Cass. Sez. III n. 22038 del 23giugno 2006 (Ud. 10/05/2006)
Pres. Postiglione A. Est. Squassoni C. Imputato: Berrugi e altri.
(Annulla in parte senza rinvio, Trib. Pisa, 15 marzo 2005)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Terre e rocce da scavo - Livello di contaminazione - Accertamento - Modalità.
In tema di terre e rocce da scavo, la verifica relativa al rispetto dei livelli di sostanze inquinanti presenti, fissati dal D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, e tali da sottrarle alla disciplina sui rifiuti, deve essere effettuata con riferimento alla composizione media dell'intera massa estratta e non mediante accertamento sui siti di destinazione dei materiali una volta omogeneizzata con altri elementi.
Pres. Postiglione A. Est. Squassoni C. Imputato: Berrugi e altri.
(Annulla in parte senza rinvio, Trib. Pisa, 15 marzo 2005)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Terre e rocce da scavo - Livello di contaminazione - Accertamento - Modalità.
In tema di terre e rocce da scavo, la verifica relativa al rispetto dei livelli di sostanze inquinanti presenti, fissati dal D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, e tali da sottrarle alla disciplina sui rifiuti, deve essere effettuata con riferimento alla composizione media dell'intera massa estratta e non mediante accertamento sui siti di destinazione dei materiali una volta omogeneizzata con altri elementi.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 10/05/2006
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 00809
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 040818/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BERRUGI PAOLO EGISTO, N. IL 27/09/1942;
2) PIPPI GIUSEPPE, N. IL 18/04/1936;
3) MANFREDA ROMANO, N. IL 07/07/1967;
avverso SENTENZA del 15/03/2005 TRIBUNALE di PISA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO G., che ha concluso per rigetto dei ricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il presente processo riguarda l'attività autorizzata di ripristino ambientale di una cava che doveva essere effettuata con due materiali:
terre da scavo (fornite dalla Ditta Area di cui era titolare il Berrugi Paolo Egisto) e fango da cartiera (proveniente dalla Ditta Servizi Ambiente di cui era responsabile Manfreda Romano). Tre controlli effettuati sul materiale giacente allo esterno della cava hanno evidenziato irregolarità nei rifiuti perché inquinati ed il mancato rispetto delle proporzioni con le quali dovevano essere miscelati.
Per tali violazioni, il Pubblico Ministero ha tratto a giudizio Beruggi e Manfreda per rispondere del reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1 (smaltimento di rifiuti non pericolosi senza autorizzazione) e Berrugi e Pippi Giuseppe, direttore della cava, per rispondere della contravvenzione di all'art. 51, comma 4 (inosservanza delle prescrizioni sulla miscelazione dei rifiuti). Al dibattimento il Pubblico Ministero ha contestato a Berrugi, al posto del reato di cui all'art. 51, comma 1, quello di cui al comma 3 (per avere senza autorizzazione realizzato una discarica di rifiuti costituiti da terre da scavo e fanghi da cartiera) ed ha precisato che i reati, accertati in data 28 febbraio 2002, erano stati commessi il 9, 14, 31 gennaio 2002.
All'esito del dibattimento, il Tribunale ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati originariamente contestati e li ha condannati alla pena di giustizia.
Per l'annullamento della sentenza Berrugi e Pippi ricorrono in Cassazione formulando le seguenti deduzioni.
a) Nullità della sentenza per violazione dell'art. 522 c.p.p. in quanto:
la modifica della imputazione per l'imputato Berrugi è stata irrituale perché concerneva un fatto nuovo (relativamente ai fanghi ed alla terra miscelata) e non un fatto diverso e perché il capo di incolpazione non era determinato;
il Tribunale per il reato di discarica relativo ai fanghi (non oggetto della prima contestazione) avrebbe dovuto pronunciarsi ed assolvere l'imputato;
la puntualizzazione del tempo dei commessi reati non è stata effettuata con le modalità dell'art. 516 c.p.p..
b) Erronea interpretazione delle disposizioni concernenti il campionamento della terra che avrebbe dovuto essere effettuato dopo la omogeneizzazione con il fango a sensi della Legge Lunardi. c) Illogicità della motivazione sulla sussistenza del reato di cui all'art. 51, comma 4 per mancanza assoluta di prove sul fatto contestato in quanto nei giorni 9, 13, 31 gennaio non vi è stata alcuna miscelazione.
L'imputato Manfreda ricorre in Cassazione deducendo violazione di legge e rilevando:
che le analisi sono mille nei suoi confronti per mancata comunicazione del luogo e della ora di espletamento delle stesse a per la omessa consegna dell'aliquota del campione;
che, nella sua qualità di intermediario, non era gravato dall'obbligo di controllare la merce che trasportava. Le censure dei ricorrenti sono parzialmente meritevoli di accoglimento.
Con riguardo alla posizione del Berrugi, la Corte rileva come i, pur molto articolati, motivi processuali inerenti alla irritualità della modifica dibattimentale della imputazione non siano ammissibili. Come già precisato, il Giudice ha deciso avendo come referente l'originario capo di imputazione per cui il ricorrente non ha concreto interesse allo accoglimento dei motivi inerenti alla legittimità della contestazione a sensi dell'art. 516 c.p.p. che deve considerarsi un mero precedente storico che non ha avuto influenza sull'esito del giudizio; la dichiarazione di non ritualità della procedura in esame non comporterebbe una situazione giuridica più favorevole per l'imputato.
Per quanto concerne il tempus commissi delicti, è puntuale la deduzione dei ricorrenti Berrugi e Pippi secondo i quali i reati non sono stati perpetrati nelle epoche precisare dallo organo della accusa; invero le contravvenzioni sono state accertate nei giorni indicati dal Pubblico Ministero mediante il prelievo dei campioni di terra e di fango e l'acquisizione dei documenti di trasporto. Tale imprecisione non comporta le conseguenze in diritto enucleate dagli imputati in quanto non ha impedito agli stessi di percepire gli elementi essenziali della accusa, comprese le coordinate temporali dei reati, e di esplicare una concreta e fattiva azione difensiva. Prima di affrontare le censure sul metodo con il quale doveva essere effettuato il campionamento della terra è opportuno premettere quando segue.
Per fare chiarezza sul regime giuridico delle terre da roccia e da scavo, sul quale vi erano variegati pareri, la L. n. 93 del 2001, art. 10 ha introdotto al Decreto Ronchi, art. 8, la lett. f bis che ha escluso detti materiali dal novero dei rifiuti se destinati allo effettivo riutilizzo e con concentrazione di inquinanti nel limite di accettabilità stabilito dalle norme vigenti. Indi la L. n. 443 del 2001 (Legge Lunardi), art. 1, comma 17 ha fornito una interpretazione autentica dell'art. 8, lett. f bis precisando, per quello che rileva, che gli inquinanti non devono superare i parametri del D.M. n. 471 del 1999 (salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un valore inferiore) e che il rispetto dei limiti è verificato mediante accertamento sui siti di destinazione dei materiali. La L. n. 306 del 2003, art. 23, commi 17 e 18, che ha riformulato la interpretazione autentica della norma, ha puntualizzato che l'utilizzo deve avvenire senza trasformazioni preliminari e che la composizione media della intera massa deve rispettare i limiti di cui al D.M. n. 471 del 1999, allegato 1, tabella 1, colonna b: questi valori di concentrazione restano in vigore, a mente del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 fino alla emanazione di un nuovo decreto ministeriale.
In coerenza con la normativa del settore, la autorizzazione 13 luglio 2001, in base alla quale gli imputati agivano, ha disposto che il riempimento della cava doveva essere effettuato con terre da roccia e da scavo rimandando per la concentrazione di inquinanti tollerata alla L. n. 93 del 2001, art. 10.
In tale contesto, è chiaro che per risolvere la problematica in oggetto occorra fare riferimento alle leggi interpretative del D.Lgs. n. 27 del 1997, art. 8, lett. f bis ed al più volte citato D.M. n. 471 del 1999 rispetto al quale il limite di tolleranza di inquinanti è stato superato. Gli imputati contestano il risultato delle analisi per il metodo con il quale sono state effettuate; sostengono che l'indagine avrebbe dovuto essere condotta "mediante accertamento sui siti di destinazione dei materiali di scavo" come prevede la Legge Lunardi e, quindi, sulla terra da scavo una volta omogeneizzata con il fango.
L'esegesi proposta dal ricorrente non pare corretta. La locuzione "siti di destinazione" deve essere intesa nel senso che la verifica inerente al rispetto dei parametri del D.M. n. 471 del 1999, o di limiti inferiori, deve essere condotta avendo come riferimento la destinazione urbanistica del luogo di utilizzo del materiale e non di quello di provenienza; la precisazione della L. n. 306 del 2003 (applicabile retroattivamente al caso in quanto norma di interpretazione autentica) secondo la quale occorre avere riguardo alla "composizione media della intera massa" non può che essere riferita alla massa delle terre da roccia e da scavo dal momento che la loro miscelazione con altri elementi, pur consentita, non è prevista come obbligatoria dalla legge. Di conseguenza, sono prive di fondamento le censure del Beruggi sulla non configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 22 del 1999, art. 51, comma 4;
le terre non erano esclude dal regime del Decreto Ronchi in quanto (pur destinate allo effettivo riutilizzo per il riempimento della cava) presentavano una concentrazione di inquinanti superiore ai valori stabiliti dalla legge.
Fondate sono le deduzioni del Beruggi e del Pippi sulla insussistenza del reato di violazione alle prescrizione della autorizzazione per quanto riguarda la miscelazione dei rifiuti.
La ricerca sul punto è stata condotta sul materiale da miscelare, e non su quella già miscelato ed inserito nella cava, e la misurazione è stata effettuata documentalmente prendendo in considerazione i formulari di trasporto dei fanghi ed i tagliandi di pesa della terra nel periodo 7-24 gennaio 2002.
Il metodo non è stato corretto in quanto i materiali trasportati nella cava dovevano rispettare autonomamente i limiti qualitativi, di compatibilità fisico-chimica, ma non quelli quantitativi;
la verifica della conformità alla prescrizione della autorizzazione inerente alla percentuale di fanghi (30%) e di terra (70%) avrebbe dovuto essere condotta sui materiali dopo la loro miscelazione. Consegue che il calcolo effettuato induttivamente sul cartaceo costituisce solo un indizio e non di tale pregnanza da giustificare la conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale; poiché la corretta verifica non è più praticabile, stante il tempo trascorso dai fatti ed il mutamento delle condizioni dei luoghi, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata sul punto nei confronti di Pippi e Berrugi perché il fatto non sussiste (eliminando per il secondo imputato la relativa pena di Euro tremila di ammenda). Per quanto riguarda il ricorrente Manfreda, il Collegio osserva come dagli atti di causa emerga che la prima censura è puntuale in fatto e tale conclusione, per il suo carattere assorbente, esonera dallo esaminare la residua deduzione.
Invero, l'avviso dello inizio delle operazioni di analisi dei campioni di fanghi, con l'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un tecnico di fiducia, è stato dato al solo Pippi come risulta dal relativo verbale; la omissione ha determinato una nullità, tempestivamente dedotta nel corso del giudizio di primo grado, per violazione dei diritti della difesa.
Poiché, espungendo dal novero delle prove le analisi, non è desumibile la composizione fisica dei fanghi, la Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza nei confronti di Manfreda perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza impugnata in relazione agli imputati Pippi e Manfreda e nei confronti di Berrugi limitatamente alla inosservanza delle prescrizioni della autorizzazione ed elimina per questo ultimo la relativa pena di Euro tremila di ammenda e rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2006
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 10/05/2006
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 00809
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 040818/2005
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) BERRUGI PAOLO EGISTO, N. IL 27/09/1942;
2) PIPPI GIUSEPPE, N. IL 18/04/1936;
3) MANFREDA ROMANO, N. IL 07/07/1967;
avverso SENTENZA del 15/03/2005 TRIBUNALE di PISA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO G., che ha concluso per rigetto dei ricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il presente processo riguarda l'attività autorizzata di ripristino ambientale di una cava che doveva essere effettuata con due materiali:
terre da scavo (fornite dalla Ditta Area di cui era titolare il Berrugi Paolo Egisto) e fango da cartiera (proveniente dalla Ditta Servizi Ambiente di cui era responsabile Manfreda Romano). Tre controlli effettuati sul materiale giacente allo esterno della cava hanno evidenziato irregolarità nei rifiuti perché inquinati ed il mancato rispetto delle proporzioni con le quali dovevano essere miscelati.
Per tali violazioni, il Pubblico Ministero ha tratto a giudizio Beruggi e Manfreda per rispondere del reato previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 1 (smaltimento di rifiuti non pericolosi senza autorizzazione) e Berrugi e Pippi Giuseppe, direttore della cava, per rispondere della contravvenzione di all'art. 51, comma 4 (inosservanza delle prescrizioni sulla miscelazione dei rifiuti). Al dibattimento il Pubblico Ministero ha contestato a Berrugi, al posto del reato di cui all'art. 51, comma 1, quello di cui al comma 3 (per avere senza autorizzazione realizzato una discarica di rifiuti costituiti da terre da scavo e fanghi da cartiera) ed ha precisato che i reati, accertati in data 28 febbraio 2002, erano stati commessi il 9, 14, 31 gennaio 2002.
All'esito del dibattimento, il Tribunale ha ritenuto gli imputati responsabili dei reati originariamente contestati e li ha condannati alla pena di giustizia.
Per l'annullamento della sentenza Berrugi e Pippi ricorrono in Cassazione formulando le seguenti deduzioni.
a) Nullità della sentenza per violazione dell'art. 522 c.p.p. in quanto:
la modifica della imputazione per l'imputato Berrugi è stata irrituale perché concerneva un fatto nuovo (relativamente ai fanghi ed alla terra miscelata) e non un fatto diverso e perché il capo di incolpazione non era determinato;
il Tribunale per il reato di discarica relativo ai fanghi (non oggetto della prima contestazione) avrebbe dovuto pronunciarsi ed assolvere l'imputato;
la puntualizzazione del tempo dei commessi reati non è stata effettuata con le modalità dell'art. 516 c.p.p..
b) Erronea interpretazione delle disposizioni concernenti il campionamento della terra che avrebbe dovuto essere effettuato dopo la omogeneizzazione con il fango a sensi della Legge Lunardi. c) Illogicità della motivazione sulla sussistenza del reato di cui all'art. 51, comma 4 per mancanza assoluta di prove sul fatto contestato in quanto nei giorni 9, 13, 31 gennaio non vi è stata alcuna miscelazione.
L'imputato Manfreda ricorre in Cassazione deducendo violazione di legge e rilevando:
che le analisi sono mille nei suoi confronti per mancata comunicazione del luogo e della ora di espletamento delle stesse a per la omessa consegna dell'aliquota del campione;
che, nella sua qualità di intermediario, non era gravato dall'obbligo di controllare la merce che trasportava. Le censure dei ricorrenti sono parzialmente meritevoli di accoglimento.
Con riguardo alla posizione del Berrugi, la Corte rileva come i, pur molto articolati, motivi processuali inerenti alla irritualità della modifica dibattimentale della imputazione non siano ammissibili. Come già precisato, il Giudice ha deciso avendo come referente l'originario capo di imputazione per cui il ricorrente non ha concreto interesse allo accoglimento dei motivi inerenti alla legittimità della contestazione a sensi dell'art. 516 c.p.p. che deve considerarsi un mero precedente storico che non ha avuto influenza sull'esito del giudizio; la dichiarazione di non ritualità della procedura in esame non comporterebbe una situazione giuridica più favorevole per l'imputato.
Per quanto concerne il tempus commissi delicti, è puntuale la deduzione dei ricorrenti Berrugi e Pippi secondo i quali i reati non sono stati perpetrati nelle epoche precisare dallo organo della accusa; invero le contravvenzioni sono state accertate nei giorni indicati dal Pubblico Ministero mediante il prelievo dei campioni di terra e di fango e l'acquisizione dei documenti di trasporto. Tale imprecisione non comporta le conseguenze in diritto enucleate dagli imputati in quanto non ha impedito agli stessi di percepire gli elementi essenziali della accusa, comprese le coordinate temporali dei reati, e di esplicare una concreta e fattiva azione difensiva. Prima di affrontare le censure sul metodo con il quale doveva essere effettuato il campionamento della terra è opportuno premettere quando segue.
Per fare chiarezza sul regime giuridico delle terre da roccia e da scavo, sul quale vi erano variegati pareri, la L. n. 93 del 2001, art. 10 ha introdotto al Decreto Ronchi, art. 8, la lett. f bis che ha escluso detti materiali dal novero dei rifiuti se destinati allo effettivo riutilizzo e con concentrazione di inquinanti nel limite di accettabilità stabilito dalle norme vigenti. Indi la L. n. 443 del 2001 (Legge Lunardi), art. 1, comma 17 ha fornito una interpretazione autentica dell'art. 8, lett. f bis precisando, per quello che rileva, che gli inquinanti non devono superare i parametri del D.M. n. 471 del 1999 (salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un valore inferiore) e che il rispetto dei limiti è verificato mediante accertamento sui siti di destinazione dei materiali. La L. n. 306 del 2003, art. 23, commi 17 e 18, che ha riformulato la interpretazione autentica della norma, ha puntualizzato che l'utilizzo deve avvenire senza trasformazioni preliminari e che la composizione media della intera massa deve rispettare i limiti di cui al D.M. n. 471 del 1999, allegato 1, tabella 1, colonna b: questi valori di concentrazione restano in vigore, a mente del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186 fino alla emanazione di un nuovo decreto ministeriale.
In coerenza con la normativa del settore, la autorizzazione 13 luglio 2001, in base alla quale gli imputati agivano, ha disposto che il riempimento della cava doveva essere effettuato con terre da roccia e da scavo rimandando per la concentrazione di inquinanti tollerata alla L. n. 93 del 2001, art. 10.
In tale contesto, è chiaro che per risolvere la problematica in oggetto occorra fare riferimento alle leggi interpretative del D.Lgs. n. 27 del 1997, art. 8, lett. f bis ed al più volte citato D.M. n. 471 del 1999 rispetto al quale il limite di tolleranza di inquinanti è stato superato. Gli imputati contestano il risultato delle analisi per il metodo con il quale sono state effettuate; sostengono che l'indagine avrebbe dovuto essere condotta "mediante accertamento sui siti di destinazione dei materiali di scavo" come prevede la Legge Lunardi e, quindi, sulla terra da scavo una volta omogeneizzata con il fango.
L'esegesi proposta dal ricorrente non pare corretta. La locuzione "siti di destinazione" deve essere intesa nel senso che la verifica inerente al rispetto dei parametri del D.M. n. 471 del 1999, o di limiti inferiori, deve essere condotta avendo come riferimento la destinazione urbanistica del luogo di utilizzo del materiale e non di quello di provenienza; la precisazione della L. n. 306 del 2003 (applicabile retroattivamente al caso in quanto norma di interpretazione autentica) secondo la quale occorre avere riguardo alla "composizione media della intera massa" non può che essere riferita alla massa delle terre da roccia e da scavo dal momento che la loro miscelazione con altri elementi, pur consentita, non è prevista come obbligatoria dalla legge. Di conseguenza, sono prive di fondamento le censure del Beruggi sulla non configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 22 del 1999, art. 51, comma 4;
le terre non erano esclude dal regime del Decreto Ronchi in quanto (pur destinate allo effettivo riutilizzo per il riempimento della cava) presentavano una concentrazione di inquinanti superiore ai valori stabiliti dalla legge.
Fondate sono le deduzioni del Beruggi e del Pippi sulla insussistenza del reato di violazione alle prescrizione della autorizzazione per quanto riguarda la miscelazione dei rifiuti.
La ricerca sul punto è stata condotta sul materiale da miscelare, e non su quella già miscelato ed inserito nella cava, e la misurazione è stata effettuata documentalmente prendendo in considerazione i formulari di trasporto dei fanghi ed i tagliandi di pesa della terra nel periodo 7-24 gennaio 2002.
Il metodo non è stato corretto in quanto i materiali trasportati nella cava dovevano rispettare autonomamente i limiti qualitativi, di compatibilità fisico-chimica, ma non quelli quantitativi;
la verifica della conformità alla prescrizione della autorizzazione inerente alla percentuale di fanghi (30%) e di terra (70%) avrebbe dovuto essere condotta sui materiali dopo la loro miscelazione. Consegue che il calcolo effettuato induttivamente sul cartaceo costituisce solo un indizio e non di tale pregnanza da giustificare la conclusione alla quale è pervenuto il Tribunale; poiché la corretta verifica non è più praticabile, stante il tempo trascorso dai fatti ed il mutamento delle condizioni dei luoghi, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata sul punto nei confronti di Pippi e Berrugi perché il fatto non sussiste (eliminando per il secondo imputato la relativa pena di Euro tremila di ammenda). Per quanto riguarda il ricorrente Manfreda, il Collegio osserva come dagli atti di causa emerga che la prima censura è puntuale in fatto e tale conclusione, per il suo carattere assorbente, esonera dallo esaminare la residua deduzione.
Invero, l'avviso dello inizio delle operazioni di analisi dei campioni di fanghi, con l'avvertimento della facoltà di farsi assistere da un tecnico di fiducia, è stato dato al solo Pippi come risulta dal relativo verbale; la omissione ha determinato una nullità, tempestivamente dedotta nel corso del giudizio di primo grado, per violazione dei diritti della difesa.
Poiché, espungendo dal novero delle prove le analisi, non è desumibile la composizione fisica dei fanghi, la Corte annulla senza rinvio la impugnata sentenza nei confronti di Manfreda perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio, perché il fatto non sussiste, la sentenza impugnata in relazione agli imputati Pippi e Manfreda e nei confronti di Berrugi limitatamente alla inosservanza delle prescrizioni della autorizzazione ed elimina per questo ultimo la relativa pena di Euro tremila di ammenda e rigetta, nel resto, il ricorso.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2006