Consiglio di Stato Sez. II n. 4127 del 14 maggio 2025
Urbanistica.Stato legittimo dell'immobile

Lo stato legittimo dell'immobile non può essere dimostrato mediante titoli che hanno abilitato interventi parziali, come tali non idonei a dimostrare lo stato legittimo dei contestati ampliamenti edilizi. Lo stato legittimo delle preesistenze edilizie non può estendersi alle opere meramente rappresentate nell’elaborato grafico prodotto a corredo del titolo edilizio presentato o rilasciato per altre e diverse opere.

N. 04127/2025REG.PROV.COLL.

N. 07948/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7948 del 2024, proposto dai sigg. Luca Carafa e Giancarlo Carafa, rappresentati e difesi dall’avv. Alberto Maria Durante, con domicilio digitale presso il medesimo in assenza di elezione di domicilio fisico in Roma;

contro

Comune di Nardò, non costituito in giudizio;

nei confronti

Trattoria del Vizio S.r.l.s, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (sezione prima, del 6 giugno 2024, n. 747, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 aprile 2025 il cons. Francesco Guarracino e udito per la parte appellante l’avv. Salvatore Mileto, per delega dell’avv. Alberto Maria Durante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – I sigg. Luca e Giancarlo Carafa hanno appellato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha respinto il ricorso contro l’ordinanza del Comune di Nardò che ha ingiunto loro, in qualità di proprietari di un complesso edilizio ubicato in zona A ex DM 1444/68 e destinato in parte a civili abitazioni e in parte a struttura turistico-ricettiva, di provvedere alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi con riferimento a una pluralità di interventi edilizi in ampliamento del complesso medesimo, abusivamente realizzati in difetto di titolo abilitativo, nonché di ripristinare le legittime aperture poste sulla facciata interna nel tratto prospiciente l’altrui proprietà.

2. – Il Comune di Nardò e la società Trattoria del Vizio s.r.l.s., ritualmente intimati, non si sono costituiti in giudizio.

3. – Con memoria in data 9 novembre 2024 gli appellanti hanno chiesto la riunione o la trattazione congiunta con il giudizio d’appello n.r.g. 7322 del 2024, in quanto le ordinanze di demolizione oggetto di quest’ultimo giudizio e di quello in trattazione sarebbero scaturite da esposti reciprocamente presentati dagli stessi sigg. Carafa e dai proprietari degli immobili confinanti.

4. – Alla camera di consiglio del 12 novembre 2024 gli appellanti hanno rinunciato alla domanda cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata, proposta, in via incidentale, con il ricorso d’appello.

5. – Gli appellanti hanno depositato una memoria a sostegno delle proprie ragioni.

6. – All’udienza pubblica del 1° aprile 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. – In via preliminare, va respinta l’istanza di riunione o trattazione congiunta, in quanto i giudizi attengono a vicende differenti, concernendo immobili distinti e provvedimenti adottati nei confronti di soggetti diversi.

8. – Nel merito, l’appello è affidato a un unico complesso motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti deducono:

a) l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui attribuisce ai verbali di sopralluogo del 29 giugno e del 31 ottobre 2023 valore di piena prova, sino a querela di falso, sull’epoca, consistenza e stato legittimo delle unità immobiliari oggetto delle trasformazioni, omettendo di compiere qualsiasi valutazione istruttoria sui numerosi elementi di fatto sul legittimo stato delle medesime unità alla predetta epoca;

b) la circostanza che l’onere della prova a carico del privato è attenuato dall’art. 9-bis, co. 1 lett. b, del d.p.r. 380/2001, che ridefinisce la modalità di accertamento dello “stato legittimo” di un immobile stabilendo che può essere determinato, non solo dal titolo abilitativo originario, ma anche dall’ultimo intervento edilizio effettuato, purché sia stato approvato dall’autorità competente; nel caso di specie, pertanto, la prova dello stato legittimo delle unità immobiliari e dei relativi vani oggetto dei contestati interventi di trasformazione, ristrutturazione e mutamento della destinazione d’uso era già nei dieci titoli (permessi di costruire, certificato di agibilità, SCIA, DIA) intervenuti, nell’arco di un decennio, con riferimento all’immobile de quo in assenza di qualsivoglia contestazione su eventuali difformità rispetto al suo stato legittimo; in particolare, i permessi di costruire n. 202/2011 (per un nuovo vano bagno), 454/2011 (per un ulteriore vano bagno e due angoli cottura), 324/2013, 133/2014 e 52/2013 (per la realizzazione di una centrale idrica e un manufatto precario al piano terra), in quanto funzionali al differente utilizzo dell’intero fabbricato come bed & breakfast, sotto il profilo funzionale-urbanistico erano riferibili all’intero fabbricato;

c) il difetto dei presupposti richiesti dall’art. 21 nonies, co. 2 bis, della l. 241/1990 perché l’amministrazione potesse superare l’interposizione di un provvedimento abilitativo tacito (in virtù dei dieci titoli già richiamati) tra l’ingiunzione demolitoria e l’oggetto della stessa;

d) la violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, perché il Comune poteva invitare il privato a conformare l’opera, anziché comminare direttamente la sanzione demolitoria;

e) la violazione del principio del legittimo affidamento, siccome invocato in primo grado non solo in relazione al decorso del tempo dall’esecuzione degli interventi, bensì in relazione al comportamento concludente e altamente fuorviante del Comune, il quale, pur essendo a conoscenza dello stato dei luoghi, non aveva mai sollevato alcuna obiezione sulla regolarità delle opere;

f) per quanto riguarda le aperture sulla facciata interna dell’edificio, trattandosi di un semplice oblò e di una finestra, contrariamente a quanto ritenuto dal T.a.r. non era necessario il rilascio del permesso di costruire, fermo restando che, in parte qua, l’ordine di demolizione è viziato da incompetenza e sviamento, involgendo questioni di natura civilistica tra privati confinanti.

9. – Gli ampliamenti da demolire, segnatamente, riguardavano:

- nuova costruzione a piano terra, in ampliamento dell’edificio originario, avente superficie utile di circa mq 31,50 e coperta pari a circa 38 mq, successivamente interessato da modifiche interne per la formazione di unità con finalità turistico-ricettiva;

– nuova costruzione a piano terra, contigua al predetto ampliamento, avente superficie utile di circa mq 25,74 e coperta di circa mq 30,43, destinata inizialmente a deposito e in seguito a unità turistico-ricettiva;

– vano (cucinino) della superficie utile di circa mq 6,65 relativo all’abitazione a piano secondo accessibile dal civico n. 18 e vani accessori posti al piano copertura soprastante (piano terzo) costituiti da un vano w.c. e dall’ampliamento del vano lavanderia per una superficie coperta pari a circa mq 12,58 (ml 1,7x7,4);

– balcone sulla facciata prospiciente via Lopez di pertinenza dell’unità abitativa a piano secondo.

10. – Le due nuove costruzioni a piano terra, come riportato nell’ordinanza comunale senza trovare smentita in giudizio, sono assenti nelle foto aeree del 1969, 1975, 2000 e 2006, mentre compaiono in quella del 2011.

11. – Nel respingere il ricorso di primo grado, il T.a.r. ha ritenuto che i ricorrenti non avessero offerto alcuna prova o principio di prova idoneo a dimostrare lo stato legittimo della costruzione.

Ha osservato in tal senso che a nulla rilevava il riferimento dei ricorrenti allo stato di fatto rappresentato nelle tavole di progetto allegate alle pratiche edilizie presentate per i plurimi interventi che hanno interessato negli anni l’edificio, in quanto i titoli edilizi richiamati, riguardando lievi modifiche interne e cambi di destinazione d’uso, non hanno mai legittimato la realizzazione dei manufatti contestati, né gli ampliamenti risultano essere stati autorizzati da alcun titolo che ne abbia esaminato la loro compatibilità urbanistica.

Lo stesso per gli esiti del sopralluogo effettato il 9 ottobre 2013, anzitutto perché le verifiche eseguite in tale data hanno interessato soltanto le opere in corso di realizzazione, tra le quali non compaiono gli ampliamenti volumetrici in contestazione.

12. – Anche nel provvedimento impugnato risulta precisato che «nei confronti delle odierne porzioni abusive, tali titoli non hanno mai inteso assentirne la loro edificazione bensì al più consentirne modesti interventi di modifiche interne e mutamento d’uso, peraltro ammessi in ragione di una asserita legittimità ora rivelatasi falsamente prodotta, condizionando l’operato istruttorio» e che quei titoli edilizi non avevano rilievo perché «relativi a mere opere di recupero e ristrutturazione».

13. – Come si è visto, gli appellanti insistono sull’illegittimità dell’ordinanza di demolizione perché intervenuta a distanza di oltre un decennio dai titoli e dalle pratiche edilizie elencate nel ricorso di primo grado senza che il Comune abbia mai sollevato obiezione sulla regolarità delle opere da realizzare, sul carattere abusivo dei locali oggetto dei lavori, sullo stato dei luoghi rappresentato graficamente e sulla destinazione d’uso degli stessi.

14. – Tuttavia, sebbene per l’art. 9-bis, co. 1-bis, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nel testo vigente all’epoca del provvedimento impugnato, «lo stato legittimo dell’immobile o dell’unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa o da quello, rilasciato o assentito, che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali», nel caso di specie i titoli invocati dagli appellanti non soddisfano queste condizioni, poiché si riferiscono tutti a interventi specifici e puntuali, nessuno dei quali ha interessato l’intero immobile o l’intera unità immobiliare.

Né questa circostanza ostativa può essere superata adducendo che, essendo gli interventi funzionalmente preordinati all’utilizzo turistico-ricettivo dello stabile, i relativi titoli sarebbero stati riferibili al fabbricato per intero.

Si tratta, infatti, pur sempre di titoli che hanno abilitato interventi parziali, come tali non idonei a dimostrare lo stato legittimo dei contestati ampliamenti edilizi.

E all’epoca come adesso (v. Cons. Stato, sez. VII, 18 febbraio 2025, n. 1382, in relazione all’art. 9 bis cit. come modificato dal d.l. 29 maggio 2024, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 settembre 2024, n. 120), lo stato legittimo delle preesistenze edilizie non poteva estendersi alle opere meramente rappresentate nell’elaborato grafico prodotto a corredo del titolo edilizio presentato o rilasciato per altre e diverse opere.

15. – Ne segue anche che il primo giudice ha correttamente escluso che venisse in rilievo l’esercizio di poteri di autotutela su precedenti titoli edilizi.

16. – Quanto al richiamo, nella sentenza appellata, alla portata fidefaciente del verbale di sopralluogo, esso è relativo, anzitutto, all’accertamento dello stato di fatto, cioè alla constatazione della presenza delle opere contestate e, in relazione a tale aspetto, l’efficacia probatoria del verbale non è stata contestata.

Ebbene, come si è visto, della legittimità di queste opere gli interessati non hanno dato dimostrazione, né nel primo grado del giudizio, come puntualmente rilevato dal T.a.r., né nel presente grado d’appello.

17. – Tanto basta al rigetto delle doglianze che si sono in precedenza riassunte al punto 8 sub a), b), c).

18. – Non fondate sono pure le doglianze riferite alla dedotta violazione dei principi di proporzionalità e di ragionevolezza e del legittimo affidamento di cui sopra, punto 8 sub d) ed e).

L’amministrazione procedente, infatti, non era titolare di un potere discrezionale, implicante una scelta in ordine alla tipologia di sanzione in concreto da assumere, bensì vincolata alla repressione delle opere abusive, e la tesi che avesse tenuto un comportamento concludente e fuorviante, perché già a conoscenza dello stato dei luoghi, è risultata infondata (v. punto 14).

19. – Venendo, infine, alla questione delle aperture sulla facciata interna dell’edificio, l’esame dell’ordinanza impugnata in primo grado consente di rilevare che:

- nella parte dispositiva, dopo aver ordinato la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi con riferimento agli ampliamenti (cioè: le due nuove costruzioni a piano terra, il vano cucinino relativo all’abitazione al piano secondo e i vani accessori al piano terzo, costituiti da un vano w.c. e dall’ampliamento del vano lavanderia, nonché il balcone sulla facciata prospiciente via Lopez di pertinenza dell’unità abitativa al piano secondo) e dopo aver rinviato le eventuali determinazioni sanzionatorie relative alle difformità dell’abitazione al piano primo all’esito dell’accertamento di conformità ex art. 36 d.P.R. 380/01 richiesto con istanza rubricata al n. 1467/2023, nel provvedimento si dispone «il ripristino delle legittime ‘aperture’ poste sulla facciata interna nel tratto prospiciente l’altrui proprietà al fine di osservare le disposizioni rivenienti in tal senso dal codice civile in tema di vedute dirette ex art. 905 codice civile ovvero ricondursi alle disposizioni in tema di ‘luci’ ex art. 901 codice civile»;

- nella parte motiva, tuttavia, dopo aver esposto le ragioni a fondamento dell’ingiunzione di demolizione delle opere in ampliamento poc’anzi dette, nel provvedimento si afferma che:

«Il medesimo complesso edilizio risulta inoltre interessato da ulteriori interventi, di minore entità, ragionevolmente assoggettati al previo rilascio della SCIA secondo il procedimento di cui all’art. 22 DPR 380/01. In tal senso si riscontra:

- la formazione di un’apertura nel vano lavanderia prospiciente su spazio interno, fatta salva la sua legittimità per gli ulteriori profili civilistici in tema di aperture sul confine con altrui proprietà;

- aumento della superficie utile della ‘camera’ per uso turistico ricettivo denominata ‘Syria’ mediante utilizzazione dello spazio precedentemente occupato da una scala interna quale collegamento con il piano seminterrato sottostante;

- diversa tipologia della scala interna posta all’interno della ‘camera’ di mq 9,80 avente accesso da via Lopez n. 20;

- modeste variazioni nella funzione d’uso di alcuni vani.

Tali modifiche, che non hanno inciso sul legittimo sviluppo planovolumetrico, sono assoggettate al regime sanzionatorio di cui all’art. 37 DPR 380/01 ovvero all’applicazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 1 che in via preliminare si ritiene applicabile nella misura pari ad € 516,00, fatto salvo conguaglio all’esito della presentazione di apposita istanza di regolarizzazione, cui obbligata la parte, la cui positiva conclusione, subordinata alla preliminare acquisizione del propedeutico parere soprintendizio, determina la definitiva regolarizzazione urbanistica delle predette modifiche, fatta salva l’ulteriore sanzione di cui al comma 2».

20. – D’altro canto, il provvedimento risulta espressamente emesso, come da richiami normativi contenuti nel preambolo, con riferimento non solo all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, concernente gli interventi edilizi eseguiti in assenza di titolo, in totale difformità o con variazioni essenziali, ma anche all’art. 37 dello stesso d.P.R., sugli interventi realizzati in assenza di SCIA ed accertamento di conformità.

Inoltre, lo stesso oggetto del provvedimento è indicato essere «Ordinanza di demolizione ex art. 31 DPR 380/01 di manufatti abusivi in ampliamento al complesso edilizio sito nel centro storico in via Lopez n. 12-18¬20, ed applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 37 per residuali interventi eseguiti in assenza della SCIA ex art. 22 DPR 380/01 nei confronti dei Sigg.ri Carafa Giancarlo e Carafa Luca».

21. – Tutto ciò per dire che il Comune non ha affatto presupposto che per la realizzazione dell’apertura fosse necessario il rilascio del permesso di costruire, come invece opinato nel ricorso di appello (peraltro per la prima volta e, quindi, in violazione del divieto dei nova ex art. 104, co. 1, c.p.a.), bensì la SCIA, nella specie mancante, con le conseguenze previste e regolate dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/01 con riferimento al fatto che l’immobile è ubicato in zona territoriale omogenea “A”.

E poiché il provvedimento, in parte qua, è motivato in ragione della mancanza di SCIA, ancor prima che per la necessità di ripristinare condizioni di rispetto delle disposizioni del codice civile in materia di luci e di vedute dirette, le critiche di sviamento e incompetenza articolate in primo grado per l’essersi il Comune ingerito in una vicenda privatistica tra i proprietari confinanti, che sono anche le uniche censure rivolte in parte qua al provvedimento, quand’anche fondate non sarebbero comunque sufficienti a determinarne l’annullamento.

Sicché, in conclusione, sullo specifico punto la sentenza impugnata va confermata con diversa motivazione.

22. – Per tutte queste ragioni, l’appello dev’essere respinto.

23. – Nulla va disposto per le spese del grado del giudizio, in difetto di costituzione delle parti intimate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 aprile 2025 con l’intervento dei magistrati:

Oberdan Forlenza, Presidente

Giovanni Sabbato, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere

Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore

Maria Stella Boscarino, Consigliere