolo (nel caso di specie archeologico), annullando l'atto in autotutela, adottato con ritardo dall'amministrazione stessa e di fatto rendendo legittimo ad ogni effetto di legge il provvedimento di rilascio del condono edilizio, apertamente emesso dall’autorità comunale in violazione di legge, con l’effetto di produrre sicuramente vantaggi patrimoniali nella sfera giuridica del terzo richiedente il rilascio del condono.

In tali casi si potrà mai prospettare un'ipotesi di legittimo affidamento ?

E' possibile che il terzo proprietario, che ha fatto istanza di condono (la qual cosa presuppone la conoscenza dell'esistenza di irregolarità nella realizzazione del proprio manufatto edilizio) possa vantare di aver maturato il “legittimo affidamento” con il provvedimento di rilascio del titolo autorizzatorio illegittimo quand'egli stesso è obbligato dalla legge a presentare un'istanza a firma di proprio tecnico abilitato contenente anche i vincoli presenti sull'area su cui sorge il manufatto ?

Non si configura in questi casi “un concorso del privato” il quale, anche per mezzo delle dichiarazioni del proprio tecnico incaricato, ottiene un vantaggio patrimoniale a causa dell'errore del pubblico ufficiale; non si potrebbe configurare ipotesi di induzione all'errore finalizzata all'ottenimento di un illegittimo (o illecito) vantaggio ?

Queste sono risposte da giuristi e pertanto chi opera nel settore può solo sollevare dubbi e formulare ipotesi di lavoro.

Pur tuttavia occorre rammentare che il condono edilizio è una legge straordinaria mirante a regolarizzare posizioni “contra legem” a seguito della realizzazione di manufatti edilizi realizzati in violazione della vigente normativa urbanistico-edilizia. Costante giurisprudenza (ex multis VI sez. CdS n°318/2015), al pari della dottrina prevalente, ritiene che preliminarmente al rilascio del permesso di costruire in sanatoria (cd. condono edilizio”) l'autorità comunale procedente sia obbligata all'acquisizione del parere vincolante dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo anche in caso di “vincolo sopravvenuto”, in virtù della “specialità” dell'interesse pubblico tutelato; come è possibile quindi che la mancata richiesta del parere all'autorità preposta alla tutela del vincolo possa essere sanata dal mero decorso del tempo, anche nel caso in cui questa autorità non sia stata informata dall'autorità comunale responsabile del procedimento ?

Infine un'ultima riflessione.

Sarà mai possibile trasformare un immobile realizzato in base a titolo illegittimo (magari in area sottoposta a vincolo di speciale tutela) per il quale si potrebbe sostanziare un'ipotesi di legittimo affidamento del terzo richiedente, senza che il rilascio del nuovo titolo autorizzativo configuri ripresa dell'attività illegittima o illecita? In tal caso andrà richiesto il parere all'autorità preposta alla tutela del vincolo ? Quest'ultima Autorità come dovrà considerare il manufatto realizzato in assenza del proprio presupposto antecedente pronunciamento obbligatorio? Ed ancora, ad un immobile realizzato sulla base di un titolo edilizio illegittimo in area vincolata è applicabile la moderna tecnica della compensazione urbanistica, prevedendone il trasferimento in altra parte del territorio al fine di ripristinare l'ordine urbanistico ?

Le risposte ai quesiti sopra riportati non sembrano banali.

A noi preme evidenziare, alla luce di tutto quanto rilevato e dei tanti contraddittori pronunciamenti della giurisprudenza, che è opportuno che tutti i pubblici ufficiali preposti al rilascio dei permessi di costruire, sia “ex novo” che in sanatoria, prestino molta attenzione alla corretta applicazione del procedimento di rilascio del titolo edilizio, in quanto il successivo rilievo di un eventuale errore nel emissione del provvedimento, anche se in buona fede, può essere sindacato, anche in una fase successiva, per profili di responsabilità sia in sede penale, sia civile, sia contabile.

In particolare, sebbene la magistratura penale ha spesso incontrato battute d'arresto nella contestazione del reato d'abuso d'ufficio e di omissione di atti d'ufficio, in quanto al fine della configurazione del reato stesso non basta dimostrare la sola deviazione del pubblico ufficiale dal comportamento legittimo ma è necessario che sia dimostrata la volontà di agire al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero di arrecare ad altri un danno ingiusto, ciò non toglie che le recenti innovazioni della normativa in tema di anticorruzione aprano ad ipotesi di nuova applicazione di reati contro la pubblica amministrazione.

Secondo alcuni commentatori tutto quanto l'Unione europea sta imponendo al legislatore italiano di fare in merito all'anticorruzione non è ancora abbastanza per eliminare fenomeni corruttivi o le politiche clientelari dall'operato della pubblica amministrazione italiana; ma è un primo passo, ed anche i pubblici ufficiali operanti nel settore urbanistico – edilizio devono “calcolare” con estrema attenzione il rischio cui si sottopongono adoperando azioni, atti e comportamenti amministrativi che diano luogo a dubbi e sospetti sulla correttezza della propria attività.

La frase di giolittiana memoria per cui: “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”, permea ancora il comportamento di tante pubbliche amministrazioni.

Pur tuttavia non poche (o secondo altri non abbastanza) sono le pronunce di condanna del giudice penale (ed in qualche caso anche del giudice contabile) che stigmatizzano il comportamento degli attori del procedimento edilizio a seguito dell’accoglimento, per mezzo di atti illegittimi, di richieste di trasformazione di immobili costruiti per effetto di atti illegittimi.

arch. Giuseppe Cocchi