Impugnativa alla Corte Costituzionale del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana sulla legge approvata in Sicilia su regime proroga cave e su valutazione di  impatto ambientale

ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE

R O M A






L’Assemblea Regionale Siciliana, nella seduta del 25 novembre 2008, ha approvato il disegno di legge n.133 dal titolo “Norma transitoria sulle autorizzazioni all’esercizio di cava”, pervenuto a questo Commissario dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 dello Statuto speciale, il 27 novembre 2008.
Il provvedimento legislativo apporta modifiche ed integrazioni alle vigenti leggi che disciplinano la coltivazione dei giacimenti minerari e delle cave nonché l’estrazione di materiali lapidei di pregio e, nell’attesa della definizione del piano regionale dei materiali di cava previsto dall’art. 4 della legge 9 dicembre 1980, n. 127, dispone la proroga di diritto delle autorizzazioni all’esercizio di cave per consentire il completamento dei relativi programmi di coltivazione.
Nell’ambito del provvedimento, l’art. 1 ed il comma 2 dell’art. 3 danno adito a censure di incostituzionalità per le motivazioni che di seguito si illustrano.
L’art. 1 recita come segue:
Proroga di autorizzazioni all’esercizio di cava
1. Sino all’approvazione del Piano regionale del materiale da cava di cui alla legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127 e, in ogni caso, per non più di tre anni, qualora non sia stato completato il programma di coltivazione autorizzato, le autorizzazioni rilasciate dal Distretto minerario, ad esclusione delle isole Eolie, sono prorogate di diritto fino al completamento del programma medesimo. Ai soli fini dell’abbandono in sicurezza delle cave, e per quelle non rilasciate in sicurezza, sono consentite le attività conseguenti che dovranno essere completate entro dodici mesi dalla relativa comunicazione di inizio lavori. L’autorizzazione amministrativa è rilasciata, su richiesta corredata da perizia asseverata da tecnico abilitato, di concerto con l’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente e dell’Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione entro il termine di sessanta giorni. Ove tecnicamente strettamente necessario il piano di messa in sicurezza potrà interessare le aree contermini.
2. Sino all’approvazione dei relativi piani di gestione e, in ogni caso, per non più di due anni, qualora non sia stato completato il programma di coltivazione autorizzato per l’esercizio di cave ricadenti in ambiti di siti di importanza comunitaria (SIC), zone di speciale conservazione (ZSC) e zone di protezione speciale (ZPS), le autorizzazioni rilasciate dal Distretto minerario sono prorogate di diritto sino al completamento del programma medesimo, fatte salve le valutazioni di incidenza di cui all’articolo 1 della legge regionale 8 maggio 2007, n.13.
3. Per le finalità di cui ai commi 1 e 2, entro il sessantesimo giorno antecedente alla data di scadenza dell’autorizzazione, il titolare della medesima comunica al Distretto minerario la volontà di proseguire l’attività estrattiva fino al completamento del piano di coltivazione precedentemente autorizzato, allegando una relazione tecnica contenente il programma di utilizzazione del giacimento residuo. Il Distretto minerario autorizza la proroga nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione, previa verifica della sussistenza dei requisiti di legge di chi ne fa richiesta. La proroga è autorizzata solo nei casi in cui sia stata estratto almeno il 60 per cento del volume assentito con la prima autorizzazione.
La norma sopratrascritta prevede che, in caso di mancato completamento del programma di coltivazione autorizzato, le autorizzazioni già rilasciate siano tutte indistintamente “prorogate di diritto” con termini variabili di durata e senza alcuna condizione, sino al completamento del programma medesimo, indipendentemente dalle estensione delle aree interessate e dall’eventuale regime vincolistico degli ambiti territoriali in cui le stesse ricadono.
Al riguardo si ritiene utile evidenziare che con l’art. 91, l.r. n. 6/2001 il legislatore siciliano ha introdotto la procedura di valutazione di impatto ambientale in ossequio alle disposizioni della direttiva comunitaria 27 giugno 1985 82/337/CEE, concernente la V.I.A. di determinati progetti pubblici e privati (successivamente modificata dalla direttiva comunitaria 3 marzo 1997, 97/11/CE) e secondo le disposizioni stabilite dal D.P.C.M. 3 settembre 1999.
Orbene, poichè l’articolo 1 della legge testè approvata costituisce una sostanziale deroga alla normativa di attuazione di una direttiva comunitaria, è necessario verificare se la prevista “proroga di diritto”, comportando l’esclusione dalla ordinaria procedura di valutazione di impatto ambientale, si ponga in contrasto con la direttiva stessa.
All’uopo occorre procedere ad un’analisi preliminare della norma comunitaria per verificare quali sono i principi ed i contenuti vincolanti per gli Stati membri e quali gli eventuali margini di discrezionalità concessi in ordine all’individuazione dei progetti da sottoporre alla valutazione di impatto ambientale.
La direttiva 83/337/CEE, modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE, ha introdotto i principi generali di valutazione d’impatto ambientale per completare e coordinare le procedure di autorizzazione dei progetti pubblici e privati che possono avere un rilevante impatto sull’ambiente.
La direttiva contiene l’elenco delle opere da sottoporre a V.I.A. In particolare nell’allegato I sono individuate le opere per le quali la V.I.A. è obbligatoria in tutto il territorio dell’Unione Europea (art. 4, n. 1) e nell’allegato II sono enumerati i progetti per i quali gli Stati membri devono stabilire, caso per caso, mediante un esame del progetto o mediante soglia o criteri dagli stessi fissati, se il progetto debba essere sottoposto a valutazione di impatto ambientale (art. 4, n. 2) sulla base dei criteri di selezione riportati nell’allegato III.
Per una migliore ricognizione dei motivi che hanno indotto la Comunità Europea a predisporre l’obbligatorietà della procedura di V.I.A. per determinati progetti si ritiene utile riportare di seguito alcuni passi delle premesse alla direttiva:
“Il consiglio della Comunità Europea: considerando che i programmi d’azione della Comunità Europea in materia ambientale del 1973, del 1976 e del 1983, i cui orientamenti generali sono stati approvati dal Consiglio della Comunità europea e dai rappresentanti dei governi degli Stati membri, sottolineano che la migliore politica ecologica consiste nell’evitare fin dall’inizio inquinamenti ed altre perturbazioni, anziché combatterne successivamente gli effetti, e affermano che in tutti i processi tecnici di programmazione e di decisione si deve tenere subito conto delle eventuali ripercussioni sull’ambiente, che a tal fine prevedono l’adozione di procedure per valutare queste ripercussioni ( ... ); considerando che l’esistenza di disparità tra le legislazioni vigenti negli Stati membri in materia di valutazione ambientale dei progetti pubblici e privati può creare condizioni di concorrenza ineguali e avere perciò un incidenza diretta sul funzionamento del mercato comune, previsto dall’art. 100 del trattato (…); considerando che occorre introdurre principi generali di valutazione dell’impatto ambientale allo scopo di completare e coordinare le procedure di autorizzazione dei progetti pubblici e privati che possono avere un impatto rilevante sull’ambiente (…); considerando che i principi di valutazione ambientale devono essere armonizzati, in particolare per quello che riguarda i progetti da sottoporre a valutazione, i principali obblighi dei committenti e il contenuto della valutazione (…); considerando che, per i progetti soggetti a valutazione, debbono essere fornite determinate informazioni essenziali relative al progetto e alle sue ripercussioni (…); considerando che gli effetti di un progetto sull’ambiente debbono essere valutati per proteggere la salute umana, contribuire con un migliore ambiente alla qualità della vita, provvedere al mantenimento della varietà della specie e conservare la capacità di riproduzione dell’ecosistema in quanto risorsa essenziale di vita; ha adottato la presente direttiva (…)”.
Al riguardo, non può non evidenziarsi come l’introduzione della V.I.A obbligatoria abbia risolto alcune criticità dell’ordinamento derivanti dalla disarmonia tra le procedure ambientali di progetti pubblici e privati rilevanti per l’ambiente.
Per quanto attiene nello specifico ai progetti aventi ad oggetto le cave, la direttiva :
1) assoggetta a V.I.A. obbligatoria i progetti relativi a “cave e attività minerarie a cielo aperto con superficie del sito superiore a 25 ettari” (allegato I, punto 19);
2) sottopone ad una verifica , al fine di procedere o meno alla V.I.A., i progetti aventi ad oggetto “cave, attività minerarie a cielo aperto e torbiere (progetti non compresi nell’allegato I)”(allegato I, punto 2, lett. a).
Pertanto mentre per i progetti sub 1) è indiscutibile che tutti debbano essere assoggettati a V.I.A. obbligatoria, potendo lo Stato membro soltanto introdurre soglie più severe di quelle comunitarie, come disposto dal D.P.R. 12 aprile 1998 e s.m.i., applicato dalla Regione siciliana, che sottopone a V.I.A. le “cave e torbiere con più di 500.000 mc/a di materiale estratto o di un’area interessata superiore a 20 h”.
Per quanto attiene invece alla fattispecie sub 2) la Corte di Giustizia Europea con costante giurisprudenza (ex plurimis sentenza 16 settembre 1999 n. 435) ha chiarito che non è consentito agli Stati membri, “dispensare a priori e globalmente dalle procedure di V.I.A. determinate classi di progetti, elencati nell’allegato II della Direttiva 85/337/CEE, ovvero sottrarre alla suddetta procedura uno specifico progetto in forza di un atto legislativo nazionale o sulla base di un esame in concreto del progetto”.
Costante e consolidata giurisprudenza nazionale ha altresì precisato che l’art. 4, n.2 ed il relativo allegato della direttiva 85/337/CEE devono interpretarsi nel senso che gli Stati membri sono tenuti ad assoggettare alla V.I.A. i progetti previsti nell’allegato stesso che “siano capaci di provocare impatti rilevanti sull’ambiente” (Consiglio di Stato, sez. VI sentenza 28/09/2001 n. 5169).
Inoltre secondo la Corte di Giustizia, gli Stati membri, per quanto concerne i progetti di cui all’allegato II della direttiva, possono fissare criteri o soglie che però “non hanno lo scopo di sottrarre anticipatamente all’obbligo di valutazione talune classi complete di progetti elencati nell’allegato II, che si prevede di attuare nel territorio di uno Stato membro, ma mirano unicamente ad agevolare la valutazione delle caratteristiche complete di un progetto al fine di stabilire se sia soggetto al detto obbligo” (decisione n. 133/94 del 2 maggio 1996).
L’art. 2, n. 3 della direttiva contempla, per determinati progetti, in margini ristretti e per casi eccezionali, la possibilità di deroga alla V.I.A. a condizione che la Commissione sia informata prima del rilascio dell’autorizzazione dei motivi che giustificano l’esenzione.
Alla luce di quanto esposto, l’art. 1 della delibera legislativa di cui trattasi appare eccedere il margine di discrezionalità concesso al legislatore dagli articoli 2 e 4 della direttiva, poiché sottrae di fatto ed a priori, con l’artificio della “proroga di diritto”, la categoria delle autorizzazioni scadute o prossime alla scadenza che non hanno completato il programma di coltivazione autorizzato e che andrebbero piuttosto soggette, qualora ne sussistano i presupposti, alle procedure per il rinnovo, con conseguente valutazione degli interessi pubblici coinvolti e verifica preventiva delle situazioni vincolistiche e di assetto territoriale dei luoghi, eventualmente sopravvenute nel periodo di vigenza del provvedimento autorizzatorio originario.
I progetti di cave, le cui autorizzazioni sarebbero “prorogate di diritto” potrebbero peraltro essere stati approvati, nel rispetto della normativa all’epoca vigente e alle preesistenti situazioni di ordine ambientale, senza preventiva procedura di V.I.A. o di verifica di impatto ambientale, nonché alla valutazione di compatibilità paesaggistica prevista dall’art. 146 del D. Leg.vo 22 gennaio 2004, n. 42, come sostituito dall’art. 16 del D. leg.vo 24 marzo 2006 n. 157.
Ed invero dai chiarimenti forniti dall’amministrazione regionale, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 488/1969, (all. I) si evince che avrebbero diritto alla proroga per la prosecuzione dell’attività estrattiva nel periodo 2008/2010, 68 attività di cave, pari a circa il 12% di quelle autorizzate ed in esercizio sul territorio regionale, di cui alcune di grandi dimensioni e/o ricadenti in aree protette (ZPZ e S.I.C.) ed altre mai sottoposte a procedure di V.I.A. o di verifica in quanto precedenti all’entrata in vigore del D.P.R. del 1996.
Va altresì posto in evidenza che codesta Ecc.ma Corte nella sentenza n. 273 del 1998 ha chiarito che :
“Secondo l’ordinamento italiano, peraltro interpretabile in logico collegamento con la direttiva comunitaria 85/337/CEE del 27 giugno 1985, la materia della valutazione d’impatto ambientale, pur potendosi articolare in una molteplicità di discipline regionali resta regolata, per i progetti di opere pubbliche di rilievo non elevato, dall’art. 40 l. 22 febbraio 1994 n. 146 ( la norma ha ad oggetto i progetti inclusi nell’allegato II alla direttiva), che costituisce la base normativa dell’atto di indirizzo e coordinamento governativo approvato con D.P.R. 12 aprile 1996; la qualificazione d’importanza dell’impatto ambientale per i predetti progetti è il risultato di un apprezzamento tecnico-discrezionale necessariamente unitario su tutto il territorio dello Stato e, come tale, impegna le regioni e le province autonome all’interno della ragionevole banda di oscillazione del trenta per cento in più o in meno prestabilita in quell’atto di indirizzo”.
Si ritiene di dover sottolineare al riguardo che norme che realizzano effetti innovativi sui livelli di sicurezza, che dovrebbero essere identici nell’intero territorio nazionale, potrebbero nei fatti realizzare alterazioni sotto il profilo della concorrenza in danno di quelle imprese che si trovano ad operare in regioni la cui disciplina più gravosa costringe ad affrontare oneri maggiori.
Al fine di prevenire l’obiezione che la natura di “proroga” e non di “nuova autorizzazione” degli atti in questione possa valere a sottrarli dall’ambito applicativo della direttiva, si ritiene utile svolgere le seguenti considerazioni.
La durata di ogni singola autorizzazione è elemento fondamentale del provvedimento autorizzativo, alla scadenza del quale è diritto-dovere dell’amministrazione competente verificare l’eventuale mutamento delle condizioni territoriali ed ambientali, nonché gli aggiornamenti intervenuti sul quadro normativo di riferimento prima di potere assumere una qualsiasi decisione liberatoria sia pure in termini prescrittivi o, in alternativa, interdittivi.
Il limite temporale di un’autorizzazione all’esercizio di cava dunque è il punto cronologico oltre il quale l’intervento autorizzativo cessa di esistere.
Prorogare il termine di un’autorizzazione comporta una modifica sostanziale che per la direttiva 85/337/CE, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, deve essere considerata come nuova autorizzazione (decisione 7 gennaio 2004 n. 201/02, punti 44-47) da sottoporre alle procedure stabilite dalla normativa vigente e nel caso specifico dalla direttiva medesima (V.I.A. o verifica di V.I.A. a seconda dei casi).
La Corte di Giustizia, nella richiamata sentenza, nel chiarire la nozione di “autorizzazione” ha precisato che sarebbe contrario all’effetto utile della direttiva sottrarre alla V.I.A. provvedimenti che al di là del nomen iuris hanno comunque un effetto abilitante nel senso che il privato, in assenza di un atto esplicito dell’amministrazione, non potrebbe avviare l’attività. I predetti provvedimenti, comunque denominati, costituiscono “nuove” autorizzazioni in senso “sostanziale” per cui le autorità competenti hanno l’obbligo di effettuare, qualora occorra, una valutazione dell’impatto ambientale.
Nella recente sentenza di luglio del 2008 nella causa c215/06, la Corte di Giustizia nel punto n.49 ha altresì affermato che “gli Stati membri devono attuare la direttiva 85/337 modificata in modo pienamente conforme ai precetti da essa stabiliti tenendo conto del suo obiettivo essenziale che consiste nel garantire che, prima del rilascio di un’autorizzazione per progetti, per i quali si prevede notevole impatto ambientale, per natura, dimensione o ubicazione, sia prevista un’autorizzazione e una valutazione di impatto (in tal senso anche le sentenze 19 settembre 2000 causa c 287/98 e 23 novembre 2006 causa c 486/04).
Dimostrata con le suesposte argomentazioni la difformità e conseguente violazione dei principi della direttiva comunitaria 85/337/CE delle norme contenute all’art. 1 della delibera legislativa, va rilevato che le stesse violano l’art. 9 della Costituzione poiché non assicurano la dovuta tutela dell’ambiente. Esse infatti escludono sostanzialmente la possibilità di verificare l’eventuale compromissione del territorio derivante dalla prosecuzione di diritto dell’attività estrattiva ed addirittura, consentono attività all’interno di giacimenti minerari dismessi nel dichiarato intento di assicurarne l’abbandono in sicurezza, ancorché già non rilasciati in “sicurezza”, sulla base di una richiesta del privato corredata da perizia asseverata da tecnico abilitato.
Con le disposizioni in questione il legislatore regionale esorbita dalla competenza attribuitagli dallo Statuto Speciale in materia di miniere, cave e torbiere introducendo una implicita deroga alla procedura di V.I.A. e di verifica di V.I.A. in palese dissonanza con quanto prescritto dagli articoli 23 e 32 del decreto legislativo 152/2006.
La Costituzione attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, comma 2, lett. s).
Secondo la consolidata giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, confermata nella pronuncia n. 378 del 2007, spetta allo Stato disciplinare l’ambiente come una entità organica, dettare, cioè, norme di tutela che hanno ad oggetto il tutto e le singole componenti considerate come parti del tutto. La disciplina unitaria e complessiva del bene ambientale inerisce infatti ad un interesse pubblico di valore costituzionale primario (Sentenza Corte Costituzionale n. 151/1986) ed assoluto (sentenza Corte Costituzionale n. 210/1987) e deve garantire, così come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela, come tale inderogabile da altre discipline di settore.
La disciplina unitaria del bene complessivo ambiente, rimessa in via esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni o dalle Province autonome in materie di competenza propria ed in riferimento ad altri interessi. Ciò comporta che la disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, investendo l’ambiente nel suo complesso e quindi anche in ciascuna sua parte, viene ad operare come un limite alla disciplina che le Regioni dettano in altre materie di loro competenza.
Pertanto nelle materie oggetto di disciplina della presente legge anche il legislatore siciliano nell’esercizio della propria competenza legislativa esclusiva è sottoposto al rispetto degli standards minimi ed uniformi di tutela posti in essere dalla legislazione nazionale ex art. 117, comma 2, lett. s) Cost., oltre che al rispetto della normativa comunitaria di riferimento, secondo quanto disposto dall’art. 117, comma 1 della Costituzione.
L’art. 10 della legge costituzionale n. 3/2001 ha sancito che:
“sino all’adeguamento dei rispettivi statuti le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto Speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampia rispetto a quelle già attribuite”
Lo Statuto Speciale siciliano non prevede espressamente la materia ambiente e pertanto necessita verificare, di volta in volta, sotto quale aspetto la tutela ambientale venga considerata, poiché la Regione siciliana gode di competenza esclusiva sotto il profilo urbanistico, della tutela del paesaggio e delle cave e miniere.
Orbene poiché la normativa censurata, sebbene direttamente e specificatamente riconducibile alla materia delle cave, investe non solo la complessiva tutela dell’ambiente, ma anche il rispetto della normativa comunitaria e la tutela del principio della libera concorrenza, deve concludersi che nel caso specifico, la disciplina degli standards minimi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale sia attribuita allo Stato anche per quanto riguarda la Sicilia.
L’art. 1 della delibera legislativa è altresì censurabile sotto il profilo dell’art. 97 Cost. in quanto le autorizzazioni una volta venute a scadenza, richiedono il rinnovo di un procedimento del tutto autonomo secondo procedure concorsuali che non possono essere derogate a favore del precedente destinatario del provvedimento non sussistendo per l’amministrazione alcun obbligo di accedere alla richiesta di quest’ultimo, ben potendo essa determinarsi in senso negativo sia per ragioni soggettive sia per motivi di pubblico interesse (Consiglio di Stato, sez. IV sentenza n. 952 del 15/6/98 T.A.R. Toscana. Sez. I sentenza n. 79 del 24/4/97).
La disposizione testè approvata è pertanto in conflitto con il principio di buon andamento della P.A. di cui all’articolo 97 Cost. giacchè impedisce agli organi amministrativi competenti di svolgere una adeguata istruttoria e di procedere alla ponderazione dei diversi interessi coesistenti, privilegiando invece la tutela di quelli economici del privato imprenditore, che peraltro potrebbe non avere completato il programma di coltivazione delle cave anche per propria negligenza e disinteresse.
Anche la disposizione dell’art. 3, 2° comma della delibera legislativa in questione è da ritenere in contrasto con l’art. 97 della Costituzione. Essa infatti recita come segue:
“Dopo il comma 3 dell’art. 29 della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127, è inserito il seguente comma: “3 bis. nei casi di sconfinamento accidentale dal progetto di coltivazione autorizzato, le disposizioni del comma 3 si applicano solo nei casi di recidiva”
L’articolo 29 della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127, contenente il corpus organico di norme circa la disciplina delle attività estrattive e della coltivazione delle cave e del materiale lapideo di pregio, individua nel primo comma l’esercizio non autorizzato dell’attività di escavazione o la prosecuzione della medesima dopo la notifica del provvedimento di decadenza o di revoca quali comportamenti illeciti da cui deriva l’ordinanza di immediata sospensione dei lavori e la contestuale informazione all’autorità giudiziaria competente da parte dell’ingegnere capo del distretto minerario.
Unitamente al provvedimento di sospensione dei lavori viene disposta a carico del trasgressore l’applicazione di una sanzione amministrativa, il cui importo è raddoppiato in caso di recidiva e triplicato in seguito, nonché aumentato della metà qualora il trasgressore prosegua nell’attività di escavazione (2° comma).
Contestualmente alla suddetta pena pecuniaria è prevista dal terzo comma l’esclusione del responsabile dell’illecito, per un periodo di dieci anni, dalla possibilità di ottenere il provvedimento di autorizzazione alla coltivazione di giacimenti minerari e di cave sull’intero territorio regionale.
Il combinato disposto della norma censurata con il terzo comma dell’articolo 29 della legge regionale 9 dicembre 1980, n. 127 comporta quindi il venir meno della menzionata sanzione dell’esclusione per un periodo di dieci anni dalla possibilità di ottenere l’autorizzazione per coloro i quali abbiano svolto attività di escavazioni non autorizzate qualora ciò sia avvenuto per uno “sconfinamento accidentale” rispetto al progetto autorizzato.
L’estrema genericità della fattispecie esimente e l’assenza di elementi obiettivi sulle dimensioni dello sconfinamento e sulle sue conseguenze inducono a ritenere la norma non compatibile con il principio di cui all’art. 97 della Costituzione. Essa infatti potrebbe essere invocata a buon diritto, e indipendentemente dal danno ambientale arrecato, anche da coloro i quali, per imprudenza o imperizia, ma “accidentalmente”, abbiano sconfinato, anche ampiamente, dal giacimento autorizzato.
La disposizione inoltre potrebbe dare luogo a dubbi ed incertezze nell’attuazione ingenerando difformità applicative, poiché rimette alla discrezionalità dell’organo accertatore la verifica dell’accidentalità dello sconfinamento.
PER I MOTIVI SUESPOSTI

e con riserva di presentazione di memorie illustrative nei termini di legge, il sottoscritto prefetto dott. Alberto Di Pace, Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, ai sensi dell’art. 28 dello Statuto Speciale, con il presente atto

I M P U G N A

I sottoelencati articoli del disegno di legge n. 133 dal titolo “Norma transitoria sulle autorizzazioni all’esercizio di cava” approvato dall’Assemblea Regionale Siciliana il 25 novembre 2008:
- l’art. 1, per violazione degli articoli 9, 11, 97, 117 primo e secondo comma lett. e) ed s) della Costituzione nonché dell’art. 14 dello Statuto Speciale;
- l’art. 3, secondo comma per violazione dell’articolo 97 della Costituzione.

Palermo, 28 novembre 2008

Il Commissario dello Stato
per la Regione Siciliana
(Di Pace)