Presidente: Carnevale C. Estensore: Salvago S. P.M. Palmieri R. (Conf.)
Paulon (Sivieri e Bianchin) contro Prov. Pordenone (Non cost.)
(Cassa e decide nel merito, Pret. Pordenone, 4 febbraio 1998).
CACCIA - SANZIONI PER VIOLAZIONI - Divieto venatorio per gli ufficiali e agenti di PG - Applicabilità alla polizia municipale - Presupposti - Richiamo alla nozione di agente di P.G. dell'art. 57 cod. proc. pen. - Fattispecie.
Il divieto di esercizio venatorio di cui all'art. 27, quinto comma, della legge n. 157 del 1992 opera nei confronti degli appartenenti alla Polizia Municipale - i quali, ai sensi dell'art. 57 cod. proc. civ., hanno la qualifica di agenti di polizia giudiziaria soltanto nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza e limitatamente al tempo in cui sono in servizio - subordinatamente alla limitazione spaziale che essi si trovino nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza ed alla condizione che siano effettivamente in servizio (nella specie la SC ha cassato la sentenza di merito e, decidendo nel merito, ha annullato la sanzione irrogata per violazione dell'art. 27 cit. a vigile urbano che esercitava la caccia fuori dall'orario di servizio senza rivestire, quindi, la qualifica di agente di PG).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRADO CARNEVALE - Presidente -
Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO - Consigliere -
Dott. SALVATORE SALVAGO - rel. Consigliere -
Dott. FABRIZIO FORTE - Consigliere -
Dott. LUIGI MACIOCE - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
PAULON ALDO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DELLA LIBERTÀ
13, presso l'avvocato SIVIERI ORLANDO, rappresentato e difeso da se
medesimo ed in unione all'avvocato BIANCHIN ROMEO, giusta procura a
margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE DI PORDENONE;
- intimata -
avverso la sentenza n. 38/98 del Pretore di PORDENONE, depositata il
04/02/98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/12/2000 dal Consigliere Dott. Salvatore SALVAGO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Raffaele PALMIERI che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con ricorso del 2 aprile 1997 Aldo Paulon, agente di polizia
municipale presso il comune di Barcis (PN), propose opposizione al
Pretore di Pordenone, contro l'ordinanza-ingiunzione del 4 marzo 1997
con cui la Provincia di Pordenone gli aveva ingiunto il pagamento
della sanzione amministrativa di L. 200.000 perché, malgrado i
compiti di vigilanza venatoria esercitati, aveva praticato la caccia
nel territorio di competenza, malgrado il divieto posto dall'art. 27
della legge 157 del 1992.
L'adito Pretore ha respinto l'opposizione osservando che la norma
vietava l'esercizio venatorio agli agenti di polizia giudiziaria, fra
i quali rientrano gli agenti di polizia municipale quando sono in
servizio; e che tale divieto a differenza che per le guardie
venatorie volontarie, per le quali opera durante l'esercizio delle
loro funzioni, è assoluto e peraltro giustificato dallo scopo di
evitare ogni possibilità di confusione di ruoli tra i controllori ed
i soggetti controllati.
Per la cassazione di questa sentenza il Paulon ha proposto ricorso
affidato ad un motivo.
La Provincia di Pordenone non ha spiegato difese.
Motivi della decisione
Con il ricorso Aldo Paulon, denunciando violazione dell'art. 27 della
legge 157 del 1992, censura la sentenza impugnata per non aver
considerato che l'agente di polizia municipale, secondo il disposto
dell'art. 57 cod. proc. pen., è agente di polizia giudiziaria
nell'ambito dell'ente territoriale di appartenenza solo quando è in
servizio e che dunque il divieto presuppone un'effettiva e concreta
attribuzione di funzioni di vigilanza venatoria; che egli peraltro
non svolgeva come attestato dalle mansioni attribuitegli,
esercitando, infine, la caccia fuori dall'orario di servizio,
allorché più non rivestiva la qualità di agente di polizia
giudiziaria.
Il ricorso è fondato.
L'art. 27 della legge n. 157 del 1992, così come l'art. 27 della
precedente legge n. 968 del 1977, ha individuato i soggetti tenuti
all'espletamento dei compiti di vigilanza venatoria, riproducendo nel
2^ comma, esattamente il 2^ comma della legge del 1977 e perciò
includendo nella categoria di soggetti cui è affidata "la vigilanza
sulla applicazione della presente legge delle leggi regionali", "gli
ufficiali, sottufficiali guardie del Corpo forestale dello Stato, le
guardie addette a parchi nazionali e regionali, gli ufficiali ed
agenti di polizia giudiziaria, le guardie giurate comunali, forestali
e campestri e le guardie private riconosciute ai termini della legge
di pubblica sicurezza.
Nel successivo 5^ comma ha, quindi, ribadito per gli agenti
dipendenti dagli enti locali delegati dalle Regioni di cui al primo
comma ed introdotto per gli agenti di cui al 2^ comma con compiti di
vigilanza il divieto di esercizio venatorio "nell'ambito del
territorio in cui esercitano le funzioni": divieto che è esteso
infine dall'ultima parte della norma alle Guardie venatorie
volontarie "durante l'esercizio delle loro funzioni".
Pertanto, poiché il solo collegamento fra le categorie di soggetti
indicati dal 2^ comma cui la norma ha attribuito funzioni di
vigilanza venatoria e gli agenti di Polizia comunale, fra cui rientra
pacificamente il ricorrente (pag. 2 della sentenza), è costituito
dalla qualifica di ufficiale ed agente di polizia giudiziaria, per
stabilire se anche detti agenti di Polizia municipale siano
destinatari del divieto di esercizio venatorio di cui al 5^ comma,
diviene indispensabile accertare preventivamente se ed in quali
limiti gli stessi possano essere considerati agenti di polizia
giudiziaria.
Al quesito fornisce risposta univoca l'art. 57 del cod. proc. pen.,
il quale nel 2^ comma lett. b) attribuisce detta qualifica "ai
carabinieri, alle guardie di finanza, agli agenti di custodia, alle
guardie forestali e nell'ambito territoriale dell'ente di
appartenenza alle guardie delle province e dei comuni, quando sono in
servizio": perciò limitandola con riferimento agli agenti di polizia
comunale nel tempo ("quando sono in servizio") e nello spazio
("nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza"), a differenza
di altri corpi (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza,
ecc.) i cui appartenenti operano su tutto il territorio nazionale e
sono sempre in servizio.
Consegue che, siccome il 5^ comma dell'art. 27 della legge del 1992
non pone il divieto di esercizio venatorio agli appartenenti dei vari
corpi dello Stato e degli altri enti pubblici menzionati dai
precedenti commi in quanto tali e per il semplice rapporto di
dipendenza, ma per il fatto che abbiano "compiti di vigilanza" e
poiché il precedente 2^ comma detti compiti attribuisce per quel che
interessa solo "agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria", la
cui qualifica compete agli agenti di polizia municipale
esclusivamente alle condizioni e con i limiti di cui si è detto, ne
deriva necessariamente che essi non sono destinatari di un divieto
incondizionato ed assoluto di esercizio venatorio; ma che tale
divieto è pur esso subordinato alla limitazione spaziale che essi si
trovino nell'ambito territoriale dell'ente di appartenenza ed alla
condizione che essi siano effettivamente in servizio, perciò
esercitando la funzione di vigilanza loro demandata dalla legge: a
differenza di agenti appartenenti ad altri corpi, quali
esemplificativamente quelli di Polizia di Stato o della Guardia di
Finanza, ovvero i carabinieri, per i quali il divieto opera comunque
e dovunque, essendo gli stessi considerati dal legislatore sempre in
servizio in qualsiasi parte del territorio dello Stato.
D'altra parte, la stessa sentenza impugnata ha riconosciuto che la
ratio del divieto è quella di evitare una commistione e confusione
di ruoli tra controllori e controllati, contraria ai principi di
trasparenza e di imparzialità dell'amministrazione, oltre che fonte
di inconvenienti e di disservizi; per cui tale ragione verrebbe meno
fuori dall'orario di servizio degli agenti in questione, dato che gli
stessi, più non rivestendo ex art. 57 cod. proc. pen. la qualifica
di agenti di polizia giudiziaria, perdono perciò stesso ogni
funzione di vigilanza venatoria anche nell'ambito territoriale del
comune di appartenenza. E non può, dunque, essere superata dal
tenore dell'ultima parte della norma che estende il divieto alle
guardie venatorie volontarie "durante l'esercizio delle loro
funzioni", dimostrando nell'interpretazione offerta dal Pretore, che
solo per questa categoria ne diviene, dunque, decisivo l'esercizio
effettivo: in quanto la disposizione non mira affatto a contrapporre
i limiti del divieto valevoli per le guardie venatorie volontarie a
quelli peculiari delle altre categorie, ma ad estendere il divieto di
esercizio venatorio, che l'art. 25, 5^ comma della precedente legge
968/1967, limitava invece agli agenti venatori dipendenti degli enti
delegati, nell'ambito del territorio in cui esercitano le funzioni,
per di più consentendo loro di esercitare la caccia in presenza di
particolari motivi e previa autorizzazione degli organi dai quali
dipendevano; e che ora riguarda, invece, tutte indistintamente le
categorie cui sono devoluti compiti di vigilanza, indicati nei
precedenti commi 1 e 2.
E tuttavia, attesa la ragione del divieto che si è avanti
evidenziata, lo stesso è stato subordinato per gli agenti di cui ai
suddetti commi, all'effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza
loro attribuite direttamente dalla legge (2^ comma) o dagli enti
pubblici specificati dal 1^ comma lett. a) nell'ambito del territorio
in cui le esercitano; mentre per le guardie volontarie (comma 2^
lett. b e comma 4^), non dipendenti da alcun ente pubblico ne'
appartenti a corpi dello Stato o di altri enti pubblici (si da non
rientrare in alcuna delle categorie individuate dal 2^ comma) e senza
una propria competenza territoriale, il divieto non poteva che venir
collegato (e subordinato) al periodo di esercizio delle relative
funzioni, che per un verso costituisce il presupposto dei compiti di
vigilanza loro (in astratto) conferiti dalle disposizioni dei commi
suddetti; e per altro verso evita di tradursi - operando solo al di
fuori di detto periodo - in un'inutile esclusione dal diritto di
esercitare la caccia riconosciuto a qualsiasi altro soggetto.
Pertanto, avendo il Pretore accertato che il Paulon esercitava la
caccia fuori dall'orario di servizio, allorché dunque non rivestiva
la qualifica di agente di polizia giudiziaria, allo stesso non poteva
applicarsi il divieto in esame; e, in accoglimento del ricorso, la
sentenza impugnata che ha ritenuto legittima la sanzione allo stesso
irrogata dalla Provincia di Pordenone non attenendosi a siffatto
principio, va cassata.
Poiché, infine, non occorrono ulteriori accertamenti, il Collegio
decidendo nel merito ex art. 384 cod. proc. civ., deve annullare la
sanzione impugnata ed in aderenza al principio legale della
soccombenza, condannare l'amministrazione provinciale al pagamento
delle spese dell'intero giudizio che si liquidano come da
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e,
decidendo nel merito, annulla la sanzione opposta e condanna
l'amministrazione provinciale al pagamento delle spese processuali
che liquida in complessive L. 800.000 per il giudizio di merito; ed
in complessive L. 1.100.000=, di cui L. 1.000.000 per onorario di
difesa, per il giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2000.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2001