Cass. Civile Sez. 1, Sentenza n. 11479 del 16/05/2006
Presidente: Proto V. Estensore: Del Core S. Relatore: Del Core S. P.M. Velardi M. (Diff.)
Asm Brescia Spa ed altro (Salvadori ed altro) contro Prov. Brescia ed altro (Storace)
(Rigetta, Trib. Brescia, 23 Settembre 2002)
SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - IN GENERE - Disciplina in tema di tutela delle acque dall'inquinamento - Fognature convoglianti anche scarichi di acque reflue industriali - Valori limite di emissione di cui alla tabella 3 dell'allegato 5 al d.lgs. n. 152 del 1999 (acque industriali) - Assoggettamento.

Nel concetto di "acque urbane" sono pur sempre comprese - o, comunque, possono esserlo - le "acque industriali", se è vero che ai sensi dell'art. 2, lett. i), del d.lgs. n. 152 del 1999, applicabile ratione temporis, costituiscono "acque reflue urbane" - oltre alle "acque reflue domestiche" - il "miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento" a condizione che, in questo secondo caso, si tratti di acque "convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato". In presenza, quindi, di un sistema fognario misto, assistito da un impianto di depurazione, ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato, i limiti di emissione da rispettare sono quelli indicati alla tabella 3 dell'allegato 5 al d.lgs. citato, riferita precipuamente alle "acque industriali".
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PROTO Vincenzo - Presidente -
Dott. FORTE Fabrizio - Consigliere -
Dott. DI AMATO Sergio - Consigliere -
Dott. CULTRERA Maria Rosaria - Consigliere -
Dott. DEL CORE Sergio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ASM BRESCIA S.P.A., in persona del Presidente pro tempore, e LAZZARI FABIO, elettivamente domiciliati in ROMA VIALE GIULIO CESARE 14, presso l'avvocato PAFUNDI GABRIELE, rappresentati e difesi dall'avvocato SALVATORI VITO, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
PROVINCIA DI BRESCIA, in persona del Presidente pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA via Crescenzio 20, presso l'avvocato STORACE Francesco, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
- controricorrente -
contro
COMUNE di CELLATICA;
- intimato -
avverso la sentenza n. 2869/02 del Tribunale di BRESCIA, depositata il 23/09/02;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 03/03/2006 dal Consigliere Dott. Sergio DEL CORE;
udito per il ricorrente l'Avvocato PAFUNDI, con delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'Avvocato PAOLUCCI, con delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri motivi del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La A.s.m. s.p.a. e Fabio Lazzari si opposero all'ordinanza- ingiunzione con la quale nel maggio 2001 la Provincia di Brescia aveva irrogato loro in solido la sanzione amministrativa di L. 5.045.000 prevista per la violazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 1, in quanto lo scarico dell'impianto di depurazione del Comune di Cellatica gestito dalla società predetta aveva superato i valori-limite di emissione di cui alla tabella 3 dell'allegato 5 al D.Lgs. citato. Contestarono, in particolare, la equiparazione dello scaricatore di piena di detto impianto a un nuovo scarico non autorizzato, l'applicazione dei valori di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 28, agli scarichi provenienti dagli scaricatori di piena, i metodi di campionamento utilizzati, la rappresentatività del campione prelevato e l'applicazione della tabella 3 dell'allegato 5 agli scarichi di acque reflue urbane.
Nella resistenza dell'amministrazione convenuta, l'adito Tribunale di Brescia, con sentenza 19 settembre 2002, rigettò il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni. Poiché lo scolmatore di piena, funzionando "in continuo" malgrado non fossero in atto precipitazioni atmosferiche, non aveva in concreto svolto la sua peculiare funzione, ne era pienamente giustificata la qualificazione come (nuovo) scarico alla stregua del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 2, lettera bb), soggetto, quindi, al rispetto dei valori - limite di emissione generalmente previsti dal successivo art. 28 per tutti gli scarichi, nessuno escluso. Non valeva in contrario l'autorizzazione in precedenza concessa, sotto forma del silenzio-assenso, non potendo il provvedimento tacito riferirsi che a uno scaricatore di piena in grado di assolvere le finalità per le quali era stato predisposto. Alla luce del quadro normativo di riferimento, l'adozione del campione medio è tornato a essere, per gli scarichi industriali in acque superficiali e sul suolo, solamente tendenziale e non tassativa. In quanto l'autorità, dandone adeguata motivazione nel verbale di prelievo, può effettuare il campionamento su tempi diversi (e, quindi, anche più brevi) al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico, qualora lo giustifichino particolari esigenze legate alla specificità del singolo accertamento. Sulla scorta di tali principi, nel caso di specie il campionamento, pur se eseguito in un arco di tempo (35 minuti) decisamente inferiore a quello minimo previsto dalla legge, aveva formato un campione adeguatamente rappresentativo dello scarico, trattandosi di "liquido torbido, incolore, inodore", da cui era ictu oculi percepibile la presenza di un fenomeno inquinante, tale da giustificare il ricorso a una forma di prelievo quale quella attuata e, al tempo stesso, rendere superflua la specificazione nel verbale delle ragioni che avevano condotto alla scelta effettuata. Non valeva la regola della legittimità del campione annuo non conforme, trattandosi di "eccezione" prevista in relazione ai soli valori - limite indicati in tabella 1, laddove, viceversa, quella applicabile nella specie era la tabella 3; in ogni caso, le concentrazioni rilevate erano superiori a quelle massime consentite affinché "potesse dirsi operante l'eccezione in parola. Trattandosi non di "acque urbane" ma di "fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali", i limiti di emissione da tenere presenti, a prescindere dall'interpretazione della nota 2), erano quelli indicati non alla tabella 1 ma alla tabella 3. D'altro canto, nel concetto di "acque urbane" sono pur sempre comprese - o, comunque, possono esserlo - le "acque industriali", se è vero che costituiscono "acque reflue urbane" - oltre alle "acque reflue domestiche" - il "miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, ovvero meteoriche di dilavamento" a condizione che, in questo secondo caso, si tratti di acque "convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato" D.Lgs. n. 152 del 1999, (art. 2, lett. i). Peraltro, in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia del refluo e, quindi, dello scarico, occorre fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque scaricate: se in esso convoglino anche "acque industriali", come sicuramente nel caso di specie, tale dovrà essere ritenuta anche la natura del refluo.
La cassazione di tale sentenza è stata chiesta dalla A.s.m. s.p.a. e da Fabio Lazzari con ricorso affidato a quattro motivi, in seguito illustrati con memoria.
Resiste la Provincia di Brescia con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti denunziano violazione o falsa applicazione di norme di diritto (legislazione in materia di scaricatori di piena) e omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione. Contestano che lo scolmatore di piena annesso al depuratore del Comune di Cellatica - e autorizzato tacitamente dalla Provincia - svolga la sua funzione solo in caso di sovraccarico della rete fognaria dovuto a precipitazioni atmosferiche. Rilevano, in contrario, che tale limitazione non è prevista da alcuna disposizione di legge e che l'attivazione dello scaricatore, anche In assenza di precipitazioni atmosferiche, deve considerarsi coerente alla sua funzione che sarebbe quella di deviare dal depuratore qualsiasi ingresso anomalo (non solo acque bianche, quindi, ma anche acque luride) nella rete fognaria. E nella specie il dispositivo di scolmatore era entrato in funzione in presenza di un carico eccessivo della rete fognaria non determinato da eventi atmosferici, così come rilevato dall'A.s.m. e non contestato dalla Provincia di Brescia. Nè incombeva all'A.s.m. provare il fatto del terzo responsabile dell'eccezionale sovraccarico nella rete fognaria, laddove si era fatta istanza di consulenza tecnica d'ufficio, cui il tribunale non aveva dato seguito, per verificare che la soglia di attivazione dello scaricatore di piena e la sua taratura erano corretti e conformi alla normativa vigente.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunziano violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 54, comma 1, e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Assumono che lo scaricatore come tale non è soggetto al rispetto di alcun limite tabellare, prevedendo oltretutto per esso la normativa solo limitazioni dimensionali e non quali - quantitative; in ogni caso, alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, lo scaricatore in questione rappresentava uno scarico autorizzato, al pari dell'annesso depuratore, con conseguente possibilità di conformarsi alle prescrizioni introdotte dalla nuova disciplina sino al 31 dicembre 2005.
Con il terzo motivo, i ricorrenti denunziano violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, all. 5 e del D.Lgs. n. 258 del 2000, oltre a vizi della motivazione. Deducono l'assenza di prova della contestata violazione, in quanto, senza motivazione alcuna, il campione è stato prelevato nell'arco di soli 30 minuti anziché delle 24 ore previste dalla normativa vigente (D.Lgs. n. 152 del 1999) per il campionamento di scarichi delle acque reflue urbane, quali quelle scaricate dallo scolmatore.
Con il quarto motivo e ultimo motivo, i ricorrenti denunziano violazione del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 28, e della tabella 3 dell'allegato 5 nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Il tribunale, sostengono, ha erroneamente ritenuto applicabile allo scarico de quo i valori-limite dell'azoto nitrico previsti dalla D.Lgs. n. 152 del 1999, tabella 3 dell'allegato 5. Al contrario, in base al disposto di cui alla nota 2 apposta alla tabella 3 dell'allegato 5 predetto, per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati nella tabella 1, che non contempla l'azoto nitroso e i tensioattivi A nulla rileva, quindi, l'accertato superamento dei valori-limite relativi a tali fattori inquinanti. D'altro canto, il legislatore ammette per gli scarichi di reflui urbani un campione non conforme nell'anno, laddove non risultava che nel 1999 fossero stati prelevati altri campioni non in regola con la normativa vigente. Errata, altresì, è la qualificazione del refluo oggetto del campionamento. Invero, in contrasto con il del D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 2, lettera i), il tribunale, pur premettendo che nella specie si era sicuramente in presenza di acque reflue urbane per le quali deve applicarsi la tabella 1, ha poi inopinatamente concluso per l'applicabilità alla fattispecie dei valori di cui alla tabella 3, riguardante le acque reflue industriali, sul presupposto, del tutto immotivato, che nel refluo in questione venissero convogliate anche acque di tale tipo. I primi due motivi, per la complementarietà delle rispettive censure, vanno esaminati congiuntamente.
Essi si rivelano infondati.
La rete fognaria è in prevalenza del tipo unitario, con un solo condotto che raccoglie sia le acque usate e di rifiuto che le acque piovane. Esistono, poi, le reti separate per le acque usate e quelle meteoriche. C'è, infine, il sistema separatore-misto dove le acque meteoriche di prima pioggia, a causa del loro elevato carico inquinante, vengono avviate a depurazione.
Come è noto, sulle reti fognarie di tipo misto, per impedire sovrappressioni, sono installati gli scolmatori (alias scaricatori) di piena, cioè una sorta di valvola di sicurezza che entra in funzione quando l'ingresso di acque meteoriche nella rete mista eccede una certa soglia, considerata pericolosa per la fognatura. Gli impianti di depurazione devono così essere dotati di apposito manufatto scolmatore, installato a monte, atto ad escludere, nel caso di portate superiori a quelle trattabili, alterazioni al processo depurativo caratteristico dell'impianto. L'acqua eccedente la portata della rete fognaria a valle dello scolmatore determinerebbe, infatti, una diluizione del refluo fognario che, oltre un certo limite, non consente al depuratore di attivare regolarmente il processo depurativo.
Lo scolmatore di piena è, quindi, un sistema all'interno della rete fognaria finalizzato a garantire, durante eventi meteorici di rilievo, che il refluo fognario giunga al depuratore più o meno sempre allo stesso livello di concentrazione. In altri termini, in caso di pioggia, le acque in eccesso, miste ai liquami civili e industriali, vengono direttamente recapitate a un corpo idrico superficiale. Naturalmente, qualora si verifichi l'evento, i liquami vengono scaricati senza trattamento depurativo, salvo per quella quota che ha raggiunto il depuratore e che può essere passata almeno per un sistema di grigliatura-decantazione. In acque superficiali giungono, pertanto, molti degli inquinanti prodotti dalle attività industriali e artigianali del bacino servito. L'effetto inquinante è tuttavia (se non proprio annullato almeno) notevolmente mitigato dalla diluizione apportata dalle acque di pioggia. A questo scopo, la taratura dello scolmatore tiene conto della sua entrata in funzione per portate che superano di 3-5 volte la portata media, in tempo secco. Il D.M. 4 aprile 1996 punto 83,1. richiede una diluizione maggiore di 3 volte la a portata nera media. Sono noti anche rapporti di diluizione maggiori fino a 1+19. Le scelte sono condizionate dalle caratteristiche climatiche della zona, dai tempi di osservazione dei fenomeni metereologici con tempi di ritorno di 25 o 50 anni Tuttavia, dovrebbero essere considerati anche i corpi recipienti, non tutti adeguati per capacità di carico. Ad esempio, un corpo idrico immobile o con movimenti lentissimi, quale un lago, comporta nel tempo anche effetti cumulativi (in specie nei sedimenti) i quali ne sconsiglierebbero l'uso come recapito, cosa che non è sempre possibile evitare. Per questi motivi ormai si tende a superare il principio della diluizione e a intervenire a monte, mediante l'installazione di vasche di prima pioggia che hanno una funzione idraulica, quella di ridurre la velocità dell'acqua, e una funzione disinquinante, quella di decantare le particene solide. Tutto ciò premesso, anche se gli scolmatori corrispondono sicuramente alla definizione di scarico presente nel D.Lgs. n. 152 del 1999 non è possibile (in generale) considerarli tali. A maggior ragione non avrebbe senso stabilire un limite allo scarico di tale tipo di manufatti. C'è tuttavia scolmatore e scolmatore. Quello che si attiva in occasione di fenomeni piovosi, assicurando il rapporto di diluizione sulla base del quale è stato calcolato, e quello che, invece, scarica regolarmente reflui urbani nel corpo idrico recettore anche se non cade una goccia d'acqua piovana. Nel pruno caso, il corretto funzionamento dello scolmatore, vale a dire la sua attivazione con scarico di reflui in continuo, è solamente quello che si verifica in concomitanza con un anomalo ingresso di acque bianche nella rete fognaria, generalmente connesso a fenomeni di abbondanti piogge. Diverso è il secondo caso prospettato, indice di un afflusso anomalo alla rete fognaria, non determinato da acque bianche e quindi comunque irregolare dove è necessario intervenire e far intervenire chi di dovere perché il disfunzionamento cessi. Solo in queste occasioni, se nessuno Interviene, è giuridicamente corretto contestare lo scarico non autorizzato.
Ora, nella specie è pacifico in punto di fatto che, al momento dell'accertamento, lo scaricatore di piena funzionava in continuazione pur in assenza di precipitazioni atmosferiche e che il refluo in eccesso era costituito da acque luride.
Per i principi sopra esposti, lo scaricatore o scolmatore di piena non poteva dirsi conforme allo scopo per il quale viene solitamente predisposto, avendo in tal modo scaricato non un refluo molto diluito (e quindi poco inquinante), ma, al contrario, un refluo ancor più concentrato di quello ordinariamente condotto dalla fognatura, come dimostrato dalle analisi effettuate presso il manufatto in questione, da cui è scaturita la sanzione per cui è causa.
Del resto, gli stessi ricorrenti hanno prospettato l'ingresso di afflussi anomali e parassiti ma, come si è accennato, ciò si traduce in colpa del gestore dell'impianto di depurazione, la cui responsabilità è di tipo oggettivo, per esimersi dalla quale egli avrebbe dovuto dare la prova (mancata nella specie) di avere denunziato al Comune una simile anomalia.
Per vero, dalla normativa di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999 viene a essere attribuita al gestore dell'impianto di depurazione delle acque reflue urbane il compito di garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, ispirandosi ai criteri dettati dall'art. 28 stesso decreto, ossia il rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e il rispetto dei valori-limite di emissione previsti nell'allegato 5. Sul gestore, in particolare, ove la situazione rimanga immutata, grava l'obbligo di verificare in continuazione la idoneità del sistema di smaltimento a mantenere le acque reflue nei limiti ammessi e, in caso contrario, di attivarsi per effettuare i necessari interventi o denunziare all'ente proprietario dell'impianto le anomalie che ne impediscono il normale funzionamento. Pertanto, il gestore dell'impianto di depurazione da cui origina lo scarico riscontrato non in regola con i limiti di accettabilità previsti per legge è oggettivamente responsabile dell'accertata violazione a meno che non ne dimostri la ricondudbilità al fatto del terzo, avvenuto contro la sua volontà e senza possibilità di ovviarvi per tempo.
Lo scarico derivante dallo scolmatore di piena, non funzionante in maniera consona allo scopo per il quale era stato progettato ed (eventualmente) autorizzato, rientra nella relativa definizione operata dal D.Lgs. n. 152 del 1999, art. 2 e si configura come nuovo e quindi "non esistente" al momento della entrata in vigore della normativa predetta. Al riguardo, infatti, il D.Lgs. n. 152 del 1999, all'art. 2, lett. cc bis), definisce come scarichi esistenti "... gli scarichi di acque reflue urbane che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente ovvero di impianti di trattamento di acque reflue urbane per i quali alla stessa data siano già state completate tutte le procedure relative alle gare di appalto e all'assegnazione lavori; gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativo previgente; gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e già autorizzati.". Se così è, lo scarico nuovo e non autorizzato deve considerarsi immediatamente soggetto alla nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 152 del 1999 e, quindi, al rispetto dei valori-limite indicati nell'allegato 5 al decreto citato, ai sensi di quanto previsto dall'art. 28 per tutti gli scarichi. In altre parole, per non essere assoggettato al limiti tabellari previsti dal D.Lgs. n. 152 del 1999 lo scaricatore deve funzionare in maniera corretta, e cioè attivarsi solo in presenza di fenomeni metereologici di una certa rilevanza, ovverosia, soltanto a seguito dell'ingresso di acque bianche o comunque di reflui fognari conseguentemente molto diluiti, come tali generalmente rientranti nei limiti tabellari.
Al contrario, nel caso di specie, come più sopra evidenziato, al momento dell'accertamento, lo scolmatore di piena dell'impianto gestito dall'A.s.m. s.p.a. non svolgeva la funzione propria di tale tipologia di scarico ma, essendo continuamente in azione in pure in assenza di piogge abbondanti, doveva ritenersi come scarico diverso da quello autorizzato e quindi nuovo, ancorché originariamente connesso al depuratore comunale, e non "esistente" ai sensi del citato art. 2, lett. cc bis). Di conseguenza, esso era soggetto alla disciplina prevista per tutti gli scarichi, e, in particolare, all'obbligo del rispetto dei valori-limite di cui all'allegato 5. L'autorizzazione tacita non poteva che riguardare uno scaricatore funzionante in maniera conforme alla propria natura e non, invece, un manufatto in concreto trasformatosi in uno scarico ordinario. Ne consegue che allo scarico in parola, non conforme alla originaria autorizzazione provinciale e quindi non esistente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, non può applicarsi il regime transitorio ivi previsto (art. 62, comma 11). Il terzo motivo è infondato.
Deve anzitutto precisarsi, in proposito, che, ai sensi del punto due del D.Lgs. n. 152 del 1999, allegato 5, il campionamento medio nelle 24 ore va effettuato esclusivamente nelle ipotesi di scarichi di acque reflue urbane (limiti tabelle 1 e 2) e non invece nell'ipotesi - ricorrente nella fattispecie (vedi infra) - di scarichi di acque reflue industriali (limiti tabella 3) in ordine ai quali l'autorità competente per il controllo dovrà eseguire, per accertare il superamento dei valori limite di emissione, campioni medi ponderati prelevati nell'arco di tre ore.
Ciò premesso, è indubbio che con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152 del 1999, applicabile ratione temporis, non è più prevista la possibilità di eseguire campionamenti istantanei per il controllo della conformità degli scarichi in relazione ai valori-limite di emissione dettati dalle tabelle 1, 23 e 4 dell'allegato 5. Il venir meno di qualsiasi riferimento alla possibilità di un campionamento istantaneo (previsto dalla sola Tabella A) dalla legge Merli, ma ritenuto applicabile anche per la verifica dei limiti della Tabella C) è stata criticata da acuta dottrina sul rilievo che ciò avrebbe comportato maggiori problemi, sia pratici che processuali, nella verifica dell'inquinamento idrico.
Il problema della sopravvivenza del metodo istantaneo di campionamento assume allora rilevanza di carattere generale. Ora, se è vero che analizzando compiutamente la nuova disciplina emerge con assoluta chiarezza il favore del legislatore per il campionamento medio come criterio base per la valutazione della potenzialità inquinante dello scarico, occorre anche tenere presenti tre elementi.
Il primo è che il D.Lgs. n. 152 del 1999, artt. 54 e 59, puniscono il superamento dei limiti tabellari anche per effetto di immissioni occasionali, cioè di comportamenti a limitata valenza temporale, di regola inferiore alle tre ore. Se il campionamento medio fosse l'unica forma di verifica consentita, si avrebbe un sostanziale svuotamento delle previsioni sanzionatorie poiché il superamento dei limiti tabellari in seguito a immissioni occasionali non sarebbe di fatto perseguibile.
In secondo luogo, non è da escludere che il destinatario del controllo, una volta che questo sia iniziato, prima del decorso delle tre ore, cessi (temporaneamente e per il tempo in cui si protrae la verifica) di sversare le sostanze inquinanti. Se fosse richiesto in modo inderogabile il campionamento medio, sarebbero del tutto vanificate le previsioni sanzionatorie in tema di violazione dei limiti tabellari e verrebbe ad essere consentita la sostanziale impunità per fatti anche gravi di inquinamento: si pensi all'ipotesi in cui, dopo il primo prelievo da cui risulti la presenza di sostanza inquinante, il titolare dell'insediamento continui a scaricare soltanto acque di lavaggio o di raffreddamento; o al caso in cui, durante il campionamento, il titolare dell'insediamento proceda a modifiche nel ciclo produttivo o ad altri interventi correttivi sul processo di depurazione tali da ridurre la genuinità del prelievo in vista della verifica della composizione dello scarico; d'altro canto, gli scarichi potrebbero non durare, per propria natura e/o per altre caratteristiche intrinseche (si pensi al caso paradigmatico dell'immissione occasionale), almeno tre ore.
Va, Infine, considerato che il D.Lgs. n. 152 del 1999 non prevede alcuna sanzione di inutilizzabilità per lo svolgimento di prelievi in difformità dalle regole sopra enunciate, con ciò implicitamente confermando il principio che l'attività relativa al prelevamento dei campioni ha natura amministrativa e che la scelta del metodo più appropriato al caso specifico è rimessa alla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione.
Ed allora il principio da tenere presente deve essere la funzione meramente strumentale del campionamento, che deve non tanto rispondere alle esigenze formali del rispetto delle procedure, quanto provare, sotto il profilo sostanziale, la rappresentatività dello scarico; occorre cioè fornire al giudice tutti gli elementi necessari perché egli, nel suo libero convincimento, possa valutare se, a seguito dell'attività amministrativa di controllo e prelievo, risultino violati i limiti di emissione v previsti dalle tabelle allegate al D.Lgs. citato.
In tale prospettiva la clausola di salvaguardia contenuta nel punto 4 del D.Lgs. n. 152 del 1999, allegato 5, che fa salve le procedure di controllo, campionamento e misura definite dalla normativa in essere, prima della sua entrata in vigore, sembra assumere una valenza fondamentale nel recupero della possibilità di campionamento istantaneo. A patto che, trattandosi di eccezione rispetto alla regola, gli organi di controllo attestino in modo analitico e puntuale le circostanze per le quali sono ricorsi a tale metodo e le ragioni per cui lo hanno ritenuto più adeguato a esprimere la rappresentatività dello scarico (ciclo produttivo, tempi e modi di versamento, portata e durata, ecc.). Tenendo, tuttavia, presente che la motivazione in ordine alla scelta del metodo di prelievo è un requisito della procedura la cui assenza o inadeguatezza è sottoposta al prudente apprezzamento del giudice, il quale può comunque ritenere attendibile e rappresentativo il prelievo sulla base degli elementi di fatto risultanti dal processo. Le conclusioni cui si perviene sono confortate dalle affermazioni della Cassazione penale, la quale ha sul punto più volte osservato che: nella scelta del metodo di campionamento dei reflui sussiste una discrezionalità tecnica; la indicazione di effettuare l'analisi su un campione medio ha carattere direttivo e non precettivo, in quanto il tipo di campionamento è correlato non solo alle caratteristiche del ciclo produttivo, ma anche ai tempi, ai modi, alla portata ed alla durata dello scarico; le regole sul campionamento non devono considerarsi modificate alla luce della nuova normativa benché il decreto legislativo 17 maggio 1999 n, 152 dedichi una più puntuale disciplina alle metodiche di campionamento; in ogni caso, l'omessa adozione del campionamento medio non determina la nullità delle analisi (cfr. Cass. pen. nn. 1773/2000, 32996/2003, 41487/2002, 14425/2004).
Del resto, siffatto orientamento è stato normativamente confermato dalla modifica legislativa attuata dal D.Lgs. n. 258 del 2000. In tal senso il disposto normativo si esprime letteralmente affermando che "le determinazioni analitiche al fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell'arco di tre ore". Inoltre, è consentito all'autorità preposta al controllo di effettuare il prelievo con modalità diverse, al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico.
Ai principi che si sono andati esponendo, si è puntualmente adeguato il giudice a quo, il quale ha osservato che il campionamento, pur se effettuato Ma metà strada tra l'istantaneo e il medio, essendosi prelevate n. 10 aliquote di litri 1 ciascuna di acqua di scarico, poi versate in un unico recipiente e mescolate tra di loro ... in un arco di tempo (35 minuti) decisamente inferiore a quello minimo previsto dalla legge", aveva formato un campione adeguatamente rappresentativo dello scarico, trattandosi di "liquido torbido, incolore, inodore", segno evidente della presenza di un fenomeno inquinante, tale da giustificare il ricorso a una forma di prelievo quale quella attuata e, al tempo stesso, rendere superflua la specificazione nel verbale delle ragioni che avevano condotto alla scelta effettuata. L'apprezzamento del giudice di merito non solo sulla esistenza di una giustificazione per così dire in re ipsa circa la metodica di campionamento attuata in termini derogatori rispetto a quelli normativamente previsti ma anche sulla rappresentatività del prelievo in considerazione degli elementi di fatto evidenziati dall'organo accertatone, in quanto logicamente motivato, sfugge al sindacato riservato a questa Corte dall'art. 360 c.p.c., n. 5. Anche l'ultimo motivo di censura è infondato.
Al riguardo, occorre rilevare che, con accertamento di fatto insindacabile in questa sede e contestato solo su un piano meramente assertivo dai ricorrenti, il tribunale ha osservato che nella specie non si era al cospetto di acque urbane ma di "fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali", di guisa che, a prescindere dall'interpretazione della nota 2), i limiti di emissione da prendere in considerazione sono quelli di cui alla tabella 3 e non alla tabella 1. In particolare, il tribunale ha accertato che nella specie si è, in presenza, appunto, di un sistema fognario misto, assistito da un impianto di depurazione, ove sicuramente le acque che convogliano nella rete provengono da un agglomerato. Sicché i valori-limite di cui alla tabella 3, riferita precipuamente alle "acque industriali", devono pur sempre essere rispettati in presenza di quella peculiare tipologia di acque reflue urbane definite dall'art. 2 lett. i) quali "acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue civili, di acque reflue industriale ovvero meteoriche di dilavamento".
D'altronde, il tribunale ha correttamente rilevato che, in presenza di acque scaricate da un depuratore comunale, per stabilire la tipologia del refluo - e, quindi, dello scarico - occorre fare riferimento alla natura e alla composizione delle acque di fatto scaricate: se in esso convoglino anche "acque industriali", come è sicuramente nel caso di specie, tale dovrà essere ritenuta anche la natura del refluo. Non bisogna dimenticare, infatti, che la normativa di cui al D.Lgs. n. 152 del 1999, per adeguarsi alle direttive europee, ha dettato una disciplina degli scarichi chiaramente ispirata dall'intento di privilegiare la tipologia delle acque reflue immesse nel corpo idrico recettore rispetto alla provenienza dello scarico tant'è che - sotto il profilo del trattamento sanzionatorio - si è abbandonato qualsiasi riferimento alla dicotomia "scarico derivante da insediamento civile-scarico derivante da insediamento produttivo" per assumere il diverso criterio di differenziazione fondato sulla qualità delle acque, ora, non più presunta in relazione alla sua provenienza ma espressamente definita. Nel sistema introdotto dal D.Lgs. n. 152 del 1999, la distinzione degli scarichi è, in definitiva, fondata sulla natura delle acque reflue in essi contenute.
Infine, infondata appare l'eccezione di non rappresentatività del campione prelevato, sul presupposto che il punto 1.1 dell'allegato 5 del Decreto n. 152 del 1999 ammetterebbe almeno un campione annuo non conforme. Invero, alla luce del dettato legislativo, l'eccezione è prevista in relazione ai soli valori - limite indicati in tabella 1, e a condizione che detti parametri non superino comunque determinate soglie ritenute particolarmente elevate. Per l'inverso, nel caso in ispecie la tabella applicabile è la 3 mentre le concentrazioni rilevate sono comunque superiori a quelle massime consentite affinché possa dirsi operante l'eccezione.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna in solido dei ricorrenti alle spese del presente giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro 1.000,00 di cui Euro 900,00 per onorari d'avvocato, oltre spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2006.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2006.