Lexambiente - Rivista Trimestrale di Diritto Penale dell'Ambiente
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Cass. Sez. III n. 35000 del 18 settembre 2024 (CC 29 mag 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Lazzarin ed altro
Rifiuti.Indumenti usati
Che l’indumento usato possa essere definito “sottoprodotto” è in ogni caso circostanza che mal si concilia con la necessità che il sottoprodotto derivi da un processo di produzione, trattandosi piuttosto di cosa abbandonata dal suo detentore (e dunque rifiuto ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. a, d.lgs. n. 152 del 2006) e in quanto tale non normata nemmeno dal Regolamento recante criteri indicativi per agevolare la dimostrazione della sussistenza dei requisiti per la qualifica dei residui di produzione come sottoprodotti e non come rifiuti adottato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con D.M. n. 264 del 13 ottobre 2016 che esclude dalla sua applicazione i residui derivanti dall’attività di consumo (art. 3, lett. b). Allo stesso modo, la cessazione della qualifica di rifiuto dell’indumento usato (o comunque del rifiuto tessile non proveniente da un processo di produzione) è subordinata alle operazioni di recupero, che necessitano di essere a loro volta autorizzate o comunque soggette a procedura semplificata ai sensi degli artt. 214 e segg. d.lgs. n. 152 del 2006, previste dal D.M. - Ministero dell’Ambiente - 5 febbraio 1998, Allegato 1, suballegato 1, n. 8.
Consiglio di Stato Sez. II n. 7523 del 11 settembre 2024
Urbanistica.Rilascio del Permesso di costruire ed oneri del Comune
Il permesso di costruire può essere rilasciato non solo al proprietario dell’immobile, ma a chiunque abbia titolo per richiederlo (così come previsto dall’art. 11, co. 1, DPR n. 380/2001), e tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario. Il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l'onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell'immobile oggetto dell'intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l'attività edificatoria. Quanto ora esposto (ed il concetto di “sufficienza” riferito al titolo, elaborato dalla giurisprudenza) comporta, in generale, che è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio; ma non comporta anche che l’amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo. Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento.
Cass. Sez. III n. 35123 del 19 settembre 2024 (UP 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Biancuzzi
Urbanistica.Reato di cui all’art. 75 TUE e soggetti responsabili
Il reato di cui all’art. 75 d.P.R. n. 380 del 2001 ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall'utilizzazione dell'edificio e, dall'altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all'autorità competente, con la conseguenza che il momento di cessazione della condotta antigiuridica, da cui far decorrere il termine di prescrizione, coincide con il momento di dismissione dell'utilizzo dell'immobile ovvero con il collaudo. Quanto ai profili di responsabilità, il reato è configurabile a carico del costruttore, del committente o del proprietario ma anche del direttore dei lavori il quale, in qualità di primo garante della sicurezza, è soggetto all'obbligo specifico di inibire l'utilizzazione dell'edificio prima del rilascio del certificato di collaudo.
TAR Lazio (RM) Sez.II-bis n. 16165 del 6 settembre 2024
Urbanistica.Interventi edilizi eseguiti in assenza di autorizzazione su aree di proprietà pubblica
Nessuna doppia conformità può ammettersi per opere non assentibili ai sensi della disciplina applicabile agli interventi edilizi eseguiti da privati di cui al titolo II del d.P.R. n. 380/2001, trattandosi di opere pubbliche realizzate da un concessionario di servizi pubblici soggette allo speciale procedimento abilitativo previsto dall’art. 7, comma 1, lett. b) del d.P.R. cit. e dal d.P.R. 18 aprile 1994, n. 383. Ne consegue che le opere in questione costituiscono interventi edilizi eseguiti, in assenza di autorizzazione, su aree di proprietà pubblica, per le quali l’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 prevede, quale unico rimedio sanzionatorio, l’ordine di demolizione, dovendosi interpretare la relativa disposizione con particolare rigore, in quanto l'abuso, se commesso ai danni del suolo pubblico, risulta essere ancora più grave che se commesso illegittimamente su suolo privato. L'art. 35 citato, volto a tutelare le aree demaniali o di enti pubblici dalla costruzione di manufatti da parte di privati, configura un potere di rimozione che ha carattere vincolato, rispetto al quale non può assumere rilevanza l'approfondimento circa la concreta epoca di realizzazione dei manufatti e non è configurabile un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che il tempo non può legittimare in via di fatto.
Analisi critica della proposta di Regolamento UE sulle opportunità di pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Una valutazione sulle fallacie logiche e sfide per una gestione sostenibile
di Daniela MAINENTI
Cass. Sez. III n. 35124 del 19 settembre 2024 (UP 12 giu 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Osmani ed altri
Rifiuti.Errore sulla necessità dell’autorizzazione allo svolgimento di attività di gestione
In alcun modo il consiglio del professionista può essere considerato elemento positivo idoneo a indurre in errore scusabile il titolare di un’impresa sulla necessità dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di raccolta e trasporto di rifiuti che costituisce oggetto della propria impresa, a maggior ragione se si considera che nel caso di specie il trasporto veniva effettuato senza nemmeno il formulario di identificazione (FIR) di cui all’art. 193 d.lgs. n. 152 del 2006. La scusabilità dell’errore deve essere commisurata al parametro del modello di agente, dell’“homo eiusdem professionis et condicionis”, sicché in alcun modo può dirsi scusabile l’errore di colui il quale intraprenda un’attività imprenditoriale per il cui esercizio è richiesta l’autorizzazione e che contestualmente ne ignori la necessità o la latitudine. Il dubbio impone, semmai, l’astensione o comunque sollecita la adozione di informazioni qualificate presso l’amministrazione pubblica, non di certo presso un consulente privato.
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