Cass. Sez. III sent. 16818 del 3 maggio 2007 (Cc 16 gen. 2007)
Pres. Papa Est. Onorato Ric. Rosato ed altri
Aria. Articolo 674 c.p. e sequestro

1. Non può sostenersi che le misure cautelari reali, al pari di quelle personali, devono rispondere a requisiti di ragionevolezza e proporzionalità. Invero, criteri di adeguatezza e proporzionalità sono stabiliti solo per le misure cautelari personali, sotto il titolo I del libro IV del codice di rito, per giustificare la scelta tra le diverse misure possibili in relazione al caso concreto (art. 275 c.p.p.), e non già - si badi - per legittimare la restrizione della libertà personale, al cui scopo sono richiesti diversi requisiti, individuati nei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e nelle esigenze di impedire l'inquinamento probatorio, il pericolo di fuga o la reiterazione del reato (art. 274 c.p.p). In altre parole, l'adeguatezza e la proporzionalità, a rigore, devono governare il quomodo e non l'an della misura restrittiva. Questi criteri, invece, non sono previsti sotto il titolo II del libro IV in relazione alle misure cautelari reali, e in particolare in ordine al sequestro preventivo, per il quale l'art. 321, comma 1, c.p.p. richiede soltanto - come requisiti di legittimità - che ricorra l'astratta configurabilità di un reato (c.d. fumus delicti) e l'esigenza di impedire che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di nuovi reati (c.d. periculum in mora). Né si può ipotizzare una estensione analogica dei criteri di adeguatezza e proporzionalità anche a questa materia, essendo evidente che non ricorre per la misura cautelare reale la eadem ratio che ispira la disciplina delle misure cautelari personali, ovverosia la necessità di scegliere ragionevolmente tra diverse misure possibili.
2. Non è configurabile il reato di cui all'art. 674 c.p. quando le emissioni di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone provengano da un'attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, atteso che la clausola normativa "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità che, per essere penalmente rilevanti, le emissioni devono violare le norme di settore che disciplinano l'inquinamento atmosferico, sicché il rispetto di queste norme integra una presunzione di liceità penale. Se invece le emissioni, pur rispettando le norme speciali di settore, arrechino concreto disturbo ai proprietari dei fondi vicini, superando la normale tollerabilità, potrà essere integrato solo l'illecito civile previsto dall'art. 844 cod. civ., la cui valutazione deve essere operata contemperando le ragioni della proprietà con le esigenze della produzione
Svolgimento del procedimento

1 - Con ordinanza del 27.6.2006, depositata il 3.7.2006, il tribunale di Trieste, in sede di riesame, ha confermato il provvedimento del 29.5.2006 con cui il g.i.p. dello stesso tribunale aveva disposto il sequestro preventivo di alcune parti dello stabilimento di Servola della s.p.a. Lucchini Piombino (parchi di minerali e di carbone; cokeria; altoforni) in relazione al reato di cui agli agli artt. 81 cpv., 110 e 674 c.p., contestato al presidente (Vittorio Cattarini) e all'amministratore delegato della s.p.a. Servola (Luigi Nardi), al presidente e amministratore delegato (Giovanni Schinelli) e all'amministratore delegato della s.p.a. Lucchini Piombino (Giovanni Gillerio) e al direttore dello stabilimento di Servola (Francesco Rosato), perché colposamente, e in particolare per aver omesso il controllo di tutte le fasi del processo produttivo e/o per aver omesso di adottare adeguate misure contro l'inquinamento, avevano cagionato massicce e reiterate emissioni diffuse di fumi molesti e dannosi e di polveri imbrattanti.
Va premesso che:
il 4.11.2003 il giudice monocratico dello stesso tribunale, nel corso di un giudizio di merito relativo al reato di cui all'art. 674 c.p. per emissioni di fumi e polveri dal predetto stabilimento di Servola, aveva disposto il sequestro preventivo di numerosi impianti dello stabilimento, comprensivi di quelli poi nuovamente sequestrati dal g.i.p. con un decreto del 15.3.2006, in seguito annullato dal tribunale del riesame;
- il medesimo giudice di merito, con ordinanza del 22.6.2004, poi confermata dalla corte di cassazione, aveva disposto il dissequestro degli impianti condizionandolo all'adempimento di precise prescrizioni impartite alla società Servola;
- successivamente il g.i.p. aveva disposto un nuovo sequestro preventivo con il predetto provvedimento del 29.5.2006, confermato dal giudice del riesame con l'ordinanza ora impugnata.
Prendendo in considerazione i motivi dedotti nell'istanza di riesame, il tribunale ha in sintesi osservato che:
- andava disattesa l'eccezione di incompetenza del g.i.p. fondata sulla pendenza del giudizio di merito, giacché il passaggio in giudicato della relativa sentenza e la contestazione di nuovi fatti di reato attribuivano la competenza allo stesso g.i.p., e anche perché "una declinazione di competenza comporterebbe un nuovo avvicendarsi di richieste e di giudici, assolutamente inutile";
- esisteva il fumus del reato contestato, perché l'art. 674 c.p. non richiede l'effettivo nocumento alle persone, ma è invece integrato quando le emissioni superano la normale tollerabilità (in tal caso infatti secondo Cass. n. 9826/1983 si verifica la presunzione del pericolo per la salute
pubblica che costituisce la ratio della norma incriminatrice). L'attuazione delle prescrizioni imposte col precedente dissequestro aveva ridotto ma non escluso le emissioni nocive, che continuavano a causa dello stesso funzionamento dello stabilimento, anche se migliorato con misure contro
l'inquinamento;
- non aveva rilievo il nuovo D.Lgs. 152/2006, che ha abrogato il D.P.R. 203/1988 e ha previsto apposite prescrizioni per le emissioni diffuse; - sussisteva anche periculum in mora per le ragioni suddette e per l'inefficienza dei controlli amministrativi.
2- Il difensore degli indagati, avv. Giuseppe Frigo, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l'annullamento con o senza rinvio della ordinanza e articolando sei motivi a sostegno in ordine ai sufficienti indizi di reato e al c.d. pericolo di reiterazione.
Lamenta che il giudice del riesame non ha assolutamente preso in considerazione le censure formulate dalla difesa, che ripropone. In particolare sostiene quanto segue:
2.1 - tutte le emissioni della Lucchini s.p.a. erano regolarmente autorizzate e non era stata ipotizzata né provata alcuna violazione dei limiti e delle prescrizioni imposte negli atti autorizzatori, sicché non era integrato il reato di cui all'art. 674 c.p.;
2.2 - le presunte ricadute di polveri lamentate da alcuni abitanti della zona non superavano la soglia di normale tollerabilità richiesta dall'art. 844 cod. civ.;
2.3 - il giudice cautelare, nel suo decreto del 29.5.2006, poteva valutare solo gli episodi di imbrattamento verificatisi dopo l'11.4.2006, posto che in questa data era stata emanata la sentenza di merito nel giudizio di primo grado relativo al medesimo reato e ai medesimi imputati, con dichiarazione di estinzione del reato stesso per oblazione ed. discrezionale;
2.4 - l'interesse protetto dall'art. 674 c.p. non è la salute collettiva, bensì la tranquillità e sicurezza dei cittadini nel godimento dei propri beni; e nessun danno era stato prodotto alla salute dei cittadini, atteso che le polveri immesse nell'atmosfera erano "grossolane", come tali inidonee a essere inalate mediante la respirazione;
2.5 - secondo l'art. 844, comma 2, cod. civ., il giudice, nel valutare la tollerabilità delle immissioni, deve effettuare un bilanciamento tra gli interessi della produzione, dell'economia e del lavoro e le ragioni della proprietà, sicché, nel caso di specie, si doveva considerare che il sequestro e la cessazione dell'attività produttiva dello stabilimento di Servola causava alla collettività, e segnatamente agli interessi dell'impresa e dei lavoratori, un danno più grave del sacrificio inflitto ai
proprietari delle abitazioni vicine;
2.6 - non sussisteva il necessario periculum in mora, giacché lo stabilimento era sottoposto al costante controllo delle autorità preposte alla verifica del rispetto delle prescrizione imposte dall'autorizzazione regionale in ordine alle emissioni convogliate e a quelle diffuse; inoltre, la Lucchini s.p.a. aveva tempestivamente presentato l'istanza per l'autorizzazione integrata ambientale prevista dal nuovo codice dell'ambiente.
3 - Anche l'avv. Giovanni Borgna, come difensore dell'ing. Rosato, direttore dello stabilimento di Servola, ha proposto ricorso, chiedendo l'annullamento e/o la revoca della ordinanza e del decreto di sequestro sulla base di quattro motivi.
In particolare denuncia:
3.1 - violazione degli artt. 321 c.p.p. e 91 disp. art. c.p.p.. Sostiene che al momento in cui il sequestro era stato richiesto, disposto ed eseguito (23 maggio, 29 maggio e 7 giugno 2006) la sentenza di merito non era ancora definitiva, sicché il giudice competente a decidere sulla istanza di
sequestro ai sensi delle norme citate era il giudice monocratico del tribunale che aveva emesso la sentenza medesima;
3.2 - violazione dell'art. 321 c.p.p., giacché non sussisteva il pericolo di reiterazione del reato. Infatti lo stabilimento era stato adeguato alle prescrizioni imposte dal giudice al momento del precedente dissequestro ed era puntualmente sottoposto al controllo di compatibilità ambientale da
parte delle autorità amministrative competenti;
3.3 - violazione dei requisiti di ragionevolezza e proporzione, necessari anche per l'applicazione di misure cautelari reali. Sostiene a tal proposito che il sequestro rischia di causare il licenziamento di centinaia e forse di migliaia di lavoratori dipendenti e di avere ripercussioni gravissime sull'intero sistema economico ed industriale triestino e non solo triestino;
3.4 - violazione dell'art. 674 c.p. e degli artt. 3 e 25, comma 2, Cost., giacché il reato contestato, secondo una esegesi rispettosa del principio di tipicità, non era astrattamente configurabile.
Sostiene che l'art. 674 c.p. non può essere applicato a stabilimenti regolarmente autorizzati, pena una inammissibile discrezionalità del giudice penale nel definire concretamente le emissioni normalmente intollerabili.
Soltanto la violazione di determinati parametri tabellari (per le emissioni convogliate) e delle procedure e tecnologie prescritte (per le emissioni diffuse) potrà essere assoggettata a sanzione penale (precisamente a quella prevista dall'art. 279 D.Lgs. 151/2006).
Aggiunge che è l'attività industriale per se stessa che "emette una certa polverosità" e che non sono quindi esigibili condotte industriali apprezzabilmente alternative a quelle rimproverate.
Infine, osserva che l'ipotizzato reato non era addebitabile agli attuali indagati, a meno di non affermare una inammissibile responsabilità "per posizione".
3.5 - Con memoria scritta del 23.10.2006 il difensore del Rosato ha prodotto copia della richiesta di autorizzazione integrata ambientale presentata nel frattempo dalla società Lucchini, nonché copia del dispositivo della sentenza emessa il 20.9.2006 da questa terza sezione della corte di cassazione, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso del pubblico ministero contro l'ordinanza del tribunale del riesame che, in data 7.4.2006, aveva annullato il sequestro preventivo disposto il 15.3.2006 sullo stesso stabilimento di Servola.

Motivi della decisione

4 - Va anzitutto disattesa l'eccezione processuale di incompetenza funzionale del giudice per le indagini preliminari (v. sopra n. 3.1), giacché - come ha opportunamente osservato anche il procuratore generale presso questa corte - dopo l'emanazione della sentenza di merito in data 11.4.2006 si erano verificate nuove emissioni di fumi e polveri, sicché, dopo la interruzione della permanenza del reato pregresso, era stato commesso un nuovo reato, per il quale non era stata ancora iniziata l'azione penale. Per conseguenza, ai sensi dell'art. 321, comma 1, c.p.p., il giudice per le indagini preliminari era competente a disporre la misura cautelare reale per il fatto nuovo (non già per i fatti precedenti alla predetta data dell'11.4.2006, come correttamente ha osservato il primo difensore ricorrente: v. n. 2.3).
5 - Va poi osservato che il fumus delicti non è escluso dalla circostanza che la società Lucchini ha nel frattempo presentato domanda di autorizzazione integrale ambientale ai sensi della legislazione sopravvenuta, essendo evidente che la semplice presentazione della domanda non abilita ancora la società a continuare l'attività produttiva con emissioni inquinanti nell'atmosfera.
Parimenti, non esclude il periculum in mora l'asserita circostanza che lo stabilimento di Servola è sottoposto al continuo controllo delle autorità amministrative competenti, giacché il controllo amministrativo – anche ammesso per assurdo che possa essere continuativo, anziché saltuario o per campione - non è intrinsecamente idoneo a impedire la prosecuzione di un'attività produttiva che, per ammissione degli stessi ricorrenti, inevitabilmente "emette una certa polverosità". Orbene, è proprio per impedire la prosecuzione della produzione inquinante, e quindi la prosecuzione del reato, che il g.i.p. ha disposto il sequestro preventivo in data 29.5.2006, dal momento che la revoca della precedente misura condizionata all'adempimento di precise prescrizioni tecniche si era dimostrata inadeguata allo scopo cautelare (v. al riguardo nn. 2.6, 3.2 e 3.5).
Infine, non può sostenersi che le misure cautelari reali, al pari di quelle personali, devono rispondere a requisiti di ragionevolezza e proporzionalità. Invero, criteri di adeguatezza e proporzionalità sono stabiliti solo per le misure cautelari personali, sotto il titolo I del libro IV del codice di rito, per giustificare la scelta tra le diverse misure possibili in relazione al caso concreto (art. 275 c.p.p.), e non già - si badi - per legittimare la restrizione della libertà personale, al cui scopo sono richiesti diversi requisiti, individuati nei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e nelle esigenze di impedire l'inquinamento probatorio, il pericolo di fuga o la reiterazione del reato (art. 274 c.p.p). In altre parole, l'adeguatezza e la proporzionalità, a rigore, devono governare il quomodo e non l'an della misura restrittiva.
Questi criteri, invece, non sono previsti sotto il titolo II del libro IV in relazione alle misure cautelari reali, e in particolare in ordine al sequestro preventivo, per il quale l'art. 321, comma 1, c.p.p. richiede soltanto - come requisiti di legittimità - che ricorra l'astratta configurabilità di un reato (c.d. fumus delicti) e l'esigenza di impedire che la libera disponibilità della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la commissione di nuovi reati (c.d. periculum in mora). Né si può ipotizzare una estensione analogica dei criteri di adeguatezza e proporzionalità anche a questa materia, essendo evidente che non ricorre per la misura cautelare reale la eadem ratio che ispira la disciplina delle misure cautelari personali, ovverosia la necessità di scegliere ragionevolmente tra diverse misure possibili.
Ciò tuttavia non significa che il giudice richiesto- di un sequestro preventivo non abbia alcun margine di discrezionalità tecnica al fine di bilanciare ragionevolmente la predetta esigenza cautelare con contrapposti interessi, pure costituzionalmente rilevanti, alla tutela della impresa produttiva e della occupazione di mano d'opera. Proprio questa discrezionalità tecnica sembra esser stata esercitata nel caso dello stabilimento di Servola dal giudice di merito, quando ha proceduto al
dissequestro dello stabilimento condizionato a determinate misure tecniche di antinquinamento. Ma con altrettanta discrezionalità il giudice per le indagini preliminari ha valutato come insoddisfacente il risultato di questo bilanciamento di interessi, disponendo un nuovo sequestro per scongiurare un periculum in mora che appariva altrimenti inevitabile: e lo ha disposto, sotto questo profilo, in piena legittimità.
Vanno quindi disattese anche le censure di cui ai precedenti nn. 2.5 e 3.3.
6 - Sono invece fondati per quanto di ragione i residui motivi di ricorso, laddove additano un difetto assoluto di prova in ordine a quell'elemento essenziale del reato di cui all'art. 674 c.p. che è il superamento dei limiti legali di inquinamento atmosferico.
Invero, sembra ormai prevalente, ed è comunque condivisibile, quella giurisprudenza di questa corte secondo cui non è configurabile il reato di cui all'art. 674 c.p. quando le emissioni di gas, vapori e fumi atti a molestare le persone provengano da un'attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi in materia di inquinamento atmosferico, atteso che la clausola normativa "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità che, per essere penalmente rilevanti, le emissioni devono violare le norme di settore che disciplinano l'inquinamento atmosferico, sicché il rispetto di queste norme integra una presunzione di liceità penale. Se invece le emissioni, pur rispettando le norme speciali di settore, arrechino concreto disturbo ai proprietari dei fondi vicini, superando la normale tollerabilità, potrà essere integrato solo l'illecito civile previsto dall'art. 844 cod. civ., la cui valutazione deve essere operata contemperando le ragioni della proprietà con le esigenze della produzione (Sez. I, n. 8094 del 16.6.2000, Meo, rv. 216621; Sez. Sez. III, n. 9757 del 23.1.2004, P.M. in proc. Pannone, rv. 228010; Sez. III, n. 38297 del 18.6.2004, P.M. in proc. Providenti, rv. 229619; Sez. Ili, n. 9503 del 10.2.2005, Montinaro, rv. 230982; Sez. III, n. 8299 dell'1.2.2006, P.M. in proc. Tortora, rv. 233562).
L'interpretazione contraria, che era pressoché unanime sino alla fine del secolo scorso, è ora riproposta soltanto da qualche isolata pronuncia (v. Sez. III, n. 38936 del 28.9.2005, Riva, rv. 232359) ed è stata fondatamente criticata in dottrina. Essa finisce per svuotare di qualsiasi significato normativo l'inciso "nei casi non consentiti dalla legge" e contrasta col principio di tipicità delle fattispecie penali. Per questa ragione, il reato di cui all'art. 674 c.p. può ravvisarsi soltanto nei casi in cui l'esercizio dell'attività inquinante non è autorizzato dalla legge, oppure, pur essendo autorizzato, supera i limiti tabellari o viola le norme tecniche stabilite dalle leggi di settore.
Alla luce di questo principio, posto che nel caso di specie l'esercizio dello stabilimento di Servola era pacificamente munito della necessaria autorizzazione, il giudice cautelare, per verificare il fumus del reato ipotizzato, avrebbe dovuto accertare, sia pure nei limiti del procedimento cautelare, che le emissioni in atmosfera da esso provocate, o in forma diffusa o in forma convogliata, superavano gli standards o le norme tecniche imposte dagli artt. 267 e ss. del recente D.Lgs. 3.4.2006 n. 152.
Mancando del tutto questo accertamento essenziale per la legittimità del sequestro preventivo, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.



PQM

La Corte suprema di cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Trieste.