Cass. Sez. III n.48737 del 5 dicembre 2013 (Ud. 13 nov. 2013)
Pres. Mannino Est. Ramacci Ric. Di Micco
Rifiuti. Rifiuti da imballaggio

Rientra nell'attività di illecita gestione, sanzionata dall'art. 256, comma 1 d.lgs. 152\2006, lo smaltimento mediante combustione di rifiuti di imballaggio (nella specie, polistirolo) effettuato in assenza del prescritto titolo abilitativo.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Trani, con sentenza del 26.9.2012, ha condannato D.M.M. alla pena dell'ammenda per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) perchè, nella qualità di legale rappresentante della "COFER s.r.l.", effettuava attività di smaltimento di rifiuti mediante incenerimento, in assenza del prescritto titolo abilitativo (in (OMISSIS)).

Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione.

2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 62 e 63 c.p.p., rilevando come il giudice del merito avrebbe illegittimamente utilizzato dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria la quale, intervenuta nell'area aziendale dopo aver notato la presenza di una colonna di fumo, veniva informata che si stavano bruciando rifiuti da imballaggio.

Osservava, a tale proposito, che tali dichiarazioni sarebbero state rilasciate dopo l'avvio di una specifica attività di controllo sui rifiuti e l'accertamento dell'illecito smaltimento e, pertanto, quando egli aveva già assunto la qualifica di indiziato di reità e che, in ogni caso, tali dichiarazioni sarebbero state comunque inutilizzabili se considerate come spontanee o rese nell'ambito di attività ispettiva di natura amministrativa.

3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, assumendo che gli imballaggi "pacificamente costituiscono rifiuti assimilabili agli urbani" e, in quanto tali, sarebbero assoggettabili alla disciplina di cui al cit.

D.Lgs., art. 222 e ss., la cui violazione comporterebbe l'applicazione delle sole sanzioni amministrative di cui al successivo art. 261.

Aggiunge che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 non contemplerebbe sanzioni per i privati non esercenti professionalmente attività di smaltimento di rifiuti per l'irregolare smaltimento di rifiuti urbani o ad essi assimilabili, bensì esclusivamente per l'irregolare smaltimento di rifiuti speciali.

Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.

Occorre rilevare, per ciò che concerne il primo motivo di ricorso, che il Tribunale, nel descrivere le modalità di accertamento del reato, precisa come un ufficiale del personale del Corpo Forestale dello Stato - Stazione di Andria, escusso come teste, avesse riferito che, mentre erano in corso controlli sulla strada provinciale 130, veniva notata una colonna di fumo levarsi dalla zona industriale alla periferia di Trani e che, recatosi sul posto, entrò nello stabilimento della "COFER s.r.l." incontrando l'imputato e da questi apprendendo che si stavano bruciando rifiuti di imballaggio, in particolare polistirolo.

Tale è, dunque, la ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice del merito che non può essere ovviamente oggetto, in questa sede di legittimità, di nuova o diversa valutazione.

Sulla base di tale dato fattuale il Tribunale ha escluso la fondatezza dell'eccezione di inutilizzabilità sollevata dalla difesa dell'imputato, osservando che l'affermazione riferita dal teste era stata percepita prima dell'accertamento di qualsivoglia violazione penale e ciò in quanto lo scopo dell'intervento era soltanto quello di verificare l'origine della colonna di fumo vista in precedenza.

Così facendo, il giudice del merito ha proceduto, ad avviso del Collegio, ad una applicazione giuridicamente corretta delle disposizioni che in ricorso si assumono violate e che risulta, peraltro, allineata alla costante giurisprudenza di questa Corte.

5. Invero, come si è già avuto modo di osservare, il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni dell'indagato o imputato, imposto dall'art. 62 c.p.p., opera con riferimento alle sole dichiarazioni rese comunque nel procedimento e, cioè, a quelle assunte nel compimento di uno specifico atto del procedimento quale, ad esempio, l'interrogatorio o l'esame e ricevute da soggetto investito di particolare qualifica processuale in relazione al procedimento medesimo e tra le quali figura anche quella di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Osservando che la disposizione codicistica in esame si riferisce alle dichiarazioni rese "nel corso del procedimento" e non in pendenza di esso, si è dunque stabilito che "vengono in considerazione, nell'ottica delineata dall'art. 62 c.p.p., le sole dichiarazioni rese dall'imputato o dall'indagato nella sede processuale ed ai soggetti deputati istituzionalmente alla loro raccolta, con conseguente inibizione dell'ingresso, nel materiale cognitivo a disposizione del giudice, di fonti surrogatorie o sostitutive dell'eventuale carenza di documentazione formale", mentre il divieto non opera per le dichiarazioni rese al di fuori del procedimento o prima delle indagini, che possono essere oggetto di libera valutazione da parte del giudice in quanto assumono la valenza di fatto storico percepito e riferito dal teste (Sez. 6, n. 1764, 15 gennaio 2013; Sez. 6, n. 22456, 28 maggio 2009; Sez. 2, n. 17437, 23 aprile 2009; Sez. 2, n. 4439, 2 febbraio 2009; Sez. 5, n. 32906, 17 agosto 2007; Sez. 1, n. 35539, 16 settembre 2003; Sez. 5, n. 2245, 22 febbraio 1999 ed altre conf.).

In altre occasioni, nel ribadire come il divieto di cui all'art. 62 c.p.p. operi solo in relazione alle dichiarazioni rese nel corso del procedimento e non anche al di fuori di esso, si è anche ricordato che la Corte Costituzionale (sent. 237 del 3 maggio 1993), dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale di tale articolo, ha precisato che il divieto in esso stabilito non ha natura assoluta ed illimitata, operando soltanto "nel procedimento" e non "in pendenza del procedimento" cosicchè, per la sua operatività, è necessario che, prescindendo dall'eventuale iscrizione nel registro degli indagati di cui all'art. 335 c.p.p., le dichiarazioni siano state rese, anche spontaneamente, in occasione del compimento di un atto del procedimento, avendo la disposizione in esame la finalità di garantire il contraddittorio nella formazione delle prove nel corso delle indagini preliminari e non anche per quelle dichiarazioni ricevute in altro ambito, prima del formale inizio delle indagini, poichè in tal caso la testimonianza di colui che le ha ricevute assume la valenza di fatto storico direttamente percepito dal teste e liberamente valutabile dal giudice del merito (Sez. 6, n. 2231, 22 gennaio 2011; Sez. 2, n. 46607, 3 dicembre 2009; Sez. 6, n. 6085, 16 febbraio 2004).

Va inoltre ricordato come, in un caso, questa Sezione abbia ulteriormente chiarito che, ai fini dell'operatività del divieto di utilizzazione di cui si tratta, occorre l'effettiva sussistenza di indizi di reità già al momento dell'assunzione delle dichiarazioni, non essendo sufficiente il semplice sospetto o la mera possibilità che il soggetto da interrogare possa risultare coinvolto nel reato (Sez. 3, n. 21747, 9 giugno 2005).

6. Date tali premesse, rileva il Collegio come, nella fattispecie, tenuto conto del fatto storico come ricostruito dal giudice del merito, doveva escludersi che il colloquio intervenuto tra la polizia giudiziaria operante ed il ricorrente potesse qualificarsi come formale dichiarazione nel senso proprio del termine in precedenza delineato nè, tanto meno, che detta comunicazione verbale fosse comunque avvenuta nell'ambito di un'attività di indagine ed in presenza di concreti indizi di reità a carico del ricorrente.

Invero, come correttamente osservato dal Tribunale, la polizia giudiziaria, che stava effettuando controlli lungo una strada provinciale, si era recata presso l'azienda dopo aver visto una colonna di fumo alzarsi dalla zona industriale, cosicchè il motivo dell'intervento altro non poteva essere che quello indicato dal giudice del merito e, cioè, l'accertamento dell'origine del fumo e la gestione di eventuali situazioni di pericolo e solo in un momento successivo all'indicazione delle cause da parte del ricorrente, occasionalmente incontrato sul posto, sono state effettuate specifiche verifiche concernenti la corretta osservanza delle disposizioni in tema di rifiuti le quali, peraltro, presuppongono non soltanto un controllo visivo della situazione in atto, ma anche la verifica della sussistenza dei prescritti titoli abilitativi e la individuazione dei soggetti responsabili, tra i quali non poteva essere automaticamente individuato, all'atto dell'intervento, il rappresentante legale della società titolare dello stabilimento soltanto perchè rivestiva tale qualità.

In altre parole, al momento dell'intervento il personale di polizia giudiziaria si era recato sul posto per ragioni che nulla avevano a che vedere con la violazione poi accertata, rispetto alla quale non risultava alcun indizio o sospetto di reità a carico del ricorrente.

Ne consegue l'infondatezza del motivo di ricorso.

7. Parimenti infondate risultano, inoltre, le censure sviluppate nel secondo motivo di ricorso che risultano frutto di una non corretta lettura delle disposizioni richiamate.

Va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto indicato in ricorso, il Tribunale ha specificato (pag. 2 della sentenza impugnata) che il materiale in fase di combustione all'atto dell'accertamento era polistirolo e non cartone.

Merita inoltre un cenno la disciplina attualmente in vigore in tema di imballaggio e rifiuti da imballaggio.

8. Come è noto, la gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio è disciplinata dal Titolo 2^ del D.Lgs. n. 152 del 2006 per gli scopi indicati nell'art. 217, comma 1.

Le disposizioni che li riguardano recepiscono la direttiva 2004/12/CE, con la quale è stata integrata e modificata la direttiva 94/62/CE e concernono la gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nazionale e di tutti i rifiuti di imballaggio derivanti dal loro impiego, utilizzati o prodotti da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici, a qualsiasi titolo, qualunque siano i materiali che li compongono. La finalità è quella di ridurre al minimo il complessivo impatto ambientale, coinvolgendo gli operatori del settore secondo il principio della "responsabilità condivisa", che comporta il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati al raggiungimento degli obiettivi generali della normativa. Viene comunque fatto salvo il contenuto delle specifiche disposizioni in materia di qualità degli imballaggi, sicurezza, protezione della salute, igiene dei prodotti imballati, trasporto e rifiuti pericolosi.

La definizione di "imballaggio" è fornita dall'art. 218, comma 1, lett. a). Si intende dunque per imballaggio: "il prodotto, composto di materiali di qualsiasi natura, adibito a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti finiti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dai produttore ai consumatore o all'utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonchè gli articoli a perdere usati allo stesso scopo".

La successiva lett. f) della medesima disposizione definisce come "rifiuto da imballaggio"; "ogni imballaggio o materiale di imballaggio, rientrante nella definizione di rifiuto di cui all'art. 183, comma 1, lett. a), esclusi i residui della produzione", mentre la lett. g) qualifica "gestione dei rifiuti da imballaggio": "le attività di gestione di cui all'art. 183, comma 1, lett. d)".

9. Vi è pertanto una sostanziale differenza tra gli imballaggi ed i rifiuti di imballaggio, avendo i primi una specifica finalità, venuta meno la quale e sussistendo le condizioni di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. a), quando, cioè, il detentore se ne disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsene, rientrano a tutti gli effetti nel novero dei rifiuti oggetto delle attività di gestione descritte nel medesimo art. 183 (attualmente alla lett. n), riferendosi l'art. 218 alla collocazione della definizione di gestione nell'art. 183 antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 205 del 2010 rispetto alle quali non è stato aggiornato).

Non è dunque corretta la sostanziale coincidenza, ritenuta in ricorso, tra imballaggi e rifiuti dovendosi invece qualificare i materiali inceneriti di cui all'imputazione quali rifiuti da imballaggio.

10. Ciò posto, deve rilevarsi che nessun rilievo assume, nella fattispecie, l'eventuale assimilabilità dei suddetti rifiuti da imballaggio ai rifiuti urbani dalla quale il ricorrente ritiene discendere la insussistenza del reato contestato e l'applicabilità eventuale di sanzioni amministrative, ipotizzando, sostanzialmente, la possibilità di conferimento di detti rifiuti nei contenitori per la raccolta di quelli urbani.

Va innanzi tutto rilevato che, nell'effettuare tali osservazioni, il ricorrente non individua in alcun modo la originaria natura dell'imballaggio secondo la ulteriore classificazione, operata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 218, lett. b), c), d) ed e) in imballaggi per la vendita (o primari), imballaggi multipli (o secondari), imballaggi per il trasporto (o terziari) ed imballaggi riutilizzabili, soggetti a regimi diversi (si consideri, ad es., il divieto di immissione di imballaggi terziari di qualsiasi natura nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani di cui all'art. 226, comma 2 o la possibilità, prevista dalla medesima disposizione, del conferimento, al servizio pubblico, solo in raccolta differenziata, di imballaggi secondari non restituiti all'utilizzatore dal commerciante al dettaglio) e che le sanzioni amministrative che egli richiama, previste dall'art. 261, riguardano specifici soggetti e situazioni del tutto differenti da quella individuata nel capo di imputazione.

Invero all'imputato è stata contestata l'illecita attività di gestione di rifiuti consistita nello smaltimento mediante incenerimento, attività correttamente ricondotta alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1.

Tale disposizione sanziona infatti penalmente chiunque effettui una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli artt. 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216. Le sanzioni, pecuniarie e detentive, sono indicate in modo diverso in relazione alla natura dei rifiuti illecitamente gestiti, prevedendo così la pena alternativa, peraltro in misura minore, con riferimento ai rifiuti non pericolosi e quella congiunta, in misura maggiore, per i rifiuti pericolosi.

La disposizione, come è evidente, non effettua alcuna distinzione dei rifiuti oggetto di illecita gestione in ragione della loro origine (urbani o speciali) considerando esclusivamente la loro classificazione in base alle caratteristiche di pericolosità.

Tra le attività di gestione illecita è contemplato anche lo smaltimento, che il D.Lgs. n. 152 del 2006 espressamente considera con riferimento ai rifiuti di imballaggio nell'art. 218, lett. p) definendolo come "ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente un imballaggio o un rifiuto di imballaggio dai circuito economico e/o di raccolta e, in particolare, le operazioni previste nell'Allegato B alla parte quarta del presente decreto".

Tra dette operazioni figura quella di cui alla lettera D10 dell'Allegato B, che il ricorrente svolgeva senza esservi abilitato.

11. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale rientra nell'attività di illecita gestione, sanzionata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lo smaltimento mediante combustione di rifiuti di imballaggio (nella specie, polistirolo) effettuato in assenza del prescritto titolo abilitativo.

La sentenza impugnata risulta dunque immune da censure ed il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2013