Cass. Sez. III n. 24275 del 19 giugno 2024 (UP 15 mag 2024)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric. Sainovich
Urbanistica.Prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive

In tema di reati edilizi, la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell'opera e proprietario, la presenza di quest'ultimo "in loco" e lo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26/10/2023, la Corte di appello di Milano, in riforma della pronuncia emessa il 12/12/2022 dal locale Tribunale, assolveva Luigina Nataska Lafleur dal reato di cui all’art. 349 cod. pen., per particolare tenuità del fatto, e confermava la condanna inflitta a Roberto Sainovich con riguardo al reato di cui agli artt. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.
2. Propone ricorso per cassazione quest’ultimo, deducendo i seguenti motivi:
- mancanza o manifesta illogicità della motivazione; inosservanza o erronea applicazione delle norme contestate. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con argomento viziato, che non terrebbe conto di numerosi elementi - documentati in atti - dai quali emergerebbero ragionevoli dubbi circa la responsabilità del ricorrente nell’abuso edilizio. In particolare, sarebbe stato provato che dal novembre 2017 l'area sarebbe stata nella disponibilità esclusiva della Lafleur e del suo compagno Daris Aimi, in forza di un preliminare di compravendita poi seguito dal contratto definitivo del dicembre 2018; ancora, l'istruttoria avrebbe provato (teste Bazzini) che già precedentemente a questa data gli operanti avevano trovato nell'immobile soltanto la donna con un bambino piccolo, e che la stessa risultava aver volturato a suo nome il contratto di fornitura di energia elettrica sin dal mese di agosto dello stesso anno. Ebbene, le sentenze non avrebbero valutato questi elementi, per quanto oggettivi, così da risultare carenti nella motivazione. Sotto altro profilo, i Giudici di merito avrebbero commesso un errore di diritto, ritenendo – in contrasto con la costante giurisprudenza di questa Corte - che la formale titolarità dell'area fino al dicembre 2018, in capo al ricorrente, invero ormai nudo proprietario, attribuisse a questi una posizione di garanzia sul bene, con ogni conseguenza, anche penale; per contro, nella vicenda non ricorrerebbe neppure uno degli indici, ancora individuati in sede di legittimità, che assegnano responsabilità al (nudo) proprietario – quanto ad abusi edilizi - in presenza del solo titolo dominicale, ma le sentenze di merito non avrebbero valutato questo profilo. La Corte di appello, peraltro, avrebbe riconosciuto il ricorrente colpevole quantomeno a titolo di concorso morale, non considerando che i presunti autori materiali - i coimputati Lafleur e Aimi - erano stati assolti dal capo 1) sin dal primo grado;
- carenza o manifesta illogicità della motivazione in ordine al rigetto della richiesta di sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità. La sentenza avrebbe utilizzato al riguardo due argomenti viziati: per un verso avrebbe richiamato i precedenti a carico, senza valutarne l'effettiva gravità o il tempo trascorso; per altro verso, avrebbe sottolineato la mancata indicazione di un ente presso il quale svolgere il lavoro, sebbene un tale requisito non sia richiesto dall’art. 545-bis cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. Le sentenze di merito – con motivazione sostenuta da argomento logico ed immune da vizi – hanno adeguatamente affermato la responsabilità del Sainovich con riguardo agli abusi edilizi contenuti nel capo 1 (oggetto, peraltro, di una contestazione errata quanto all’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001, perché – pur a fronte di un’area soggetta a speciale tutela ambientale – formulata richiamando le lettere a) e b) della norma, e non la lettera c). In particolare, la Corte di appello ha sostenuto che la colpevolezza dell'imputato poteva ritenersi accertata, quantomeno a titolo di concorso, sul presupposto che lo stesso era: a) il proprietario dell'area, almeno fino al dicembre 2018; b) presente sul posto all'accertamento del 20/10/2018 e del 7/6/2019; c) legato da stretti vincoli parentali con la Lafleur, sua nipote, che lì viveva con il compagno Aimi ed un bambino. Con questi argomenti, la sentenza ha dunque fatto corretta applicazione del costante principio - qui da ribadire – secondo cui in tema di reati edilizi, la prova della responsabilità del proprietario non committente delle opere abusive non può essere desunta esclusivamente dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, ma necessita di ulteriori elementi, sintomatici della sua compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, quali la presentazione della domanda di condono edilizio, i rapporti di parentela o affinità tra esecutore materiale dell'opera e proprietario, la presenza di quest'ultimo "in loco" e lo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi (tra le altre, Sez. 3, n. 38492 del 19/5/2016, Avanzato, Rv. 268014; successivamente, tra le non massimate, Sez. 3, n. 384 del 21/12/2022, Allocca; Sez. 3, n. 43594 del 4/10/2022, Fanale). Ebbene, la Corte di appello ha riscontrato diversi tra questi indici, oggettivi e non contestati, ed in forza di questi ha ribadito la colpevolezza del ricorrente con motivazione non manifestamente illogica.
5.1. In senso contrario, peraltro, non possono valere gli argomenti in fatto sostenuti nel ricorso, come il preliminare di compravendita del novembre 2017 o la modifica dell'intestazione del contratto di fornitura di energia elettrica dell'agosto 2018. Come si evince da entrambe le sentenze di merito, infatti, nessun elemento attestava che dal novembre 2017 i coimputati Lafleur e Aimi fossero stati immessi nell'esclusiva disponibilità del bene, con effetto anticipato rispetto alla data del contratto di compravendita del dicembre 2018; il ricorrente, pertanto, ben poteva essere riconosciuto colpevole dell’abuso edilizio, sussistendo gli indici di responsabilità appena sopra richiamati.
5.2. Ancora in senso contrario, poi, non rileva il fatto che la Corte d'appello abbia addebitato la condotta al Sainovich quantomeno a titolo di concorso morale, pur in presenza di una pronuncia di assoluzione nei confronti dei coimputati: questa decisione, infatti, è stata adottata ai sensi dell’art. 531 cod. proc. pen., per intervenuta prescrizione, quanto all'unità realizzata in muratura, nella quale i due erano stati trovati a vivere (con un figlio minore), e ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. quanto alle restanti opere. Il Tribunale, pertanto, non aveva accertato l'estraneità dei due imputati alle violazioni di cui al capo 1), riscontrando, piuttosto, la mancanza di una prova certa ed affidabile al riguardo.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, risulta manifestamente infondato.
7. Alle stesse conclusioni, poi, il Collegio giunge anche quanto alla seconda censura, che attiene alla mancata sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.
7.1. Al riguardo si osserva, in primo luogo, che il motivo di gravame proposto sul punto era palesemente generico, contenendo soltanto la richiesta della sostituzione “non sussistendo i limiti di pena e non ravvisandosi situazioni ostative”; senza alcun argomento a sostegno, dunque, ai sensi dell’art. 58, l. 24 novembre 1981, n. 689.
7.2. Di seguito, il Collegio rileva che la motivazione resa dalla Corte di appello, se non appare corretta quanto al richiamo alla mancata indicazione di un ente presso il quale svolgere il lavoro sostitutivo, in effetti non richiesta dalla disciplina, risulta tuttavia del tutto adeguata nella parte che evoca i numerosi precedenti penali dell’imputato, “che certamente non consentono di formulare nei suoi confronti un giudizio prognostico favorevole in ordine al rispetto delle prescrizioni”. Ebbene, la censura sul punto risulta del tutto generica, lamentando la mancata valutazione della gravità di questi precedenti e della loro risalenza nel tempo; valutazione che, per contro, la Corte di merito risulta aver svolto già con il solo rinvio all’elevato numero delle condanne definitive – effettivo e verificato da questo Collegio – che, come tale, è stato adeguatamente ritenuto argomento sufficiente per negare la sostituzione richiesta.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2024