Attestato di libera circolazione di un bene culturale e potere di autotutela. Dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, c. 1, l. 241/1990 (nota a Cons. Stato, Sez. VI, 16 ottobre 2024, n. 8296)

 di Federica CAMPOLO

pubblicato su giustiziainsieme.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Sommario: 1. Il caso di specie.  2. I termini per l’esercizio dei poteri di autotutela. 3. Attestato di libera circolazione di un bene culturale ed esercizio dei poteri di autotutela: un’analisi giurisprudenziale. 4. La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. 5. Brevi osservazioni conclusive.

1. Il caso di specie.

Nel 2015 l’Ufficio Esportazione di Verona rilasciava, ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’attestato di libera circolazione[1] relativo a un olio su tela raffigurante una figura femminile, attribuito alla scuola italiana del XVI secolo, dal valore stimato di € 65.000,00. L’opera veniva, in seguito, venduta ed esportata all’estero. 

Nel 2019, all’esito di un restauro, emergeva un elemento distintivo dell’opera, in precedenza almeno parzialmente celato a causa del suo cattivo stato di conservazione, che permetteva a uno studioso – grazie alla lettura del carteggio Vasari - di attribuire proprio al Vasari la sua esecuzione. 

Nel 2021, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura, venuta a conoscenza di tale circostanza, annullava in autotutela, ai sensi dell’art. 21 nonies, della l. n. 241 del 1990, l’attestato di libera circolazione, reputando che esso fosse viziato da travisamento dei fatti.

In risposta alle osservazioni prodotte dal privato destinatario del provvedimento, l’Amministrazione confermava la propria decisione, giustificando l’esercizio dei poteri in autotutela con l’atteggiamento poco collaborativo e, anzi, omissivo tenuto dalla parte al momento della presentazione dell’istanza, in violazione del dovere di correttezza nei rapporti tra privati e pubblica Amministrazione. Infine, veniva emesso un provvedimento espresso di diniego dell’attestato di libera circolazione, avviando altresì il procedimento per la dichiarazione dell’interesse artistico e storico particolarmente importante, ai sensi dell’art. 68, comma 6, del d.lgs. n. 42 del 2004. 

Avverso i citati provvedimenti venivano proposti due distinti ricorsi innanzi al T.A.R. Roma dal privato destinatario dei provvedimenti e dall’attuale proprietario della tela, sorretti da un articolato elenco di motivi. Entrambi i ricorsi venivano respinti[2]

I ricorrenti in primo grado presentavano due autonomi ricorsi in appello, che venivano riuniti dal Consiglio di Stato adito, in quanto aventi a oggetto la medesima vicenda sostanziale.

Per quanto di interesse, le sentenze di primo grado venivano censurate nella parte in cui avevano respinto i motivi di ricorso con cui era stata denunciata l’illegittimità dei provvedimenti in ragione del decorso del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990[3], per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela.

In particolare, il Giudice di prime cure, pur ritenendo applicabile al caso di specie il termine di dodici mesi stabilito per gli atti autorizzativi, non aveva reputato fondato il motivo di ricorso, affermando che, nel caso di specie, tale termine avrebbe potuto subire una deroga, in ragione del comportamento omissivo tenuto dal privato, che avrebbe impedito la corretta attribuzione della tela da parte dell’Amministrazione. Secondo l’interpretazione del T.A.R. Roma, avrebbe trovato applicazione la previsione di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990[4].

Il Consiglio di Stato ha ritenuto condivisibili le censure svolte dagli appellanti con specifico riferimento all’inconfigurabilità, nel caso in esame, di una condotta di “falsa rappresentazione dei fatti”, non potendo esserne raggiunta la piena prova.

A questo punto, il Giudice dell’appello non è addivenuto alla riforma delle sentenze di primo grado, in favore dei privati, ma ha sollevato d’ufficio innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, 97, comma 2 e 117, comma 1. 

Più precisamente, ad avviso del Collegio, tale previsione, quando riferita ai provvedimenti di autorizzazione incidenti su un interesse sensibile e di rango costituzionale come la tutela del patrimonio storico e artistico sarebbe in contrasto con:

“- il parametro costituzionale di ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost., quale limite alla discrezionalità del legislatore nella costruzione della disciplina di legge;

- la stessa protezione del primario bene costituzionale della integrità ex art. 9, comma 1 e comma 2, del patrimonio storico e artistico della Nazione;

- la responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’eredità culturale sancita dall’art. 1 lett. b) e d) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005;

- l'obbligo dello Stato italiano a ‘riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società’ e ‘promuovere la protezione dell’eredità culturale’ ex art. 5 lett. A) e b) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005;

- il valore, pure di rango costituzionale, ex art. 97, comma 2, Cost. Del buon andamento dell’amministrazione”.

Gli argomenti adottati dal Consiglio di Stato per sostenere la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale forniscono l’occasione per svolgere alcune riflessioni in merito all'esercizio del potere di annullamento in autotutela, nel caso in cui i provvedimenti autorizzatori riguardino interessi sensibili, quali la tutela dell’ambiente e dei beni culturali. 

2.     I termini per l’esercizio dei poteri di autotutela.

Come noto, l’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990 detta la disciplina dell’annullamento d’ufficio, che, insieme alla revoca di cui all’art. 21 quinquies, costituisce una delle forme di esercizio del potere di autotutela della pubblica Amministrazione, previste dal nostro ordinamento[5]

L’art. 21 nonies definisce attentamente le condizioni che possono determinare l’Amministrazione a emanare un provvedimento di secondo grado, capace di travolgere un precedente provvedimento, privandolo ex tunc della sua capacità di produrre effetti giuridici. In particolare, l’Amministrazione può annullare un provvedimento d’ufficio solamente al ricorrere – congiuntamente – dei seguenti presupposti: quando questo sia illegittimo, poiché affetto da uno dei vizi elencati dall’art. 21 octies, quando l’annullamento risponda a un interesse pubblico e, infine, laddove tale potere intervenga entro un determinato lasso temporale. L'annullamento in autotutela, in ogni caso, deve tenere in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.

In relazione al requisito temporale, la norma in esame detta alcune precisazioni. In via generale, non è stabilito un termine fisso entro il quale può essere emesso un provvedimento di secondo grado, dal momento che il legislatore fa riferimento a un generico “termine ragionevole”. È lasciato, dunque, un certo margine di discrezionalità in capo all’Amministrazione.[6] Tuttavia, quando l'atto di primo grado rientra nella categoria dei “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”, viene individuato espressamente dalla norma il termine massimo di dodici mesi dalla sua adozione per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio. In questo modo, come meglio si dirà nel prosieguo, il legislatore ha voluto prestare una particolare tutela al legittimo affidamento risposto dal privato nella validità del provvedimento, in un’ottica di certezza dei rapporti giuridici[7]

Oltre alle ipotesi “ordinarie” sopra richiamate, l’art. 21 nonies ha introdotto al suo comma 2 bis un’eccezione alla regola, ammettendo l’esercizio dell’annullamento d’ufficio anche oltre i termini di cui al comma 1, al ricorre di determinate circostanze.

Più precisamente, i provvedimenti amministrativi possono essere annullati anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi qualora siano stati “conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”. 

In accordo con l’interpretazione offerta dalla più recente giurisprudenza amministrativa[8], il comma 2 bis individua due differenti casistiche, in cui l’applicazione del “termine ragionevole” trova giustificazione nel venir meno dell’esigenza di tutela dell’affidamento del privato, ove questo abbia ottenuto i titoli oggetto dell’autotutela in modo fraudolento. 

La differenza sostanziale tra le due ipotesi sta nel fatto che nella prima - cioè in caso di false rappresentazioni dei fatti - è possibile superare il limite di dodici mesi a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte che l’istante abbia rappresentato dolosamente uno stato preesistente diverso da quello reale. Sarà l’Amministrazione a dover accertare con i propri mezzi, caso per caso e in modo inequivocabile, la falsa rappresentazione. In caso di dichiarazioni sostitutive di certificazioni false o mendaci, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, invece, sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale[9].

Per i casi descritti dall’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990 – e in particolare per le ipotesi di accertamento penale delle dichiarazioni false o mendaci - dottrina e giurisprudenza hanno adottato l’insidiosa nozione di “autotutela doverosa”. In questa categoria sono state fatte rientrare ulteriori ipotesi sia di elaborazione giurisprudenziale sia normativa[10]

L’autotutela doverosa, la cui esatta portata è a tutt’oggi discussa, contempla ipotesi in cui – al ricorrere di determinate circostanze e anche in deroga ai termini di cui all’art. 21 nonies, comma 1 – l’Amministrazione è tenuta ad annullare ex officio un provvedimento precedentemente emesso. 

Secondo parte della dottrina, l’art. 21 nonies, comma 2 bis detterebbe una c.d. autotutela doverosa “parziale”, caso in cui cioè si assiste a una semplice dequotazione del termine per procedere all’annullamento d’ufficio[11].

Simili casistiche sembrano dimostrative di un’insofferenza da parte degli interpreti a una rigida applicazione dei limiti generali per l’esercizio dell’annullamento d’ufficio, dettati a tutela dell’affidamento dei privati, ove la tutela dell’interesse pubblico assume portata prioritaria rispetto all’affidamento dei privati.

3.     Attestato di libera circolazione di un bene culturale ed esercizio dei poteri di autotutela: un’analisi giurisprudenziale.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio detta un’attenta disciplina della circolazione dei beni culturali in ambito internazionale, che trova collazione agli artt. 64 bis e ss[12]. Si tratta di un istituto essenziale per la tutela dei beni culturali, dal momento che la fuoriuscita di un determinato bene dai confini nazionali potrebbe compromettere l’integrità stessa del patrimonio culturale. Come stabilito dall’art. 64 bis, comma 3, i beni costituenti il patrimonio culturale, infatti, non sono assimilabili a merci[13].

Per quei beni per i quali il d.lgs. n. 42 del 2004 non stabilisce un divieto di uscita definitiva dal territorio italiano, ai sensi del suo art. 65, questa è possibile previo ottenimento di un attestato di libera circolazione. Il successivo art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 definisce modalità e tempi per la presentazione dell’istanza volta al rilascio di detto attestato, spettante all’Ufficio esportazione della competente Soprintendenza. 

A seguito dello svolgimento del procedimento di cui all’art. 68 citato, l’Ufficio esportazione può proporre al Ministero l’acquisto coattivo della cosa per la quale è richiesto l’attestato di libera circolazione, per il valore indicato nella denuncia, ai sensi dell’art. 69 del d.lgs. n. 42 del 2004, ove sia riconosciuto al bene un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico, ai termini dell’art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

L’attestato di libera circolazione rientra pacificamente – come riconosciuto nella pronuncia in esame – nella nozione di autorizzazione[14]. Pertanto, ai fini dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, è assoggettato al limite temporale di dodici mesi dall’adozione del provvedimento.

Le criticità date dalla rigida applicazione di detto termine ai beni culturali si manifestano con tutta evidenza nelle ipotesi, come quella oggetto della pronuncia in esame, in cui solo successivamente al rilascio dell’attestato di libera circolazione – anche a distanza di diversi anni – un bene ritenuto idoneo alla circolazione internazionale, poiché non rientrante nelle ipotesi di “divieto di uscita” ai sensi dell’art. 65 del d.lgs. n. 42 del 2004, si scopre, invece, meritevole di appartenere a questa categoria. 

L’ipotesi più insidiosa è proprio quella dell’attribuzione di un dato bene a un determinato autore di fama internazionale, solo a seguito di nuovi studi condotti sull’opera stessa. Così, ad esempio, un quadro per anni attribuito alla scuola/bottega di un certo artista, a seguito di un’attenta attività di restauro viene riconosciuto come di esecuzione diretta del Maestro.

La nuova attribuzione, in questi casi, può incrementare in maniera esponenziale l’importanza, il valore e, di conseguenza, le esigenze di tutela e valorizzazione dello specifico bene culturale.

Negli ultimi anni, sono giunti innanzi al Giudice amministrativo alcuni casi di impugnazioni di provvedimenti di annullamento in autotutela di attestati di libera circolazione, ritenuti illegittimi in ragione del superamento del termine di dodici mesi di cui all’art. 21 nonies, comma 1, che hanno ottenuto una certa risonanza mediatica[15].

Tra questi, appare di rilievo una recente pronuncia del T.A.R. Veneto[16], riguardante l’impugnazione del provvedimento con cui l’Ufficio esportazione di Verona, nel 2023, aveva annullato in autotutela un attestato di libera circolazione rilasciato nel 2019, avente a oggetto un dipinto raffigurante San Francesco in estasi e l’angelo musicante, attribuito al tempo alla bottega del Guercino. L’annullamento trovava giustificazione nella nuova attribuzione dell’opera, avvenuta a seguito di un successivo restauro, al Guercino stesso. Anche in questo caso, l’Amministrazione motivava il superamento del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 con l’asserita configurabilità dell’eccezione di cui al successivo comma 2 bis, in ragione della condotta omissiva-colposa del privato. 

Il T.A.R. Veneto accoglieva il ricorso, affermando che, nel caso di specie, non fosse possibile sostenere la tesi della Soprintendenza, secondo cui il rilascio dell’attestato sarebbe stato indotto da false rappresentazioni e dichiarazioni del denunciante. Sul punto il Giudice ha significativamente evidenziato come “non ogni incompletezza, omissione, errore, imprecisione nella redazione delle istanze può essere valorizzata ai fini del legittimo esercizio dell’autotutela oltre il termine previsto dall’art. 21 nonies, comma 1, legge 241/1990. Occorre, invece, che sussista una “falsa rappresentazione” dei fatti idonea a indurre in errore l’amministrazione, ossia una rappresentazione di fatti divergente dalla realtà (quindi falsa, o anche solo parziale) di cui l’amministrazione non possa avvedersi nel corso di un’ordinaria istruttoria e che disveli, pertanto, un intento fraudolento o malizioso del richiedente, come tale non meritevole di tutela”.

Nei medesimi termini si era in precedenza espresso Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2023, n. 9962[17], che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento d’ufficio di un attestato di libera circolazione di un dipinto del XVI secolo, attribuito al Bassano, emesso oltre dodici mesi dopo il suo rilascio. L’Amministrazione, anche in questo caso, aveva tentato – senza successo - di sostenere l’applicabilità dell’art. 21 nonies, comma 2 bis.

A pochi mesi fa risale la pronuncia Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2024, n. 8010[18], con cui, invece, è stata confermata la sentenza del T.A.R. Roma, che, in un ulteriore caso di nuova attribuzione di una tela, successivamente al rilascio dell’attestato di libera circolazione, aveva ritenuto legittimo il conseguente provvedimento di annullamento in autotutela dell’Amministrazione, ritenendo configurabile l’ipotesi di cui all’art.  21 nonies, comma 2 bis. Ciò perché, nel caso concreto, la condotta tenuta dal privato è stata valutata come comportante una “lacunosa e ambigua rappresentazione dei fatti, la quale ha impedito all’Amministrazione di formare in maniera pienamente consapevole il proprio giudizio in ordine al valore artistico dell’opera”.  Diversi elementi indiziari, infatti, avevano portato il Giudice amministrativo a ritenere che, già al momento della domanda, i proprietari avessero potuto nutrire una qualche aspettativa in ordine all’attribuibilità della tela al Caravaggio, che era stata celata attraverso una condotta tale da impedire all’Amministrazione di disporre di “una piattaforma conoscitiva completa e attendibile su cui fondare la propria determinazione[19].

Dalle pronunce segnalate – emesse nell’arco di soli due anni – emerge, in primo luogo, che la casistica della nuova attribuzione di un’opera, implicante un incremento del suo valore e della sua importanza per il patrimonio culturale nazionale, a seguito del rilascio di un attestato di libera circolazione, non è un fenomeno statisticamente irrilevante. 

In secondo luogo, si comprende come l’orientamento a oggi seguito dalla giurisprudenza sia quello di negare la possibilità per le Amministrazioni di annullare in autotutela, oltre il termine di dodici mesi, gli attestati di libera circolazione previamente emessi. L’unica possibilità per un annullamento tardivo si ha al ricorrere dei presupposti di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis e, in particolare, dando dimostrazione di un quadro indiziario dal quale emerge un comportamento malizioso o fraudolento del richiedente.

È di interesse segnalare che la giurisprudenza sopra richiamata ha messo in allarme il Ministero della Cultura che, con la recente circolare n. 21 del 2024 della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, preso atto dell’orientamento del g.a., ha invitato gli Uffici competenti “per evitare l’irrimediabile uscita dal territorio nazionale di opere d’arte che, onde opportunamente presente agli uffici esportazione, non avrebbero ricevuto l’attestato di libera circolazione” a voler dichiarare l’improcedibilità dell’istanza nei casi in cui “la mancanza o insufficienza di informazioni unitamente alla scarsa leggibilità dell’opera non consentano la adeguata valutazione dell’interesse culturale[20].

La breve ricostruzione della recente giurisprudenza sul tema di cui si discute chiarisce quale sia lo sfondo su cui la sentenza in commento ha sviluppato le proprie riflessioni, sfondo caratterizzato dall’urgenza di trovare risposta a un sentito problema concreto che investe il mercato dell’arte e le Amministrazioni preposte alla tutela del patrimonio culturale.

Tale situazione critica è stata emblematicamente descritta dal Consiglio di Stato nella pronuncia in analisi, ove ha rilevato che “vi è un ampio ventaglio di casi, tra cui rientra quello concreto in esame, in cui non è configurabile (ovvero non è raggiunta piena prova della configurabilità) una ‘falsa rappresentazione dei fatti’ o non sono intervenute ‘dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato’ e cionondimeno non può ragionevolmente sostenersi l’incondizionata prevalenza dell’interesse privato alla conservazione della situazione di vantaggio solo in ragione del suo consolidamento per decorso del tempo essendosi verificato un vero e proprio ‘aliud pro alio’ suscettibile di recare un nocumento irreversibile al patrimonio culturale della Nazione in un contesto ove l’accertamento della paternità dell’opera si presentava incerto”. 

4.     La non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale.

Appare di particolare interesse l’esame delle ragioni evidenziate dal Consiglio di Stato nella pronuncia in commento per motivare la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata.

Innanzitutto, la manifesta irragionevolezza della scelta del legislatore, secondo il Collegio, si riscontra nella circostanza che il termine di dodici mesi per l’annullamento d’ufficio si applica indistintamente ai provvedimenti attributivi di vantaggi economici e alle autorizzazioni incidenti su interessi sensibili e primari, quali la tutela del patrimonio culturale, che costituisce un principio fondamentale dell’ordinamento.

Tale previsione, eliminando la discrezionalità dell’amministrazione con riferimento al “quando”, impedisce, secondo il Consiglio di Stato, di soppesare adeguatamente gli interessi contrapposti, attribuendo un’automatica prevalenza a quello del privato alla conservazione del provvedimento. In questo modo, risulta compromesso quel modello delineato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale di continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti [21].

Un’ulteriore ragione viene individuata ponendo l’attenzione sulla natura dei poteri di autotutela, i quali, in particolare, presentano una causa mista, a metà strada tra la dimensione giustiziale e quella di amministrazione attiva, grazie alla quale è garantita la cura dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento annullato. Una limitazione all’esercizio di tali poteri, in presenza di interessi pubblici tanto rilevanti come quello alla tutela del patrimonio culturale, si traduce nella preclusione alla spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’amministrazione.

Un rilevante argomento a sostegno della manifesta irragionevolezza della normativa di cui si discute è individuato effettuando un confronto con ulteriori disposizioni contenute nella l. n. 241 del 1990, che prevedono eccezioni all’applicazione della regola generale, quando entrano in gioco interessi sensibili quali la tutela dell’ambiente e dei beni culturali. 

Viene fatto riferimento, più precisamente, alle seguenti disposizioni: l’art. 19, comma 1, che detta l’inapplicabilità della disciplina della SCIA nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali; l’art. 20, comma 4, che esclude l’operatività del meccanismo del silenzio assenso per i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico e, infine, gli art. 14 bis, 14 ter e 14 quinquies che, in materia di conferenza di servizi, prevedono regole speciali relative ai termini del procedimento e al superamento dei dissensi espressi, qualora si tratti di amministrazioni preposte alla tutela ambiente, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali[22].

Tutte le ipotesi citate sono accomunate dalla previsione di una dilatazione dei tempi di valutazione riservati all’Amministrazione e si prestano, pertanto, ad essere paragonate all’art. 21 nonies, comma 1, in esame.

Il Consiglio di Stato, dopo aver elencato tale casistica, previene facili rilievi critici, specificando che l’art. 17 bis della l. n. 241 del 1990, disciplinante il silenzio assenso tra le Amministrazioni, applicabile espressamente anche quando oggetto del procedimento sono interessi sensibili quali quelli ambientali e culturali, non è idoneo a svalutare l’argomento sopra richiamato. Ciò perché tale istituto vede il confronto orizzontale tra diversi interessi parimenti pubblici[23].

Ancora, non vale a escludere la manifesta irragionevolezza del limite temporale di cui si discute, ove rapportato a interessi sensibili, l’ampliamento dei termini per l’annullamento d’ufficio previsto dal più volte richiamato comma 2 bis dell’art. 21 nonies della l. n. 241 del 1990. Questo, infatti, come evidenziato dal Consiglio di Stato, ha un ambito di applicazione molto ristretto e manca, in radice, un legittimo affidamento del privato da bilanciare con un dato interesse sensibile. 

Come ultimo profilo, viene esaminato quello della discrezionalità, indagato sotto una duplice prospettiva. 

Da un lato, il Collegio parla dell’erosione della discrezionalità del legislatore con riferimento alla materia dei beni culturali, in ragione degli impegni assunti dallo Stato a livello internazionale, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost. In particolare, si fa riferimento agli art. 1, lett. b) e d) e 5, lett. a) e b) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, firmata a Faro il 27 ottobre 2005, i quali sanciscono una responsabilità non solo individuale, ma anche collettiva alla tutela del patrimonio culturale. In questa prospettiva, la promozione della protezione dell’eredità culturale deve essere raggiunta anche “predisponendo soluzioni normative che non siano d’ostacolo alla realizzazione di tale scopo”.

Secondo un’altra prospettiva, viene messo in luce come il procedimento volto al rilascio dell’attestato di libera circolazione sia caratterizzato dall’esercizio di discrezionalità tecnica[24], ove è necessario fare ricorso a conoscenze di settore mobili e in evoluzione, prive di quella certezza propria delle c.d. scienze dure. Anche per questa ragione “manifestamente irragionevole nonché lesivo del valore del buon andamento e dell’obiettivo di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione si rivela, dunque, la previsione di un termine per l’esercizio del potere di autoannullamento rigido e, come tale, assolutamente insensibile all’irriducibilità, importanza e peculiarità del caso concreto”.  

Sviscerate le criticità insite nella previsione di cui all’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, con riferimento al limite rigido di dodici mesi dettato per l’esercizio dell’annullamento in autotutela anche per provvedimenti inerenti ai beni culturali, il Collegio ha concluso il proprio iter argomentativo affermando che sarebbe necessario ripristinare anche in questi casi l’applicabilità del “termine ragionevole”, così da permettere una reale ponderazione degli interessi coinvolti[25].

5.     Brevi osservazioni conclusive.

La pronuncia in commento ha il pregio di aver posto in evidenza una fragilità del nostro ordinamento, capace di mettere a rischio l’effettività del principio della tutela del patrimonio culturale, sancito, in primo luogo, dall’art. 9 della Costituzione.

Come sopra evidenziato, le Amministrazioni competenti alla tutela del patrimonio culturale, al verificarsi di ipotesi di veri e propri aliud pro alio, si trovano prive di strumenti idonei a fronteggiare il mutamento della situazione originaria e, quindi, obbligate a tentare non lineari interpretazioni della normativa – come il ricorso all’eccezione di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990 – al fine di assicurare l’effettività della tutela.

L’introduzione di precisi limiti all’emanazione di provvedimenti di secondo grado risponde con tutta evidenza all’esigenza avvertita nel nostro ordinamento di dare certezza all’affidamento dei privati[26]. La recente restrizione, da diciotto a dodici mesi, del tempo massimo previsto per l’autoannullamento dà ulteriore dimostrazione di come il legislatore voglia evitare che la spada di Damocle dell’annullamento d’ufficio possa fungere da limite per la certezza dei rapporti giuridici. Viene, così, implicitamente dichiarato che tra l’esigenza di ripristino della legalità violata e la tutela dell’affidamento del privato – anche vista in un’ottica di semplificazione giuridica – la seconda, nell'attuale contesto economico-sociale, è considerata prioritaria[27].

L’avversione per una generale applicazione del “termine ragionevole” all’annullamento d’ufficio risiede certamente anche in una tradizionale diffidenza per l’esercizio della discrezionalità da parte delle pubbliche Amministrazioni[28].

Sul punto, sembra di interesse evidenziare che i recenti approdi del nostro legislatore in materia di contrattualistica pubblica - in cui si è assistito a un recupero e a una valorizzazione della discrezionalità amministrativa, considerata quale indispensabile strumento per una buona amministrazione[29] – ma più in generale il consolidarsi delle critiche avanzate dalla dottrina in relazione ai meccanismi di semplificazione introdotti nel procedimento amministrativo – fanno ipotizzare che la riscoperta della discrezionalità possa divenire una nuova tendenza generale per l’intera attività amministrativa. 

Il ritorno alla discrezionalità – e quindi anche alla fiducia nell’attività della pubblica Amministrazione – appare indispensabile laddove in gioco vi siano interessi sensibili, che non possono essere sacrificati in via automatica in favore di un legittimo affidamento del privato. 

In attesa di conoscere la decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità sollevata, la pronuncia in esame fornisce, in ogni caso, al legislatore una chiara indicazione sui pericoli determinati dall’eliminazione di ogni possibilità per l’Amministrazione di svolgere un concreto bilanciamento di interessi, quando un determinato procedimento intercetti principi fondamentali, che trovano specifica collocazione e tutela nella Costituzione. 

Si noti che l’interesse dei destinatari del provvedimento rimarrebbe, in ogni caso, in forza del testo dell’art. 21 nonies, comma 1, uno dei parametri sui quali l’Amministrazione deve fondare la propria decisione. 

Nonostante la generale condivisibilità dei rilievi offerti dalla pronuncia in esame, non va sottaciuto che l’eventuale reintroduzione del “termine ragionevole” non appare priva di profili problematici. Questo, in ragione della sua indeterminatezza e dell’inevitabile soggettività che ne caratterizza l’esercizio, potrebbe generare situazioni di grande criticità nel mercato dell’arte. Il principio di proporzionalità, oltre che gli insegnamenti già elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza con riferimento alla portata del “termine ragionevole” dovranno fungere inevitabilmente da guida nell’esercizio dei poteri di autoannullamento[30].  

 

[1] In termini generali, sulla circolazione internazionale dei beni culturali in dottrina si vedano, ex multis, A. Lanciotti, La Circolazione dei beni culturali nel diritto internazionale privato e comunitario, Napoli, 1996; M. Frigo, La circolazione internazionale dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, 2007; F. Lafrange, La circolazione internazionale dei beni culturali dopo le modifiche al Codice, in Aedon, 2009; P. Venditti, La circolazione dei beni culturali in ambito internazionale e la tutela del proprietario in caso di trasferimento illecito o illegale, in Arte e Diritto, 2024, 1, 85 ss. Con specifico riferimento all’attestato di libera circolazione si veda, tra i molti commentari al Codice dei beni culturali e del paesaggio, C. Ferrazzi, Commento all’art. 68, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019, 675 ss.

[2] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II-quater, 19 luglio 2022, n. 10294, in www.giustizia-amministrativa.it.

[3] Di seguito il testo dell’art. 21 nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.

[4] Si riporta il testo dell’art. 21 nonies, comma 2 bis, della l. n. 241 del 1990: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.

[5] Sull’annullamento d’ufficio si vedano, tra i più recenti contributi dottrinali, M. Sinisi, Autotutela e governo del territorio, in Riv. giur. ed., 2024, 2, 157 ss.; Id., Il potere di autotutela caducatoria (art. 21-quinquies e 21-nonies l. n. 241 del 1990 s.m.i.), in M.A. Sandulli (a cura di), principi e regole dell’azione amministrativa, Milano, 2023, 543 ss.; M.A. Sandulli, G. Strazza, L’autotutela tra vecchie e nuove incertezze: l’Adunanza plenaria rilegge il testo originario dell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, in S. Toschei (a cura di), L’attività nomofilattica del Consiglio di Stato, Roma, 2018; M.A. Sandulli, Autotutela e stabilità del provvedimento nel prisma del diritto europeo, in P.L. Portaluri (a cura di), L’amministrazione pubblica nel prisma del cambiamento: il codice dei contratti e la riforma Madia, Napoli, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2017; 1173 ss. e F. Francario, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 8, 2017; A. Carbone, Il termine per esercitare l’annullamento d’ufficio, in A. Rallo, A. Scognamiglio, I rimedi contro la cattiva amministrazione, Napoli, 2016, 85 ss.

[6] Sulla corretta individuazione del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies, comma 1, in giurisprudenza si vedano, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 21 agosto 2024, n. 7188, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 18 aprile 2024, n. 7672, in Red. Giuffrè, 2024; T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 3 febbraio 2023, n. 184, ivi, 2022 e soprattutto, con riferimento al permesso di costruire, Cons. Stato, Ad. plen. 17 ottobre 2017, n. 8, in Riv. giur. ed., 2017, 5, I, 1089, con nota di N. Posteraro. 

[7] Uno specifico termine – in origine di diciotto mesi – per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione e attribuzione di vantaggi economici, come noto, è stato introdotto per la prima volta dalla legge n. 124 del 2015. Questo è stato portato agli attuali dodici mesi dall’ art. 63 del d.l. 77 del 2021, convertito in l. n. 108 del 2021.  

[8] In giurisprudenza in questi termini si segnalano, tra le più recenti pronunce, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. III, 10 luglio 2024, n. 2192, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926, in Riv. giur. ed., 2024, 2, I, 307; Id, Sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2392, ivi, 2021, 3, I, 921 e Id, Sez. V, 27 giugno 2018, n. 3940, ivi, 2018, 3, I, 680.

[9] La distinzione è rilevante – ed espressamente menzionata – anche nella pronuncia in commento, riguardante un’ipotesi di potenziale falsa rappresentazione dei fatti, per la quale, tuttavia, come accennato nel primo paragrafo, l’Amministrazione non ha ritenuto sussistente un quadro indiziario univoco tale da provare simile condotta. In questo caso, pertanto, non è stata ritenuta applicabile l’eccezione alla regola generale del limite dei dodici mesi per procedere all’annullamento d’ufficio.

[10] Sull’autotutela doverosa, in dottrina, tra i più recenti contributi, si vedano, ex multis, N. Posteraro, Il dovere di provvedere a fronte di una richiesta di annullamento in autotutela, in M.A. Sandulli (a cura di), Principi e regole dell’azione amministrativa, cit., 359-361; M. Giavazzi, Legalità, certezza del diritto e autotutela: riflessioni sulla funzionalizzazione dell’annullamento d’ufficio all’effetto utile, in CERIDAP, 4, 2020; F.V. Virzì, La doverosità del potere d’annullamento d’ufficio, in Federalismi.it, 14, 2018; S. Tuccillo, Autotutela: potere doveroso?ivi, 16, 2016; N. Posteraro, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), ivi, 20, 2017; G. Manfredi, Annullamento doveroso?, in P.A. Persona e Amministrazione, 2017; C. Deodato, L’annullamento d’ufficio, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, cit., 1190 ss.

[11] Cfr.  N. Durante, L’autotutela doverosa, in www.giustizia-amministrativa.it, 2022. Un’attenta ricostruzione dell’autotutela doverosa è stata recentemente svolta da Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415, in questa Rivista, 2024, con nota di F. Campolo. Nella citata sentenza il Consiglio di Stato ha chiarito come l’ipotesi di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis costituisca un caso di autotutela doverosa parziale, da intendersi non come individuante un obbligo di emanare senz’altro un provvedimento di secondo grado, ma solo nel senso di imporre la valutazione dell’istanza di autotutela presentata dal privato interessato, oltre i termini di legge, verificando la sussistenza dei presupposti di cui al suo primo comma. 

[12] Per i riferimenti dottrinali in materia di circolazione internazionale dei beni culturali e attestato di libera circolazione si rimanda a quanto indicato sub nota 1.

[13] L’art. 64 bis, comma 3 del d.lgs. n. 42 del 2004, più precisamente, stabilisce che “Con riferimento al regime della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci”.

[14] Si legge nella sentenza in commento che “La nozione tradizionale di ‘autorizzazione’, inteso come provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato beneficiario consistente nella rimozione di un ostacolo all’esercizio di una facoltà spettante allo stesso, è talmente ampia, nell’interpretazione costante della giurisprudenza amministrativa [...] da farvi rientrare anche atti che vanno a influire sulla tutela di interessi di rango super-primario e tendenzialmente poziore rispetto all’affidamento del privato alla stabilità del titolo ottenuto”.

[15] A dimostrazione di come il problema legato alla nuova attribuzione di un’opera solo a seguito dell’avvenuto rilascio dell’attestato di libera circolazione sia molto sentito nel settore del mercato dell’arte si veda M. Lampertico, L. Castelli, I problemi giuridici di maggiore attualità nel mercato dell'arte: dialogo tra un giurista e un gallerista, in Arte e Diritto,1, 2024, 163 ss.

[16] Cfr. T.A.R. Veneto, 31 gennaio 2024, n. 182, in www.giustizia-amministrativa.it. La pronuncia ha avuto un certo risalto mediatico ed è stata commentata, ad esempio, da M. Pirelli, Guercino: il Tar del Veneto sblocca l’uscita. Il MiC non può annullare il via libera all’export perché cambia l’attribuzione, in www.sole24ore.com, 13 febbraio 2024. 

 

[17] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2023, n. 9962, in Red. Giuffrè, 2024.

[18] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 4 ottobre 2024, n. 8010, in www.giustizia-amministrativa.it.

[19] Nel caso oggetto della pronuncia Cons. Stato n. 8010/2024, cit., è di interesse segnalare le valutazioni svolte dal Collegio, a dimostrazione del comportamento fraudolento della parte: “Basti in proposito osservare che:

- rilevante ai fini della possibile attribuzione al Caravaggio è stata ritenuta, come pure si legge nel catalogo della mostra tenutasi nel settembre 2012 e curata dal Prof. -OMISSIS-, la circostanza, taciuta in sede di istanza, della provenienza del dipinto da una collezione storica polacca nella quale si tramandava il ricordo della provenienza della tela da collezioni della famiglia romana -OMISSIS-;

- parimenti rilevanti ai fini della possibile attribuibilità dell'opera al Caravaggio sono state considerate le dimensioni del dipinto (in quanto analoghe all'opera caravaggesca "La buona ventura"), dati sui quali sono state forniti dall'istante indicazioni ondivaghe ed errate;

- le sopraricordate indagini scientifiche e l'intervento di restauro hanno avuto, con ogni probabilità, costi non trascurabili difficilmente giustificabili dal punto di vista economico con riguardo ad un'opera considerata una copia priva di valore;

- l'organizzazione della prima mostra-convegno in cui è stata pubblicamente affermata l'attribuibilità al Caravaggio dell'opera di che trattasi ha avuto luogo, per stessa ammissione di parte, in Santa Maria Tiberina (PG) dal 29 settembre 2012, a distanza brevissima di tempo (circa tre mesi) dalla presentazione della domanda di rilascio di attestato di libera circolazione (avvenuta in data 14 giugno 2012) il che lascia ritenere, secondo l'id quod plerumque accidit, che la stessa proprietà potesse nutrire, al momento della domanda, una qualche aspettativa in ordine alla attribuibilità al Caravaggio;

- se la proprietà avesse allegato all'istanza del 18 novembre 2014 l'originario attestato di libera circolazione n. 5180 del 2012, l'Ufficio esportazione sarebbe stato messo in condizione di apprezzare il sopravvenuto cambio di attribuzione, prezzo e proprietà dell'opera e, quindi, di prendere in considerazione tale fondamentale aspetto nell'adozione delle determinazioni di competenza”.

[20] La citata circolare n. 21 del 24 maggio 2024, avente ad oggetto “Uscita definitiva dal territorio della Repubblica – Denuncia priva di indicazioni attendibili e presentazione di opere in stato conservativo precario – Improcedibilità” è consultabile in www.dgabap.gov.it.

[21] Viene, in proposito, citata la notissima pronuncia Corte cost., 9 maggio 2013, n. 85, inerente al c.d. “Caso Ilva”, in Giur. cost., 2013, 3, 1424.

Ciò appare, secondo il Giudice, ancora più irragionevole se si considera che "in forza di esso, un interesse pubblico così pregnante e che si lega alla cura di un bene di primario rilievo costituzionale come quello alla tutela del patrimonio storico e artistico si rivela sempre meccanicamente recessivo, per effetto del mero decorso del tempo, rispetto alla tutela di una situazione giuridica a matrice individuale. Tale è, infatti, l’affidamento la cui tutela rafforzata costituisce la ratio del termine annuale ex art. 21 nonies della l n. 241 del 1990. Esso resta, infatti, pur sempre una ’posizione giuridica soggettiva’ che può alternativamente riferirsi ed inerire ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo e che, nelle sue origini civilistiche, ’risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale’”.

[22] Con specifico riferimento alle peculiarità del procedimento amministrativo in presenza di interessi sensibili, si vedano, ex multis, R. Leonardi, La tutela dell'interesse ambientale, tra procedimenti, dissensi e silenzi, Torino, 2020; G. Mari, ‘Primarietà’ degli interessi sensibili e relativa garanzia nel silenzio assenso tra pp.aa. e nella conferenza di servizi, in Riv. giur. ed., 2017, 5, 305 ss. e A. Moliterni, Semplificazione amministrativa e tutela degli interessi sensibili: alla ricerca di un equilibrio, in Dir. amm., 2017, 4, 699 ss.

[23] Osserva in proposito il Collegio che il silenzio assenso opera in questo caso, a differenza di quello verticale, non a favore di un privato, ma a favore di una pubblica amministrazione, che dovrà poi comunque farsi carico del bilanciamento degli interessi rilevanti e, in ogni caso, stabilendo un termine più lungo per la formazione del silenzio assenso, e facendo salivi i diversi termini previsti dalle norme speciali.  

[24] Sulla discrezionalità tecnica caratterizzate il procedimento di rilascio dell’attestato di libera circolazione, cfr., in giurisprudenza, tra le pronunce più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 19 novembre 2024, n. 9285, in www.giustizia-amministrativa.it; Id., 13 ottobre 2023, n. 8983, ivi; T.A.R. Firenze, Sez. I, 22 marzo 2024, n. 335, ivi; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 1° marzo 2021, n. 2501, in Foro amm. – T.A.R., 2021, 3, 550.

[25] Con specifico riferimento alla controversia oggetto della pronuncia, il Collegio ha sottolineato che “la riespansione – in caso di accoglimento della questione sollevata – del termine flessibile ancorato al parametro generale della ragionevolezza consentirebbe, invece, di valorizzare, ai fini della spendita del potere di ritiro (pur con il limite della durata ragionevole a tutela degli affidamenti privati), ogni aspetto in fatto della singola vicenda indipendentemente da una logica di chiara imputabilità alla parte privata di una falsa rappresentazione dei fatti (spesso difficile da ritenersi come nella specie è evidente, pur in presenza di un oggettivo aliud pro alio e del rischio che possa porsi in essere l’esportazione di un capolavoro ove non sia stato apprezzato compiutamente il valore culturale che sempre inibirebbe l’uscita dal territorio)”.

[26] Sull’affidamento dei privati nei confronti della pubblica Amministrazione, tra i più recenti contributi, si vedano G. Tulumello, La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione tra ideologia e dogmatica, in Giustamm.it, 5, 2022 e R. Fusco, I limiti dell'autotutela decisoria in materia edilizia: il difficile equilibrio tra il contrasto all'abusivismo e la tutela dell'affidamento dei privati, in Riv. giur. ed., 2020, 1, 15 ss.

[27] A. Carbone, Il termine per esercitare l’annullamento d’ufficio, cit., 94, evidenzia che la l. n. 124 del 2015 ha introdotto “una decadenza in senso proprio dell’esercizio del potere di annullamento da parte dell’Amministrazione, che trova la propria giustificazione nell’esigenza di garantire per quelle particolari tipologie di atti, l’affidamento del singolo, in maniera più pregnante rispetto al mero contemperamento con gli altri interessi che vengono in rilievo nella specifica fattispecie: detto affidamento, infatti, nel momento in cui è correlato con una preclusione all’annullamento d’ufficio, gode di  una tutela in sé considerata”. 

[28] S. Toschei, Il recupero del primato della discrezionalità nel nuovo codice dei contratti pubblici del 2023, in F. Francario, M.A. Sandulli (a cura di), Sindacato sulla discrezionalità e ambito del giudizio di cognizione, Napoli, 2023, 387 ss., ha in proposito emblematicamente evidenziato che la discrezionalità “viene posta sul banco degli imputati come se costituisse uno strumento di debolezza dell’esercizio del potere e, al tempo, un meccanismo diabolico di proliferazione del malaffare, atteso che nelle pieghe della discrezionalità non si nasconde soltanto il rischio di comportamenti viziati da accesso di potere ma soprattutto di interventi deviati da obiettivi oppositivi rispetto alla cura dell’interesse pubblico, con lo scopo di conseguire soddisfazioni personali e illegali”.

[29] Tra i molti contributi recentemente elaborati in merito al recupero della discrezionalità nel nuovo Codice dei contratti pubblici si veda S. Toschei, Il recupero del primato della discrezionalità nel nuovo codice dei contratti pubblici del 2023, cit., 387 ss. 

[30]Sul punto si rimanda a M. Sinisi, Il potere di autotutela caducatoria, cit. e alla dottrina e giurisprudenza ivi menzionata.

Una prima soluzione interpretativa potrebbe essere offerta valorizzando i rilievi della citata Adunanza plenaria n. 8 del 2017, espressasi con riferimento all’onere motivazionale cui è tenuta l’Amministrazione nell’autoannullare un provvedimento, dopo che sia trascorso un notevole lasso di tempo dalla sua adozione. “Nella vigenza dell'art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 — introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 — l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, deve essere motivato in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale all'adozione dell'atto di ritiro anche tenuto conto degli interessi dei privati destinatari del provvedimento sfavorevole. In tali ipotesi, tuttavia, deve ritenersi: a) che il mero decorso del tempo, di per sé solo, non consumi il potere di adozione dell'annullamento d'ufficio e che, in ogni caso, il termine ‘ragionevole' per la sua adozione decorra soltanto dal momento della scoperta, da parte dell'amministrazione, dei fatti e delle circostanze posti a fondamento dell'atto di ritiro; b) che l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione risulterà attenuato in ragione della rilevanza e autoevidenza degli interessi pubblici tutelati (al punto che, nelle ipotesi di maggior rilievo, esso potrà essere soddisfatto attraverso il richiamo alle pertinenti circostanze in fatto e il rinvio alle disposizioni di tutela che risultano in concreto violate, che normalmente possano integrare, ove necessario, le ragioni di interesse pubblico che depongano nel senso dell'esercizio del ius poenitendi); c) che la non veritiera prospettazione da parte del privato delle circostanze in fatto e in diritto poste a fondamento dell'atto illegittimo a lui favorevole non consente di configurare in capo a lui una posizione di affidamento legittimo, con la conseguenza per cui l'onere motivazionale gravante sull'amministrazione potrà dirsi soddisfatto attraverso il documentato richiamo alla non veritiera prospettazione di parte” .

---------------------------------------------

Pubblicato il 16/10/2024

N. 08296/2024REG.PROV.COLL.

N. 01122/2023 REG.RIC.

N. 01578/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA NON DEFINITIVA

sul ricorso numero di registro generale 1122 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Orazio De Bernardo, Gianluigi Pellegrino e Enrico Soprano, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Enrico Soprano in Roma, via degli Avignonesi n. 5;

contro

Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;


sul ricorso numero di registro generale 1578 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Calabi e Cristina Riboni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

quanto al ricorso n. 1122 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2022, resa tra le parti;

quanto al ricorso n. 1578 del 2023:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (sezione Seconda) n. -OMISSIS-/2022, resa tra le parti.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il Cons. Giovanni Gallone e uditi per le parti gli avvocati Enrico Soprano, Gianluigi Pellegrino e Orazio De Bernardo;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con provvedimento n. 4879 del 6 agosto 2015, l’Ufficio Esportazione di Verona ha rilasciato al sig. -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’attestato di libera circolazione relativo ad un olio su tela attribuito, sulla base di quanto dichiarato dall’istante, alla scuola italiana del XVI secolo, e raffigurante una figura femminile, con stima di € 65.000,00.

1.1 Detto bene è stato successivamente alienato a terzi e si trova attualmente all’estero, in quanto divenuto di proprietà della -OMISSIS-, che lo ha concesso in esposizione alla National Gallery di Londra.

Nel 2019, infatti, lo studioso -OMISSIS-, dopo aver esaminato il dipinto restaurato, ha concluso per l’attribuzione di esso a Giorgio Vasari. In particolare, si tratterebbe della “Allegoria della Pazienza”, un’opera eseguita su invenzione di Michelangelo, con un soggetto che, fino all’innovativo studio appena citato, si supponeva fosse stato rappresentato in originale dal quadro attualmente ospitato a Palazzo Pitti, a Firenze.

Le conclusioni del Prof. -OMISSIS-sono state assunte, allo stato delle attuali acquisizioni scientifiche, anche grazie alla apposizione, sulla tela, della incisione “diuturna tolerantia”, vale a dire del motto del vescovo di Arezzo -OMISSIS-, che è noto quale committente dell’Allegoria.

All’esito del restauro, in altri termini, è emerso un elemento distintivo dell’opera (in precedenza celato, almeno parzialmente, dal cattivo stato di conservazione del quadro), che ha condotto lo studioso, grazie alla lettura del carteggio Vasari--OMISSIS-, alla nuova attribuzione.

1.2 Con atto prot. n. 3829 del 15 novembre 2021, la Direzione generale archeologia belle arti e paesaggio del Ministero della Cultura, venuta a conoscenza di tale circostanza, ha annullato in autotutela l’attestato di libera circolazione, reputando che esso fosse viziato da travisamento dei fatti.

In particolare, il Ministero ha messo in evidenza che:

- la mediocre condizione della tela, quando fu presentata all’ufficio esportazione, avrebbe impedito di cogliere la presenza del motto, e quindi di indagare ulteriormente sulla natura del dipinto;

- -OMISSIS-, inoltre, avrebbe colpevolmente omesso di dichiarare la provenienza del bene dalla collezione -OMISSIS-, ovvero dalla collezione della di lui moglie.

Quest’ultima circostanza sarebbe significativa, perché dal sistema informativo unificato per le soprintendenze archivistiche emerge uno “storico legame di parentela delle famiglie -OMISSIS-e -OMISSIS-”, sicché, se l’amministrazione fosse stata posta nelle condizioni di conoscere la provenienza del quadro, avrebbe potuto porlo in rapporto con il vescovo di Arezzo, committente dell’Allegoria, e avrebbe negato l’attestato.

1.3 Con un successivo provvedimento prot. n. 42534 del 17 dicembre 2021, la medesima Direzione generale, esaminate le osservazioni prodotte da -OMISSIS- in ordine al preavviso di diniego dell’attestato (osservazioni sollecitate ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 con il precedente atto del 15 novembre), ha anzitutto confermato che l’annullamento in autotutela si giustifica alla luce del comportamento “poco collaborativo” del medesimo, e delle omissioni in cui egli sarebbe incorso, in violazione del dovere di correttezza nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione.

1.4 Con atto prot. n. 43677 del 17 dicembre 2021 la medesima Direzione generale ha, quindi, negato il rilascio dell’attestato di libera circolazione del quadro, avviando il procedimento per la dichiarazione dell’interesse artistico e storico particolarmente importante, come previsto dall’art. 68, comma 6, del d.lgs. n. 42 del 2004, con contestuale avocazione a sé del potere di diniego così esercitato e del potere di pronunciarsi sulla dichiarazione di interesse culturale.

1.5 Infine, con atto del 31 dicembre 2021, la stessa Direzione ha ordinato a -OMISSIS- di far rientrare l’opera in Italia entro 40 giorni.

2. Con ricorso n. R.G. 731 del 2022 notificato il 14 gennaio 2022 e depositato il 26 gennaio 2024 -OMISSIS- ha impugnato dianzi al TA.R. per il Lazio – sede di Roma, domandandone l’annullamento, i seguenti atti:

- il predetto atto prot. n. 38295 del 15 novembre 2021 della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura ha annullato in autotutela l’attestato di libera circolazione n. 4879 del 6 agosto 2015 rilasciato dall’Ufficio esportazione di Verona;

- il predetto atto prot. n. 42534 del 17 dicembre 2021 della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura recante il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione ed il contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse particolarmente importante, nonché della relazione storico-artistica ad esso allegata;

- l’atto prot. n. 43677 del 31 dicembre 2021 della medesima Direzione Generale del Ministero della Cultura, con cui è stato anche ordinato il rientro sul suolo nazionale del dipinto de quo.

2.1 A sostegno del ricorso di primo grado ha dedotto i motivi così rubricati:

1) incompetenza – violazione dell’art. 97 cost. – violazione e falsa applicazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 – violazione dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 – violazione del d.p.c.m. 02/12/2019 n. 169 e dell’art. 16, co. 1, lett. e), del d.lgs. n. 165 del 2001;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 21- nonies della legge n. 241 del 1990 – violazione dell’art. 97 cost. – violazione dei principi di certezza del diritto e legittimo affidamento – eccesso di potere;

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 10-bis, 21- septies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990 – violazione e falsa applicazione degli artt. 64-bis e ss. del d.lgs. n. 42 del 2004 – irragionevolezza manifesta – sviamento di potere;

4) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21- nonies della legge n. 241 del 1990 – difetto di adeguata motivazione e istruttoria;

5) violazione e/o erronea applicazione degli artt. 1, 3, 10- bis e 21-nonies della legge n. 241 del 1990 – violazione e/o erronea applicazione dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 e dell’art. 134 del r.d. 30/01/1913 n. 363 – difetto di istruttoria – erroneità e travisamento dei fatti – carenza dei presupposti – illogicità e inadeguatezza della motivazione – irragionevolezza manifesta;

6) violazione dell’art. 97 cost. – eccesso di potere – falsità di fatti – difetto di motivazione – perplessità;

7) violazione dell’art. 97 cost. – violazione dell’art. 10- bis l. n. 241/1990 – eccesso di potere – difetto di motivazione;

8) violazione di legge – violazione e/o erronea applicazione dell’art. 43 del d.lgs. n. 42 del 2004 – irragionevolezza manifesta – eccesso di potere;

9) illegittimità derivata;

10) incompetenza – violazione dell’art. 97 cost. – violazione e/o erronea applicazione degli artt. 14 e 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 e del d.p.c.m. 02/12/2019 n. 169;

11) violazione e/o erronea applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 241 del 1990 – violazione e/o erronea applicazione dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 e del d.m. 06/12/2017 n. 537 – inadeguatezza della motivazione – violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza – eccesso di potere.

3. Con ricorso per motivi aggiunti notificato il 28 febbraio 2022 e depositato lo stesso giorno -OMISSIS- ha dedotto nuove ragioni a sostegno della domanda di annullamento già proposta avverso l’atto prot. n. 43677 del 31 dicembre 2021 con il quale la Direzione Generale del Ministero della Cultura ha ordinato il rientro sul suolo nazionale del dipinto de quo.

3.1 In particolare ha dedotto le censure così rubricate:

1) violazione art. 97 cost. – violazione e falsa applicazione artt. 163, 165, 174, 180 del d.lgs. n. 42/2004 – eccesso di potere – falsità di presupposti;

2) violazione degli artt. 3 e 97 cost. – violazione del principio di legittimo affidamento;

3) violazione dell’art. 97 cost. – violazione dell’art. 3 della l. n. 689/81 - violazione degli artt. 6-7 della carta EDU - violazione del principio di colpevolezza;

4) violazione di legge – violazione dell’art. 28 della l. n. 689/81.

4. Ad esito del relativo giudizio, con la sentenza n. -OMISSIS- del 2022, l’adito. T.A.R. ha respinto il ricorso di primo grado come integrato dai motivi aggiunti proposti in corso di causa.

5. Con ricorso n. R.G. 345 del 2022 notificato il 14 gennaio 2022 e depositato lo stesso giorno anche -OMISSIS- ha impugnato dinanzi al TA.R. per il Lazio – sede di Roma, domandandone l’annullamento, i seguenti atti:

- il provvedimento emesso con decreto del 15 novembre 2021, di cui alla nota prot. 38295-P dal Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Servizio IV - Circolazione di: i. annullamento in via di autotutela amministrativa ai sensi degli articoli 21 octies e 21 nonies della legge 241/1990, dell’attestato di libera circolazione n. 4879 del 6 agosto 2015; ii. preavviso di diniego al rilascio dell’attestato di libera circolazione ai sensi dell’art. 10 bis della legge 241/1990, e in esercizio del potere di avocazione di cui all’art. 16, co. 1, ultimo periodo, e comma 2, lett. u) del DPCM 169/2019; iii. richiesta al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di procedere al prelievo e alla custodia coattiva del bene;

- il provvedimento emesso con decreto del 17 dicembre 2021, di cui alla nota prot. 42534-P dal Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Servizio IV - Circolazione di diniego al rilascio dell’attestato di libera circolazione e contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse culturale;

- la richiesta di cui alla nota prot. 43677-P del 27 dicembre 2021, notificata in data 31 dicembre 2021, dal Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Servizio IV - Circolazione di immediato rientro sul territorio nazionale e comunque entro e non oltre il termine di 40 giorni dal ricevimento della nota;

- nonché ogni altro atto e/o provvedimento, preordinato, conseguente o comunque connesso ai suddetti atti.

5.1 A sostegno del ricorso di primo grado ha dedotto i seguenti motivi:

1) Assoluta carenza di potere del Ministero per extraterritorialità degli effetti dei provvedimenti impugnati, con particolare riferimento alla richiesta di custodia rivolta ai Carabinieri di cui al Decreto ed alla Richiesta di Rimpatrio. Carenza di potere del Ministero in relazione al Diniego;

2) Eccesso di potere a causa della natura sostanzialmente afflittiva e sanzionatoria nei confronti della Collezione della richiesta ai Carabinieri e della Richiesta di Rimpatrio - violazione dei principi costituzionali e dei diritti alla difesa e al giusto processo e alla partecipazione nel procedimento amministrativo della Collezione; Violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 165, 174, 180 CBC. Eccesso di potere per falsità dei presupposti e difetto di motivazione della Richiesta di Rimpatrio;

3) Illegittimità per violazione dell’art. 21 nonies della l. 241/1990 per superamento del termine di cui al co. 1 dell’art. 21 nonies l. 241/1990; violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.;

4) Violazione dell’art. 21 nonies l. 241/1990 per violazione del principio di ragionevolezza del termine per la decisione (punto a) dell’elenco di cui al motivo 3);

5) Violazione degli articoli 21 octies e 21 nonies della l. 241/1990, nonché del principio di correttezza, in relazione alla motivazione sull’eccesso di potere e travisamento dei fatti nel rilascio dell’Attestato contenuta nel Decreto. Violazione dell’art. 6, co. 1, lett. b) della l. 241/1990 e dell’art. 68, co. 4, D. Lgs. 42/2004. Violazione dell’art. 21 nonies, co. 2 bis, l. 241/1990, e/o eccesso di potere nella figura sintomatica del difetto di motivazione per dubbiosità e incongruità in relazione alla presunzione nel Decreto circa il fatto che le dichiarazioni dell’esportatore fossero falsamente rappresentate. Violazione del principio di lealtà e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost. Difetto di motivazione e difetto di istruttoria. Sviamento di potere;

6) Eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti sul cambio di attribuzione del Dipinto;

7) Eccesso di potere e/o violazione degli artt. 1, co. 2 bis e 6, co. 1, lett. b) della l. 241/1990 e dell’art. 68, co. 4, D. Lgs. 42/2004, per il travisamento nella motivazione del Decreto in relazione all’asserita omissione intenzionale dell’indicazione della proprietà di -OMISSIS--OMISSIS- finalizzata a fuorviare l’Ufficio Esportazione;

8) Violazione da parte del Decreto e del Diniego dell’art. 134 del R.D. 363/1913;

9) Incompetenza del Ministero - Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, ad emanare il Decreto; violazione dell’art. 16, DPCM 169/2019;

10) Violazione del principio di ragionevolezza dell’agire amministrativo e del legittimo affidamento del terzo (i.e. della Collezione) nella validità del titolo di esportazione da parte del Decreto e del Diniego;

11) Eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione, difetto di istruttoria del Decreto e del Diniego;

12) Violazione dell’art. 68, co. 4, CBC, nel Diniego e nel preavviso di diniego contenuto nel Decreto. Violazione dell’art. 10 l. 241/1990. Eccesso di potere;

13) Violazione del principio di lealtà e cooperazione tra pubblica amministrazione e privato e/o violazione dell’art. 8 e 21 bis, l. 241/1990, per mancanza di idonea comunicazione dei provvedimenti. Violazione della normativa in materia di protezione dei dati personali;

14) Illegittimità derivata del Diniego e della Richiesta di Rimpatrio;

15) Illegittimità - Violazione di legge per la mancanza di comunicazione dell’avvio del procedimento in autotutela ai sensi dell’art. 7 l. 241/1990; illogicità della motivazione dell’Amministrazione circa la non necessità del preavviso; violazione del principio di lealtà e buona amministrazione.

6. Ad esito del relativo giudizio, con la sentenza n. -OMISSIS- del 2022, il T.A.R. ha respinto il ricorso.

7. Con ricorso n. R.G. 1122 del 2023 notificato il 3 febbraio 2023 e depositato il 7 febbraio 2023 -OMISSIS- ha proposto appello avverso la sentenza n. -OMISSIS- del 2022 chiedendone la riforma previa concessione di misure cautelari ex art. 98 c.p.a..

7.1 Ha affidato il gravame ai motivi così rubricati:

1) erroneo rigetto del primo motivo incompetenza e violazione di legge;

2) erroneo rigetto del secondo motivo sulla preclusione connessa al decorso del termine per l’autotutela – violazione di legge – ultrapetizione;

3) erroneo rigetto del quarto motivo 34 violazione di legge – difetto di istruttoria e motivazione;

4) erroneo rigetto del quinto e sesto motivo violazione di legge – difetto di istruttoria e motivazione – erroneità e falsità dei fatti – carenza dei presupposti – irragionevolezza – perplessità;

5) erroneo rigetto del nono motivo illegittimità derivata;

6) erroneo rigetto del decimo motivo - incompetenza – violazione di legge;

7) erroneo rigetto dell’undicesimo motivo violazione di legge – eccesso di potere.

8. Con ricorso n. R.G. 1578 del 2023 notificato il 16 febbraio 2023 e depositato il 20 febbraio 2023 -OMISSIS- ha proposto appello avverso la suddetta sentenza n. -OMISSIS- del 2022 chiedendone la riforma previa concessione di tutela cautelare ex art. 98 c.p.a..

8.1 Ha affidato il gravame ai motivi così rubricati:

1) Sull’incompetenza della Direzione Generale (erroneo rigetto del motivo 9);

2) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 novies l. 241/1990 (erroneo rigetto dei motivi di Ricorso 3, 4 e 10);

3) Sulla Richiesta di Rimpatrio e l’errore circa la custodia coattiva; error in iudicando (erroneo rigetto dei motivi 1 e 2 di Ricorso);

4) Sul cambio di attribuzione, sulla provenienza e sulle circostanze in fatto: contraddittorietà fra parti della Sentenza; illogicità; omessa e/o errata valutazione delle prove e delle circostanze in fatto (erroneo rigetto dei motivi da 5 a 8 e 11 di Ricorso);

5) Errore sulla citazione della Convenzione UNIDROIT e della direttiva 2014/60/UE;

6) Violazione del principio di effettività della tutela e dell’esercizio del potere di annullamento;

7) Errata o mancata valutazione di fatti, prove o elementi in diritto in relazione alla sospensione del procedimento di rilascio dell’Attestato – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 63 e 64 c.p.a.;

8) Erronea interpretazione degli Indirizzi; omessa e/o erronea valutazione delle prove; violazione dell’art. 68 CBC (erroneo rigetto dei motivi 11 e 12 Ricorso);

9) Violazione del diritto al giusto processo della Collezione; error in procedendo per la mancata riunione del procedimento con il procedimento TAR Roma (sez. IIquater) NRG 731/2022 (sent. n. -OMISSIS-/2022 Reg. Prov. Coll.);

10) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 l. 241/1990, sulla comunicazione di avvio del procedimento (erroneo rigetto del motivo di Ricorso 15);

11) Illegittimità derivata del Diniego e della Richiesta di Rimpatrio (erroneo rigetto del motivo di Ricorso 14).

9. Si è costituito in giudizio, a mezzo dell’Avvocatura erariale, per resistere avverso i suddetti appelli, il Ministero della cultura.

10. Con nota del 28 febbraio 2023 -OMISSIS- ha formulato domanda di abbinamento al merito con contestuale rinuncia alla domanda cautelare.

10.1 All’udienza in camera di consiglio del 2 marzo 2023 il Presidente, preso atto della suddetta domanda di abbinamento, ha mandato al Presidente titolare della Sezione per la fissazione del merito.

11. All’udienza in camera di consiglio del 16 marzo 2023 la difesa di The -OMISSIS- ha dichiarato di rinunciare alla domanda cautelare e chiesto la fissazione della trattazione del merito a breve. Il Collegio, rilevato, che vi fossero elementi di connessione fra questa causa e la n. R.G. 1122/2023 discussa nella camera di consiglio del 2 marzo 2023 ha mandato al Presidente della Sezione per la fissazione di un'udienza comune ai fini della trattazione congiunta nel merito.

12. In entrambi i giudizi le parti hanno depositato memorie difensive.

13. All’udienza pubblica del 26 settembre 2024 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. In limine può essere disposta ex art. 70 c.p.a. la riunione degli appelli nr. R.G. 1122 del 2023 e 1578 del 2023 in quanto i due giudizi hanno ad oggetto la medesima vicenda sostanziale (avendo i rispettivi ricorsi di primo grado investito i medesimi atti amministrativi).

2. Con il primo motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa il primo motivo del ricorso di primo grado con cui è stata denunciata l’illegittimità degli atti gravati in prime cure per incompetenza e violazione dell’art. 21-nonies, coma 1 della l. n. 241 del 1990 (nella parte in cui prevede che l’annullamento di ufficio è disposto “dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”).

Deduce, in particolare, parte appellante che l’annullamento d’ufficio gravato in prime cure sarebbe stato disposto non dall’organo che ha rilasciato l’attestato di circolazione (id est l’Ufficio Esportazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza), ma dalla Direzione generale del Ministero della cultura e, quindi, da un organo a ciò incompetente.

Si osserva, in proposito, che l’intervento in autotutela della Direzione generale del Ministero della cultura sarebbe stato, in passato, consentito dal D.P.C.M. n. 76/2019, oggi tuttavia abrogato.

Nel dettaglio:

- mentre l’art. 14 (“Direzione generale «Archeologia, belle arti e paesaggio»”), comma 1, dell’abrogato D.P.C.M. n. 76/2019 prevedeva che “Con riferimento alle funzioni di tutela svolte dalle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, ivi inclusa la Soprintendenza speciale di cui all'articolo 29, comma 2, lettera a), la Direzione generale esercita i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo, anche attraverso l’adozione di provvedimenti di autotutela, e, in caso di necessità, informato il Segretario generale, avocazione e sostituzione”,

- l’art. 16 (“Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio”), comma 1, del D.P.C.M. n. 169/2019 ha successivamente previsto che “Con riferimento alle attività esercitate dalle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, la Direzione generale esercita i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, in caso di necessità, informato il Segretario generale, avocazione e sostituzione”.

Secondo parte appellante detta novella andrebbe, peraltro, coordinata con quella che ha abrogato anche la possibilità per la medesima Direzione di inibire alle Soprintendenze e ai relativi Uffici esportazione il rilascio dell’attestato di libera circolazione (cfr. art. 66 dell’abrogato D.Lgs. n. 490/1999). Si osserva, sul punto, che in base all’attuale normativa (art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004), infatti, la Direzione generale può solo fornire “segnalazioni” all’Ufficio esportazione procedente, fermo che spetta a quest’ultimo la decisione circa il rilascio o meno dell’attestato “anche sulla base delle segnalazioni ricevute” dalla medesima Direzione ma anche dagli altri Uffici esportazione dislocati sul territorio nazionale

Il giudice di prime cure avrebbe, pertanto, errato nell’affermare che, nonostante nessuna disposizione oggi attribuisca alla Direzione generale il potere di adottare provvedimenti di autotutela sugli attestati rilasciati dalla Soprintendenza, “è da ritenere che essi siano in ogni caso ricompresi” nei “poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, in caso di necessità […] avocazione e sostituzione” previsti dal primo comma dell’art. 16. Detta affermazione sarebbe, in particolare, in contrasto con la giurisprudenza di questo Consiglio che esclude la configurabilità di un “potere implicito” di annullare atti adottati da altro organo, pur in presenza di poteri direttivi o di avocazione su quest’ultimo (Cons. Stato, sez. III, sent. 01/12/2016 n. 5048, successiva a quella n. 1060/2015 richiamata dal T.A.R. che peraltro si riferiva ad una normativa abrogata e ad una figura, il Direttore regionale, oggi nemmeno più prevista).

2.1 Con il primo motivo dell’appello n. R.G. 578 del 2023 si censura il capo 1 della sentenza impugnata che ha respinto il nono motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l’illegittimità degli atti gravati in prime cure per incompetenza.

Osserva parte appellante che il giudice di prime cure avrebbe errato citare, a sostegno della propria decisione, la sentenza di questo Consiglio n. 1060/2015 la quale sarebbe inconferente ratione temporis in quanto relativa al testo del D.P.C.M. n. 76 del 2019 (e non quello del D.P.C.M. n. 169 del 2019).

Si ribadisce, quindi, l’incompetenza della Direzione Generale ad emanare il Decreto, posto che il D.P.C.M. n. 169/2019 ha rimosso il riferimento all’autotutela che invece era presente nel D.P.C.M. n. 76/2019.

2.2 Con il sesto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il decimo motivo di ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l’illegittimità del provvedimento di diniego gravato in prime cure per incompetenza.

Osserva parte appellante che il diniego del rilascio di un nuovo attestato sarebbe anche in sé illegittimo non essendovi un potere della Direzione generale di provvedere in proposito sostituendosi all’Ufficio esportazione della Soprintendenza cui la legge ex art. 68, comma 3, del d.lgs. n.42 del 2004, attribuisce tale potere.

Ciò in quanto, non solo nessuna delle previsioni richiamate nell’atto di diniego conferirebbe tale potere alla Direzione generale (nemmeno in pretesa avocazione, non ricorrendo alcuna delle ipotesi in cui ciò è consentito ai sensi del richiamato art. 16, comma 2, del D.P.C.M. n. 169/2019), ma, come dedotto nel precedente secondo motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023, una volta che l’evoluzione normativa ha abrogato la possibilità per tale Direzione di inibire il rilascio dell’attestato, non si potrebbe neppure consentirle di avocare la richiesta e di negarlo.

3. Le suddette censure, che vanno esaminate con priorità rispetto alle ulteriori formulate da parte appellante in quanto deducono un vizio di incompetenza (così nell’insegnamento di Cons. Stato, Adunanza plenaria, 27 aprile 2015, n. 5), possono essere scrutinate in maniera congiunta poiché in larga misura sovrapponibili.

Esse non colgono, tuttavia, nel segno.

Anzitutto, occorre rilevare che l’inciso “anche attraverso l’adozione di provvedimenti di autotutela” scomparso dal testo a seguito della novella apportata dal D.P.C.M. n. 169/2019 (a sua volta successivamente abrogato con D.P.C.M. 15 marzo 2024, n. 57) costituiva, come evincibile dall’impiego della congiunzione “anche”, una mera specificazione a titolo esemplificativo dei poteri di “direzione, indirizzo, coordinamento e controllo” invero rimasti fermi anche nella versione qui ratione temporis applicabile.

Ne discende, pertanto, che l’autotutela decisoria, nelle forme dell’annullamento officioso, continuava, anche nel mutato quadro normativo di riferimento, a trovare il proprio fondamento nell’attribuzione espressa delle prerogative di direzione, indirizzo, coordinamento e controllo, in chiave di avocazione (ovvero sostituzione), spettanti in subiecta materia alla Direzione Generale in forza del rapporto di gerarchico di sovraordinazione corrente tra la stessa e le articolazioni territoriali soprintendizie.

Ciò si ricava pianamente dagli articoli 15 e ss. del d.lgs. n. 165 del 2001, relativi ai dirigenti, e in particolare dall’art. 16, concernente le funzioni dei dirigenti generali, che prevedevano tra le altre, che questi ultimi “dirigono, coordinano e controllano l’attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, anche con potere sostitutivo” (comma 1, lettera e).

A differenza di quanto sostenuto da parte appellante, quello di autonnullamento non poteva, quindi, nel quadro normativo vigente al momento dell’adozione dell’atto gravato in prime cure, essere considerato un potere “implicito” ma risultava, per contro, espressamente attribuito alla Direzione Generale in linea con quanto stabilito sul punto dall’art. 21-nonies comma 1, della l. n. 241 del 1990 (laddove in particolare consente l’adozione di siffatto provvedimento “da altro organo previsto dalla legge”). Mal calibrato appare, per l’effetto, il richiamo, pure operato in gravame, al precedente di questo Consiglio (sez. III, 01/12/2016 n. 5048), il quale non si riferisce, peraltro, alla specifica fattispecie in esame.

3.1 Deve, in proposito, aggiungersi che l’elencazione di cui all’art. 16, comma, 2 del D.P.C.M. n. 169/2019 relativa alle funzioni della Direzione generale era chiaramente esemplificativa (“Il Direttore generale, in particolare […]”) sicché a nulla rileva che nella stessa non comparisse expressis verbis un riferimento all’autotutela decisoria.

Ancor più segnatamente è appena il caso di notare che detto comma 2, nel contemplare un ampio spettro di competenze, prevedeva alla lett. u) che il Direttore generale “può adottare, informato il Segretario generale, i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto, ai sensi, rispettivamente, degli articoli 12, 13, 45, 138, comma 3, e seguenti, e 141-bis, del Codice; in tali ipotesi, qualora un ufficio periferico abbia già avviato procedimenti riferiti ai medesimi beni, si applica quanto previsto dal comma 1, ultimo periodo”.

Ciò va letto in combinato disposto con il comma 1 del medesimo art. 16 in cui erano in ogni caso fatti salvi, in linea con il già evocato art. 16 del d.lgs. n. 165 del 2001, i poteri di avocazione e sostituzione della Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio  stabilendo che “Con riferimento alle attività esercitate dalle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, la Direzione generale esercita i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, in caso di necessità, informato il Segretario generale, avocazione e sostituzione, anche su proposta del Segretario regionale”.

3.2 Nel caso di specie si è, quindi, dinanzi all’esercizio, in sede di controllo, da parte della Direzione Generale, del potere di annullamento officioso ex art. 21-nonies comma 1 della l. n. 241 del 1990 in avocazione rispetto all’organo che ha emanato l’atto oggetto di ritiro (id est l’Ufficio Esportazione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza). La rimozione in autotutela dell’atto era, peraltro, prodromo necessario rispetto all’esercizio, sempre in chiave di avocazione, del potere di denegare il rilascio dell’attestato di libera circolazione (poi effettivamente esercitato con decreto del 17 dicembre 2021, di cui alla nota prot. 42534-P dal Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio - Servizio IV – Circolazione).

Ciò emerge dallo stesso atto gravato in prime cure il quale cita espressamente il comma 1, ultimo periodo, dell’art. 16 del D.P.C.M. n. 169 del 2019 (pag. 12 ove recita che “ravvisata la necessità di proceder a detto annullamento in esercizio dei poteri di controllo sull’attività dei dirigenti e dei responsabili dei procedimenti amministrativi, con particolare riguardo, nel caso di specie, all’esercizio dell’attività di tutela” e “comunica al Segretario generale, sulla base di quanto fin qui rappresentato e ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 16 comma 1, ultimo periodo, che con il presente provvedimento il sottoscritto Direttore generale ABAP avoca sa sé l’esercizio delle funzioni di tutela con riguardo all’opera in oggetto, al fine di provveder, per un verso all’annullamento dell’attestato di libera circolazione n. 4879 del 6 agosto 20125, rilasciato dall’Ufficio Esportazione di Verona e, per altro verso, al preavviso di diniego al rilascio dell’attestato richiesto”).

3.2 Non convince, infine, la lettura a sistema con l’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 suggerita da parte appellante.

Quest’ultima disposizione si riferisce, infatti, al potere inibitorio di vietare ab origine l’esportazione il quale è qualitativamente diverso dal potere di riesaminare la determinazione precedente di altro organo sottoposto a controllo-coordinamento.

Anzi, il nuovo assetto dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 sembra offrire conferma di quanto poc’anzi qui affermato.

Nel dettaglio, il citato art. 68 stabilisce (commi 2 e 3) che l’Ufficio esportazione procedente decide sul rilascio o meno dell’attestato aggiungendo, tuttavia, che lo fa tenendo conto di eventuali “segnalazioni” della Direzione sicché, in questa ottica, l’autotutela, esercitata previa avocazione, può costituire un rimedio in sede di controllo ad una eventuale “inottemperanza” da parte dell’ufficio periferico alle indicazioni fornite dall’autorità centrale.

Il che si inserisce armoniosamente in un complessivo assetto legislativo teso a valorizzare, ai fini della tutela del primario valore del paesaggio e del patrimonio culturale, l’indirizzo unitario elaborato dagli organi del Ministero.

3.3 Per le ragioni sopra esposte il primo e sesto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 ed il primo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023 sono infondati e vanno respinti.

4. Con il secondo motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il secondo motivo del ricorso introduttivo di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l’illegittimità degli atti gravati in prime cure per decorso del termine per l’esercizio dei poteri di autotutela ed ultrapetizione.

Sostiene, in particolare, parte appellante che il provvedimento di annullamento in autotutela gravato in prime cure si porrebbe in contrasto con il richiamato art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 anche nella parte in cui, al suo primo comma, al fine di garantire certezza e stabilità ai rapporti giuridici, stabilisce per l’esercizio di tale potere un termine massimo di 12 mesi.

In particolare, si osserva che l’Amministrazione ha ritenuto di poter annullare in autotutela l’attestato rilasciato oltre sei anni prima sulla base dell’assunto che il suddetto termine non si applicherebbe alle autorizzazioni alla libera circolazione, a tal fine richiamando un precedente (T.A.R. per il Lazio sent. n. 10018/2018) poi superato da più attento arresto giurisprudenziale dello stesso giudice (sent. n. 9410/2021).

Aggiunge parte appellante che la sentenza qui appellata, sul punto, dopo aver condiviso la censura di ricorso di primo grado riconoscendo l’applicabilità di detto termine di dodici mesi, ha ciononostante rigettato il motivo impugnatorio incorrendo in evidente ultrapetizione.

Ciò in quanto il T.A.R., anziché disporre il conseguente annullamento, avrebbe prestato al provvedimento impugnato una motivazione che esso assolutamente non avrebbe e, cioè, che il termine (pur riconosciuto applicabile dai primi giudici contrariamente a quanto ritenuto dall’atto gravato) nella specie potrebbe essere derogato per aver l’istante omesso una informazione ritenuta dallo stesso T.A.R. essenziale, ovvero la provenienza del quadro dalla collezione -OMISSIS-.

4.1 Sotto altro profilo, deduce parte appellante che non sussisterebbe, in ogni caso, la condizione di cui all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990 di assenza di responsabilità della P.A. (ovvero di assenza di sua corresponsabilità) e che non sarebbe neppure configurabile un errore imputabile ad una pretesa carenza informativa del richiedente. In particolare si evidenzia che:

- ai sensi dell’art. 134 del R.D. n. 363/1913 “Lo speditore nel presentare la cosa esibirà in triplice copia, scritta sui moduli a ciò destinati e gratuitamente forniti dall’ufficio, la denuncia di esportazione, indicando a) nome, cognome e domicilio del proprietario, nonché dell'esportatore quando questi sia persona diversa dal proprietario; b) luogo di destinazione delle cose e via che debbono percorrere per giungere al confine italiano; c) nome, cognome e domicilio del destinatario; d) numero d'ordine dei colli, marca e contrassegni, peso denunciato per ciascun collo, ove sia possibile; e) natura, descrizione delle cose; f) prezzo che se ne dichiara, scritto in tutte lettere e in numeri arabici”);

- l’elemento della provenienza del quadro è indicato dal modulo di compilazione della domanda di attestato come elemento meramente facoltativo a fronte di altri che sono obbligatori e che il richiedente avrebbe puntualmente compilato;

- anche nel modulo di denuncia predisposto dal Ministero la “provenienza” non sarebbe tra i campi obbligatori che invece sono “definizione”, “quantità”, “materia”, “valore dichiarato”, “secolo”, “stato di conservazione” e “descrizione (soggetto)”; in esso la “provenienza” (a differenza degli stemmi, degli emblemi, dei marchi e dei timbri) non sarebbe nemmeno un “campo da compilare obbligatoriamente solo se rilevabile”.

Si sostiene, pertanto, che l’ufficio procedente avrebbe avuto tutte le possibilità di richiedere anche una previa pulitura per analizzarne meglio gli elementi in ogni caso già visibili i quali poi, molti anni dopo, hanno condotto ad ipotizzare la possibile attribuzione al Vasari. Si aggiunge anche che lo stesso ufficio avrebbe potuto richiedere maggiori elementi sulla provenienza una volta che il campo a compilazione facoltativa del modulo nulla recava in proposito, fermo peraltro che tale elemento non ha avuto alcun rilievo nello studio -OMISSIS-. Ciò discenderebbe dalla disciplina di cui al D.M. n. 537/2017 (secondo cui l’Ufficio esportazione ha il compito di “svolgere le funzioni di accertamento e di valutazione tecnico-scientifica preordinate alla decisione”) e dall’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 (secondo cui “gli uffici esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto storico-culturale di cui fanno parte, presentano interesse”), nonché dall’art. 6 della legge n. 241/90 (che impone di valutare, ai fini istruttori, i presupposti rilevanti 18 per l’emanazione del provvedimento).

4.2 Deduce, ancora, parte appellante che il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere che un “segnale d’allarme” avrebbe potuto provenire dall’indicazione della provenienza del dipinto dalla collezione -OMISSIS- in quanto su tale dato (oltreché sulla presenza del motto) il prof. -OMISSIS-avrebbe basato l’innovativo cambio di attribuzione. Ciò in quanto la provenienza, in realtà, non avrebbe affatto rappresentato un elemento “dotato di efficacia causale”, avendo detto studioso considerato elementi diversi specie relativi alle caratteristiche del soggetto rappresentato, dello stile della rappresentazione e del tratto dell’artista .

4.3 In ogni caso nessun addebito di mala fede, anche solo oggettiva, e di violazione del principio di leale collaborazione, potrebbe imputarsi, secondo parte appellante, a ad -OMISSIS- in quanto egli sarebbe stato comunque indotto in errore in ordine alla sussistenza a proprio carico dell’obbligo di rendere l’informazione relativa alla provenienza.

Nella specie sarebbe, del resto, del tutto indimostrato che il richiedente fosse a conoscenza:

- della provenienza del quadro dalla collezione -OMISSIS- e quanto tempo prima dallo stesso fondo fosse stato detenuto;

- del risalente legame parentale tra la famiglia -OMISSIS- e quella -OMISSIS-di appartenenza del Vescovo titolare del motto, di cui alla scritta sul dipinto, e possibile committente dell’opera.

5. Con il quarto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il quinto ed il sesto motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l’illegittimità dei provvedimenti gravati in prime cure per difetto di istruttoria e motivazione, erroneità e falsità dei fatti e carenza dei presupposti nonchè irragionevolezza.

Si osserva che il T.A.R. ha trattato congiuntamente questi due motivi, ritenendoli infondati sulla scorta delle medesime considerazioni espresse nel rigettare il secondo motivo sulla preclusione derivante dal decorso del termine per l’autotutela; di talché, anche la pronuncia di infondatezza del quinto e del sesto motivo di ricorso risentirebbe degli errori precedentemente illustrati.

Parte appellante ripropone, poi, taluni profili di censura non esaminati dal giudice di prime cure e, segnatamente, che:

- la visione della scritta diuturna tolerantia, che l’Amministrazione assume al tempo del rilascio dell’attestato impedita da ammaloramento e che invece, come testimoniano le fotografie allegate all’istanza, era comunque intuibile, non avrebbe di per sé sola condotto, tantomeno con certezza, all’attribuzione che ora si afferma; ciò in quanto fino allo studio -OMISSIS-(2019), la comunità scientifica sarebbe stata unanime nel ritenere che l’Allegoria della Pazienza fosse già stata ritrovata (identificandola nella tela della Galleria Palatina), non contenesse quella scritta e presentasse elementi invece assenti nel dipinto in questione, come la catena che lega ad un masso il piede sinistro della figura femminile e che è descritta nella lettera-progetto del Vasari;

- la scritta in parola sarebbe stata solo uno degli elementi valorizzati dal prof. -OMISSIS-, il quale, ai fini della possibile (e problematica) attribuzione del dipinto al Vasari, avrebbe dato principalmente rilievo allo stile pittorico che differenzia sensibilmente la tela in questione da quella della Galleria Palatina;

- la provenienza da un erede della famiglia -OMISSIS- “storicamente imparentata” quanto lontanamente con quella -OMISSIS-, di cui un esponente, nel XVI secolo, avrebbe commissionato l’opera al Vasari sarebbe elemento non determinante ed in alcun modo considerato nella successiva possibile attribuzione al Vasari operata dal prof. -OMISSIS-.

6. Con il secondo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023 si censurano i capi della sentenza impugnata (3; 3.1; 3.2; 3.3; 3.4; 3.6, parr. I, VII-X; 3.7; 4; 4.1, par. V; 5, par. V) con cui il giudice di prime cure ha respinto il terzo, il quarto ed il decimo motivo del ricorso di primo grado a mezzo dei quali è stata dedotta l’illegittimità degli atti gravati in prime cure per violazione, sotto plurimi profili, del disposto dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.

6.1 Nel dettaglio, sotto un primo profilo, si denuncia la violazione dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 in quanto annullamento in autotutela è intervenuto a oltre sei anni dal rilascio dell’attestato di libera circolazione, e a circa due anni di distanza dalla pubblicazione dello studio del Prof. -OMISSIS-, che ha posto in luce la nuova attribuzione della tela al Vasari.

Nel dettaglio, il giudice di prime cure, dopo aver riconosciuto che l’attestato di libera circolazione rientra tra i “provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” per i quali opera il limite temporale fisso di dodici mesi per l’esercizio del potere di autoannullamento, avrebbe errato nel ritenere comunque applicabile l’eccezione di cui al comma 1-bis della medesima disposizione affermando che “il limite temporale, ora fissato a 12 mesi, per rimuovere un atto illegittimo in autotutela non opera, qualora, in difetto di responsabilità dell’amministrazione, l’illegittimità sia stata determinata da una falsa rappresentazione di circostanze rilevanti ai fini del decidere, imputabile al dolo o alla mala fede oggettiva del richiedente”. Inoltre, il T.A.R. avrebbe altresì errato nell’affermare che “l’atto di autotutela non è tardivo neppure se si considera che lo studio -OMISSIS-, al quale si deve l’attribuzione del quadro a Vasari, è stato pubblicato nel novembre del 2019” posto che “in caso di distorta rappresentazione dei fatti da parte del privato, anche in via omissiva, il termine non può che decorrere da quando si provi che l’amministrazione è venuta a conoscenza degli elementi che le erano stati sottratti, o offerti malamente, così da poter rimediare alla patologia del provvedimento” aggiungendo all’uopo che “non si può certamente pretendere, a tal fine, che il MIC abbia l’onere di consultare qualsivoglia pubblicazione scientifica nazionale e internazionale, e per giunta con tempestività, tanto più che proprio la “descrizione” della tela -OMISSIS- avanzata dall’architetto -OMISSIS-escludeva che vi fosse una specifica ragione per monitorarne le sorti” e che la società appellante “non adduce alcun indizio dal quale poter desumere che il MIC sia venuto a conoscenza della attribuzione vasariana della tela prima del luglio 2021 (data che la stessa amministrazione indica)”.

Secondo parte appellante quest’ultima statuizione, oltre a porsi in contrasto con il principio dell’onere della prova di cui all’art. 64 c.p.a., sarebbe errata atteso che, come risulta dall’atto gravato in prime cure (pag. 5), il Ministero della cultura avrebbe giustificato il proprio intervento tardivo sulla base dell’individuazione di “una pubblicazione del 2020, a cura del professor -OMISSIS-, dal titolo Vasari. Michelangelo e l’Allegoria della Pazienza”. Aggiunge parte appellante di aver dimostrato che:

- l’opera de qua è stata esposta alla National Gallery di Londra dal 21 novembre 2019;

- la prima pubblicazione sull’opera è uscita sulla rivista italiana Paragone nel novembre 2019, in cui essa appare fotografata e il prof. -OMISSIS-racconta le fasi della riscoperta dell’Opera e della nuova attribuzione;

- la Collezione ha pubblicato un volume dal titolo “Giorgio Vasari, Michelangelo e l’Allegoria della Pazienza”, nel 2020;

- la National Gallery di Londra ha pubblicato, sempre nel 2020, il volume Review of the Year: April 2019-March 2020;

- la Collezione, sul proprio sito web, ha pubblicato il Dipinto tra i selected works in data 22 luglio 2020, nella sezione currently on view e nella sezione News 2020;

- nel frattempo, decine di utenti dei social network avrebbero pubblicato su internet fotografie dell’opera de qua presso la National Gallery.

Per contro il T.A.R. rovesciando l’onere della dimostrazione di tale circostanza, avrebbe irragionevolmente affermato che l’amministrazione sarebbe venuta a conoscenza dell’opera nella sua nuova attribuzione solo nel luglio 2021 e, per giunta, da “fonte riservata”.

6.2 Ancora, parte appellante deduce che l’annullamento d’ufficio sarebbe stato, in ogni caso, disposto dal Ministero oltre un “termine ragionevole” perché intervenuto a oltre sei anni dal rilascio dell’attestato.

6.3 Sotto un terzo profilo, si deduce che la sentenza impugnata avrebbe fatto errata applicazione del concetto di “mala fede oggettiva”, della nozione di “descrizione delle cose” di cui all’art. 134 del R.D. n. 363 del 1913 nonché del disposto dell’art. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004.

In particolare, il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere che vi fosse un dovere del privato di fornire l’informazione della provenienza, poiché nessuna normativa imporrebbe che essa rientri nella descrizione del bene; si osserva in proposito che:

- la normativa di settore prevede che l’esportatore debba indicare il valore del bene (art. 68 d.lgs. n. 42 del 2004) e una “descrizione delle cose”, senza ulteriore precisazione (art. 134, R.D. n. 363/1913);

- il modello S.U.E., in relazione alle cose, dispone una serie di campi da compilare obbligatoriamente, tra cui, appunto, il campo “descrizione del bene”, e non “provenienza”, incluso invece nei campi facoltativi;

- nella scheda della denuncia non appare neppure il campo bianco “provenienza”, a differenza di altre voci che invece risultano presenti ma non compilate;

- in altri esempi di denuncia coevi a quella per cui è causa non risulta fornita l’indicazione della provenienza, se non espressamente richiesto dall’ufficio esportazione.

Il T.A.R. sarebbe caduto in errore anche nell’affermare la mala fede omissiva dell’istante. Ciò in quanto, nel caso di specie, l’informazione della provenienza rientrerebbe in un campo opzionale del modulo S.U.E. e l’Ufficio Esportazione non avrebbe, comunque, richiesto informazioni circa la provenienza dell’opera, pur essendo, a quanto risulta dalla stessa sentenza, la famiglia dell’arch. -OMISSIS-nota al Ministero a causa di beni vincolati presso la sua abitazione.

La sentenza impugnata sarebbe inoltre contraddittoria nella parte in cui al capo 5, par. II, lett. c), ha affermato che sarebbe irrilevante che l’arch. -OMISSIS-sapesse del legame tra le famiglie -OMISSIS- e -OMISSIS-posto che la consapevolezza di detta circostanza sarebbe presupposto imprescindibile per la configurabilità di uno stato di mala fede. Sul punto parte appellante deduce che il collegamento tra -OMISSIS-e -OMISSIS- non sarebbe diretto e immediato, ma risalirebbe a un matrimonio del XIX secolo tra -OMISSIS--OMISSIS- e -OMISSIS-, discendente della famiglia -OMISSIS--OMISSIS-, circostanza da cui non si risalirebbe in modo automatico al fatto che l’Opera appartenesse al vescovo -OMISSIS-. Peraltro, tale collegamento non risulterebbe affatto decisivo nell’attribuzione dell’opera al Vasari, che sarebbe invece fondata su elementi iconografici, come emergerebbe dalle pubblicazioni del prof. -OMISSIS-e dalla sua relazione.

Il giudice di primo grado sarebbe poi incorso anche in ultrapetizione in quanto avrebbe dato rilievo determinante alla sola omessa indicazione della provenienza escludendo al contempo che vi fosse evidenza del volontario occultamento dell’iconografia dell’opera (anche omettendo di procedere al suo restauro).

6.4 Sotto un ulteriore profilo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’attestato oggetto dell’annullamento in autotutela fosse viziato da eccesso di potere per travisamento dei fatti. Osserva parte appellante che l’opera de qua ha subito un cambio di attribuzione e che ciò implicherebbe che, al momento della sua uscita dall’Italia, nessuno avrebbe potuto, grazie alle conoscenze dell’epoca, ritenere che fosse l’Allegoria della Pazienza.

Si aggiunge che l’amministrazione ha svolto, in ossequio agli artt. 68 del d.lgs. n. 42 del 2004 e 6 della l. n. 241 del 1990), approfondimenti istruttori sull’opera in fase di rilascio dell’attestato con la conseguenza che in alternativa:

- ove si ritenesse che detto provvedimento originario viziato da eccesso di potere per travisamento dei fatti, tale vizio sarebbe imputabile unicamente all’amministrazione e non potrebbe di conseguenza operare il comma 2-bis dell’art. 21-nonies, l. n. 241/1990;

- ove si ritenesse, invece, che l’attività di approfondimento svolta dal Ministero adempia all’obbligo di istruttoria e risponda al dovere di diligenza, allora, si dovrebbe ammettere che lo stato dell’arte al momento del rilascio dell’Attestato non potesse condurre a ritenere l’opera importante con la conseguenza che l’attestato sarebbe da ritenersi pienamente legittimo e dunque l’art. 21-nonies nel suo complesso non potrebbe trovare applicazione.

6.5 Sotto un quinto profilo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, al capo 4.1, ha affermato che l’interesse pubblico (prevalente sull’interesse del privato alla conservazione dell’atto) emerga dall’“elevato pregio” dell’opera, che giustificherebbe l’annullamento.

Osserva, in proposito, parte appellante che:

- il provvedimento gravato in prime cure ha giustificato l’annullamento officioso unicamente attraverso l’affermazione che “le ragioni di interesse pubblico […] impongono, anche in ottemperanza dell’obbligo di provvedere alla tutela del patrimonio culturale della Nazione … il ripristino della necessaria coerenza tra atti amministrativi e disposizioni normative” e, quindi, attraverso il mero richiamo al ripristino della legalità violata;

- nel caso di specie, il decorso del tempo (oltre sei anni dal rilascio dell’attestazione) avrebbe comportato un consolidamento della situazione di fatto.

6.6 In ultimo, il T.A.R. sarebbe incorso in errore nell’affermare che la posizione della collezione potrebbe essere tutelata attraverso un indennizzo da parte del proprio dante causa e che non vi sarebbe comunque un affidamento degno di essere considerato ai fini del contemperamento di interessi (capi 4; 4.1). In particolare il primo giudice avrebbe omesso di considerare che:

- la Collezione svolge attività culturali e che ha promosso pubblicazioni ed esposizioni dell’opera;

- il cambio di attribuzione è avvenuto nel 2019 e a seguito di studi durati anni del prof. -OMISSIS-;

- l’opera è rimasta in esposizione alla National Gallery per due anni (dal 2019 al 2021) prima che intervenisse il Decreto;

- l’attestato è un provvedimento ad efficacia istantanea.

7. Le suddette doglianze possono essere esaminate congiuntamente stante l’intima connessione che le avvince.

Con esse, infatti, si deduce, pur sotto angolazioni diverse, l’illegittimità dell’atto di autotutela gravato in prime cure per superamento della barriera temporale ex art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990.

A tal fine si censura, anzitutto, la decisione di prime cure per essere incorso il giudice di prime cure in un vizio di ultrapetizione nel ritenere applicabile al caso che occupa, nel silenzio dell’amministrazione, la deroga al termine fisso annuale posta dal comma 2-bis del suddetto art.21-nonies ad avviso della quale “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di dodici mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”.

Sotto altro, connesso, aspetto si deduce l’erroneità della sentenza per aver ritenuto sussistente, nel caso in esame, la suddetta deroga.

7.1 Le doglianze espresse su tale ultimo specifico punto dagli appellanti meritano, nei sensi e limiti appresso precisati, positivo apprezzamento.

Occorre, peraltro, in limine, rilevare che non sussiste il lamentato difetto di ultrapetizione atteso che il giudice di prime cure si è limitato a respingere la censura dedotta in primo grado (id est la violazione della barriera temporale ex art. 21-nonies comma 1, della l. n. 241 del 1990) sulla scorta della qualificazione, nell’esercizio di un potere che certamente gli compete, del provvedimento impugnato come (asseritamente) fondato sull’ipotesi eccezionale dell’art. 21-nonies comma 2-bis della l. n. 241 del 1990.

Del resto, è appena il caso di notare che proprio il provvedimento impugnato menziona espressamente la circostanza che l’istante avrebbe colpevolmente omesso di dichiarare la provenienza del bene dalla collezione -OMISSIS- (così a pag. 6 ampiamente), valorizzando quindi una condotta che il T.A.R. ha ritenuto integrare un’ipotesi di “falsa rappresentazione dei fatti”.

7.2 Sono, invece, condivisibili le censure svolte dagli appellanti con riguardo alla inconfigurabilità, nel caso che occupa, di una “falsa rappresentazione dei fatti”.

In proposito, occorre rammentare che la giurisprudenza di questo Consiglio ha da tempo sposato una lettura dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, l. n. 241 del 1990 che opera una netta distinzione tra le due ipotesi contemplate da detta disposizione e costituite, l’una, dalle “false rappresentazioni dei fatti”, l’altra, dalle "dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci” (ex multis, da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 27 febbraio 2024, n. 1926).

In particolare (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2021 n. 2329), si è condivisibilmente evidenziato che il superamento del rigido limite temporale di 12 mesi per l'esercizio del potere di autotutela di cui all'art. 21-nonies deve ritenersi ammissibile, a prescindere da qualsivoglia accertamento penale di natura processuale, tutte le volte in cui il soggetto richiedente abbia rappresentato uno stato preesistente diverso da quello reale, atteso che, in questi casi, viene in rilievo una fattispecie non corrispondente alla realtà. Tale contrasto, tra la fattispecie rappresentata e quella reale, può essere determinato da dichiarazioni false o mendaci la cui difformità, se frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive), dovrà scontare l'accertamento definitivo in sede penale, ovvero da una falsa rappresentazione dei fatti, che può essere rilevante al fine di superamento del termine fisso anche in assenza di un accertamento giudiziario della falsità, purché questa sia accertata inequivocabilmente dall'amministrazione con i propri mezzi.

L'articolo 21-nonies, in definitiva, contempla due categorie di provvedimenti - differenziabili in ragione dell'uso della disgiuntiva “o” - che consentono all'amministrazione di esercitare il potere di annullamento d'ufficio oltre il termine di dodici (o diciotto, a seconda del regime ratione temporis applicabile) mesi dalla loro adozione, a seconda che siano, appunto, conseguenti a false rappresentazioni dei fatti o a dichiarazioni sostitutive false.

In questo solco si è, altresì, precisato che “il superamento del rigido termine di 12 mesi (ridotto con la riforma del 2020, rispetto ai 18 introdotti nel 2015) è stato ritenuto consentito, anche al di là dell’interpretazione formale: a) nel caso in cui la falsa attestazione, inerente ai presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all'uopo rese dichiarazioni sostitutive), nel qual caso sarà necessario l'accertamento definitivo in sede penale; b) nel caso in cui l'(acclarata) erroneità dei ridetti presupposti risulti comunque non imputabile (neanche a titolo di colpa concorrente) all'Amministrazione ma esclusivamente al dolo (equiparabile, per solito, alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) della parte, nel qual caso si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco” (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2021, n. 4745).

7.3 Ebbene, ad avviso del Collegio, gli elementi raccolti restituiscono un quadro indiziario equivoco in cui non può ritenersi raggiunta la piena prova della tenuta, da parte degli istanti il rilascio dell’attestato di libera circolazione oggetto del provvedimento di annullamento d’ufficio gravato in prime cure, di una condotta di “falsa rappresentazione dei fatti”.

In particolare, non può assumere a tal fine rilievo la mancata indicazione in sede di istanza della provenienza del dipinto di che trattasi dalla collezione della famiglia -OMISSIS-, legata da antico vincolo di parentela con la famiglia del Cardinale -OMISSIS-, storico committente del Vasari.

Ciò in quanto, come già affermato da questa Sezione con riguardo a fattispecie molto simile (così Cons. Stato, sez. VI, 21 novembre 2023 n. 9962, i cui principi sono stati ripresi anche dalla Circolare interpretativa del Ministero della Cultura - Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio, Sezione IV - circolazione, n. 21 del 24 maggio 2024) non si è, a rigore, dinanzi ad un’omissione giuridicamente rilevante (e, in particolare di un silenzio antidoveroso tenuto in spregio di una norma di legge che imponeva di fornire tale informazione) atteso che, da un lato, l’art. 134, comma 1, lett. e) del R.d. n. 363 del 1913, nell’indicare il contenuto minimo dell’istanza, esige che l’istante offra solo una “descrizione delle cose” e che, dall’altro, il modulo predisposto dalla stessa amministrazione non considera la “provenienza” come campo obbligatorio (quali, invece, sono “definizione”, “quantità”, “materia”, “valore dichiarato”, “secolo”, “stato di conservazione” e “descrizione (soggetto)”) e non lo qualifica neppure come “campo da compilare obbligatoriamente solo se rilevabile” (a differenza degli stemmi, degli emblemi, dei marchi e dei timbri).

7.4 Sotto altro profilo non vale ad integrare una “falsa rappresentazione dei fatti” neppure la circostanza che l’istante abbia fornito, sempre in sede di istanza, una descrizione generica (“figura femminile”) senza specificare che si trattasse della allegoria della pazienza.

Deve, infatti, osservarsi che:

- l’indicazione “figura femminile”, per quanto vaga, non è in sé mendace;

- l’allegoria della pazienza, come emerso anche dalle relazioni degli esperti d’arte acquisite (tra cui quella del Prof. -OMISSIS-), costituisce un’iconografia diffusa nel contesto di riferimento (il tardo rinascimento italiano) sicché l’amministrazione avrebbe dovuto agevolmente riconoscere il soggetto anche senza la specificazione da parte dell’istante (si tratta di una donna, dall’aspetto sereno, legata ad un roccia su cui campeggia un vaso che sgocciola scavando la roccia così prefigurandone la liberazione che lei attende imperturbabile).

7.5 Ferme le considerazioni che precedono, non si può tacere, per dovere di completezza, che il contesto fattuale complessivo della vicenda conserva plurimi aspetti in ombra.

Tra questi si segnalano le seguenti circostanze:

- alla data di presentazione della denuncia era ancora in corso un dibattito circa l’individuazione dell’originale della “Allegoria della Pazienza” del Vasari e ciò quantomeno dalla fine del 2013 (così come ricorda -OMISSIS- a pag. 1 della sua relazione del 15 dicembre 2021 – prodotta come documento n. 6 al ricorso di primo grado) quando fu organizzata una mostra a Palazzo Pitti per sostenere che l’originale dell’opera de qua fosse quella custodita presso Palazzo Pitti ed appartenente alla collezioni medicee;

- in tale quadro ancora in divenire (destinato ad essere rovesciato per effetto dello studio del prof. -OMISSIS-) era nota l’esistenza di un certo numero di possibili copie della “Allegoria della Pazienza” realizzate e diffusesi per canali diversi;

- tutto ciò avrebbe reso massimamente opportuna (ancorché non obbligatoria) una descrizione analitica del soggetto dell’opera nonchè l’indicazione della provenienza dell’opera dalla collezione -OMISSIS-, a maggior ragione se si considera la tela di che trattasi risultava parzialmente illeggibile proprio in corrispondenza del motto di famiglia del Cardinal -OMISSIS-(“Diuturna tolerantia”);

- la tela è stata presentata insieme ad altre tele non aventi analogo valore ma rappresentanti figure femminili;

ma ciononostante tali elementi – del valore indiziario - non possono – nel caso di specie - con certezza condurre ad un addebito di mala fede, potendo trattarsi di mere circostanze casuali.

7.6 Per le tutte le ragioni prima esposte, il Collegio è del meditato avviso che non possa ritenersi raggiunta, nel caso di specie, prova piena della tenuta da parte degli istanti di una condotta di “falsa rappresentazione dei fatti” con conseguente inconfigurabilità dell’eccezione di cui al comma 1-bis dell’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990

Ne discende che questo giudice, nel delibare compiutamente la fondatezza dei motivi di appello in scrutinio (e, di riflesso, delle correlate doglianze svolte in prime cure) con riguardo al superamento dei limiti temporali all’esercizio del potere di autoannullamento, dovrebbe fare applicazione della regola di cui all’art. 21-nonies, comma 1 della l. n. 241 del 1990 nella parte in cui stabilisce che “ Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio […] entro un termine[…] comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.

8. Tanto premesso il Collegio ritiene ex officio sussistenti i presupposti per sollevare dinanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, 97, comma 2, e 117 comma 1 Cost. con riferimento agli artt. 1, lett. b) e d), e 5 lett. a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005 (ratificata dall’Italia con l. 1 ottobre 2020, n. 133), nella parte in cui, a fronte di un provvedimento a carattere autorizzativo (quale, nel caso di specie, l’attestato di libera circolazione di un’opera) ma incidente su un interesse sensibile e di rango costituzionale come la tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, prevede, per l’adozione del provvedimento di annullamento, il rispetto di un limite temporale fisso di dodici mesi (e non, invece, il rispetto del termine flessibile “ragionevole” previsto in generale dalla medesima disposizione )

Si chiede quindi – per il caso in cui il dubbio sia ritenuto fondato a tutela del patrimonio storico- artistico della Nazione - la declaratoria di illegittimità dell’art. 21-nonies comma 1 relativamente all’inciso “e comunque non superiore a dodici mesi” essendo impedita dal predetto rigido termine la tutela effettiva del patrimonio culturale mediante l’ annullamento in un tempo ragionevole di un atto che lo leda come l’autorizzazione all’esportazione di un capolavoro dell’arte italiana come un mero dipinto di scuola .

8.1 In punto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale in parola preme osservare che

la giurisprudenza costituzionale ha statuito:

- l’inidoneità di un provvedimento giurisdizionale interinale ad esaurire la potestas iudicandi (Corte cost., 20 gennaio 2023, n. 3) e, quanto, nello specifico, al processo amministrativo l’attitudine delle sentenze non definitive ex art. 36 c.p.a. a fungere da strumento processuale del giudice a quo per delineare la rilevanza di una questione di legittimità costituzionale (Corte cost., 28 dicembre 2021, n. 261);

- l’irrilevanza del nomen iuris dell'atto di promovimento – sentenza parziale o non definitiva, anziché ordinanza – sulla rituale instaurazione del giudizio di costituzionalità, qualora il giudice a quo, abbia comunque disposto la sospensione del procedimento e la trasmissione del fascicolo, in conformità a quanto previsto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Corte cost., 22 dicembre 2022, n. 264) ed il procedimento principale, come nel caso che occupa, non sia stato già integralmente definito ma residui un singolo momento o segmento processuale (Corte cost., 13 aprile 2017, n. 86; Corte cost., 6 luglio 2020, n. 137);

- che il concetto di “rilevanza” implica l’“esigenza minima, ma inderogabile, che la questione abbia riferimento a leggi o disposizioni di legge delle quali il giudice debba, in qualsiasi modo, direttamente o indirettamente, fare applicazione nel processo dinanzi ad esso svolgentesi” (Corte cost, sentenza n. 142/1968; nonché sentenza n. 216/1993 e più di recente ordinanza n. 23/2004) e che, di riflesso, l’eventuale sentenza di accoglimento possa spiegare una sua influenza sul processo principale (Corte cost, sentenze nn. 184/2006, 422/1994, 62/1993, 10/1982, 90/1968 e 132/1967).

Con riguardo alla vicenda che occupa è quindi sufficiente evidenziare che, come già accennato, questo giudice, nel decidere sulla fondatezza delle doglianze in scrutinio (in particolare nella prospettiva dell’eventuale accoglimento dei ricorsi di primo grado), esclusa la ricorrenza dell’eccezione di cui al comma 2-bis dell’art. 21-nonies, comma 2-bis, della l. n. 241 del 1990, è certamente chiamato a fare applicazione del disposto del comma 1 della medesima disposizione nella parte in cui, con riguardo alle “autorizzazioni”, stabilisce un limite temporale fisso di dodici mesi per l’adozione del provvedimento di annullamento officioso.

In questo senso è appena il caso di osservare, pur costituendo ciò oggetto di un capo della sentenza di primo grado non oggetto di appello, che, secondo la costante giurisprudenza anche di questa Sezione (in particolare la già citata sentenza Cons. Stato, sez. VI, 21 novembre 2023 n. 9962), all’attestato di libera circolazione è certamente applicabile il termine di 12 mesi ex art. 21-nonies, comma1, l. n. 241 del 1990 in quanto “autorizzazione”.

Inoltre, preme specificare che, ove fosse ritenuta fondata la questione di costituzionalità che qui si prospetta, la declaratoria di parziale illegittimità dell’inciso dell’art.21-nonies comma 1 della l. n. 241 del 1990 che stabilisce con riguardo alle autorizzazioni un temine fisso annuale per l’adozione dell’atto di ritiro avrebbe come conseguenza la riespansione della disciplina generale in materia con conseguente applicabilità del termine elastico “ragionevole”.

Il che imporrebbe a questo giudice di esaminare gli ulteriori profili di doglianza mossi dalle parti appellanti a mezzo dei motivi in scrutinio e verificare, in particolare, se le circostanze del caso concreto abbiano comunque giustificato i tempi dell’intervento in autotutela dell’amministrazione o se questi abbiano travalicato la soglia della ragionevolezza.

8.3 Quanto, invece, alla non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale va evidenziato quanto segue.

La previsione di un termine fisso di dodici mesi (ridotto, peraltro, rispetto a quello originario di diciotto mesi per effetto della novella apportata dall'art. 63, comma 1, della legge n. 108 del 2021) per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con riguardo ad un provvedimento di “autorizzazione” che sia incidente su un interesse sensibile e di rango costituzionale come la tutela del patrimonio storico e artistico si pone, ad avviso del Collegio, in contrasto con:

- il parametro costituzionale di ragionevolezza ex art. 3, comma 1, Cost., quale limite alla discrezionalità del legislatore nella costruzione della disciplina di legge;

- la stessa protezione del primario bene costituzionale della integrità ex art. 9, comma 1 e comma 2, Cost. del patrimonio storico e artistico della Nazione;

- la responsabilità individuale e collettiva nei confronti dell’eredità culturale sancita dall’art. 1 lett. b) e d) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005;

- l’obbligo dello Stato italiano a “riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società” e a “promuovere la protezione dell’eredità culturale” ex art. 5 lett. a) e b) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005;

- il valore, pure di rango costituzionale, ex art. 97, comma 2, Cost. del buon andamento dell’amministrazione.

8.4 Nel dettaglio, un primo profilo di manifesta irragionevolezza della scelta operata dal legislatore risiede nella circostanza che detto termine fisso opera non solo con riguardo ai provvedimenti di “attribuzione di vantaggi economici” ma, indiscriminatamente, con riguardo ad ogni provvedimento di “autorizzazione”, ancorché incidente su un interesse sensibile e primario come l’interesse alla tutela del patrimonio culturale.

La nozione tradizionale di “autorizzazione”, inteso come provvedimento ampliativo della sfera giuridica del privato beneficiario consistente nella rimozione di un ostacolo all’esercizio di una facoltà spettante allo stesso, è talmente ampia, nell’interpretazione costante della giurisprudenza amministrativa (e fatta propria, come detto, anche dal giudice di prime cure con statuizione non oggetto di appello in questa sede), da farvi rientrare anche atti che vanno a influire sulla tutela di interessi di rango super-primario e tendenzialmente poziore rispetto all’affidamento del privato alla stabilità del titolo ottenuto (il quale ha, per sua natura, dimensione meramente individuale).

Questo certamente vale per l’interesse alla tutela del “patrimonio storico e artistico della Nazione”, quale “valore primario”, elemento costitutivo della memoria collettiva e fattore di identità comunitaria, che la stessa giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 151 del 1986) ha affermato essere espressione di un principio fondamentale dell’ordinamento (come pure evincibile dalla sua collocazione nella Carta).

In particolare, l’elisione dei profili di discrezionalità amministrativa rispetto al “quando” dell’adozione del provvedimento di ritiro attraverso la previsione di una barriera temporale predeterminata e fissa il cui superamento implica la consumazione in concreto del potere, impedisce di soppesare gli interessi contrapposti segnando, al decorso di un dato lasso di tempo (peraltro contenuto e ulteriormente ridotto da ultimo dal legislatore) l’automatica prevalenza di quello privato alla conservazione della determinazione amministrativa.

Una soluzione, questa, che non solo tradisce il modello del continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi, delineato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 85 del 2013), ma preclude in maniera del tutto irragionevole la ricerca di un punto di equilibrio, necessariamente mobile e dinamico, tra gli stessi, compromettendo il perseguimento dell’obiettivo di tutela del bene ex art. 9, comma 2 Cost. che si pone la Repubblica e vulnerando, al contempo, il buon andamento dell’amministrazione ex art. 97, comma 2, Cost. (inteso dalla giurisprudenza costituzionale come parametro di legittimità delle scelte discrezionali effettuate dal legislatore nella organizzazione degli apparati e dell’attività amministrativa che impone anche di valutare l’impatto complessivo delle stesse sull’operato della macchina amministrativa – così Corte cost. n. 183 del 2008 e, rispetto alla disciplina dei singoli poteri amministrativi e dei relativi procedimenti, sentenze nn. 40 e 135 del 1998, n. 300 del 2000).

Per converso, il ripristino dell’osservanza di un termine elastico agganciato al canone della ragionevolezza consentirebbe di ponderare in relazione alla singola vicenda di amministrazione il peso specifico degli interessi coinvolti, salvo ed impregiudicato l’eventuale sindacato del giudice amministrativo in sede di impugnativa del provvedimento di autotutela.

8.5 Deve ulteriormente osservarsi che la previsione di un termine fisso per l’esercizio del potere di autoannullamento appare ancor più irragionevole e contraria agli obiettivi posti dalla Carta fondamentale, se solo si considera che, in forza di esso, un interesse pubblico così pregnante e che si lega alla cura di un bene di primario rilievo costituzionale come quello alla tutela del patrimonio storico e artistico si rivela sempre meccanicamente recessivo, per effetto del mero decorso del tempo, rispetto alla tutela di una situazione giuridica a matrice individuale. Tale è, infatti, l’affidamento, la cui tutela rafforzata costituisce la ratio del termine annuale ex art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990. Esso resta, infatti, pur sempre una “posizione giuridica soggettiva” che può alternativamente riferirsi ed inerire ad un diritto soggettivo o ad un interesse legittimo e che, nelle sue origini civilistiche, “risponde all’esigenza di riconoscere tutela alla fiducia ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale” (Cons. Stato Ad. Plen., n. 20/2021).

Né vale a giustificare un meccanismo di automatica prevalenza su base temporale dell’affidamento la circostanza che la sua tutela rientri tra i principi eurounitari dell’azione amministrativa (art. 1, comma 1, della l. n. 241 del 1990) e che sia legato, nell’insegnamento della giurisprudenza unionale (Corte di giustizia UE 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer) anche al valore della certezza del diritto. E, infatti, sono gli stessi giudici di Lussemburgo a professare un’applicazione elastica del principio in parola, scevra da ogni automatismo, attenta al caso concreto e che passa per il bilanciamento con altri valori (così sin dai primordi con Corte di Giustizia CE, sentenza, 12 luglio 1957, cause riunite C-7/56 e da C-3/57 a C-7/57, Alghera; successivamente anche sentenza 22 marzo 1961 in cause riunite C-42 e 49/59, Société nouvelle des usines de Pontlieue - Aciéries du Temple) dando rilievo proprio al fattore elastico della “ragionevolezza” del termine (Corte di giustizia UE, sentenza del 17 aprile 1997, causa C-90/95, Decompte); bilanciamento in concreto che è tradito dalla previsione generalizzata di un termine rigido e fisso computato in mesi.

8.6 E’, poi, appena il caso di notare che, secondo la lettura più accreditata sia in dottrina che in giurisprudenza, i poteri di autotutela decisoria (tra i quali si inserisce quello ex art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990), presentano causa mista ed una morfologia che li colloca a metà strada tra la dimensione giustiziale e quella di amministrazione attiva e costituiscono un fondamentale strumento per garantire la cura dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento oggetto di ritiro (di cui il presupposto dell’interesse pubblico alla rimozione si atteggia a nuova concretizzazione).

In questa ottica deve, peraltro, tenersi a mente che l’annullamento della precedente determinazione amministrativa si pone come presupposto logico-giuridico necessario ed indefettibile per il riesercizio del potere amministrativo (e di altri poteri amministrativi ad esso connessi) con la conseguenza che he la previsione di un limite rigido alla possibilità di intervento in autotutela si traduce, indirettamente, nella preclusione alla spendita di altri profili di capacità speciale autoritativa dell’amministrazione.

8.7 La manifesta irragionevolezza della disciplina normativa in parola emerge, in particolare, dal confronto con altri segmenti della disciplina generale del procedimento amministrativo.

Il legislatore ha, infatti, come noto, stabilito, rispetto ad altri istituti procedimentali, una disciplina parzialmente differenziata per il caso in cui vengano in rilievo interessi cd. “sensibili” quale, appunto, la tutela patrimonio storico e artistico della Nazione.

Nel dettaglio si segnala che:

- l’art. 20, comma 4, della l., n. 241 del 1990 stabilisce che le disposizioni in materia di silenzio assenso non si applicano ai “procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico”, permanendo l’operatività per questi ultimi del silenzio cd., “inadempimento” in relazione al quale il decorso del termine di conclusione del procedimento non importa la consumazione del potere di provvedere;

- l’art. 19, comma 1, della l. n. 241 del 1990 esclude dal campo di operatività della S.C.I.A. i “casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali”;

-  l’art. 14-bis della l. n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi semplificata prevede, comma 2 lett. c) che il termine perentorio entro il quale le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza va raddoppiato e stabilito in novanta giorni “se tra le suddette amministrazioni vi sono amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali”;

- l’art. 14-ter della l. n. 241 del 1990 in materia di conferenza di servizi simultanea stabilisce, al comma 2, che il termine di conclusione dei lavori della conferenza è raddoppiato a novanta giorni “qualora siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali”;

- l’art. 14-quinquies della l. n. 241 del 1990 contempla, sempre nell’ambito della conferenza di servizi, specifici rimedi avverso la determinazione conclusiva della stessa in favore delle amministrazioni dissenzienti “preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali”.

Le predette previsioni normative hanno, peraltro, tutte il tratto comune rappresentato dalla dilatazione dei tempi di valutazione riservati all’amministrazione proprio in ragione della delicatezza dell’interesse coinvolto e della complessità degli accertamenti che vi sono connessi.

Né argomenti di segno opposto possono trarsi dalla disciplina relativa al c.d. “silenzio assenso tra amministrazioni” ex art. 17-bis della l. n. 241 del 1990 ove, al comma 3 del predetto articolo, si stabilisce che l’istituto si applica “anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali”. Ciò in quanto nell’ambito di tale istituto viene in rilievo il confronto orizzontale tra interessi tutti parimenti pubblici (e non un interesse individuale quale quello alla conservazione dell’atto ampliativo) e, come osservato da questo Consiglio (Cons. St., Comm. spec., 13 luglio 2016, n. 1640), il silenzio-assenso opera in questo caso, a differenza di quello verticale, “non a favore di un privato, ma a favore di una pubblica amministrazione, che dovrà poi comunque farsi carico del bilanciamento degli interessi rilevanti” e, in ogni caso, “stabilendo un termine più lungo per la formazione del silenzio-assenso, e facendo salvi i diversi termini previsti dalle norme speciali”.

Né vale, infine, a salvare la ragionevolezza complessiva della disciplina normativa di cui si dubita la previsione, sempre in seno all’art. 21-nonies della l. n. 241 del 1990, della deroga di cui al comma 2-bis.

Ciò in quanto:

- essa è, come visto supra al punto 7., ipotesi-limite del tutto eccezionale in cui è da escludere in radice la configurabilità di un affidamento tutelabile in capo al beneficiario dell’atto sicché neppure si pone, in realtà, l’effettiva esigenza di un bilanciamento;

- vi è un ampio ventaglio di casi, tra cui rientra quello concreto in esame, in cui non è configurabile (ovvero non è raggiunta piena prova della configurabilità) una “falsa rappresentazione dei fatti” o non sono intervenute “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato” e cionondimeno non può ragionevolmente sostenersi l’incondizionata prevalenza dell’interesse privato alla conservazione della situazione di vantaggio solo in ragione del suo consolidamento per decorso del tempo essendosi verificato un vero e proprio “aliud pro alio” suscettibile di recare un nocumento irreversibile al patrimonio culturale della Nazione in un contesto ove l’accertamento della paternità dell’opera si presentava incerto.

8.8 Preme, ancora, osservare che la tradizionale e consueta discrezionalità del legislatore nazionale nella definizione della disciplina degli istituti giuridici risulta notevolmente erosa, nella materia dei beni culturali, per effetto degli impegni assunti dalla Repubblica a livello internazionale.

In particolare, ad orientare e condizionare le scelte regolatorie sono gli obblighi (non a valenza puramente programmatica ma che presentano un nucleo di immediata precettività) che discendono ex art. 117, comma 1, Cost. dalla Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005 (ratificata dall’Italia con l. 1 ottobre 2020, n. 133).

Nel dettaglio, assumono rilievo gli art. 1, lett. b) e d), e 5, lett. a) e b), della suddetta Convenzione laddove sanciscono, nell’ottica della garanzia del diritto fondamentale all’accesso all’eredità culturale, una responsabilità non solo individuale ma anche collettiva per la sua tutela la quale passa per l’obbligo dello Stato aderente a “riconoscere l’interesse pubblico associato agli elementi dell’eredità culturale, in conformità con la loro importanza per la società” e, di riflesso, a “promuovere la protezione dell’eredità culturale” anche predisponendo soluzioni normative che non siano di ostacolo alla realizzazione di tale scopo.

8.9 Sotto un ultimo profilo non si può mancare di rilevare che le “autorizzazioni” amministrative, pur avendo come tratto comune quello della vincolatezza, richiedono nondimeno di frequente, nel loro rilascio, l’apprezzamento di profili, anche complessi e controversi, di natura tecnica (attraverso quella che si suole definire tradizionalmente come “discrezionalità tecnica”).

Ciò è sicuramente vero nell’ambito della tutela del patrimonio storico e artistico ove si è soliti fare ricorso a conoscenze di settore, spesso mobili e soggette ad evoluzione nonché sprovviste delle certezze proprie delle scienze c.d. “dure”.

Il che è, invero, di immediata evidenza nell’ambito della vicenda concreta in scrutinio relativa all’attribuibilità di un’opera sulla scorta di studi succedutisi nel tempo e di una cornice fattuale, come già evidenziato, non cristallina.

A fronte di tali indubbie specificità, manifestamente irragionevole nonché lesivo del valore del buon andamento e dell’obiettivo di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione si rivela, dunque, la previsione di un termine per l’esercizio del potere di autoannullamento rigido e, come tale, assolutamente insensibile all’irriducibilità, importanza e peculiarità del caso concreto.

La riespansione – in caso di accoglimento della questione sollevata - del termine flessibile ancorato al parametro generale della ragionevolezza consentirebbe, invece, di valorizzare, ai fini della spendita del potere di ritiro (pur con il limite della durata ragionevole a tutela degli affidamenti privati), ogni aspetto in fatto della singola vicenda indipendentemente da una logica di chiara imputabilità alla parte privata di una falsa rappresentazione dei fatti (spesso difficile da ritenersi come nella specie è evidente, pur in presenza di un oggettivo aliud pro alio e del rischio che possa porsi in essere l’esportazione di un capolavoro ove non sia stato apprezzato compiutamente il valore culturale che sempre inibirebbe l’uscita dal territorio) .

Ciò comporterebbe ,segnatamente, anche la possibilità di tener conto di quelle evenienze nelle quali il vizio afferente l’atto, ancorché coevo alla sua adozione, si sia manifestato solo successivamente per effetto del mutato quadro tecnico di riferimento.

Con la conseguenza che il momento di effettiva emersione dell’illegittimità diverrebbe (rectius tornerebbe ad essere) uno dei parametri alla luce dei quali apprezzare in concreto la congruità del tempo trascorso tra l’emissione del provvedimento ampliativo e la sua rimozione.

8.10 Non sussistono, infine, margini per esperire un tentativo di interpretazione conforme della disciplina di legge.

Il tenore dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990 appare, infatti, inequivoco e cristallino nello stabilire che:

- il termine fisso di dodici mesi in questioni decorre “dal momento dell'adozione dei provvedimenti”, sicché non si può in alcun modo posticipare l’exordium dello stesso alla luce di sopravvenienze di fatto che rivelino ex post l’illegittimità originaria del titolo;

- l’inciso “comunque non superiore a dodici mesi” fa del termine de quo un termine massimo inderogabile.

8.9 Per tutte queste ragioni, non definitivamente pronunciandosi sul secondo e quarto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 e sul secondo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sopra indicata, dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 2, 97, comma 1 e comma 2, Cost. e 117 comma 1 Cost. con riferimento agli artt. 1, lett. b) e d), e 5 lett. a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005 (ratificata dall’Italia con l. 1 ottobre 2020, n. 133).

9. In conclusione, riservata ogni ulteriore statuizione di merito all’esito dell’incidente di costituzionalità (anche con riguardo agli altri motivi proposti dalle parti appellanti):

- vanno respinti il primo e sesto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 ed il primo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023;

-non definitivamente pronunciandosi sul secondo e quarto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 e sul secondo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, indicata in motivazione, dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, e 97, comma 2, e 117 comma 1 Cost. con riferimento agli artt. 1, lett. b) e d), e 5 lett. a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005 (ratificata dall’Italia con l. 1 ottobre 2020, n. 133);

- va sospeso in parte qua, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 il presente giudizio previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del suindicato incidente di costituzionalità.

10. La decisione sulle spese di lite è riservata al definitivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), non definitivamente pronunciando, previa loro riunione, sugli appelli, come in epigrafe proposti:

- respinge il primo e sesto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 ed il primo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023;

- non definitivamente pronunciando sul secondo e quarto motivo dell’appello n. R.G. 1122 del 2023 e sul secondo motivo dell’appello n. R.G. 1578 del 2023, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, indicata in motivazione, dell’art. 21-nonies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, 9, comma 1 e comma 2, 97, comma 2, e 117 comma 1 Cost. con riferimento agli artt. 1, lett. b) e d), e 5 lett. a) e c) della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società firmata a Faro il 27 ottobre 2005 (ratificata dall’Italia con l. 1 ottobre 2020, n. 133);

- sospende, per l’effetto, in parte qua, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il presente giudizio previa trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del suindicato incidente di costituzionalità;

- rinvia ogni ulteriore statuizione di merito all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente pronuncia;

- ordina che, a cura della Segreteria della Sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti costituite e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché comunicato ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica;

- spese riservate al definitivo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle persone fisiche e le denominazioni sociali delle persone giuridiche menzionate nella presente sentenza non definitiva.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore