Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Carusotto ed altra
Beni Ambientali. Limiti alla sanabilità degli interventi
Per il combinato disposto degli artt. 146, comma 10 lett. c) e 181 D.Lv. 422004 l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria non può essere rilasciata successivamente alla realizzazione, anche parziale degli interventi se non nel caso degli “interventi minori” descritti nell’articolo 181. In tutti gli atri casi tale autorizzazione postuma non produce alcun effetto estintivo del reato paesaggistico producendo, come unico effetto, l’esclusione dell’emissione o dell’esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 03/07/2007
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - SENTENZA
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - N. 1953
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 42605/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. CARUSOTTO Grazia, nata a Licata il 12.7.1952;
1. MALFITANO Atonia, nata a Licata il 18.12.1931;
avverso la sentenza 1.3.2006 del Tribunale di Gela;
Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
Udita, in pubblica udienza, la relazione fatta dal Consigliere Dr. Aldo Fiale;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Dr. BAGLIONE Tindari, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale monocratico di Gela, con sentenza dell'1.3.2006, affermava la responsabilità penale di Carusotto Grazia e Malfitano Atonia in ordine ai reati di cui:
- al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163, per avere realizzato, in concorso tra loro ed al servizio di un campeggio da loro gestito, senza la necessaria autorizzazione - in zona sottoposta a vincolo paesaggistico perché ricadente nella fascia di 300 metri dalla battigia - un manufatto in struttura prefabbricata su basamento in conglomerato cementizio, suddiviso in tre vani, dei quali; il primo, di mq. 15, adibito a ricezione del campeggio; il secondo, di mq. 48, adibito ad esercizio commerciale; il terzo, di mq. 3, adibito a servizi igienici - acc. in Butera, il 9.9.2003);
- all'art. 734 cod. pen., (per avere alterato le bellezze naturali del luogo mediante la realizzazione del manufatto anzidetto);
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., aveva condannato ciascuna alla pena complessiva di Euro 3.000,00 di ammenda, ordinando la rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso le imputate, le quali - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - hanno eccepito;
- la insussistenza della contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999: a) perché le opere realizzate in concreto rientrerebbero tra quelle di "manutenzione straordinaria", per le quali non è richiesta l'autorizzazione paesaggistica; b) perché comunque "non può prescindersi, ai fini della configurabilità del reato, dalla sussistenza di un vulnus apprezzabile a rilevante del paesaggio" (che, nella specie, si assume insussistente); c) perché la competente Soprintendenza di Caltanissetta aveva rilasciato, in data 10.2.2004, parere favorevole al mantenimento del manufatto;
- la insussistenza della contravvenzione di cui all'art. 734 cod. pen., perché nessuna alterazione sarebbe stata arrecata alla bellezza dei luoghi;
- la carenza dell'elemento soggettivo richiesto per entrambi i reati;
- la illegittimità dell'impartito ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi, avendo la competente Soprintendenza espresso, in data 10.2.2004, parere favorevole al mantenimento delle opere;
- la "eccessività del trattamento sanzionatorio inflitto". MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La doglianza riferita alla configurabilità del reato di cui all'art. 734 cod. pen., è fondata.
Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema hanno affermato, infatti, che tale contravvenzione si configura come un reato di danno, e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette. Non è sufficiente, pertanto, per integrare gli estremi del reato, ne' l'esecuzione di un'opera ne' la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento della bellezza naturale (Cass., Sez. Unite, 12.1.1993, n. 248. Vedi pure Cass., Sez. 3^: 28.11.2002, n. 40267; 26.3.2001, n. 11716).
La relativa valutazione è riservata all'esclusivo apprezzamento del Giudice di merito.
Nella fattispecie in esame, però, il Tribunale ha apoditticamente motivato circa il danno in concreto arrecato alle bellezze naturali, limitandosi ad affermare che l'opera abusiva avrebbe "alterato la naturale bellezza della località se solo si consideri l'occultamento parziale del panorama".
Dovrebbe disporsi, pertanto, il rinvio al Giudice del merito, per una più puntuale valutazione sul punto, ma ciò è impedito dalla intervenuta prescrizione del reato, essendo già decorsi tre anni dall'epoca dell'accertamento (9.9.2003).
La sentenza impugnata deve essere perciò annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all'art. 734 cod. pen., perché estinto per prescrizione, e va conseguentemente eliminata la pena di Euro 100,00 di Ammenda.
2. Infondata, invece, è la prima doglianza, nella triplice articolazione in cui è stata dianzi compendiata.
2.1 Appare più che evidente che l'attività di edificazione posta concretamente in essere non può ricondursi alla manutenzione straordinaria, anche in relazione al regime eccettuato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 152.
Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. b), (con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. b)), ricomprende, infatti, in tale nozione "le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d'uso".
Detti interventi devono essere comunque effettuati "mi rispetto degli elementi tipologici, strutturali e formali della loro originaria edificazione".
Nella vicenda in oggetto, al contrario, risulta accertato in punto di fatto che non si è proceduto ad un intervento di innovazione e/o sostituzione, ne' al ripristino di una situazione preesistente, essendo stata realizzata una costruzione assolutamente "nuova". 2.2 Va poi ribadito l'orientamento costante di questa Corte Suprema (vedi, tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. 3^: 29.11.2001, Zecca ed altro; 15.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.5.2002, Migliore;
4.10.2002, Debertol; 7.3.2003, Spinosa; 6.5.2003, Cassisa; 23.5.2003, P.M. in proc. Invernici; 26.5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori;
7.10.2003, Fierro) secondo il quale il reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (già L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, ed attualmente del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1) è reato di pericolo e, pertanto, per la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici. Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita - in assenza dell'autorizzazione già prevista dalla L. n. 1497 del 1939, art. 7, le cui procedure di rilascio sono state innovate dalla L. n. 431 del 1985, e sono attualmente disciplinate dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146 - ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso qualsiasi opera non soltanto edilizia ma "di qualunque genere" (ad eccezione degli interventi consistenti: nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, purché non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici; nell'esercizio dell'attività agro- silvo-pastorale, che non comporti alterazione permanente dello stato dei luoghi con costruzioni edilizie od altre opere civili e sempre che si tratti di attività ed opere che non alterino l'assetto idrogeologico; nel taglio colturale, forestazione, riforestazione, opere di bonifica, antincendio e di conservazione da eseguirsi nei boschi e nelle foreste, purché previsti ed autorizzati in base alle norme vigenti in materia).
La vicenda in esame è caratterizzata, ad evidenza, dall'esecuzione di opere oggettivamente non irrilevanti ed astrattamente idonee a compromettere l'ambiente: sussiste, pertanto, un'effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata e valutabile come tale ex ante, nonché una violazione dell'interesse dalla P.A. ad una corretta informazione preventiva ed all'esercizio di un efficace e sollecito controllo. Nè, al riguardo, le ricorrenti hanno prospettato alcun serio elemento idoneo a rappresentare la carenza di qualsiasi profilo di colpa nel comportamento da esse tenuto.
2.3 Le imputate, per l'edificazione da esse realizzata in assenza di permesso di costruire, erano state chiamate a rispondere anche del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), ed il Tribunale di Gela, con la sentenza in esame, le ha prosciolte da tale reato per l'intervenuto rilascio di provvedimento sanante dalla L. n. 47 del 1985, ex artt. 13 e 22 (attualmente D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, artt. 36 e 45).
La concessione rilasciata in seguito al positivo riscontro dello "accertamento di conformità" disciplinato dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 36, estingue - ai sensi del successivo art. 45 - soltanto i reati di cui all'art. 44 del citato T.U. (cioè i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti"), mentre l'effetto estintivo non si estende alle violazioni del T.U., D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi del D.Lgs. n. 42 del 2004), che pongono una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente aggettività giuridica diversa rispetto a quella che riguarda l'assetto del territorio sotto il profilo edilizio (vedi, tra le molteplici pronunzie, Cass., Sez. 3^:
20.5.2005, n. 19256; 19.5.2004, n. 23287; 25.10.2002, a 35864;
11.2.1998, a 1658).
La Corte Costituzionale, al riguardo - con l'ordinanza n. 327 del 21.7.2000 - ha ritenuto manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità della L. n. 47 del 1985, art. 22, comma 3, nella parte in cui non prevedeva che il rilascio della concessione in sanatoria della L. n. 47 del 1985, ex art. 13, estinguesse, oltre alle violazioni di natura strettamente urbanistica, anche il reato ambientale, pure nella "ipotesi in cui, nel rispetto dei tempi ristretti di durata del procedimento amministrativo disciplinato dall'art. 13 citato, l'interessato abbia ottenuto anche il provvedimento favorevole di cui alla L. n. 1497 del 1939, art. 7, da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo".
2.4 Regola comune è che il rilascio postumo dell'autorizzazione paesistica, da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo, non determina l'estinzione del reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 163 (oggi D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181), poiché tale effetto non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa avente carattere generale (vedi Cass., Sez. 3^:
12.12.1995, ric. P.M. in proc. Mingardi; 30.5.1996, ric. Giusti;
18.2.1998, ric. P.M. in proc. Cappelli; 15.6.1998, ric. P.M. in proc. Stefan; 6.7.1998, ric. Capolino; 17.11.1998, ric. Antognoli ed altro;
4.2.1999, ric. De Laurentiis).
Anche la Corte Costituzionale - con l'ordinanza n. 158 del 1998 - ha osservato che "la sopravvenienza dell'autorizzazione è irrilevante ai fini della sottoposizione a sanzione penale ai sensi della L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies (sentenza n. 318 del 1994); infatti, l'autorizzazione intervenuta dopo l'inizio dell'attività soggetta al necessario previo controllo paesaggistico non è sufficiente per rimuovere in via generale l'antigiuridicità penalmente rilevante dell'attività già compiuta in assenza di titolo abilitativo". Il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 146, comma 10, lett. c), ha perentoriamente stabilito che l'autorizzazione paesaggistica "non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale degli interventi".
Contrastando con tale principio - però - il comma 36 dell'articolo unico della L. n. 308 del 2004, ha introdotto la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità paesaggistica di alcuni interventi minori, all'esito della quale - pur restando ferma l'applicazione delle misure amministrative ripristinatorie e pecuniarie di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167 - non si applicano le sanzioni penali stabilite per il reato contravvenzionale contemplato dallo stesso D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1. Si tratta, in particolare:
- dei lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
- dell'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
- dei lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3. Nei casi anzidetti la noti applicabilità delle sanzioni penali è subordinata all'accertamento della compatibilità paesaggistica dell'intervento "secondo le procedure di cui il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quater", introdotto dalla L. 15 dicembre 2004, n. 308: deve essere presentata, in particolare, apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo e detta autorità deve pronunciarsi entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della Soprintendenza, da rendersi entro il termine, anch'esso perentorio, di 90 giorni. Nella fattispecie in esame, però, le ricorrenti non hanno fatto ricorso alla procedura appena descritta e non potevano, del resto, farvi ricorso, avendo realizzato "nuove volumetrie", sicché, in una situazione di mancato esperimento e di non applicabilità della procedura disciplinata dal comma 36 dell'articolo unico della L. n. 308 del 2004, correttamente il Giudice del merito ha affermato l'assoluta irrilevanza - ai fini della pretesa estinzione del reato paesaggistico - del nulla-osta (concesso il 10.2.2004) correlato alla procedura di rilascio del permesso edilizio in sanatoria D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 36 (permesso effettivamente rilasciato il 17.5.2004).
3. A quel nulla-osta deve riconoscersi, comunque l'effetto di escludere remissione o l'esecuzione dell'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, che nella specie, pertanto, risulta erroneamente impartito (vedi Cass., Sez. 3^: 10.7.2003, Fierro;
26.11.2002, Nucci).
La sentenza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata senza rinvio anche nella parte in cui ordina detta rimessione in pristino e tale ordine deve essere eliminato.
4. Le doglianze riferite al trattamento sanzionatorio, infine, costituiscono censure in fatto del provvedimento impugnato, non proponibili in sede di legittimità.
Alle ricorrenti, anzi, è stata illegittimamente inflitta la sola pena dell'ammenda, invece di quella, congiunta, dell'arresto e dell'ammenda, prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c). Questo Collegio, infatti - pur in presenza di qualche remota decisione discorde vedi Cass., Sez. 3^: 11.6.1992, n. 6898, Ferrero;
31.1.1994, Capparelli; 23.4.1994, n. 4707, Fanelli; 14.4.1995, Cerniti ed altro; 13.11.1995, n. 11085, Romano ed altri; 7.12.2000, n. 12873, Panattoni - ritiene di dovere ribadire il principio secondo il quale l'unica sanzione applicabile alle violazioni della L. n. 451 del 1985, art. 1 sexies (poi D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 165, ed ora del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1), qualunque sia la condotta violatrice Concretamente accertata, è quella fissata dalla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), attualmente riprodotta dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 44, comma 1, lett. c), (per l'affermazione di tale principio, che può considerarsi maggioritario, vedi Cass., Sez. 3^: 9.2.1990, Serraglmi; 8.5.1990, n. 6672, Giovannoni; 7.1.1991, Ventura; 9.2.1994, Morrea; 23.5.1994, n. 5878, P.M. in proc. Solla; 9.3.1995, n. 2351, P.M. in proc. Ceresa;
27.11.1997, n. 2357, Zauli ed altri; 3.3.1998, n. 2704, Cattali;
28.2.2001, n. 8359, Giannone; 15.6.2001, n. 30866, Visco ed altro;
28.9.2004, n. 38051, Coletta).
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
visti gli artt. 607, 615 e 620 c.p.p.;
annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui all'art. 734 cod. pen. (capo C), per essere detto reato estinto per prescrizione, ed elimina la pena di Euro 100,00 di Ammenda. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui ordina la rimessione in pristino, che elimina.
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2007