TAR Calabria (RC) n. 141 del 4 marzo 2019
Urbanistica.Distanze tra fabbricati
L’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 (“…è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti …”) nel dare attuazione all’art. 17 della legge n. 765 del 1967,fissa i limiti inderogabili di distanza tra fabbricati e, nell’ambito di detti limiti,a tutela non del diritto alla riservatezza bensì di imperative esigenze igienico-sanitarie salvaguardate con un divieto volto ad impedire la formazione di intercapedini nocive, prevede un distacco minimo di dieci metri nei casi in cui almeno uno dei due muri che si fronteggiano risulti munito di finestre, restando espressamente sottratte ad un simile impedimento, di carattere assoluto, solo le costruzioni situate in zona A e i “…gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.Trattandosi di disposizione tassativa ed inderogabile, essa impone al proprietario dell’area confinante con quella in cui sorge una parete finestrata di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri dalla parete altrui, senza possibilità di dispensa dal divieto, neppure se la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella delle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di esse conforme alle previsioni dell’art. 907, comma 3, c.c..
Pubblicato il 04/03/2019
N. 00141/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00159/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 159 del 2009, proposto da
Giuseppa Chirico e Domenica Chirico, rappresentate e difese dall'avvocato Michele Salazar, con domicilio eletto presso il suo studio in Reggio Calabria, via Re Ruggero n. 9;
contro
Comune di Scilla, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Manganaro e Antonino Mazza Laboccetta,con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Reggio Calabria, via Nicola Furnari n.58;
nei confronti
Domenico De Giovanni, rappresentato e difeso dall'avvocato Rocco Licastro, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Morabito in Reggio Calabria, via Archia Poeta n.6;
per l'annullamento
previa sospensione dell’efficacia
del permesso di costruire n.2626 del 9.3.2009, rilasciato dal Comune di Scilla al sig. Domenico De Giovanni, per la realizzazione di un fabbricato in c.a. ad un piano f.t. e sottotetto, non abitabile ma calpestabile, da adibire a civile abitazione,in località "Favazzina di Scilla",via Marina.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Scilla e di Domenico De Giovanni;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2018 il dott. Andrea De Col e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con ricorso depositato ritualmente in data 25.3.2009, Chirico Giuseppa e Chirico Domenica agiscono per ottenere l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del permesso di costruire n. 2626 del 9.3.2009 rilasciato dal Comune dal Comune di Scilla al sig. Domenico De Giovanni per la realizzazione di un fabbricato in c.a. ad un piano f.t. e sottotetto non abitabile ma calpestabile da adibire a civile abitazione in località Favazzina di Scilla, via Marina, fabbricato che, a detta delle ricorrenti, dovrebbe sorgere a soli 4,60 metri di distanza dalla parete finestrata dell’edificio a due piani di loro proprietà ed in aderenza al vano adibito a garage sempre di loro appartenenza.
2.Le ricorrenti affidano l’impugnazione ai seguenti motivi:
2.1.Violazione del principio della domanda. Contrasto tra la richiesta del controinteressato e la pronunzia del Comune di Scilla (1^motivo).
Ad avviso delle ricorrenti, il permesso di costruire sarebbe viziato per la riscontrata difformità tra domanda presentata al Comune dal sig. De Giovanni (“per ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato”) e il permesso effettivamente rilasciato dal Comune intimato (“realizzazione di un fabbricato”);
2.2.Violazione del principio della domanda. Contrasto tra la richiesta del controinteressato e la pronunzia del Comune di Scilla (2^motivo).
Sotto altro profilo, si lamenta il mancato rispetto delle norme relative alle distanze, all’indice di fabbricabilità e in generale delle norme relative alle nuove costruzioni previste dal Piano Regolatore di Scilla;
2.3.Violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni fronteggianti. Violazione dell’art.9 comma 2 d.m.2 aprile 1968 n.1444 (3^motivo).
La censura si appunta sulla circostanza che la realizzazione dell’ampliamento e della sopraelevazione del fabbricato preesistente posto ad un piano fuori terra violerebbe le norme inderogabili relative alle distanza legali tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
In linea di fatto, il fabbricato della ricorrenti signore Chirico è dotato, infatti, di due finestre al piano rialzato e due balconi soprastanti al primo piano, proprio in corrispondenza del fabbricato del sig.De Giovanni" che si trova a distanza costante di 4,60 m. circa. Poiché la distanza legale è fissata in 10,00 ml. ne deriva che l'eventuale sopraelevazione non può realizzarsi a meno di 5,40 m. dal confine tra la proprietà De Giovanni e la proprietà Chirico;
2.4. Violazione delle norme sulla volumetria -Violazione del rapporto di cubatura (4^motivo).
Il provvedimento impugnato sarebbe viziato anche perché rilasciato in difformità a quanto previsto dall’art.47 N.T.A. del Piano Regolatore del Comune di Scilla che prevede un indice di fabbricabilità del lotto nettamente inferiore rispetto a quello previsto dal progetto presentato dal controinteressato.
2.5.Violazione delle disposizioni sulle aree di parcheggio (5^motivo).
Secondo la prospettiva delle ricorrenti, l’intervento da realizzare (ampliamento di un fabbricato preesistente e sua sopraelevazione) in zona omogenea di tipo B, relativamente agli spazi di parcheggio a servizio del costruito, richiederebbe una superficie destinata a parcheggio o garage non inferiore a 10 mq. per ogni 100 mc. di volume residenziale (NTA pag.47 e D.M. 2/4/1968 n. 1444) ben maggiore di quella calcolata nel progetto del controinteressato pari a mq.16.64;
2.6. Illegittimità dell’impugnato permesso di costruire per mancanza del nulla osta ai fini antisismici (nulla osta del Genio Civile e delle autorizzazioni paesistiche e del demanio (6^motivo).
La doglianza investe la variante progettuale presentata in un secondo momento dal De Giovanni che prevederebbe una diversa struttura ed inclinazione del tetto a falde rispetto a quella contemplata dall’originario elaborato progettuale, variante che, rivestendo natura essenziale, avrebbe richiesto il rilascio di una nuova autorizzazione paesaggistica e di una nuova autorizzazione antisismica rispetto a quelle già ottenute rispettivamente dal Genio Civile e dalla Soprintendenza paesaggistica.
Si deduce inoltre la violazione dell’art. 55 del Codice della navigazione (“l'esecuzione di nuove opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo ... è sottoposta all'autorizzazione del capo compartimento”)in quanto, nel caso di specie, trovandosi il lotto ad una distanza compresa tra i 15 ed i 22 metri circa dal limite del demanio marittimo (spiaggia), sarebbe stata necessaria l’autorizzazione del capo compartimento qui invece assente.
2.7. Illegittimità del permesso di costruire per mancanza del titolo di proprietà (7^motivo).
Con questa censura le ricorrenti contestano il titolo di proprietà allegato alla richiesta di concessione edilizia per l’intervento di “Ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato in c.a. ad un piano f.t. e sottotetto calpestarle ma non abitabile destinato a civile abitazione da realizzare in località Favazzina di Scilla - Via Marina".
Il decreto di riconoscimento di proprietà emesso dal Pretore di Bagnara l'8.3.1988 sarebbe superato da successive variazioni catastali e da atti di disposizione degli stessi coniugi De Giovanni di alcune porzioni dell’originaria particella n.13 su cui doveva insistere originariamente il fabbricato che, viceversa, coprirebbe ora una superficie maggiore appartenente, però, anche ad altri proprietari.
2.8.Illegittimità dell’impugnato permesso di costruire per violazione del procedimento ed insufficienza ed irregolarità della documentazione presentata dal sig. Domenico De Giovanni (8^motivo).
Con l’ultimo mezzo di tutela le ricorrenti lamentano la mancanza e/o l’irregolarità della documentazione allegata a corredo della concessione edilizia che, non garantendo la fedele rappresentazione dello stato di fatto, travolgerebbe l’intera procedura edilizia.
3.In data 7.4.2009 si è costituito ritualmente in giudizio il Comune di Scilla, il quale dopo aver riassunto la vicenda da cui traeva origine la controversia, contestava le censure avversarie, controdeducendo che:
-la richiesta formulata dal De Giovanni era relativa ad un vecchio garage-cantina,già oggetto di sanatoria, di cui si chiedeva la ristrutturazione e l’ampliamento non trattandosi, dunque, della realizzazione di una nuova costruzione, essendo quindi irrilevante la differenza tra la dicitura contenuta nella richiesta e quella contenuta nel permesso;
-il secondo motivo di ricorso era formulato in maniera generica;
-il sottotetto adibito a vano tecnico e coperto con monofalda andava scorporato dal computo volumetrico e conseguentemente sottratto alla disciplina delle distanze legali, non trattandosi di sopraelevazione;
-anche la volumetria era rispettata in quanto, intendendo realizzare un intervento di demolizione e fedele ricostruzione, rilevava unicamente l’indice di fabbricabilità relativo all’ampliamento.
Nella relazione tecnico- descrittiva di parte i valori riportati non riguardavano solo l’area soggetta all’ampliamento ma anche quella precedentemente occupata, per cui i calcoli indicati erano corretti;
-le disposizioni sulle aree di parcheggio non erano state violate poiché la volumetria e la superficie che dovevano essere presa in considerazione per valutare la conformità alle predette norme erano quelle relative all’area interessata dal progetto di ampliamento, e quindi nel caso di specie aderenti ai parametri richiesti;
-la variante apportata al tetto a falde non era da considerarsi una variante essenziale,riguardando modifiche non rilevanti, per cui non era necessaria l’attivazione di un nuovo procedimento abilitativo. Inoltre l’opera rispettava le distanze dal demanio marittimo richieste dalla legge, la cui violazione era stata agitata ma non dimostrata dalle ricorrenti;
-il titolo allegato alla richiesta di concessione riguardava solamente la superficie di proprietà esclusiva del De Giovanni;
-l’ultimo motivo di ricorso era inammissibile in quanto formulato in maniera del tutto generica.
Il Comune di Scilla concludeva dunque per il rigetto del ricorso e della domanda di sospensione del provvedimento impugnato.
4.Con Decreto Presidenziale n.123 del 26 marzo 2009 il Presidente del TAR rigettava l’istanza di misure cautelari monocratiche per insussistenza del requisito dell’estrema gravità ed urgenza.
5.Con ordinanza n. 140 del 7 aprile 2009 il Collegio sospendeva l’efficacia del provvedimento impugnato “considerato che, da una prima, sia pur sommaria, delibazione dei motivi di ricorso, emergono profili di fondatezza dei motivi di censura” e “valutato, altresì, che l’esecuzione del provvedimento impugnato durante il tempo necessario per giungere ad una decisione definitiva, cagionerebbe al ricorrente un pregiudizio grave”.
6.In data 25.11.2016 si è costituito ritualmente in giudizio anche il sig. Domenico De Giovanni il quale insisteva sull’ irricevibilità, l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
7.In vista dell’udienza di discussione, le parti provvedevano allo scambio delle rispettive memorie, ribadendo quanto affermato negli scritti precedenti.
8.All’udienza pubblica del 5.12.2018 il ricorso veniva discusso e passava in decisione.
9.Il ricorso è fondato nei limiti che seguono.
10.Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano la difformità tra l’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire (“progetto per la ristrutturazione ed ampliamento di un fabbricato praticabile ma non abitabile destinato a civile abitazione”) rispetto a quello assentito (“realizzazione di un fabbricato in c.a.ad un piano f.t. e sottotetto non abitabile ma calpestabile da adibire a civile abitazione”),deducendone,per ciò solo,l’illegittimità.
La censura non può essere positivamente apprezzata.
La qualificazione dell'opera edilizia oggetto di concessione va desunta non solo dal titolo assentito, ma anche dalla domanda presentata dal richiedente (cfr.TAR Sardegna 27.10.2003 n.1299) che, nel caso concreto, si riferisce testualmente alla ristrutturazione e all’ampliamento di un fabbricato già esistente e sanato dal Comune di Scilla nel 2006.
La ristrutturazione edilizia presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire (Cons. Stato Sez. IV 15.9.2006 n.5375).
Ora, la rilevazione della preesistenza ai fini dell'intervento ricostruttivo non può non ancorarsi alla situazione di fatto esistente alla data di presentazione dell'istanza di edificazione (14.9.2007),laddove il fabbricato di cui si tratta aveva connotazioni tipologiche di un manufatto costituito da un solo piano fuori terra (vedasi documentazione fotografica allegata dal Comune di Scilla) da ristrutturare ed ampliare, come del resto risulta evidente dai pareri espressi a diversi fini (paesaggistici, sicurezza sismica) emessi dalle altre Amministrazioni coinvolte.
E’ del tutto evidente, quindi, che il Comune non era chiamato a valutare la conformità alla normativa edilizia ed urbanistica di un nuovo edificio, quanto a valutare se la domanda del privato, nei termini in cui essa era stata formulata, era compatibile con gli strumenti edilizi vigenti, a prescindere dal nomen iuris formalmente impiegato nel provvedimento di rilascio del titolo.
In ogni caso, il mezzo è irrilevante poiché l’intervento edilizio richiesto presuppone necessariamente la formazione di un titolo espresso (permesso di costruire).
8. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché, salvo quanto si dirà in prosieguo in tema di distanze e volumetria, è all’evidenza generico,non precisando né allegando quali siano le norme violate dal Comune resistente e le ragioni della loro violazione.
9. Il terzo motivo è invece fondato.
9.1.La questione sottoposta al vaglio del Collegio riguarda l’ammissibilità dell’ubicazione del manufatto, oggetto del contestato permesso di costruire, ad una distanza inferiore a dieci metri dalla parete finestrata delle ricorrenti.
A fondamento della loro doglianza, in particolare, le interessate invocano il disposto dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968 n. 1444 (“…è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti …”),che assumono nella circostanza violato.
Come è noto (v.,ex multis, Cass. civ., Sez. II, 22 aprile 2008 n. 10387, 3 marzo 2008 n. 5741 e 28 settembre 2007 n. 20574; Cons. St. Sez. IV, 27 ottobre 2011 n. 5759 e 2 novembre 2010 n. 7731; TAR Abruzzo, Pescara, 3 luglio 2012 n. 328; TAR Puglia, Bari, Sez. III, 22 giugno 2012 n. 1235),la norma di cui le ricorrenti lamentano l’inosservanza, nel dare attuazione all’art. 17 della legge n. 765 del 1967,fissa i limiti inderogabili di distanza tra fabbricati e, nell’ambito di detti limiti,a tutela non del diritto alla riservatezza bensì di imperative esigenze igienico-sanitarie salvaguardate con un divieto volto ad impedire la formazione di intercapedini nocive, prevede un distacco minimo di dieci metri nei casi in cui almeno uno dei due muri che si fronteggiano risulti munito di finestre, restando espressamente sottratte ad un simile impedimento, di carattere assoluto, solo le costruzioni situate in zona A (nel caso di specie ci troviamo in zona B4 residenziale) e i “…gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”.
Trattandosi di disposizione tassativa ed inderogabile, essa impone al proprietario dell’area confinante con quella in cui sorge una parete finestrata di costruire il proprio edificio ad almeno dieci metri dalla parete altrui, senza possibilità di dispensa dal divieto, neppure se la nuova costruzione sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella delle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di esse conforme alle previsioni dell’art. 907, comma 3, c.c..
Il distacco di dieci metri, che prescinde dall’altezza degli edifici interessati,va calcolato con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano ed inoltre a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, indipendentemente anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela, purché ne sussista almeno un segmento tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro sia pure per quel limitato segmento.
La conseguenza è che assumono rilievo tutti gli elementi costruttivi –anche accessori–,qualunque ne sia la funzione, sempre che abbiano i caratteri della solidità, della stabilità e dell’immobilizzazione,e con la sola eccezione di sporti o aggetti di modeste dimensioni e con una finalità meramente decorativa e di rifinitura, tali cioè da potersi definire di entità trascurabile rispetto all’interesse tutelato dalla norma nella sua funzione di salvaguardia della salubrità, dell’igiene e della sicurezza.
9.2.Per derivare, poi, da fonte normativa statuale, la prescrizione si presenta sovraordinata rispetto alle disposizioni degli strumenti urbanistici locali ed immediatamente rilevante nei rapporti tra Amministrazione e privati e nei rapporti tra privati, nel senso che occorre disapplicare le eventuali previsioni locali difformi e considerare comunque efficace la norma di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968, divenuta – per inserzione automatica – parte integrante dello strumento urbanistico, anche in sostituzione delle previsioni illegittime; pertanto, le Amministrazioni comunali, pur quando non abbiano conformato i propri strumenti urbanistici alle regole fissate a livello statale, sono obbligate ad attenersi a quella normativa, la quale in ogni caso prevale sulla contrastante disciplina locale.
9.3.Sulla natura dell’ampliamento che si vuole realizzare nella particella n.335 di proprietà del sig. De Giovanni si contrappongono le due tesi opposte, quella delle ricorrenti, secondo cui si tratta di una sopraelevazione,come tale soggetta al rispetto delle distanze,e quella del Comune resistente secondo cui si tratterebbe di “un sottotetto non abitabile adibito a vano tecnico e coperto con monofalde che per giurisprudenza pacifica va scorporato dal computo volumetrico e conseguentemente sottratto alla disciplina delle distanze legali”.
La tesi sostenuta dal Comune non persuade.
Dalla planimetria allegata agli atti, balza all’evidenza che il “sottotetto” è dotato di una finestra circolare che normalmente è incompatibile con la natura di volume tecnico di un manufatto, definito come volume che, per altezza, dimensioni e dotazioni, è necessariamente destinato ad ospitare impianti tecnici (idrico, termico, elevatorio, televisivo, di parafulmine, di ventilazione),aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzazione degli immobili e che non possono essere sistemati all’interno della parte abitativa.
Non rientrano, pertanto, nella nozione di volume tecnico i vani utilizzati come stenditoi, soffitte o locali di sgombero, né tanto meno i locali che risultino agevolmente adattabili ad uso abitativo.
Dei volumi tecnici non si tiene conto al fine dell’accertamento della conformità del progetto alle volumetrie massime consentite nelle singole zono edificabili.
Il Comune resistente si limita però soltanto a dedurre la natura di volume tecnico senza dimostrarlo in concreto.
Il distacco di dieci metri, come detto, va poi effettivamente calcolato in relazione ad ogni punto dei fabbricati che qui, coincidendo progettualmente con il vertice basso della copertura della sopraelevazione del fabbricato De Giovanni, misura m.4,55 rispetto alla parete di proprietà Chirico (e non m.11,70 come sarebbe prendendo come punto di riferimento il vertice alto della copertura).
Ciò posto, la circostanza che il manufatto del sig. De Giovanni non rispetti la distanza di dieci metri dal muro finestrato delle ricorrenti rende illegittimo l’intervento edilizio oggetto della controversia, anche a prescindere dalla eventuale disciplina contenuta nel piano regolatore comunale.
Né rileva il carattere di volume tecnico del nuovo locale, in quanto – come si è visto – qualsiasi corpo di fabbrica avente i caratteri della solidità, della stabilità e dell’immobilizzazione, e che non sia di dimensioni così ridotte da risultare del tutto inidoneo a dare luogo alla formazione di intercapedini potenzialmente nocive sotto il profilo igienico-sanitario, è tenuto a rispettare il divieto in questione, indipendentemente dalla destinazione d’uso che gli venga attribuita.
Di qui la fondatezza della censura e il conseguente annullamento degli atti impugnati.
10.Anche il quarto motivo di ricorso si rivela meritevole di accoglimento.
E’ giurisprudenza pacifica (cfr.parere del Consiglio di Stato, Sezione terza, 28 aprile 2009 n. 9605) quella secondo la quale, per determinare la capacità edificatoria di un lotto unitario e cioè di un’unica proprietà, ai fini del rilascio o meno di un permesso di costruire (titolo edilizio di carattere generale nel caso di ampliamento e comunque di volumetria aggiuntiva), occorre tener conto dell’indice fondiario, fissato dallo strumento urbanistico per la specifica area di insistenza del lotto (nel rispetto dell’indice cd. territoriale, che tiene conto anche degli spazi pubblici quali parcheggi e aree verdi, determinato per le normalmente più ampie zone territoriali omogenee in cui ricadono le singole aree classificate dallo strumento urbanistico) e scomputando dalla volumetria espressa dalla superficie totale del lotto di proprietà, quella assentita prima del rilascio del permesso di costruire richiesto, anche se non realizzata (purché il titolo sia ancora efficace).
La giurisprudenza afferma ancora più significativamente che “è computabile anche la costruzione realizzata prima della l. 17 agosto 1942 n. 1150, quando cioè lo "ius aedificandi" era considerato pura estrinsecazione del diritto di proprietà, trattandosi di circostanza ininfluente in sede di commisurazione della volumetria assentibile in base alla densità fondiaria, cioè a quella riferita alla singola area e che individua il volume massimo consentito su di essa, il che comporta la necessità di tener conto del dato reale costituito dagli immobili che su detta area si trovano e delle relazioni che intrattengono con l'ambiente circostante. Qualsiasi costruzione, anche se eretta senza il prescritto titolo, concorre al computo complessivo della densità territoriale (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria 23 aprile 2009 n. 3)” (Cons. St. IV, 13.11.2018, n. 6397).
Dall’altro lato, se sono rilevanti gli interventi precedentemente assentiti, realizzati o meno (salvo che il titolo abbia perso efficacia), sono irrilevanti i frazionamenti del lotto disposti nel tempo anche allo scopo di ritagliare un’area libera che possa utilizzare tutto l’indice fondiario, operazione non consentita: “Nel caso in cui un lotto urbanisticamente unitario sia già stato oggetto di uno o più interventi edilizi, la volumetria residua, o la superficie coperta residua, va calcolata previo decurtamento di quella in precedenza realizzata, con irrilevanza di eventuali successivi frazionamenti catastali o alienazioni parziali, onde evitare che il computo dell'indice venga alterato con l'ipersaturazione di alcune superfici al fine di creare artificiosamente disponibilità nel residuo (Consiglio di Stato, Sez. IV, 22 maggio 2012, n. 2941)” (Cons. St. ult. cit.).
All’opposto, quindi, di quanto sostenuto dal Comune, va computata la superficie e la correlata volumetria del manufatto denominato “garage-cantina” oggetto di sanatoria.
Ai fini della determinazione della volumetria concretamente e legittimamente realizzabile in uno specifico lotto in base all’indice fondiario, si computa tutta la volumetria regolarmente assentita in precedenza. Afferma, infatti, la giurisprudenza che “un'area edificabile, già interamente considerata in occasione del rilascio di una concessione edilizia, agli effetti della volumetria realizzabile, non può essere più tenuta in considerazione come area libera, neppure parzialmente, ai fini del rilascio di una seconda concessione nella perdurante esistenza del primo edificio…”(Cons. St. sez. V, 10 febbraio 2000 n. 749)” (Cons. St. IV, 22.11.2017 n.5419; negli stessi termini T.A.R. Milano sez.II 27.3.18 n.882).
Nella fattispecie, proprio il fatto che sia stata rilasciata, come si premura di sottolineare il comune, la “sanatoria” del manufatto denominato“garage-cantina”e cioè il relativo titolo edilizio, per quanto postumo, comporta che il comune abbia già computato le superfici e volumetrie sanate, con conseguente sottrazione, dalla volumetria realizzabile, della superficie e –soprattutto, rilevando il volume in sede di edificazione residenziale-della volumetria già realizzata e assentita.
Errato è anche l’argomento sviluppato dal comune sulla base della disposizione dell’art. 90 delle NTA. Stando al contenuto della disposizione riportato dalla stessa amministrazione comunale, l’art. 90 non risulta applicabile ad ipotesi di ampliamento ma solo alle fattispecie di “trasformazione conservativa”, ipotesi non disciplinata dalla normativa generale ma da intendersi come riferita alla figura della ristrutturazione senza ampliamento. D’altro canto, la disposizione risulta prevedere, per la suddetta fattispecie(trasformazione conservativa)l’attivazione di“procedure di deroga agli indici edilizi ed urbanistici” e non autorizza immediatamente e direttamente tale deroga, di cui, del resto non fissa in alcun modo i limiti.
11.Gli altri motivi di ricorso sono infondati in relazione a ciascuna delle doglianze proposte.
11.1. Possono essere vagliate congiuntamente le censure relative al quinto e al sesto motivo di ricorso.
Come condivisibilmente argomentato dalla difesa comunale, l’intervento edilizio sotto il profilo degli spazi destinati a parcheggio, rispecchia le previsione degli strumenti urbanistici e delle norme tecniche di attuazione, a tenore delle quali (art.90) "Nelle nuove costruzioni è obbligatorio assicurare le superfici di parcheggio nelle quantità di 10 mq per ogni 100 mc di costruzione. Sono esclusi da tale obbligo gli ampliamenti, le sopraelevazioni e le modifiche. I parcheggi possono essere ricavati nella stessa costruzione ovvero in aree esterne...".
Al punto 24 (cfr.all.12 ter parte resistente) le stesse N.T.A. prevedono, inoltre, che i garages (come anche i sottotetti ed altro) sono esclusi dal calcolo della volumetria.
In ogni caso,non ricorrono gli estremi per l’applicazione della normativa sui parcheggi e cioè la realizzazione di nuove costruzioni o l’aumento di unità abitative con annesso carico urbanistico aggiuntivo.
Parimenti infondato si rivela il sesto motivo di ricorso, perché, quanto alla modifica della copertura, è confermato in atti il carattere non essenziale della variante che ha introdotto modifiche di scarso rilievo,senza incidere sulle componenti strutturali del manufatto (superficie coperta, perimetro, s numero dei piani e volumetria), limitandosi la modifica progettuale ad apportare una diversa direzione di pendenza della falda di copertura.
Non risulta nemmeno provato che l’area in cui deve essere edificato il manufatto si trovi ad una distanza inferiore a metri 30 dal demanio marittimo.
12.Con il settimo motivo le ricorrenti censurano il permesso di costruire,controvertendo in dubbio il titolo di proprietà in capo al controinteressato.
Il motivo è infondato.
Al di là delle pur condivisibili e documentate argomentazioni dedotte dal Comune resistente circa l’esatta estensione della proprietà catastale oggetto dell’intervento edilizio coincidente con le particelle n.215 e 335 come risultanti da pregressi frazionamenti, ritiene il Collegio di dare applicazione all’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui può ritenersi sufficiente che l’Amministrazione verifichi in capo all’istante l’esistenza di un titolo che formalmente lo legittimi al rilascio del titolo abilitante a suo favore (in questo caso il decreto del Pretore di Bagnara datato 8.3.1988 –all.13 parte resistente), senza dover procedere ad una accurata e approfondita disamina dei rapporti civilistici o a svolgere complesse ricognizioni giuridico - documentali sul titolo di proprietà o di altro diritto reale che si estenda fino alla ricerca di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi del titolo di disponibilità necessario all’intervento, allegato da chi presenta istanza edilizia, ed è proprio questa la ragione per la quale i titoli edilizi vengono rilasciati con la formula "fatti salvi i diritti dei terzi" (ex pluribus cfr. Cons.St. Sez. VI, 4 settembre 2012, n. 4676; Cons. St.Sez. IV, 8 giugno 2011, n. 3508).
13.Assorbita la restante doglianza, il ricorso va pertanto accolto limitatamente al terzo e al quarto motivo con conseguente annullamento dell’atto impugnato.
14.In ragione della parziale soccombenza e della complessità della situazione di fatto, il Collegio ritiene equo compensare integralmente le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per la parte di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2018 con l'intervento dei magistrati:
Caterina Criscenti, Presidente
Andrea De Col, Referendario, Estensore
Antonino Scianna, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Andrea De Col Caterina Criscenti