TAR Campania (NA) Sez. VI n. 9315 del 22 dicembre 2009
Beni ambientali. Vincolo paesaggistico

Il vincolo paesistico non è affatto soggetto - in mancanza della tempestiva adozione dei piani paesistici regionali - alla sanzione della sopravvenuta perdita di efficacia allo scadere del termine del 31.12.1986, o comunque decorso un quinquennio. In generale, la (sopravvenuta) perdita di efficacia conseguirebbe, semmai, alla sola mancata corresponsione di un indennizzo. Il limite del quinquennio, per costante giurisprudenza, così orientata dalla Corte Costituzionale, non è per niente applicabile alla fattispecie delle misure di salvaguardia previste a tutela di vincoli paesaggistici . Come noto, questi ultimi rappresentano predicati intrinseci del bene e rispetto ad essi l’atto amministrativo autoritativo ha un mero valore ricognitivo che nulla aggiunge, in sostanza, ai limiti interni già presenti nel bene che ne conformano l’intero regime giuridico. Di tal che non si pone (né può in astratto prospettarsi) alcuna limitazione di efficacia, temporale o di altro tipo, alle misure disposte in via amministrativa che incidano sul diritto di proprietà che ha per oggetto gli stessi, stante la stretta connessione di detti interventi con la dimensione ontologica intrinsecamente posseduta dal bene.


N. 09315/2009 REG.SEN.
N. 00979/1991 REG.RIC.
N. 00914/1991 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania

(Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 979 del 1991, proposto da:
Morelli Giuliana, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmine Ruotolo, Emilio Ruotolo, Giovanni Ruotolo, Pierpaolo Ruotolo, Giuseppe Sartorio, con domicilio eletto in Napoli, via C. Console, 3 c/o Avv. L.De Luca;
contro
Ministero Beni Culturali e Ambientali in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in via Diaz n.11 Napoli;

sul ricorso numero di registro generale 914 del 1991, proposto da:
Morelli Giuliana, rappresentata e difesa dagli avvocati Carmine Ruotolo, Emilio Ruotolo, Giovanni Ruotolo, Pierpaolo Ruotolo, Giuseppe Sartorio, Antonio Zampaglione, con domicilio eletto in Napoli, via C. Console, 3 c/o Avv. L.De Luca;
contro
Comune di Capri in persona del Sindaco p.t. non costituitosi in giudizio;
Ministero Beni Culturali e Ambientali in persona del Ministro p.t. rappresentato e difeso dall' Avvocatura Distrettuale Stato, domiciliataria per legge in Napoli, via Diaz, 11;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
quanto al ricorso n. 979 del 1991:
dell’ordinanza n.161 prot. 74613 del 14.11.1990 con cui il Sindaco di Capri ha annullato la concessione edilizia n.309/90 del 14.9.1990 già rilasciata in favore della ricorrente per la realizzazione di un ampliamento del fabbricato in sua proprietà sito in Capri alla via Tamborio n.20;
quanto al ricorso n. 914 del 1991:
del Decreto del Ministero dei Beni Culturali dell’11.10.1990 con cui è stato disposto l’annullamento della determinazione sindacale n.58 del 5 marzo 1990

Visti i ricorsi con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero Beni Culturali e Ambientali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 07/10/2009 il dott. Sergio Zeuli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


Con ricorso notificato in data 10 gennaio 1991 e depositato il 5 febbraio 1991 Giuliana Morelli, proprietaria di un immobile sito in Capri alla via Tamborio n.20, adiva questo Tribunale chiedendo l’annullamento del primo degli atti indicati in epigrafe.
A tal proposito esponeva le seguenti circostanze:
- aveva inoltrato un’istanza di concessione edilizia avente ad oggetto un modesto ampliamento dell’immobile in sua proprietà, accolta dal Comune in data 14.9.1990, preceduta dal nulla-osta ambientale rilasciato dal Sindaco ai sensi dell’art.7 della L.1497/1939.
- Successivamente tuttavia il Comune emetteva il provvedimento impugnato con cui, dopo aver preso atto dell’annullamento dell’originario nulla-osta, intervenuto ad opera del Ministero dei Beni Culturali, l’ente locale annullava in autotutela gli originari provvedimenti abilitativi.
Quest’ultimo provvedimento sindacale, nella prospettazione attorea, è da ritenersi illegittimo per i seguenti motivi: a) violazione della L.1150/1942 ed eccesso di potere per violazione del giusto procedimento; b) eccesso di potere per vizio di motivazione; c) illegititmità derivata per violazione, in cui sarebbe incorso il decreto del Ministro dei BB.AA. del 10.1.1991 degli artt.1 bis, 1 ter ed 1 quinquies della L.431/1985; d) violazione della Circolare del Ministero per i Beni Culturali n.8 del 31.8.1985, eccesso di potere per contraddittorietà.
Con successivo ricorso notificato al Ministero dei Beni Culturali in data 10 gennaio 1991 e depositato il 7 febbraio successivo parte ricorrente impugnava il secondo degli atti in epigrafe indicato, riproponendo avverso di esso le doglianze appena indicate.
Si costituiva in giudizio l’Avvocatura Erariale depositando una memoria della Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici della Provincia di Napoli.
All’odierna udienza, dopo le conclusioni dei difensori, i ricorsi venivano spediti in decisione.


DIRITTO


I I ricorsi possono essere riuniti stanti le evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.


II Nello svolgimento dell’ordito motivazionale converrà partire dal Decreto Ministeriale dell’11 ottobre del 1990. E difatti, lo stesso provvedimento sindacale impugnato sub a) rappresenta per così dire la mera presa d’atto del (ed è pertanto ricollegabile in logica sequenza con il) surricordato annullamento della determinazione sindacale n.58 del 5 marzo 1990 disposto dal Decreto del Ministero dei Beni Culturali dell’11.10.1990.
Quest’ultimo atto, pure gravato -in via diretta e mediante la censura di illegittimità derivata articolata in ricorso,- a sua volta, ha disposto il suindicato annullamento ritenendo il primigenio atto viziato da eccesso di potere, per carenza di motivazione e da violazione di legge sub specie dell’art.1 quinquies della Legge n.431/1985.
Onde valutare la fondatezza dei mezzi di gravame proposti, occorre in via preliminare e diretta, come detto, verificare, se effettivamente l’originario nulla –osta concesso dal Sindaco di Capri, fosse affetto o meno dai vizi in esso riscontrati dal Decreto Ministeriale Beni Ambientali e del Paesaggio.


III Come si è appena osservato l’autorità preposta alla tutela del vincolo censurava l’atto sindacale abilitativo, sotto un primo profilo, connesso alla carenza di motivazione. Procedendo alla preannunciata verifica della sussistenza di tale vizio – che di converso smentirebbe sul punto il ricorso, confermando la legittimità dell’atto presupposto – v’è da osservare che effettivamente né il nulla-osta sindacale, né la successiva e consequenziale concessione edilizia, contengono alcun accenno motivazionale alla questione specifica della compatibilità paesaggistica, la quale, viceversa, appariva evidentemente meritevole di esauriente menzione, in considerazione dei vincoli paesaggistici che insistono sull’area interessata dall’intervento oggetto dell’istanza edilizia. Il predetto nulla-osta, per vero, non specifica in alcuna parte se sussista ed in che termini la compatibilità dell’intervento oggetto di concessione, rispetto al contesto paesaggistico di riferimento. L’omissione è vieppiù rilevante, laddove si consideri che si parla di un territorio di particolare pregio essendo l’isola di Capri stata dichiarata di notevole interesse paesaggistico sin dal 1951 (con D.M. del 20.3.1951 emesso dal Ministero dei Beni Culturali ai sensi della L.1497/1939) e considerato altresì che l’incremento volumetrico apportava un aumento di circa il 20 % rispetto alla superficie originaria dell’immobile, ossia un incremento tutt’altro che inconsistente.
E’ difficile perciò negare che non sussistesse una carenza di motivazione nell’originario nulla-osta.


IV Venendo all’altra censura contenuta nell’atto di annullamento del Ministero dei Beni Culturali, - la (ivi contestata) violazione dell’art.1 quinquies della L.431/1985 –si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, anche tale vizio pare sussistere nell’atto sindacale originario.
E difatti, la misura di salvaguardia – il cui rispetto veniva invocato dall’autorità statale – discendeva dal vincolo paesistico, il quale ultimo non è affatto soggetto - in mancanza della tempestiva adozione dei piani paesistici regionali - alla sanzione della sopravvenuta perdita di efficacia allo scadere del termine del 31.12.1986, o comunque decorso un quinquennio, come per contro sostenuto in ricorso.
Sul punto, converrà infatti precisare, che, in generale, la (sopravvenuta) perdita di efficacia dedotta in ricorso conseguirebbe, semmai, alla sola mancata corresponsione di un indennizzo, e dunque che essa sarebbe comunque configurabile come inefficacia relativa condizionata e giammai assoluta, come pare ritenere la ricorrente.
In ogni caso, e comunque, va osservato in senso dirimente che il prospettato limite del quinquennio, per costante giurisprudenza, così orientata dalla Corte Costituzionale, non è per niente applicabile alla fattispecie delle misure di salvaguardia previste a tutela di vincoli paesaggistici (cfr. in questo senso Consiglio di Stato VI Sez. 14 maggio 2000 n.2934).


Come noto, questi ultimi rappresentano predicati intrinseci del bene e rispetto ad essi l’atto amministrativo autoritativo ha un mero valore ricognitivo che nulla aggiunge, in sostanza, ai limiti interni già presenti nel bene che ne conformano l’intero regime giuridico. Di tal che non si pone (né può in astratto prospettarsi) alcuna limitazione di efficacia, temporale o di altro tipo, alle misure disposte in via amministrativa che incidano sul diritto di proprietà che ha per oggetto gli stessi, stante la stretta connessione di detti interventi con la dimensione ontologica intrinsecamente posseduta dal bene.


In questo senso, proprio in materia di vincoli paesistici la sentenza della Corte Cost. n.56 del 1998 (peraltro richiamata da quella n.179 del 1999 che, come è noto, ha posto una serie di punti fermi in tema di reiterazione e vincoli di inedificabilità), ricostruendo la natura di tali misure di protezione, affermava, tra l’altro, che “i beni immobili qualificati di bellezza naturale hanno valore paesistico per una circostanza che dipende dalla loro localizzazione e dalla loro inserzione in un complesso che ha in modo coessenziale le qualità indicate dalla legge. Costituiscono cioè una categoria che originariamente è di interesse pubblico, e l'amministrazione, operando nei modi descritti dalla legge rispetto ai beni che la compongono, non ne modifica la situazione preesistente, ma acclara la corrispondenza delle concrete sue qualità alla prescrizione normativa. Individua il bene che essenzialmente è soggetto al controllo amministrativo del suo uso, in modo che si fissi in esso il contrassegno giuridico espresso dalla sua natura e il bene assuma l'indice che ne rivela all'esterno le qualità; e in modo che sia specificata la maniera di incidenza di tali qualità sull'uso del bene medesimo. L'atto amministrativo svolge, vale a dire, una funzione che è correlativa ai caratteri propri dei beni naturalmente paesistici e perciò non è accostabile ad un atto espropriativo”.


E questa è anche la ragione, evidentemente, per la quale non si ravvisano motivi in diritto che possano temporalmente limitare la vigenza di questi vincoli.
Ed ancor più chiaramente la medesima sentenza del giudice delle leggi così si esprime: “nell'ipotesi di vincolo paesistico su beni che hanno il carattere di bellezza naturale, la pubblica amministrazione, dichiarando un bene di pubblico interesse o includendolo in un elenco, non fa che esercitare una potestà che le è attribuita dallo stesso regime di godimento di quel bene, così che le sia consentito di confrontare il modo di esercizio di alcune facoltà inerenti a quel godimento con l'esigenza di conservare le qualità che il bene ha connaturali secondo il regime che gli è proprio e di prescrivere adempimenti coordinati e correlativi a tali esigenze. L'amministrazione può anche proibire in modo assoluto di edificare sulle aree vincolate che siano considerate fabbricabili (art. 15, secondo comma). Ma, in tal caso, essa non comprime il diritto sull'area, perché questo diritto è nato con il corrispondente limite e con quel limite vive; né aggiunge al bene qualità di pubblico interesse non indicate dalla sua indole e acquistate per la sola forza di un atto amministrativo discrezionale, com'è nel caso dell'espropriazione considerata nell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, sacrificando una situazione patrimoniale per un interesse pubblico che vi sta fuori e vi si contrappone (sentenza 9 marzo 1967, n. 20). Ed ancora “il regime paesistico dei diritti immobiliari è del tutto estraneo alla materia dell'espropriazione per pubblico interesse quando corrisponde alle caratteristiche interiori di ciò che è oggetto di quei diritti, e dal costituire tale regime un complesso normativo che determina il modo di essere e di godere del diritti stessi, legittimato dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione.”
Le considerazioni che precedono – confermando la legittimità del provvedimento ministeriale dell’11 ottobre del 1990 e quindi denunciando l’infondatezza del secondo dei due ricorsi- dequotano fino ad inficiarle anche le doglianze mosse sub specie di illegittimità derivata, con conseguenze che riverberano i loro effetti anche sui motivi di gravame articolati avuto riguardo all’atto impugnato con il primo ricorso.


V Difatti se l’atto presupposto è legittimo – considerato che il provvedimento impugnato ne rappresenta la fedele (e, si aggiunge, doverosa) esecuzione è evidente che neppure sono condivisibili le ulteriori doglianze aventi ad oggetto supposti vizi di contrasto e difformità con l’interesse pubblico che sorreggeva l’annullamento sindacale del precedente atto. Al contrario, la giustificazione sotto il profilo pubblicistico dell’annullamento si desume in re ipsa, proprio in considerazione del fatto che esso sostanzialmente si conforma ed esegue l’atto ministeriale (legittimo per quello che si è detto). Detto motivo pubblico giustificativo risiede perciò, con tutta evidenza, nella necessità di caducare l’efficacia di un precedente atto, che, al contrario, appariva effettivamente viziato da eccesso di potere e violazione di legge. Né pare possa dirsi non rispettato il limite interno del potere di annullamento, dal momento che quell’atto illegittimo non aveva ancora prodotto effetti irreversibili: in capo al beneficiario vi era infatti una situazione giuridica potenziale, che non era né avrebbe potuto essere, già posta in fase attuativa/realizzativa.


VI Quanto alla mancata acquisizione del parere della Commissione edilizia, pure dedotta in ricorso quale vizio autonomo, va innanzitutto osservato che, stante la natura doverosa (e quindi, vincolata) dell’atto impugnato quella fase consultiva non era necessaria, alla luce di un costante orientamento della giurisprudenza amministrativa. Nel caso di specie, peraltro,stante il chiaro pronunciamento del Ministero dei Beni Culturali l’acquisizione di quel parere sarebbe apparsa vieppiù superflua ed inutile.


VII Questi motivi inducono al rigetto del ricorso. La risalenza del ricorso giustifica un provvedimento di integrale compensazione delle spese di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo per la Regione Campania – sede di Napoli – Sesta Sezione respinge i ricorsi riuniti meglio in epigrafe descritti.


Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 07/10/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Francesco Guerriero, Presidente
Alessandro Pagano, Consigliere
Sergio Zeuli, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2009