Cons. Stato Sez. VI sent. 1413 del 23-3-2007
Beni culturali. Elenco


N.1413/07
Reg.Dec.
N. 9457 Reg.Ric.
ANNO 2002

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE


sul ricorso in appello n. 9457/2002, proposto dal MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA' CULTURALI e la SOPRINTENDENZA BENI AMBIENTALI E ARCHITETTONICI MILANO, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi 12;
contro
COMUNE DI MAGENTA, rappresentato e difeso dagli Avv. Alberto Fossati, Fabio Romanenghi e Ludovico Villani con domicilio eletto in Roma via Asiago n. 8, presso lo studio dell’ultimo;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia sede di Milano Sez. I n. 5268/2001.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Magenta;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 1° dicembre 2006 relatore il Consigliere Gianpiero Paolo Cirillo. Uditi l’avv. dello Stato Fiduccia e l’avv. Villani;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:


FATTO


1. Il Comune di Magenta ha deciso di intervenire con lavori di ristrutturazione per un immobile di sua proprietà al fine di realizzare un centro diurno per l’assistenza degli anziani, poi adibito a centro di aggregazione giovanile.


Nel corso dei lavori la soprintendenza di Milano ha inviato dapprima la nota del 5.12.2000 n. 20082 nella quale veniva ricordato che l’immobile era sottoposto alla disciplina dell’art. 5 del d.lgs. n. 490 del 1999 e, dopo, a fronte del silenzio del Comune, la nota n. 2253 dell’8.2.2001, con la quale ordinava l’immediata sospensione dei lavori.


2. Insorgeva il Comune innanzi al Tribunale, che, con la sentenza ora impugnata, accoglieva il ricorso, annullando l’atto di sospensione sulla base del fatto che non risultava avviato alcun procedimento di imposizione del vincolo né tantomeno che il bene risultava incluso nell’elenco predisposto dal Comune ai sensi del decreto legislativo suddetto.


3. Propone ora appello il Ministero, deducendo di aver inviato al Comune formale richiesta di autorizzazione per l’intervento e che fronte della continuazione dei lavori aveva adottato il provvedimento di sospensione per fronteggiare l’abuso del Comune; che i beni di proprietà pubblica di età superiore a 50 anni sono automaticamente soggetti alla legge di tutela a prescindere da qualunque procedimento di imposizione del vincolo o di inclusione negli elenchi citati.


4. Resiste l’amministrazione statale.


5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza dell’1 dicembre 2006.


DIRITTO


1. L’appello non è fondato.


2.1. Il documento posto a base del successivo provvedimento di sospensione dei lavori, ossia la nota della soprintendenza di Milano n. 20082 del 5.12.2000, è del seguente tenore: <>. “La legge citata” è l’art. 5 del T.U. in materia di beni ambientali e architettonici di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999.


Il successivo provvedimento n. 2253 dell’8.2.2001 di sospensione dei lavori, impugnato in via principale innanzi al Tribunale, è del seguente altro tenore: <>.


Risulta evidente al Collegio che la soprintendenza ha comunicato la sospensione dei lavori sulla base della convinzione che il vincolo sussisteva ex lege, atteso che essa stessa considera la prima nota surriportata come una semplice comunicazione con la quale si ricordava l’esistenza del vincolo.


2.2. Il richiamo fatto al solo articolo 5 del T.U. n. 490 del 1999, dove viene disciplinato il procedimento di individuazione e di formazione di un elenco descrittivo delle cose di interesse storico artistico da parte degli enti locali, induce il collegio ad una premessa del quadro normativo di riferimento.


Nell’art. 5 del T.U. n. 490 del 1999, unitamente al regolamento introdotto con d.P.R. n. 283 del 2000, si stabilisce che gli enti titolari di demanio presentino al Ministero, nel termine di due anni dall’introduzione dell’indicato regolamento, l’elenco “descrittivo” delle cose indicate all’art. 2, comma 1, lett. a) di loro spettanza, ossia “le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico storico, archeologico, o demo-etno-antropologico”. Il comma 5 di tale norma stabilisce altresì che detti beni, anche se non compresi negli elenchi (e nelle denunce disciplinati dal medesimo articolo), sono comunque sottoposti a tutela.


Da tale quadro normativo emerge, dunque, che sicuramente l’elenco non ha un valore costitutivo, ma anche che il bene di proprietà dell’ente locale deve presentare comunque un interesse culturale perché, a prescindere dall’inclusione nell’elenco, possono scattare le forme di protezione e di tutela di cui al Titolo I del decreto legislativo n. 490 del 1999 (ora sostituito dal “Codice” di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42).


2.3. Dagli atti risulta allegata la circolare n. 2728 del 13 febbraio 2001, inviata a tutte le province lombarde da parte del soprintendente appellante, e dove si osserva che dal quadro normativo generale, e in particolare dalla interpretazione data da questo Consiglio di Stato sulla natura descrittiva degli elenchi, “discende nella prassi della tutela la conseguenza, più volte ribadita a livello centrale dal superiore Ministero, che gli edifici di proprietà di enti pubblici risalenti a oltre cinquant’anni sono da considerarsi presuntivamente e potenzialmente vincolati, fino a pronuncia in senso negativo da parte dell’amministrazione dei beni Culturali, la quale deve essere interpellata ai fini di un accertamento della non sussistenza dei requisiti di interesse storico artistico quando esso non sia immediatamente riconducibile, in mancanza o nelle more di tale accertamento, deve ritenersi operante la sottoposizione alla normativa di tutela, e al regime di demanialità”.


Il collegio osserva che l’unica norma dove compare il temine di cinquant’anni, oltre all’art. 2, comma 6, sulle opere di autori viventi non rilevante in questa sede, trascorso il quale il bene diventa culturale è quella di cui all’art. 3 lett. f), intitolato “Categorie speciali di beni culturali”, dove si stabilisce che rivestono tale qualifica “i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquant’anni”. Tale categoria di beni non viene mai presa in considerazione dal successivo art. 5 sull’individuazione e formazione degli elenchi e che poi è quello “contestato” al Comune appellato. Pertanto, come d’altronde riconosce lo stesso Ministero appellante, è solo una “prassi” applicativa quello di ritenere che i beni in proprietà degli enti locali siano tutti potenzialmente vincolabili se hanno un’anzianità superiore a cinquant’anni, a prescindere dall’inclusione o meno negli elenchi. In realtà la norma non stabilisce nessun ponte tra il bene speciale, di cui all’art. 3 (dove si fa riferimento ai cinquant’anni) e l’elenco di cui al successivo art. 5, dove invece, per effetto del richiamo indicato, si comprendono i beni immobili e mobili aventi un interesse culturale.


2.4. Venendo ora alla fattispecie concreta, il collegio rileva che il Comune sicuramente non ha incluso il bene oggetto di controversia nell’elenco, ma rileva anche che le relazioni peritali fatte svolgere dal Comune medesimo hanno escluso ogni interesse culturale in ordine alla villa acquisita e quindi, quand’anche avesse compilato l’elenco, non lo avrebbe incluso.


Per contro la sovrintendenza non ha aperto, o comunque concluso, alcun procedimento di verifica della sussistenza dell’interesse culturale, fidando evidentemente sulla “prassi della tutela” secondo cui il bene ultracinquantennale è di per se “potenzialmente e presuntivamente” vincolato.


Ma così non è se non per “i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica”, che non sono quelli di cui all’art. 5, “contestato” al comune appellato e, soprattutto, in cui non rientra la villa per cui è causa. Infatti essa non riveste nessun interesse per la storia della scienza e della tecnica.


In conclusione la natura non costitutiva dell’elenco di cui all’art. 5 più volte richiamato non esclude la necessità che l’organo preposto alla tutela dei beni culturali avvii correttamente il procedimento volto alla verifica del carattere pregiato del bene pubblico e alla conseguente imposizione del regime protettivo; è tanto più necessario un atto espresso di riconoscimento del rilievo culturale quanto maggiori sono gli interessi configgenti e, soprattutto, quando il bene non è assistito da nessuna presunzione” di interesse culturale.


Va da sé che l’atto riportato all’inizio dello svolgimento della motivazione non solo non riveste natura provvedimentale, ma si fonda su un presupposto erroneo. Al tempo stesso costituisce la prova che l’amministrazione centrale era nella condizione di verificare la sussistenza o meno dell’interesse culturale del bene.


2.5. Pertanto l’appello va rigettato e la sentenza va confermata.


5. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del grado del giudizio.


P.Q.M.


Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, lo rigetta e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.


Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.


Così deciso in Roma, l’1 dicembre 2006 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio Schinaia Presidente
Sabino Luce Consigliere
Carmine Volpe Consigliere
Gianpiero Paolo Cirillo Consigliere Est.
Giuseppe Romeo Consigliere