Consiglio di Stato Sez. IV n. 2789 del 21 marzo 2024
Sostanze pericolose.Sulla compatibilità col diritto dell’Unione europea della legislazione nazionale
Vanno rimesse alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti
questioni pregiudiziali: A) “se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’art. 23 della Direttiva 2008/98/CE o di cui all’art. 4della Direttiva 2010/75/UE), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”; B) “se l’art. 7 della Direttiva 2012/18/UE, che prevede che il gestore sia obbligato a trasmettere “una notifica all'autorità competente” contenente le informazioni elencate nell’art. 7, paragrafo 1, della medesima Direttiva, interpretato alla stregua dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, osti ad una norma quale quella dell’art. 13, commi 1, 2 e 5, del d.lgs. n. 105/2015 che prevede che la comunicazione delle informazioni debba avvenire esclusivamente mediante “una notifica, redatta secondo il modulo riportato in allegato 5” (comma 1), “sottoscritta nelle forme dell'autocertificazione secondo quanto stabilito dalla disciplina vigente” (comma 2), “trasmessa dal gestore ai destinatari di cui al comma 1 in formato elettronico utilizzando i servizi e gli strumenti di invio telematico messi a disposizione attraverso l'inventario degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti di cui all'articolo 5, comma 3” oppure “esclusivamente via posta elettronica certificata firmata digitalmente” (comma 5), escludendo, per quel che interessa questo giudizio, una modalità di comunicazione effettuata attraverso “una procedura operativa implementata dal gestore” che contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”.
Pubblicato il 21/03/2024
N. 02789/2024 REG.PROV.COLL.
N. 08092/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 8092 del 2021, proposto dalla società-OMISSIS- s.r.l. –-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Leonardo Filippucci, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Macerata, via Velluti n. 19;
contro
il Ministero dell’interno, il Ministero della transizione ecologica, il Comitato tecnico regionale delle Marche, il Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 105/2015, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
della Regione Marche e del signor -OMISSIS-, non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche n.-OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’interno, del Ministero della transizione ecologica, del Comitato tecnico regionale delle Marche e del Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 105/2015;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 novembre 2023 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.
I. Illustrazione sommaria dell’oggetto della controversia e dei fatti rilevanti.
I.1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dal provvedimento di diffida del Comitato tecnico regionale (C.T.R.) della Regione Marche del 24 novembre 2020 emesso nei confronti della società-OMISSIS- s.r.l. –-OMISSIS- (in prosieguo “ditta-OMISSIS-”).
I.2. La ditta-OMISSIS- gestisce in -OMISSIS-, -OMISSIS-, un impianto di trattamento di rifiuti liquidi, pericolosi e non pericolosi, in virtù dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), più volte aggiornata, n. 534 del 5 settembre 2012, rilasciata dalla Provincia di Ancona.
L’A.I.A. consente di stoccare (operazione D15) fino a 800 tonnellate di rifiuti pericolosi identificati con vari codici EER e di trattare (operazioni D8-D9) fino a 200 t/g dei medesimi rifiuti.
Con la nota prot. 14108 del 7 novembre 2019, il direttore generale dei Vigili del fuoco della Regione Marche, nella sua qualità di presidente del Comitato tecnico regionale (C.T.R.) di cui all’art. 10 del d.lgs. n. 105/2015, ha istituito un gruppo di lavoro per redigere la relazione sulla assoggettabilità o meno dello stabilimento della ditta-OMISSIS- alla c.d. “normativa Seveso” (come sviluppatasi nel tempo: d.P.R. n. 175 del 1988, di recepimento della cd. prima direttiva “Seveso” 82/501/CEE; d.lgs. n. 334 del 1999, di recepimento della cd. direttiva “Seveso-bis” 96/82/CE; d.lgs. n. 105 del 2015, di recepimento della cd. direttiva “Seveso-ter” 2012/18/UE).
Con il verbale conclusivo del 18 febbraio 2020, il gruppo di lavoro ha deciso che lo stabilimento della ricorrente non potesse essere escluso dal campo di applicazione della c.d. “normativa Seveso”.
Con la determinazione del 28 maggio 2020, il C.T.R. della Regione Marche ha diffidato la ditta-OMISSIS- a presentare la notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105 del 2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 dello stesso d.lgs. n. 105/2015.
I.3. Dopo una nuova procedura di controllo, con atto del 24 novembre 2020, il C.T.R. della Regione Marche ha nuovamente diffidato la ditta-OMISSIS- a presentare la notifica prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 105 del 2015 e il rapporto di sicurezza di cui all’art. 15 del d.lgs. 105 del 2015 oppure a limitare l’utilizzo dei serbatoi per non superare i limiti di soglia previsti dallo stesso d.lgs.
I.4. Avverso tale diffida la ditta-OMISSIS- ha proposto ricorso al T.a.r. per le Marche (n.r.g. 57/2021), che lo ha respinto con sentenza n.-OMISSIS-.
I.5. La ditta-OMISSIS- ha impugnato la sentenza del T.a.r. innanzi al Consiglio di Stato, criticando la sentenza e riproponendo le censure di primo grado.
Con il primo motivo, rilevante per il rinvio pregiudiziale, la ditta-OMISSIS- sostiene che la “normativa Seveso” dovrebbe consentire che il gestore di un impianto di trattamento rifiuti dimostri che la presenza di sostanze pericolose nel proprio stabilimento non oltrepassi mai la “soglia inferiore” attraverso un sistema gestionale che prevede il monitoraggio continuo delle sostanze presenti nello stabilimento. La disciplina italiana che non lo consente violerebbe, dunque, la disciplina unionale.
La ditta-OMISSIS- ha chiesto, pertanto, di sollevare la questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea sull’interpretazione dell’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE (vedi infra il punto I.10, lett. “c”).
Il secondo motivo, non rilevante per il rinvio pregiudiziale, ha ad oggetto il termine che il CRT ha assegnato alla ditta-OMISSIS- per procedere all’invio della notifica (art. 13 d.lgs. n. 105 del 2015) e del rapporto di sicurezza (art. 15 d.lgs. n. 105/2015).
Si sono costituiti in resistenza il Ministero dell’interno, il C.T.R. della Regione Marche, il Ministero della transizione ecologica e il “Coordinamento per l’uniforme applicazione sul territorio nazionale di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 105/2015”.
I.6. Con la sentenza non definitiva n. 490 del 2022, per quanto qui interessa, il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio e ha rinviato alla Corte di Giustizia dell’Unione europea tre questioni pregiudiziali:
a) con la prima questione, ha domandato: “A) se la corretta interpretazione dell’art. 267 TFUE imponga al giudice nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto unionale rilevante nell’ambito della controversia principale, anche qualora possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea … ma non sia possibile provare in maniera circostanziata, sotto un profilo soggettivo, avuto riguardo alla condotta di altri organi giurisdizionali, che l’interpretazione fornita dal giudice procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione”;
b) con la seconda questione, ha domandato: “B) se – per salvaguardare i valori costituzionali ed europei della indipendenza del giudice e della ragionevole durata dei processi – sia possibile interpretare l’art. 267 TFUE, nel senso di escludere che il giudice supremo nazionale, che abbia preso in esame e ricusato la richiesta di rinvio pregiudiziale di interpretazione del diritto della Unione europea, sia sottoposto automaticamente, ovvero a discrezione della sola parte che propone l’azione, ad un procedimento per responsabilità civile e disciplinare”;
c) con la terza questione, ha domandato: “C) se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’art. 23 della Direttiva 2008/98/CE o di cui all’art. 4 della Direttiva 2010/75/UE), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”.
I.7. Con l’ordinanza del 15 dicembre 2022, resa nella causa C-144/2022, la Corte di Giustizia ha statuito (in sintesi):
a) sul primo quesito, che il giudice nazionale può astenersi dal rinvio se “abbia maturato la convinzione” che “gli altri giudici di ultima istanza degli Stati membri e la Corte condividerebbero la sua analisi”, tenuto conto dei criteri interpretativi menzionati ai paragrafi da 36 a 42 e delle considerazioni esposte ai paragrafi da 43 a 45 dell’ordinanza della Corte di Giustizia;
b) sul secondo quesito, che spetta esclusivamente al giudice nazionale, “che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale”, valutare la necessità e la rilevanza del rinvio e che la Corte non è obbligata a pronunciarsi quando “l’interpretazione richiesta non ha alcun legame con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, [o] qualora il problema sia ipotetico …” (punto 58 dell’ordinanza C-144/22);
c) sul terzo quesito, formulato “Per l’ipotesi in cui codesta Corte di Giustizia dovesse risolvere negativamente i precedenti quesiti”, la Corte ha affermato che “Dalla decisione di rinvio emerge che la terza questione viene sollevata solo in caso di risposta affermativa alla prima. In considerazione della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla terza questione”.
I.8. La causa è tornata alla decisione del Consiglio di Stato.
Con memoria del 19 giugno 2023, depositata in vista dell’udienza, l’appellante ha domandato nuovamente il rinvio pregiudiziale.
All’udienza del 30 novembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
La Sezione, alla stregua delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia sui tre quesiti proposti a suo tempo, ritiene che:
- quanto ai primi due quesiti, relativi alla natura del rinvio pregiudiziale e alle peculiarità della normativa nazionale italiana sulla responsabilità civile del giudice, si debba prendere atto delle risposte fornite dalla Corte (e alle risposte, identiche, fornite ai quesiti proposti con altre ordinanze analoghe da questo Consiglio di Stato) e, data la perdurante rilevanza di massima della questione, la si debba risolvere con una interpretazione del giudice nazionale compatibile con le indicazioni fornite dalla Corte. Tale profilo sarà affrontato al punto II della presente ordinanza;
- quanto al terzo quesito, relativo alla disciplina del caso specifico (la cd. “normativa Seveso”), la mancata risposta al medesimo impone a questo Consiglio di valutare se (indipendentemente dalla richiesta della parte) sussistono dubbi interpretativi, rilevanti per la decisione, che richiedono eccezionalmente un ulteriore rinvio alla Corte di Giustizia. Tale profilo sarà affrontato ai punti III e seguenti della presente ordinanza.
II. La natura del rinvio pregiudiziale e le peculiarità della normativa nazionale italiana sulla responsabilità civile del giudice per mancato rinvio obbligatorio (primo e secondo quesito della sent. 490 del 2022).
II.1. La questione posta dai primi due quesiti riguarda la natura del rinvio pregiudiziale e in particolare gli effetti sull’atteggiamento delle Corti nazionali della normativa italiana sulla responsabilità civile di cui all’art. 2, comma 3-bis, legge n. 117 del 1988: essa era stata oggetto di richiesta alla C.G.U.E. con una recente serie di rimessioni (cfr. il punto 19 della sentenza non definitiva n. 490 del 2022 cit.; quesiti trascritti al punto I.6, lett. “a)” e “b)” di questa ordinanza; ma cfr. anche Cons. Stato, Sez. IV, ord., 6 aprile 2022 n. 2545; Sez. IV, sent. non definitiva, 14 luglio 2022 n. 6013; Sez. IV, sent. non definitiva, 21 luglio 2022 n. 6410).
Questo Consiglio di Stato deve prendere atto del fermo orientamento della C.G.U.E. sulla questione. La medesima risposta è stata fornita in relazione ad altri quesiti analoghi, sollevati dalla Quarta Sezione (cfr. le ordinanze C-597/21 del 15 dicembre 2022, C-144/22 del 15 dicembre 2022, C-83/21 del 22 dicembre 2022, C-482/22 del 27 aprile 2023, C-495/22 del 27 aprile 2023).
Il dispositivo sul secondo (e forse più importante) quesito – relativo, come detto, alla compatibilità col diritto unionale dell’art. 2, comma 3-bis, della legge n. 117 del 1988 – è quello della “manifesta irricevibilità”, e lo strumento utilizzato dalla Corte è quello dell’ordinanza di una Sezione semplice: tutto ciò conferma la costanza di tale orientamento e la prevedibilità delle risposte che verrebbero fornite di fronte ad eventuali, futuri quesiti analoghi.
Tutto ciò induce, oggi, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato a non formulare nuovi quesiti, pur restando la questione molto rilevante per il giudice nazionale, e a ricercare autonomamente, alla stregua delle indicazioni fornite dalla stessa Corte, l’interpretazione della normativa nazionale sulla responsabilità civile del giudice che era stata richiesta alla C.G.U.E. nell’ultima serie di rimessioni prima citate.
II.2. La Sezione ritiene opportuno svolgere, preliminarmente, alcune considerazioni di ordine generale sul rapporto con la C.G.U.E. nel rinvio ex art. 267, terzo paragrafo, T.F.U.E., che appaiono pregiudiziali rispetto alla decisione della questione interpretativa.
La Repubblica italiana, che si colloca tra i sei Paesi fondatori delle istituzioni comunitarie, ha conservato nel tempo un’attiva e convinta partecipazione alla costruzione europea e all’originale sistema giuridico da essa sviluppato.
Questa vocazione ha implicazioni non solo sul piano politico ed economico, demandato alle funzioni legislative ed esecutive, ma anche su quello giuridico, demandato al lavoro delle Corti nazionali.
Il cd. paneuropean dialogue tra la Corte di Giustizia e i giudici d’Europa, e soprattutto le Corti Supreme in forza del terzo paragrafo dell’attuale art. 267 (ma già del precedente art. 177) del Trattato, ha trasformato, nel corso di decenni, un insieme di regolamenti e direttive in un vero e proprio ordinamento giuridico: uno ius commune europeo.
Questo dialogo – cui le Corti italiane hanno contribuito, sin dalle origini, in modo rilevante – ha un ruolo di “formante” dell’ordinamento dell’Unione che risulta, al tempo stesso, flessibile ed efficace, in quanto:
- grazie alla funzione nomofilattica delle Corti Supreme, fornisce indirizzi interpretativi utili a tutti i giudici che non sono di ultima istanza e ne assicura, così, un’ampia diffusione sul territorio dell’Unione;
- non crea principi rigidi e immutabili, ma ne consente la ragionevole evoluzione, poiché è sempre possibile ritornare su questioni già affrontate e decise laddove emergano elementi e circostanze idonei a riconsiderare la questione (ciò è stato espressamente chiarito dalla recente sentenza 6 ottobre 2021, C-561/19, “Consorzio Italian Management”);
- favorisce la creazione di indirizzi interpretativi di portata generale senza, però, prescindere dalle problematiche concrete che hanno originato il quesito e che vengono illustrate, specie nella tradizione italiana, dal giudice del rinvio (cfr. anche le “Raccomandazioni all’attenzione dei giudici nazionali, relative alla presentazione di domande di pronuncia pregiudiziale” della C.G.U.E. - 2019/C 380/01, e in particolare il paragrafo 15).
Le Corti italiane hanno avuto, sin dalle origini, un ruolo fondamentale nella costruzione di questo paneuropean dialogue.
II.3. In tale contesto, vanno considerati alcuni peculiari aspetti del meccanismo del rinvio pregiudiziale obbligatorio in relazione alla prassi della giurisprudenza amministrativa italiana.
Il rinvio pregiudiziale obbligatorio da parte del Giudice amministrativo di ultima istanza ha caratteri particolari anche rispetto a quello del Giudice ordinario, visto che la normativa europea richiede spesso l’intervento di autorità pubbliche nazionali.
Il suo ruolo nella costruzione europea e le sue prassi recenti hanno costituito anche l’oggetto dell’incontro ufficiale dell’A.C.A. - Association of the Councils of State and Supreme Administrative Jurisdictions, svoltosi il 9-10 ottobre 2023, presso la Suprema Corte Amministrativa di Svezia.
I dati dell’A.C.A. mostrano che i casi di rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato italiano non solo sono, da sempre, numericamente più elevati rispetto a quelli delle Corti Supreme amministrative degli altri Stati membri, ma evidenziano, specie negli ultimi anni, il possibile insorgere di alcuni automatismi nella rimessione anche in fattispecie in cui la normativa nazionale da applicare al caso concreto non è caratterizzata da disposizioni di dubbia compatibilità con la normativa unionale, secondo i principi dell’acte clair.
I dati A.C.A. sui preliminary ruling formulati delle Corti Supreme amministrative europee nel decennio 2012-2022 evidenziano che in Italia sono state formulate circa 300 rimessioni, in Germania circa 100, in Francia circa 90, in Spagna circa 70 e negli altri Stati membri molto meno.
Il dato – come è emerso anche nel recente dibattito in sede A.C.A. – sembrerebbe influenzato non solo dall’obiettivo di assicurare un’applicazione uniforme del diritto europeo, ma anche, e solo in parte, dall’esistenza di una recente normativa nazionale sulla responsabilità civile dei magistrati (la già menzionata legge n. 117 del 1988, come modificata dalla legge del 27 febbraio 2015 n. 18). In particolare tale legge, all’art. 2, nel definire le ipotesi di responsabilità del giudice per “violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea”, prevede al comma 3-bis che “in caso di violazione manifesta del diritto dell'Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea”.
II.4. Il descritto fenomeno aveva indotto il Collegio che ha pronunciato la sentenza non definitiva n. 490 del 2022 a dubitare della compatibilità di tale previsione nazionale con il meccanismo dell’art. 267 TFUE e con l’interpretazione fornitane dalla C.G.U.E..
La questione – oggetto del secondo dei quesiti sopra menzionati, e oggetto anche delle altre pronunce di rimessione richiamate al punto II.1 – è stata considerata “manifestamente irricevibile”, perché “non ha alcun legame con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale” (punto 58 dell’ordinanza C-144/22).
Nella situazione descritta, a questa Sezione risulta evidente che:
- da un lato, non appare probabile una soluzione diretta da parte della C.G.U.E., alla luce della sua consolidata giurisprudenza, poiché la normativa italiana sulla responsabilità del giudice non solo rientra nell’autonomia procedurale degli ordinamenti nazionali ma si configura anche come una normativa diversa rispetto a quella direttamente applicabile per la decisione del singolo affare sottoposto alla Corte di Giustizia;
- dall’altro, la questione resta molto rilevante (a fortiori alla luce dei nuovi dati e del dibattito in sede A.C.A.) poiché può condizionare, anche fortemente, l’atteggiamento del giudice rimettente, inducendolo a formulare quesiti che poi risultano manifestamente irricevibili in funzione “auto-difensiva”, solo perché alcune parti del processo prospettano la possibilità di un’azione di responsabilità in caso di mancato rinvio (cfr., da ultimo ma non per ultimo, C-407/23 del 12 dicembre 2023) e perciò può avere un impatto rilevante sui rapporti con la Corte di Giustizia e sull’uso del preliminary ruling da parte del giudice nazionale.
Come detto al punto II.1, per risolvere tale rilevante problematica questa Sezione ritiene allora di doversi fare carico autonomamente della individuazione di un principio interpretativo, rinvenendo la soluzione nelle fonti europee e nelle considerazioni già svolte dalla stessa Corte (specie nella sentenza C-561/19 “Consorzio Italian Management”) e ulteriormente chiarite anche nei lavori dell’A.C.A.
La soluzione che ci si appresta a descrivere viene comunque sottoposta, con la presente ordinanza, alla eventuale valutazione della C.G.U.E.. Questo Consiglio di Stato auspica, difatti, un suo pronunciamento anche in via incidentale, in considerazione della rilevanza della questione e nella logica del paneuropean dialogue, anche per prevenire eventuali, futuri quesiti relativi alla legge sulla responsabilità civile del giudice.
II.5. La Sezione è dell’avviso che le recenti indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia nel caso C-561/19 “Consorzio Italian Management” del 6 ottobre 2021, siano idonee a fornire un solido parametro esegetico.
Con la menzionata sentenza, la C.G.U.E.:
- mantiene ferme le conclusioni del caso Cilfit sul valore del “dialogo tra giudici”, e soprattutto tra Corti supreme, come “sistema di cooperazione tra la C.G.U.E. e i giudici nazionali” (e, si potrebbe aggiungere, di costruzione e di evoluzione dell’ordinamento europeo) di cui prima all’art. 177 e ora all’art. 267 T.F.U.E., terzo paragrafo;
- considera le figure dell’acte clair e dell’acte éclairé come parte integrante e funzionale di tale dialogo, in quanto definiscono l’effettività dell’obbligo di cui al suddetto terzo paragrafo e lo rendono sostenibile anche nel suo funzionamento pratico;
- pur confermando i dicta ormai consolidati dal 1992 su acte clair, acte éclairé e rilevanza della questione indicata dalle parti come pregiudiziale, torna sulla questione dopo trent’anni e approfondisce utilmente alcune questioni processuali (come, ad esempio, la reiterazione del rinvio pregiudiziale nello stesso giudizio o la rilevanza delle questioni pregiudiziali);
- valorizza, sempre nella logica del “dialogo tra giudici”, il ruolo fondamentale della motivazione data dal giudice nazionale di ultima istanza sulla scelta di non rinviare, pur nei casi “obbligatori” di cui all’art. 267, terzo paragrafo (punti 50 e 51 della sentenza C-561/19);
- in coerenza con il valore del “dialogo tra giudici”, ribadisce che tale dialogo è – appunto – solo “tra giudici” e non coinvolge altri soggetti.
II.6. Quest’ultima affermazione comporta che, sempre a detta della Corte di Lussemburgo (punti 53, 54 e 55 della sentenza C-561/19):
- il “sistema di cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali”, instaurato dall’articolo 267 TFUE, “è estraneo ad ogni iniziativa delle parti…”;
- le parti “non possono privare i giudici nazionali della loro indipendenza nell’esercizio del potere di cui al punto 50 della presente sentenza [ovvero quello di motivare se rimettere o meno ai sensi del 267 n.d.r.], segnatamente obbligandoli a presentare una domanda di pronunzia pregiudiziale”;
- “il sistema instaurato dall’articolo 267 TFUE non costituisce quindi un rimedio giuridico esperibile dalle parti …”.
Tali statuizioni appaiono chiaramente ribadite anche dall’A.C.A., nella citata riunione del 9-10 ottobre 2023, svolta presso la Supreme Administrative Court of Sweden, ove si è concluso che: “the possible responsibility of the judge in not activating this mechanism must be limited only to the statement of reasons, and should never concern the choice itself to refer or not to the ECJ” (cfr. il verbale della riunione dell’A.C.A. del 9-10 ottobre 2023).
II.7. La Sezione ritiene che, anche alla stregua del dibattito tra Corti supreme europee sviluppatosi in sede A.C.A., le esposte considerazioni della sentenza C-561/19 (e soprattutto quelle di cui ai punti 50-51, in combinato disposto con i punti 53-55) debbano essere utilizzate anche per la soluzione della questione interpretativa della legge sulla responsabilità del giudice per mancato rinvio alla Corte.
La circostanza che il meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’art. 267 sia uno strumento esclusivamente “tra giudici” e non un “rimedio esperibile dalle parti” (fino al punto in cui la CGUE mette in gioco finanche la “indipendenza del giudice nazionale”) certo non esclude ma perimetra con chiarezza gli obblighi del giudice nazionale di ultima istanza nei confronti delle parti sulla rimessione alla C.G.U.E.
Tale obbligo, nella motivazione della sentenza “Consorzio”, appare consistere in quello di esaminare la questione “in maniera indipendente e con tutta la dovuta attenzione” (punto 50 cit.) e di inserire una “motivazione” che “deve far emergere” le ragioni del mancato rinvio (acte clair, acte éclairé o rilevanza della questione indicata dalle parti come “pregiudiziale”).
Un obbligo chiaro, ma anche omnicomprensivo: altrimenti, aggiunge la C.G.U.E. (punti 53-54 cit.), vi sarebbe un vulnus alla stessa indipendenza del giudice; difatti – secondo le sue parole – la rimessione “non costituisce un rimedio delle parti” e queste “non possono obbligare” il giudice “a presentare una domanda di rinvio pregiudiziale”.
Alla stregua di quanto esposto, la Corte di Giustizia chiarisce che in presenza di una richiesta di rinvio “obbligatorio” è configurabile, in capo al giudice, non un “obbligo di rinvio automatico” tout court, ma un “obbligo di pronunciare sulla richiesta di rinvio e di motivare” sulle circostanze che lo escludono, secondo la consolidata giurisprudenza europea su acte clair, acte éclairé e rilevanza della questione indicata dalle parti come pregiudiziale (giurisprudenza consolidatasi da tempo e ora ulteriormente precisata dalla sentenza “Consorzio”).
La descritta definizione, da parte della C.G.U.E., dei doveri del giudice in materia di rinvio pregiudiziale “obbligatorio” costituisce, ad avviso della Sezione, un parametro ermeneutico solido e univoco anche per l’interpretazione della legislazione interna sulla responsabilità del magistrato, di cui come si è detto deve ora occuparsi il giudice nazionale e non la C.G.U.E..
Queste conclusioni appaiono confermate dai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 20 settembre 2011, 3989/07 e 38353/07, Ullens de Shooten et Rezabek c. Belgique; sentenza 10 aprile 2012, 4832/04, Vergauwen et autres c. Belgique, punti da 87 a 106 e, specialmente, punti 89-91 della motivazione). In particolare, con l’ultima sentenza citata la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la motivazione del mancato rinvio sia sufficiente a evitare la violazione dell’art. 6 § 1 della CEDU (Diritto a un equo processo), affermando che: “dans le cadre spécifique du troisième alinéa de … l’article 267 du TFUE”, “cela signifie que les juridictions nationales dont les décisions ne sont pas susceptibles d’un recours juridictionnel de droit interne qui refusent de saisir la CJUE à titre préjudiciel d’une question relative à l’interprétation du droit de l’UE soulevée devant elles, sont tenues de motiver leur refus au regard des exceptions prévues par la jurisprudence de la Cour de justice. … Or, en l’espèce, la Cour constate que la Cour constitutionnelle a dûment motivé ses refus de poser des questions préjudicielles (paragraphes 34 et 35) et que l’obligation de motivation imposée par l’article 6 § 1 a été remplie conformément à ce que prescrit le droit de l’UE.”.
La controprova di tale conclusione risiede nel fatto che l’ipotesi alternativa appare priva di fondamento. Difatti, il voler ritenere che la legge italiana configuri, ad esempio, una responsabilità civile del giudice di ultima istanza non per la mancata motivazione, ma per il mancato rinvio automatico tout court, per il solo fatto che la parte lo abbia prospettato, significherebbe ritenere anche che la legge italiana preveda una forma di responsabilità ulteriore rispetto a quella consentita dal modello europeo e con questo del tutto incompatibile.
Questa ipotesi si porrebbe in aperta contraddizione con il dettato dei punti 53-55 della sentenza “Consorzio” e con la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia e, in ultima analisi, potrebbe profilare quello che la C.G.U.E. considera il rischio di “privare i giudici nazionali della loro indipendenza”.
È, dunque, all’obbligo di motivazione sulla richiesta di rinvio, e non a un obbligo automatico di rinvio tout court, che deve farsi riferimento per la individuazione della responsabilità di cui alla legge n. 177 del 1988, come novellata nel 2015.
In presenza di un’espressa motivazione del giudice nazionale sul mancato rinvio o sulle valutazioni rimesse al Giudice nazionale dalla Corte di Giustizia dopo il rinvio, non potrà dunque configurarsi il presupposto della responsabilità risarcitoria e/o disciplinare, che altrimenti comporterebbe l’evidente lesione del valore della indipendenza della magistratura, elemento costitutivo della declamata rule of law (come detto, il verbale dell’A.C.A. afferma che: “the possible responsibility of the judge … must be limited only to the statement of reasons, and should never concern the choice itself to refer or not to the ECJ”).
In conclusione, secondo tale ricostruzione – che si rimette comunque alla valutazione della C.G.U.E. per le ragioni di rilevanza esposte retro, al punto II.4 – solo la sussistenza o meno dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione dovrà essere considerata, ad esempio, nella individuazione di eventuali responsabilità del giudice per (mancata motivazione della) mancata rimessione alla C.G.U.E., ovvero per revocazione per mancata (considerazione, o motivazione sulla istanza di) rimessione alla C.G.U.E.
III. La permanenza di un ragionevole dubbio in relazione alle norme nazionali applicabili in materia di “normativa Seveso” (terzo quesito della sent. 490 del 2022).
III.1. Alla luce delle coordinate esegetiche sinora esposte, resta ora da verificare se in relazione alla disciplina del caso specifico (la cd. “normativa Seveso”) sussistono ancora ragionevoli dubbi interpretativi che richiedono un nuovo rinvio alla Corte di Giustizia, che con l’ordinanza C-144/22 non ha fornito risposta al terzo quesito posto dal Consiglio di Stato.
Questo Collegio è dell’avviso che un pronunciamento espresso della C.G.U.E. sia necessario.
III.2. In base alla normativa italiana, attualmente stabilita dal d.lgs. n. 105 del 2015 e dai suoi allegati:
- è esclusa l’applicabilità della normativa Seveso per gli stabilimenti in cui le sostanze pericolose non eccedono la soglia di cui alla colonna 2 (soglia inferiore);
- laddove invece la presenza di sostanze pericolose sia compresa tra la soglia di cui alla colonna 2 (soglia inferiore) e la soglia di cui alla colonna 3 (soglia superiore), trovano applicazione le disposizioni relative ai c.d. “stabilimenti di soglia inferiore”;
- ove, infine, si superi la soglia di cui alla colonna 3, si procede ad applicare integralmente la normativa (c.d. “stabilimenti di soglia superiore”) (cfr. art. 3, d.lgs. n. 105 del 2015).
Risulta pertanto determinante il concetto di “presenza di sostanze pericolose” definito dall’art. 3, lett. n), del d.lgs. n. 105 del 2015, il quale riprende quanto previsto dall’art. 3, n. 12, della direttiva 2012/18/UE.
Risulta altresì determinante l’interpretazione dell’obbligo previsto all’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 105 del 2015 il quale – riprendendo quanto disposto dall’art. 7, par. 1 e 2, della direttiva 2012/18/UE – obbliga il gestore “a trasmettere, con le modalità di cui al comma 5… una notifica, redatta secondo il modulo riportato in allegato 5”, contenente le informazioni enumerate all’art. 13, comma 2.
III.3. La sentenza non definitiva n. 490 del 25 gennaio 2022, al punto 17.1., aveva escluso la ricorrenza di ragionevoli dubbi interpretativi nella soluzione da fornire alla questione pregiudiziale rilevante nel caso di specie, ma anche che non era possibile dimostrare con certezza che l’interpretazione da dare alle pertinenti disposizioni si affermasse soggettivamente, con evidenza, anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri e presso la stessa Corte di Giustizia.
III.4. Con l’ordinanza del 15 dicembre 2022, causa C-144/22, la Corte di Giustizia ha escluso l’obbligo del rinvio pregiudiziale se “l’interpretazione corretta del diritto UE si impone con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi”, ma ha puntualizzato che “non risulta che un giudice nazionale … debba ‘dimostrare in maniera circostanziata’ che la medesima evidenza si impone anche ai giudici degli altri Stati membri e alla Corte”.
Ai punti da 37 a 42, la Corte di Giustizia ha anche fornito una serie di criteri per escludere, eventualmente, la sussistenza del ragionevole dubbio.
III.5. Questo Collegio – pur consapevole della assoluta eccezionalità dell’ipotesi di un ulteriore rinvio nell’ambito dello stesso giudizio – ritiene che nello specifico caso di specie il dubbio interpretativo permanga, all’esito dell’applicazione dei criteri forniti dalla Corte di Giustizia.
Si evidenzia, infatti, che l’art. 7 della Direttiva 4 luglio 2012, n. 2012/18/UE, inerente all’obbligo di notifica, dispone che “Gli Stati membri provvedono affinché il gestore sia obbligato a trasmettere una notifica all’autorità competente contenente le seguenti informazioni:
(…)
d) le informazioni che consentano di individuare le sostanze pericolose e la categoria delle sostanze pericolose interessate o che possono essere presenti; …”.
La norma della Direttiva consente, dunque, a ciascuno Stato la scelta della modalità più opportuna con la quale il gestore deve comunicare le informazioni che consentano di individuare le sostanze pericolose interessate o che possono essere presenti (cfr. il punto 37 dell’ordinanza della Corte di Giustizia, secondo cui la discrezionalità del legislatore è una caratteristica propria del diritto dell’Unione).
La norma della Direttiva, se da un lato lascia un certo ambito di discrezionalità per le scelte applicative, concentrandosi solo sulla “effettività” del sistema, dall’altro non sembra impedire allo Stato membro nemmeno di scegliere “una” ed “una sola modalità” di comunicazione delle informazioni.
La norma della Direttiva consente al gestore di effettuare “una notifica” e l’espressione adoperata dalla Direttiva non sembrerebbe richiedere una modalità predeterminata: questo aspetto costituisce un elemento di difficoltà nell’interpretazione della disciplina della Direttiva, che potrebbe determinare divergenze giurisprudenziali nell’ambito dell’U.E., secondo il criterio del punto 37 dell’ordinanza della Corte di Giustizia.
Risulta difficile interpretare l’uso nell’ambito della normativa europea dell’espressione “una notifica”, perché se, da un lato, si potrebbe ritenere che il termine debba intendersi nel senso stabilito da ciascun legislatore nazionale, da un altro lato, si potrebbe ritenere che “una notifica” significhi che il gestore può adoperare qualunque forma di comunicazione delle informazioni (punto 41 dell’ordinanza della Corte di Giustizia, secondo cui il diritto dell’Unione impiega una terminologia “che gli è propria e nozioni autonome”).
Le parti del giudizio non hanno indicato e comprovato particolari divergenze nelle varie versioni linguistiche della Direttiva, né questo Consiglio è a conoscenza dell’esistenza di tali divergenze (punto 40 dell’ordinanza della Corte di Giustizia).
Nell’ordinamento italiano, l’unica modalità indicata dal legislatore è costituita dalla notifica dell’art. 13 del d.lgs. n. 105 del 2015, redatta secondo il modulo riportato in allegato 5, sottoscritta nelle forme dell'autocertificazione (articoli 46, 47 e 76 del d.P.R. n. 445 del 2000 e, dunque, con l’assunzione della responsabilità penale, in caso di dichiarazioni false), senza ammettere modalità equivalenti di comunicazione (che, per l’appunto, non prevedono la responsabilità penale).
III.6. La ditta-OMISSIS- ritiene, invece, che la normativa dell’Unione europea osterebbe ad una normativa come quella italiana che preclude altre modalità di trasmissione e, pertanto, ha formulato il quesito precedentemente trascritto al punto I.10, lett. “c)”.
III.7. Il Collegio ritiene che permangono dubbi interpretativi in merito alla normativa in questione.
Ad esempio, si potrebbe sostenere che la Direttiva europea – interpretata anche alla stregua dei principi del Trattato in materia di concorrenza e di libertà di stabilimento – non consenta al legislatore nazionale di escludere, con la rigidità della “modalità unica”, forme di verifica e di monitoraggio tecnologicamente più innovative e avanzate, meno restrittive della concorrenza nel territorio dell’Unione, altrettanto efficaci ma più semplici e meno onerose per le imprese.
Naturalmente, questa esigenza deve essere contemperata con la necessità di tutela dell’ambiente e della sicurezza, particolarmente stringente nel settore in questione: è il bilanciamento degli interessi che ogni giudice deve compiere nel suo lavoro di interprete, a livello europeo e nazionale, ciascuno per quanto di competenza.
Pertanto, appare necessario formulare alla Corte di Giustizia un ulteriore quesito rilevante per la definizione della controversia: «se l’art. 7 della Direttiva 2012/18/UE, che prevede che il gestore sia obbligato a trasmettere “una notifica all'autorità competente” contenente le informazioni elencate nell’art. 7, paragrafo 1, della medesima Direttiva – interpretato anche alla stregua dei principi del Trattato in materia di concorrenza e di libertà di stabilimento – osti ad una norma quale quella dell’art. 13, commi 1, 2 e 5, del d.lgs. n. 105 del 2015 che prevede che la comunicazione delle informazioni debba avvenire esclusivamente mediante “una notifica, redatta secondo il modulo riportato in allegato 5” (comma 1), “sottoscritta nelle forme dell'autocertificazione secondo quanto stabilito dalla disciplina vigente” (comma 2), “trasmessa dal gestore ai destinatari di cui al comma 1 in formato elettronico utilizzando i servizi e gli strumenti di invio telematico messi a disposizione attraverso l'inventario degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti di cui all'articolo 5, comma 3” oppure “esclusivamente via posta elettronica certificata firmata digitalmente” (comma 5), escludendo, per quel che interessa questo giudizio, una modalità di comunicazione effettuata attraverso “una procedura operativa implementata dal gestore” che contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE».
IV. Rilevanza dei quesiti di cui al punto III. Collegamento fra le disposizioni della Direttiva 2012/18/UE e la normativa nazionale applicabile alla causa principale.
IV.1. Il quesito formulato dalla ditta-OMISSIS- (punto I.10, lett. “c)” di questa ordinanza) è rilevante nella presente controversia, perché se la Corte di Giustizia interpreterà l’art. 3, n. 12 della Direttiva 2012/18/UE nel senso che essa osti a discipline nazionali che impediscano la diffusione, sul territorio dell’Unione, di una “prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore […] la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”, il Consiglio di Stato valuterà se la disciplina italiana, che prevede un’unica modalità di notifica, presenta profili censurabili per difetto di proporzionalità, ragionevolezza o di altro tipo.
IV.2. Il quesito formulato dal Consiglio (punto III.6.7. di questa ordinanza) è rilevante perché se la Corte di Giustizia deciderà che l’art. 7 della Direttiva 2012/18/UE “osta” (oppure “non osta”) ad una normativa nazionale che disciplina una sola modalità di comunicazione delle informazioni, il Consiglio di Stato valuterà se l’amministrazione italiana era tenuta a consentire (oppure a non consentire) alla ditta-OMISSIS- di comunicare le informazioni con modalità diverse e, in ragione di ciò, valuterà se la diffida impugnata è legittima oppure illegittima.
V. Formulazione dei quesiti e sospensione del giudizio.
V.1. Si propongono dunque le seguenti questioni di pregiudizialità interpretativa, invitando la Corte di Giustizia dell’Unione europea a svolgere ogni opportuno chiarimento sulle considerazioni svolte al punto II della presente ordinanza in materia di indipedenza del giudice, nonché a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sui seguenti quesiti, ambedue rilevanti ai fini della decisione della controversia:
A) “se la definizione di “presenza di sostanze pericolose” di cui all’art. 3, n. 12, della Direttiva 2012/18/UE osti ad una prassi secondo la quale la previsione dei quantitativi di sostanze pericolose presenti all’interno di un impianto di trattamento dei rifiuti sia rimessa ad una procedura operativa implementata dal gestore (ed eventualmente recepita dall’autorizzazione di cui all’art. 23 della Direttiva 2008/98/CE o di cui all’art. 4della Direttiva 2010/75/UE), la quale, qualificando i rifiuti come miscele ai sensi dell’art. 3, n. 11, della Direttiva 2012/18/UE, contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”;
B) “se l’art. 7 della Direttiva 2012/18/UE, che prevede che il gestore sia obbligato a trasmettere “una notifica all'autorità competente” contenente le informazioni elencate nell’art. 7, paragrafo 1, della medesima Direttiva, interpretato alla stregua dei principi di concorrenza e di libertà di stabilimento, osti ad una norma quale quella dell’art. 13, commi 1, 2 e 5, del d.lgs. n. 105/2015 che prevede che la comunicazione delle informazioni debba avvenire esclusivamente mediante “una notifica, redatta secondo il modulo riportato in allegato 5” (comma 1), “sottoscritta nelle forme dell'autocertificazione secondo quanto stabilito dalla disciplina vigente” (comma 2), “trasmessa dal gestore ai destinatari di cui al comma 1 in formato elettronico utilizzando i servizi e gli strumenti di invio telematico messi a disposizione attraverso l'inventario degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti di cui all'articolo 5, comma 3” oppure “esclusivamente via posta elettronica certificata firmata digitalmente” (comma 5), escludendo, per quel che interessa questo giudizio, una modalità di comunicazione effettuata attraverso “una procedura operativa implementata dal gestore” che contempli il costante monitoraggio del quantitativo delle sostanze pericolose presenti all’interno dell’impianto e garantisca il non superamento della soglia inferiore e della soglia superiore rispettivamente previste nella colonna 2 e nella colonna 3 dell’allegato 1 alla Direttiva 2012/18/UE”.
V.2. In attesa della pronuncia della Corte di Giustizia, il Collegio dispone, ai sensi dell’art. 79, comma 1, c.p.a., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in merito alle spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) riservata ogni ulteriore decisione in rito e nel merito sull’appello r.g. n. 8092/2021:
a) rinvia alla Corte di Giustizia dell’Unione europea le questioni pregiudiziali indicate in motivazione;
b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente decisione, nonché copia integrale del fascicolo di causa;
c) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la sospensione del presente giudizio;
d) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine alle spese ed onorari del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Luca Lamberti, Consigliere
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere, Estensore
Luca Monteferrante, Consigliere