TAR Lombardia (BS) Sez.II sent. 1532 del 9 aprile 2010
Caccia e animali. Piano faunistico venatorio

Annullamento del piano faunistico venatorio della provincia di Bergamo (ricorrente wwf). Questioni trattate: aree percorse dal fuoco  e divieto di caccia ex lege, definizione zona alpi, valichi montani, obbligo di referenziazione e valutazione incidenza capanni, corretto criterio di calcolo tasp (segnalazione P. BRAMBILLA)

 

 

 

N. 01532/2010 REG.SEN.

 

N. 00037/2007 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

 

sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

Sul ricorso numero di registro generale 37 del 2007, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Wwf Italia Ong - Onlus, rappresentato e difeso dall'avv. Paola Brambilla, con domicilio eletto presso Paola Brambilla in Bergamo, via Verdi, 3 (Fax=035/4130882));

 

contro

 

Provincia di Bergamo, rappresentato e difeso dagli avv. Innocenzo Gorlani, Giorgio Vavassori, Bortolo Luigi Pasinelli, con domicilio eletto presso Innocenzo Gorlani in Brescia, via Romanino, 16 (030/3754329) @; Regione Lombardia, rappresentato e difeso dagli avv. Sabrina Gallonetto, Annalisa Santagostino, con domicilio eletto presso Donatella Mento in Brescia, via Cipro, 30 (Fax=030/2449770);

 

nei confronti di

 

Parco Regionale delle Orobie Bergamasche;

 

per l'annullamento

 

previa sospensione dell'efficacia,

 

(A – ricorso principale)

 

della deliberazione 9 maggio 2006 n°22 del Consiglio provinciale di Bergamo, recante “Aggiornamento e adeguamento del piano faunistico venatorio della Provincia di Bergamo”;

 

del decreto 10 agosto 2006 n°9453 del Dirigente dell’unità organizzativa sviluppo e tutela del territorio rurale e montano della Regione Lombardia, recante “Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio della Provincia di Bergamo”;

 

dello studio di incidenza del piano in parola, trasmesso dalla Provincia di Bergamo alla Regione con nota 7 giugno 2006 prot. n°68528;

 

di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, fra cui i pareri favorevoli resi dagli Enti parco sullo studio di incidenza, allo stato non conosciuti;

 

( B- primo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 12 luglio 2007)

 

della deliberazione 28 marzo 2007 n°26 del Consiglio provinciale di Bergamo, recante “Variante al piano faunistico venatorio provinciale – Modifica e adeguamento del piano faunistico venatorio alla l.r. 8 agosto 2006 n°19”;

 

di ogni atto connesso, presupposto o consequenziale, e in particolare:

 

della deliberazione 12 aprile 2007 n°171 della Giunta provinciale di Bergamo, recante “Approvazione dello studio di valutazione di incidenza ambientale della variante al piano faunistico venatorio della Provincia di Bergamo”;

 

( C- secondo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 31 ottobre 2007)

 

del decreto 19 giugno 2007 n°6653 del Dirigente della struttura valorizzazione delle aree protette e difesa delle biodiversità della Regione Lombardia, recante “Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio”;

 

( D – terzo ricorso per motivi aggiunti, depositato il 22 novembre 2008)

 

della deliberazione 9 luglio 2008 n°44 del Consiglio provinciale di Bergamo, recante “Nuovo piano faunistico venatorio”;

 

del decreto 18 giugno 2008 n°6845 della Direzione generale qualità dell’ambiente della Regione Lombardia, recante “Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio”;

 

della determinazione dirigenziale 4 luglio 2008 n°1927, di valutazione ambientale strategica del predetto piano;

 

 

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Bergamo;

 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia;

 

Viste le memorie difensive;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11/02/2010 il dott. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

 

FATTO

 

Ai sensi della l. 11 febbraio 1992 n°157 e delle relative norme attuative di legge regionale, ogni Provincia, allo scopo di regolamentare l’esercizio della caccia e di renderlo compatibile con la salvaguardia dell’ambiente, è tenuta a dotarsi di uno strumento particolare, denominato “Piano faunistico venatorio”: si controverte nella presente sede delle vicende relative a detto piano così come elaborato dalla Provincia di Bergamo nel periodo di cui appresso.

 

La vicenda portata all’attenzione del Tribunale incomincia nel 2006, anno nel quale la Provincia medesima, ai sensi della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, approvava con deliberazione del Consiglio 9 maggio 2006 n°22 la propria versione di tale strumento pianificatorio, per sostituire quello previgente, cessato di validità al 31 gennaio 2006 e poi prorogato sino ad entrata in vigore del nuovo; stabiliva in particolare l’entrata in vigore di quest’ultimo “a far data dalla approvazione della valutazione di incidenza da parte della Regione Lombardia” (cfr. doc. A allegato al ricorso principale, copia della delibera di approvazione impugnata, dalla quale si evincono anche gli estremi del piano previgente e della relativa proroga).

 

Sempre la Provincia di Bergamo, con successiva nota 7 giugno 2006 prot. n°68528, trasmetteva lo studio di incidenza del piano così approvato alla Regione Lombardia, e ne otteneva l’approvazione con il decreto dirigenziale 10 agosto 2006 n°9453 citato in epigrafe (doc. ti B e C allegati al ricorso principale, copie di detto decreto e dello studio di incidenza).

 

Avverso tali atti, il WWF proponeva dapprima ricorso straordinario al Capo dello Stato, ricorso articolato in sette motivi che si riassumono così come segue:

 

- con il primo motivo, deduceva violazione dell’art. 14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, per esser stato asseritamente il piano approvato senza il contraddittorio, previsto dalla legge, con le organizzazioni protezionistiche, fra le quali rientra la ricorrente stessa;

 

- con il secondo motivo, deduceva violazione del combinato disposto degli artt. 11 l. 11 febbraio 1992 n°157 e 14 l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, norme che prevedono una particolare tutela per le zone alpine e che il piano non rispetterebbe, in quanto ricomprenderebbe nel territorio esterno alla zona stessa aree che pacificamente ne farebbero parte;

 

- con il terzo motivo, deduceva violazione dell’art. 10 commi 3 e 4 della l. 11 febbraio 1992 n°157, in ordine ai criteri adottati per il calcolo della quota protetta di TASP, ovvero di territorio agro- silvo- pastorale. Tale quota secondo le norme di legge citate, è costituita da una certa percentuale del territorio agro- silvo- pastorale provinciale complessivo, che il piano faunistico venatorio deve localizzare in concreto, nella quale è limitata la caccia per consentire alla fauna selvatica di vivere e riprodursi indisturbata. Il territorio in questione, base di calcolo della quota protetta, peraltro, non corrisponde, al di là delle predette indicazioni di carattere generale, ad un concetto univoco ed universalmente accettato dagli operatori del settore; ha provveduto pertanto a dettarne i criteri di calcolo un apposito provvedimento regionale, la deliberazione della Giunta regionale lombarda 16 aprile 1993 n° V/34983. Tale atto muove infatti dalla ritenuta oggettiva mancanza di “criteri oggettivi di definizione e quantificazione del TASP”, e decide di adottare quello proposto dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica, ente ritenuto di riferimento in materia. In tali termini, si definisce allora il TASP come “la superficie disponibile per coltivazioni, pascolo e bosco, al netto quindi di superfici urbanizzate, acque, strade, rocce, sfasciumi, nevai e ghiacciai e quanti altri substrati impediscano la crescita di vegetazione spontanea o coltivata”; si prescrive di conseguenza che per calcolarlo si debbano sottrarre “alla totalità del territorio preso in esame le seguenti superfici improduttive per la fauna selvatica”, definite nelle due categorie del terreno “improduttivo di origine antropica” e del terreno “improduttivo naturale”. L’improduttivo naturale comprende, sempre secondo la delibera, “ghiacciai, nevai perenni, rocce nude superiori ai 2.700 mt. di altitudine, laghi naturali o artificiali con profondità superiore a dieci metri… e comunque tutti i laghi naturali e artificiali superiori ai 2000 mt. di altitudine”, mentre l’improduttivo di origine antropica consta a sua volta di due sottocategorie, le “superfici urbanizzate” e le “opere pubbliche esistenti e infrastrutture”. Nella prima di dette sottocategorie, sempre nei termini della delibera, rientrano le superfici appunto urbanizzate “individuabili e mappate ai sensi dei vigenti piani regolatori comunali. Si terrà conto dello stato di fatto e delle previsioni a medio termine per le aree in trasformazione….vanno pertanto individuate e misurate come ‘improduttive’ per la fauna selvatica tutte le superfici appartenenti alle categorie di territorio non ricomprese fra quelle destinate alle coltivazioni agricole (ivi comprese le infrastrutture, cascinali…), ai pascoli, agli impianti boschivi, agli incolti, alle superfici occupate da vegetazione spontanea. Sono da considerarsi improduttive anche le superfici esterne al perimetro delle aree urbanizzate ed individuabili come singoli nuclei residenziali, impianti sportivi e ricreativi (campeggi, campi da golf, tiro al piattello e con l’arco, giardini pubblici, parchi pubblici suburbani attrezzati, maneggi)”. Nella seconda delle due sottocategorie rientrano invece “autostrade, ferrovie, strade statali e provinciali e quelle ad alta percorrenza, svincoli, innesti, parcheggi, aeroporti, depuratori e fosse per liquami, impianti per lo smaltimento dei rifiuti e discariche, centrali elettriche, dighe e bacini artificiali non produttivi (ovvero quando soggetti a rapide, frequenti e consistenti variazioni di livello), cave in attività” (per tutto ciò, v. doc. 5 ricorrente, copia delibera in questione, da cui le citazioni). In dichiarata applicazione di tali criteri, il piano impugnato dichiara di avere calcolato il TASP “sottraendo dalla superficie territoriale l’improduttivo naturale” definito come sopra, nonché “l’urbanizzato attuale e di espansione previsto dai PRG comunali, la rete viaria presente ed una fascia di rispetto ritenuta non utile alla fauna selvatica”, computata in misura di 25 metri per lato per le strade statali e provinciali, 5 metri per lato per le strade comunali e 50 metri per lato per autostrade e ferrovie, e non considerata “nel tratto di sovrapposizione con l’urbanizzato attuale e di espansione e con l’improduttivo naturale” (cfr. doc. A ricorrente, copia piano impugnato, a p. 5, da cui le citazioni). L’ente ricorrente censura come contrario alla legge ed alla delibera regionale citata tale criterio di calcolo, ed assume che escludere dalla superficie complessiva di TASP sulla quale si calcola la quota protetta l’urbanizzato di espansione e le fasce di rispetto stradale integrerebbe una indebita riduzione in valore assoluto della quota protetta in parola. In altri termini, la base di calcolo dovrebbe comprendere anche zone di territorio, come le suddette fasce di rispetto, non utili alla fauna selvatica in quanto pericolose per il traffico che le rasenta, allo scopo di incrementare il valore assoluto della quota protetta da determinare percentualmente: la quota protetta così calcolata andrebbe poi localizzata in concreto su parti del TASP effettivamente utili alla fauna, ovvero ad esempio non sulle fasce di rispetto citate;

 

- con il quarto motivo, deduceva violazione degli artt. 6 del d.p.r. 12 marzo 2003 n°120 e 5 del d.p.r. 8 settembre 1997 n°357, modificato ed integrato dal primo provvedimento. Tali norme di legge sottopongono il piano faunistico venatorio, in quanto “piano di settore” ad una valutazione di incidenza sull’ambiente, valutazione configurata come preventiva, e non sarebbero state nel caso di specie rispettate, perché la valutazione, oltre ad aver seguito, e non preceduto, l’approvazione del piano, sarebbe tale solo di nome, e infatti si limiterebbe a ricopiare le formule generali dello studio di incidenza redatto da altra provincia, nella specie Rovigo, senza in alcun modo adattarle alla specifica realtà bergamasca (cfr. in proposito doc. 8 ricorrente, estratto della valutazione di incidenza della Provincia di Rovigo);

 

- con il quinto motivo di ricorso, deduceva violazione dell’art. 11 comma 3 della l. 6 dicembre 1991 n°394, in quanto il piano non avrebbe istituito il necessario divieto di caccia nei siti di interesse comunitario (in sigla SIC) e nelle zone di protezione speciale (in sigla ZPS), destinate per legge ad una maggior tutela dell’ambiente;

 

- con il sesto motivo di ricorso, deduceva violazione dell’art. 22 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157, in quanto il piano impugnato, nell’istituire una zona di divieto di caccia di forma circolare, per un raggio di cento metri dal centro, per ciascuno dei valichi prealpini (cfr. doc. A ricorrente, copia piano, a p. 107), non avrebbe tenuto conto della diversa ampiezza dei valichi stessi, che in taluni casi imporrebbe una zona di divieto più ampia;

 

- con il settimo ed ultimo motivo, infine, deduceva violazione dell’art. 10 comma 7 lettera e) della stessa l. 11 febbraio 1992 n°157, per non corretta individuazione di alcune zone per addestramento cani da caccia, nelle quali non sarebbero stati definiti periodi e tipologia di utilizzo, e per errata localizzazione di due di esse in zone protette.

 

Di detto ricorso straordinario, la Provincia di Bergamo, con atto notificato al ricorrente in sede straordinaria il 29 novembre 2006 (doc. 11 Provincia, copia di esso), domandava la trasposizione in sede giurisdizionale, alla quale il WWF provvedeva con atto depositato in data 11 gennaio 2007 (doc. 12 Provincia, copia di esso), trascrivendo nell’atto stesso il contenuto integrale del ricorso straordinario, e trasformando i motivi dedotti in tale sede in altrettanti motivi del ricorso principale; lo stesso WWF si costituiva poi nella presente sede (doc. 13 Provincia, copia atto relativo).

 

Si costituiva parimenti nella presente sede giurisdizionale la Provincia intimata, con atto 14 febbraio 2007, deducendo:

 

- in ordine al primo motivo, la sua infondatezza in fatto, per avere l’associazione ricorrente, regolarmente invitata a parteciparvi, preso parte a mezzo di proprio rappresentante al “tavolo tecnico” istituito per elaborare il piano (doc. ti da 14 a 21 Provincia, copie lettere di convocazione e fogli presenze) e presentato una serie di osservazioni (doc. 3 ricorrente, copia di esse);

 

- in ordine al secondo motivo, ancora la sua infondatezza in fatto, in quanto l’associazione ricorrente considererebbe, a torto, comprese in zona alpina anche aree che naturalisticamente non ne fanno parte, pur contenendo sporadiche presenze di vegetazione o fauna alpine; viceversa, per parlare di zona alpina occorrerebbe, anche a norma dell’art. 27 comma 1 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, poter riscontrare una “consistente” presenza di vegetazione ovvero fauna tipiche;

 

- in ordine al terzo motivo, che il metodo di calcolo del TASP seguito dall’amministrazione sarebbe stato corretto, ed anzi rispettoso della decisione del ricorso straordinario proposto dalla stessa associazione ricorrente avverso il piano previgente. Tale decisione, resa con D.P.R. 21 febbraio 2006 su parere del C.d.S. sez. II 6 aprile 2005 in pratica 2728/2003 e trasmessa alle parti con lettera datata 22 marzo 2006 (doc. 3 Provincia, copia di essa), aveva annullato appunto il piano previgente proprio per avere ricompreso nel TASP le fasce di rispetto stradale, oggi escluse;

 

- in ordine al quarto motivo, che il piano nella sua entrata in vigore sarebbe stato espressamente condizionato all’approvazione, poi in fatto intervenuta, dello studio di incidenza, che a sua volta sarebbe stato correttamente redatto;

 

- in ordine al quinto motivo, che nelle ZPS e nei SIC non sarebbe di per sé vietata la caccia;

 

- in ordine al sesto motivo, che esso deriverebbe da un fraintendimento delle previsioni del piano, poiché la disposizione impugnata riguarderebbe non il divieto di caccia nei valichi alpini, ma una serie di zone di protezione lungo le rotte migratorie, istituto a sé stante per il quale non sono previste ampiezze minime o massime;

 

- in ordine infine al settimo motivo, che le zone di addestramento cani asseritamente non classificate sarebbero zone di ripopolamento e cattura della selvaggina che, in assenza di norme in contrario, sarebbero utilizzate anche a scopi cinofili, e che le due zone ulteriori di cui si censura la localizzazione sarebbero in realtà estranee ad ogni area protetta.

 

Successivamente, interveniva la l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, di modifica degli artt. 13 e 14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, e con essi dei criteri per il calcolo del TASP, legge la quale in sintesi, e salvo quanto si dirà più in dettaglio, sopprime l’aggettivo “utile” riferito in precedenza alla quota di TASP destinata alla tutela della fauna e prevede alla lettera che nella quota di TASP in parola debbano ricomprendersi tutte le aree in cui sia vietata la caccia anche per altre finalità, diverse da quelle di tutela. La Provincia di Bergamo approvava quindi, con deliberazione 28 marzo 2007 n°26 del Consiglio (doc. A ricorrente allegato al primo ricorso per motivi aggiunti, copia atto in questione), tempestivamente impugnata dall’odierno ricorrente con ricorso per motivi aggiunti articolato in undici censure, riportabili secondo logica ai seguenti undici motivi, per i quali si prosegue l’ordine numerico del ricorso principale:

 

- con l’ottavo motivo, corrispondente alla censura prima a p. 6 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il primo motivo di cui al ricorso principale;

 

- con il nono motivo, corrispondente alla censura seconda a p. 9 del primo ricorso per motivi aggiunti, deduce eccesso di potere, in quanto la variante al piano sarebbe stata approvata non allo scopo, previsto dalla legge, di tutelare la fauna, ma a quello, ritenuto illegittimo, di rendere comunque possibile la caccia da appostamenti fissi, i cd. capanni;

 

- con il decimo motivo, corrispondente alla censura terza a p. 15 del primo ricorso per motivi aggiunti, deduce violazione dell’art. 10 della l. 21 novembre 2000 n°353, in quanto la variante impugnata non istituirebbe il prescritto divieto di caccia nelle zone boscate già interessate da incendi;

 

- con l’undecimo motivo, corrispondente alla censura quarta a p. 16 del primo ricorso per motivi aggiunti, deduce, propriamente, la violazione degli artt. 12-14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, affermandosi che fino all’entrata in vigore del piano venatorio regionale, oggi mancante, la Provincia non potrebbe esercitare le proprie competenze al riguardo;

 

- con il dodicesimo motivo, corrispondente alla censura quinta a p. 19 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il secondo motivo del ricorso principale;

 

- con il tredicesimo motivo, corrispondente alla censura sesta a p. 22 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone in sostanza le critiche già svolte nel terzo motivo avverso la metodologia seguita nel calcolo del TASP, integrandole con quanto risulta dalla surricordata modifica normativa operata con l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19. In proposito, si censura infatti l’inclusione nel TASP delle aree “in cui l’esercizio venatorio è vietato dalla l.r. 26793 ed in particolare dall’art. 1 comma 4 e [sic] gli articoli 17, limitatamente alle oasi, 18, 37 e 43” (cfr. doc. A ricorrente allegato al primo ricorso per motivi aggiunti, copia variante, p. 10). Si afferma infatti che delle due l’una. Come prima possibilità, la legge regionale intervenuta andrebbe interpretata comunque nel senso di prevedere che la quota di TASP protetta debba essere utile alla tutela della fauna: in tale caso, la previsione di piano andrebbe ritenuta illegittima nella parte in cui comprende nella quota stessa aree non utili alla fauna in cui, nondimeno, la caccia è per qualche ragione vietata. Come seconda possibilità, la legge regionale prevedrebbe in effetti la possibilità di computare come TASP protetto aree non utili alla fauna, ed allora sarebbe illegittima costituzionalmente per violazione dell’art. 117 Cost. , dovendo quindi questo Giudice sollevare la relativa eccezione davanti alla Corte. Infine, si deduce che comunque il metodo, ferma la sua erronea impostazione, sarebbe stato male applicato nel calcolo;

 

- con il quattordicesimo motivo, corrispondente alla censura settima a p. 33 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo quarto del ricorso principale;

 

- con il quindicesimo motivo, corrispondente alla censura ottava a p. 41 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo quinto del ricorso principale;

 

- con il sedicesimo motivo, corrispondente alla censura nona a p. 22 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo sesto del ricorso principale;

 

- con il diciassettesimo motivo, corrispondente alla censura decima a p. 46 del primo ricorso per motivi aggiunti, ripropone il motivo settimo del ricorso principale, nella sola parte che riguarda le zone di addestramento cani a tipologia asseritamente non specificata;

 

- con il diciottesimo motivo, corrispondente alla censura undecima a p. 47 del primo ricorso per motivi aggiunti, deduce infine violazione dell’art. 7 del d. lgs. 152/06, in quanto la variante in questione sarebbe atto ad effetti significativi sull’ambiente, e come tale andrebbe sottoposta a valutazione ambientale strategica, nella specie omessa.

 

Si costituiva in detto primo ricorso per motivi aggiunti l’amministrazione intimata, con memoria 26 ottobre 2007, nella quale eccepiva in via preliminare l’irricevibilità dei motivi aggiunti, per esser stati gli stessi erroneamente notificati (cfr. doc. 28 Provincia, copia busta di spedizione) alla “Provincia di Bergamo c/o avv. Vavassori, via Romanino 16, Brescia”, e nel merito:

 

- in ordine all’ottavo motivo di ricorso, eccepiva la sua infondatezza in fatto anche in questa occasione, per avere ancora una volta l’associazione ricorrente, regolarmente invitata a parteciparvi, preso parte al procedimento (doc. ti da 30 a 44 Provincia, copie atti relativi);

 

- in ordine al nono motivo di ricorso, contestava che lo scopo della variante al piano fosse quello censurato;

 

- in ordine al decimo motivo di ricorso, deduceva che individuare le aree percorse dal fuoco, sia pure ai fini del divieto di caccia, non farebbe parte dei contenuti del piano faunistico venatorio;

 

- in ordine all’undecimo motivo di ricorso, puntualizzava che la pianificazione provinciale anche in assenza del piano regionale è possibile ai sensi dell’art. 55 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26;

 

- in ordine al dodicesimo motivo, riportava le difese già svolte in ordine al secondo motivo del ricorso principale;

 

- in ordine al tredicesimo motivo, deduceva la conformità alla Costituzione della modifica operata dalla l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, che avrebbe avuto in sostanza solo scopo chiarificatore; insisteva poi sulla correttezza nel merito e nel metodo del calcolo del TASP eseguito in concreto;

 

- in ordine ai motivi dal quattordicesimo al diciassettesimo, si richiamava ancora alle difese già svolte a proposito dei corrispondenti motivi di ricorso principale;

 

- in ordine infine al diciottesimo motivo, sosteneva la non applicabilità nella Regione Lombardia, in ordine alla pianificazione non statale, della valutazione ambientale strategica, per essere ancora mancanti le norme regionali di attuazione.

 

Da ultimo, con il secondo ricorso per motivi aggiunti, il ricorrente impugnava anche la positiva valutazione regionale di incidenza sulla variante al piano, meglio indicata in epigrafe (doc. A ricorrente allegato al secondo ricorso per motivi aggiunti, copia di essa), articolando quattro ulteriori motivi, che si riassumono così come segue, sempre continuando nell’ordine numerico del ricorso principale:

 

- con il diciannovesimo motivo, corrispondente alla prima censura a p. 3 del secondo ricorso per motivi aggiunti, ripropone i contenuti dei precedenti motivi quinto e quindicesimo;

 

- con il ventesimo motivo, corrispondente alla seconda censura a p. 10 del secondo ricorso per motivi aggiunti, deduce il difetto di istruttoria per omessa acquisizione del parere dell’ente Parco Orobie Valtellinesi, gestore di un SIC ricompreso asseritamente nell’area di piano;

 

- con il ventunesimo motivo, corrispondente alla terza censura a p. 13 del secondo ricorso per motivi aggiunti, deduce il difetto di motivazione per non avere il provvedimento impugnato tenuto adeguato conto del parere negativo espresso dallo stesso WWF quale gestore della Riserva naturale Valpredina;

 

- con il ventiduesimo motivo, corrispondente alla quarta censura a p. 17 del secondo ricorso per motivi aggiunti, ripropone infine i contenuti dei motivi quarto e quattordicesimo.

 

Resisteva ancora la Regione Lombardia, con atto 7 novembre e memoria 11 gennaio 2008, domandando con deduzioni similari a quelle della Provincia la reiezione del secondo ricorso per motivi aggiunti, rivolto avverso un proprio provvedimento.

 

La Provincia, costituendosi anche in tale ultima sede, con memoria 8 novembre 2007, richiamava in quanto pertinenti le proprie precedenti difese; deduceva poi nello specifico che l’Ente Parco Orobie, ancorché interpellato, non aveva ritenuto di esprimersi (cfr. doc. 48 Provincia, copia avviso di procedimento inviato anche a tale ente), e che dal parere contrario del WWF ci si era discostati sì, ma motivatamente.

 

Nella memorie conclusive depositate il 12 gennaio 2008, il WWF e la Provincia ribadivano le rispettive posizioni.

 

La Sezione accordava la sospensione cautelare del provvedimento impugnato, limitatamente alla variante impugnata con il primo ricorso per motivi aggiunti, nei termini di cui alla propria ordinanza 8 novembre 2007 n°847 e dell’ordinanza resa in sede di appello C.d.S. sez. VI 27 novembre 2007 n°6267; all’udienza del giorno 24 gennaio 2008 riteneva poi, nei termini di cui all’ulteriore propria ordinanza 11 febbraio 2008 n°34, di disporre CTU, affidata dal Giudice delegato il 1 aprile 2008 al dott. Massimo Zanetti, funzionario dell’Ufficio studi faunistici della Regione autonoma Friuli V.G., il quale depositava l’elaborato il 24 ottobre 2008, nei termini di cui alle proroghe concesse.

 

Nelle more, la Provincia di Bergamo, con deliberazione 9 luglio 2008 n°44 del Consiglio, provvedeva ad approvare un nuovo Piano faunistico venatorio, sostitutivo dei precedenti, corredato delle valutazioni di incidenza e ambientale strategica di cui ai provvedimenti meglio indicati in epigrafe (allegati, assieme al Piano in questione, in copia senza numero al terzo ricorso per motivi aggiunti).

 

Avverso tale nuova versione del Piano, l’associazione ricorrente presentava il terzo ricorso per motivi aggiunti, articolato in ordine logico così come segue; si precisa che la ancora una volta proseguendo nella numerazione dei motivi di ricorso già adottata:

 

- con il ventitreesimo motivo, corrispondente alle censure seconda e terza alle pp. 15 e 17 del ricorso, deduce violazione dell’art. 5 comma 6 del D.P.R. 8 settembre 1997 n. 357, dell’art. 2 allegato C della deliberazione della Giunta regionale lombarda 8 agosto 2003 n°VII/14106 e dell’art. 3 della l. 241/1990, perché il piano impugnato non conterrebbe quanto richiesto dalle norme citate, ovvero una congrua motivazione delle scelte operate in rapporto alle osservazioni formulate dai gestori delle zone protette – riserve naturali, SIC e ZPS, in particolare su quanto osservato dall’ente ricorrente medesimo, che è anche gestore del SIC “Valpredina” e come tale ha interloquito nel procedimento di formazione del piano;

 

- con il ventiquattresimo motivo, corrispondente alla censura quarta alla p. 22 del ricorso, deduce violazione degli artt. 10 comma 7 della l. 11 febbraio 1992 n°157, 15 della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 e 9 comma 1 e 14 del d. lgs. 3 aprile 2006 n°152, che sarebbe mancato il coordinamento, richiesto dalle norme citate, fra il Piano faunistico venatorio e il Piano di miglioramento fondiario, profilo che, si evidenzia, già sarebbe stato censurato con riguardo ad una precedente edizione del Piano venatorio nella sentenza di questo TAR 24 gennaio 2003 n°46;

 

- con il venticinquesimo motivo, corrispondente alla censura undecima alla p. 47 del ricorso (erroneamente rubricata come dodicesima) e riproponente gli argomenti del motivo decimo, deduce violazione dell’art. 10 della l. 21 novembre 2000 n°353, perché anche la versione del Piano in esame non istituirebbe il prescritto divieto di caccia nelle zone boscate già interessate da incendi;

 

- con il ventiseiesimo motivo, corrispondente alla censura quinta alla p. 24 del ricorso, deduce violazione degli artt. 13 comma 1 del d. lgs. 3 aprile 2006 n°152, 11 della l. 11 febbraio 1992 n°157 e 14 commi 1 e 3 della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 perché la valutazione ambientale strategica del Piano sarebbe asseritamente inadeguata quanto alla metodologia seguita;

 

- con il ventisettesimo motivo, corrispondente alla censura settima alle pp. 30-31 del ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi secondo e quindicesimo, deduce ulteriore violazione degli artt. 11 della l. 11 febbraio 1992 n°157 e 14 commi 1 e 3 della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 e comunque eccesso di potere, perché il Piano non individuerebbe in modo corretto le zone alpine , destinatarie ai sensi delle norme citate di una particolare tutela;

 

- con il ventottesimo motivo, corrispondente alla censura sesta alla p. 27 del ricorso, deduce violazione dell’art. 10 commi 3 e 4 11 della l. 11 febbraio 1992 n°157 e della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 così come modificata dalla l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, per illegittimità dei criteri applicati nel calcolo della quota protetta di TASP. Come subito si vedrà, il motivo in esame ripropone, anche se solo in parte, le argomentazioni già illustrate nell’ambito dei motivi terzo e tredicesimo. Ripetendo per chiarezza quanto già spiegato a tale proposito, si ricorda che il TASP, sigla che sta per “Territorio Agro Silvo Pastorale”, destinato a quota protetta consiste in una certa parte del territorio provinciale complessivo, nella quale è limitata la caccia per consentire alla fauna selvatica di vivere e riprodursi indisturbata. La quota di TASP in questione, ai sensi dell’art. 10 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157, deve avere una estensione complessiva corrispondente ad una data percentuale del territorio della Provincia, mentre è demandata allo strumento pianificatorio la sua localizzazione in concreto. In altre parole, fermo il valore assoluto dell’estensione della quota protetta di TASP, spetta al Piano faunistico venatorio stabilire se un dato terreno ne faccia o no parte. Sempre riprendendo quanto già spiegato, sulla metodologia legale di calcolo della quota protetta di TASP è poi intervenuta la l.r. Lombardia 8 agosto 2006 n°19, di modifica degli artt. 13 e 14 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, la quale in sintesi estrema prevede che possano essere considerate parte di essa anche aree in cui è vietata la caccia per norme diverse da quelle dettate in modo esplicito per la tutela della fauna. Ciò posto, secondo l’associazione ricorrente, il piano approvato in conformità alle norme descritte sarebbe comunque illegittimo, dato che due sarebbero le possibilità, come già detto sopra a proposito del tredicesimo motivo di ricorso. Nella prima ipotesi, si interpreterebbe la legge regionale 19/2006 nel senso di prevedere che la quota di TASP determinata in conformità debba comprendere sì aree in cui la caccia è vietata per ragioni alla lettera non coincidenti con la tutela della fauna, ma pur sempre tali da tutelarla in via indiretta. In tale caso, il piano andrebbe ritenuto illegittimo nella parte in cui comprende nella quota protetta di TASP aree soggette al divieto di caccia ma oggettivamente non utili alla fauna, in particolare le fasce di rispetto, cd. “buffer”. Nella seconda ipotesi, si interpreterebbe invece la legge regionale nel modo opposto, nel senso per cui si potrebbero computare nella quota protetta di TASP aree oggettivamente non utili alla fauna. In tal caso, la norma sarebbe come si è già detto illegittima per violazione dell’art. 117 Cost., e in proposito l’associazione ricorrente ha nuovamente invitato questo Giudice a sollevare la relativa eccezione davanti alla Corte. Nel motivo in esame, a differenza di quanto dedotto in precedenza nei motivi terzo e tredicesimo, ci si richiama quindi soltanto alla disciplina vigente a livello di legge formale per calcolare il TASP e la quota protetta; non sono state invece riproposte né censure attinenti il contrasto con il regolamento regionale che precisa i criteri di legge per determinare il TASP nel suo complesso né censure attinenti le concrete modalità seguite per calcolarne l’estensione, ricavare da essa la quota protetta di che trattasi e localizzarla sul territorio;

 

- con il ventinovesimo motivo, corrispondente alla censura prima alla p. 11 del ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi quinto, quindicesimo e diciannovesimo, deduce violazione dell’art. 6 della l. 6 dicembre 1991 n°394, della l. 6 febbraio 2006 n°66 e dell’art. 5 del D.M. 17 ottobre 2007, perché il Piano non prevedrebbe i divieti venatori asseritamente imposti dalle norme citate per i siti protetti della “Rete Natura” e in particolare il divieto di uso di munizioni contenenti piombo nei siti abitati da uccelli acquatici;

 

- con il trentesimo motivo, corrispondente alla censura ottava alla p. 36 del ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi sesto e sedicesimo, deduce violazione degli artt. 22 comma 3 della l. 11 febbraio 1992 n°157 e 44 comma 3 della l. r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 in quanto anche questa versione del Piano impugnato, nell’istituire una zona di divieto di caccia di forma circolare, per un raggio di cento metri dal centro, per ciascuno dei valichi prealpini (cfr. doc. A ricorrente, copia piano, a p. 107), avrebbe individuato in modo erroneo i valichi stessi, non avrebbe tenuto conto della loro diversa ampiezza, che in taluni casi imporrebbe una zona di divieto più ampia, né avrebbe tenuto conto dell’accertata presenza di capanni da caccia presso i valichi in parola;

 

- con il trentunesimo motivo, corrispondente alla censura nona alla p. 42 del ricorso, deduce violazione dell’art. 14 comma 1 lettera l) della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26, per l’omessa georeferenziazione dei capanni da caccia predetti, i quali si sarebbero dovuti individuare con precisione, quanto al loro numero e alle coordinate geografiche di ciascuno, prima di redigere il Piano, e non a Piano già approvato e vigente;

 

- con il trentaduesimo motivo, corrispondente alla censura decima alla p 45 del ricorso e riproponente gli argomenti dei motivi settimo e diciassettesimo, deduce violazione degli artt. 10 comma 7 lettera e) della l. 11 febbraio 1992 n°157 e degli artt. 14 e 21 della l.r. Lombardia 16 agosto 1993 n°26 perché anche il nuovo piano avrebbe individuato in modo non corretto alcune zone per addestramento cani da caccia, nelle quali non sarebbero stati definiti periodi e tipologia di utilizzo; avrebbe poi localizzato due di esse in zone protette, in modo ritenuto non ammissibile.

 

Hanno resistito anche a tale ricorso la Provincia di Bergamo, con memoria 16 dicembre 2008, e la Regione Lombardia, con memoria 18 dicembre 2008, riproponendo in parte le rispettive difese di cui si è detto, e aggiungendo nello specifico:

 

- in ordine al ventitreesimo motivo – si veda la memoria della Provincia alle pp. 11 e 14- che vi sarebbe stato un parere sostanzialmente favorevole da parte di tutti i gestori interpellati, e che comunque la valutazione di incidenza è stata non semplicemente positiva, ma positiva con prescrizioni, molte delle quali a tutela proprio del sito “Valpredina”;

 

- in ordine al ventiquattresimo motivo – memoria della Provincia cit. p. 19- che il coordinamento fra i due strumenti non sarebbe mancato, e che comunque la normativa non impone di approvare il Piano di miglioramento prima del Piano venatorio, anzi permette di approvarli separatamente l’uno dall’altro e nell’ordine creduto più opportuno;

 

- in ordine al venticinquesimo motivo – memoria della Provincia cit. pp. 56 e 60- che la censura sarebbe infondata in fatto. Evidenzia infatti la Provincia resistente che a pagina 205 del Piano ci si fa espressamente carico del problema, prevedendo che la versione dello strumento inserita nella rete Internet contenga un link al sito cartografico della Provincia stessa, e per tale via alla cartografia delle aree percorse dal fuoco, aggiornate oltretutto con i dati forniti dal Corpo forestale dello Stato, da ritenersi i più aggiornati e attendibili;

 

- in ordine al ventiseiesimo motivo – memoria Provincia, p. 23- che l’inadeguatezza dedotta sarebbe solo enunciata e non dimostrata;

 

- in ordine al ventisettesimo motivo – memoria Provincia, p. 33- che la soluzione seguita dal Piano sarebbe corretta;

 

- in ordine al ventottesimo motivo – cfr. memorie Provincia, p. 28- che il procedimento seguito sarebbe in sintesi conforme a legge e a Costituzione; a tale ultimo proposito, si è sottolineato come la Corte, con la propria sentenza 30 dicembre 1997 n°448 avrebbe in sostanza già disatteso le argomentazioni del ricorrente;

 

- in ordine al ventinovesimo motivo – memoria Provincia, p. 7- che la censura sarebbe ancora una volta infondata in fatto, dato che il Piano, a p. 7 dell’elaborato, prevede in modo espresso un recepimento automatico di tali divieti, nel momento stesso in cui essi vengono introdotti nell’ordinamento;

 

- in ordine al trentesimo motivo – memoria Provincia, p. 42- che le soluzioni del Piano sarebbero adeguate;

 

- in ordine al trentunesimo motivo – memoria Provincia, p. 51- che il Piano impugnato prevede che alla georeferenziazione dei capanni si debba procedere entro un breve termine dalla sua entrata in vigore, con adempimento che allo stato sarebbe stato già svolto;

 

- in ordine al trentaduesimo motivo – memoria Provincia, pp. 53- 55- che l’individuazione delle zone addestrative per i cani sarebbe conforme a legge.

 

Con memorie 2 aprile 2009 per la Provincia, 3 aprile 2009 per la Regione e 4 aprile 2009 per il WWF, le parti ribadivano le rispettive posizioni

 

Sul nuovo piano approvato e impugnato nei termini di cui sopra, la Sezione riteneva, in esito all’udienza di merito tenutasi il 16 aprile 2009, con ordinanza del successivo 4 maggio n°97, di disporre nuova CTU, affidata sempre al dott. Zanetti, il quale, ricevuto in data 24 giugno 2009 il relativo incarico dal Giudice delegato, depositava il proprio elaborato il 12 ottobre 2009, sempre nei termini di cui alle proroghe concesse.

 

Intervenuto il deposito della nuova CTU, le parti ritenevano di meglio illustrare le rispettive posizioni con memorie 20 gennaio 2010 per il WWF e la Regione, 27 gennaio 2010 per la Provincia, nelle quali confermavano tutte le rispettive conclusioni in ordine al terzo ricorso per motivi aggiunti; la Regione chiedeva poi in via espressa la declaratoria di inammissibilità ovvero improcedibilità del ricorso principale e dei primi due ricorsi per motivi aggiunti per sopravvenuta carenza di interesse, riferendosi gli stessi a un piano ormai sostituito dal nuovo.

 

Alla udienza del giorno 11 febbraio 2010, da ultimo, la Sezione tratteneva il ricorso in decisione.

 

DIRITTO

 

1. Il ricorso principale e i ricorsi per motivi aggiunti primo e secondo – che comprendono i motivi di censura dal primo al ventiduesimo- vanno dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse Come detto in premesse, infatti, essi si riferiscono tutti ad una versione del Piano faunistico venatorio non più in vigore, in quanto sostituita da quello approvato con delibera del Consiglio provinciale 9 luglio 2008 n°44. Si tratta in altre parole di atti di pianificazione non più efficaci, sì che dal loro annullamento il ricorrente non potrebbe più trarre utilità alcuna: si veda sul principio C.d.S. sez. IV 12 giugno 2007 n°3087, in tema di successione di piani urbanistici, che si cita per tutte.

 

2. Il terzo ricorso per motivi aggiunti, riferito alla nuova versione del Piano attualmente in vigore, approvata con la citata deliberazione 44/2008, è invece fondato nel merito e va accolto. In proposito, peraltro, alla disamina dei singoli motivi proposti vanno premesse alcune considerazioni di carattere generale.

 

3. In primo luogo, vanno chiariti connotati e limiti della giurisdizione di questo Tribunale sulla controversia per la quale è causa. Gli atti con i quali la Regione ha compiuto le valutazioni di incidenza e ambientale strategica in ordine al Piano per cui è causa e la Provincia lo ha approvato vanno qualificati all’evidenza, come del resto ha fatto l’associazione ricorrente, come atti amministrativi, che in mancanza di norme di legge difformi sono impugnabili nel quadro della giurisdizione generale di legittimità, la quale, com’è noto, in ragione del proprio carattere impugnatorio, attribuisce a questo Giudice il potere di annullarli, ma non quello di entrare nel merito degli stessi, ovvero di sostituire una sua valutazione alla valutazione degli interessi in gioco compiuta dalle amministrazioni intimate: a tale irrinunciabile limite è soggetto ogni possibile effetto conformativo della decisione di annullamento. Solo entro tali confini vanno quindi condivise le argomentazioni proposte al riguardo dal WWF alle pp. 10-14 della memoria 20 gennaio 2010.

 

4. Lo stesso giudice amministrativo, di conseguenza, potrà utilizzare, come si è fatto nella specie, lo strumento della CTU soltanto per verificare la coerenza logica, secondo le regole proprie della materia tecnica interessata, delle scelte della p.a.: se esse risultano congrue, respingerà il ricorso; in caso contrario lo accoglierà annullando l’atto, ma non potrà in ogni caso sostituire in via diretta il risultato nel merito ottenuto dalla CTU a quello risultante dalle scelte dall’amministrazione. In tali termini, questo Giudice farà applicazione degli esiti della CTU affidata come in premesse al dott. Massimo Zanetti, nella parte in cui essa si riferisce alla nuova versione del Piano in esame, denominata di seguito soltanto “CTU Zanetti”. La stessa infatti, salve le precisazioni che si faranno di volta in volta su punti specifici, è ad avviso di questo Giudice pienamente condivisibile nel suo impianto complessivo, in quanto sviluppata da premesse di fatto non controverse in termini coerenti e logici.

 

5. Ciò posto, è infondato il ventitreesimo motivo di ricorso, incentrato sul presunto difetto di motivazione della valutazione di incidenza delle scelte del Piano in rapporto alle osservazioni degli enti gestori di aree protette, e in particolare del WWF quale gestore del SIC “Valpredina”. In proposito, va premesso che, come è pacifico in giurisprudenza, le osservazioni proposte dagli interessati nei confronti degli atti di pianificazione rappresentano non un rimedio giuridico in senso proprio, al quale andrebbe data una risposta puntuale e specifica, ma un semplice apporto collaborativo; possono pertanto essere rigettate o accolte senza una motivazione analitica, essendo sufficiente che esse siano state esaminate e confrontate con gli interessi generali dello strumento pianificatorio, le cui scelte possono formare oggetto di sindacato giurisdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irrazionalità o irragionevolezza, ovvero di palese travisamento dei fatti, che costituiscono i limiti della discrezionalità amministrativa, anche tenuto presente che gli atti di tale specie non sono soggetti ad un obbligo di motivazione in senso proprio, così come definito dall’art. 3 della l. 241/1990: in tal senso, da ultimo, C.d.S. sez. IV 18 giugno 2009 n°4024, su una fattispecie di piano urbanistico, soggetta ai medesimi principi, e, nella giurisprudenza di questo TAR, sez. II, 20 novembre 2009 n°2248, sempre in tema di pianificazione in generale.

 

6. Alla luce dei principi delineati, va ritenuto che siano state rispettate le norme applicabili alla fattispecie, le quali, dato che l’art. 3 della l. 241/1990 come si è detto non è pertinente, coincidono con i commi settimo e quinto del D.P.R. 8-settembre 1997 n°357, secondo il quale “la valutazione di incidenza di piani o di interventi che interessano proposti siti di importanza comunitaria, siti di importanza comunitaria e zone speciali di conservazione ricadenti, interamente o parzialmente, in un'area naturale protetta nazionale… è effettuata sentito l'ente di gestione dell'area stessa”, mentre le modalità di presentazione dei relativi studi sono definite dalla Regione, nel caso di specie attraverso il regolamento richiamato in narrativa. Come accertato dalla CTU Zanetti (pp. 23-26), e comunque non contestato, la valutazione di incidenza che qui interessa è stata compiuta anzitutto rispettando il dato formale, dato che “sono stati richiesti i pareri di tutti gli enti gestori di SIC/ZPS interessati, i quali hanno tutti fornito un riscontro” (p. 25, secondo paragrafo); è stato rispettato poi anche il dato sostanziale, nei limiti richiesti dalla normativa, dato che “il decreto di approvazione dell’incidenza subordina la propria efficacia al rispetto di molte prescrizioni, accogliendo numerose richieste dei vari enti gestori”; fra le richieste non accolte, peraltro, alcune sono all’evidenza “non direttamente attinenti”: ci si riferisce alle prescrizioni sull’uso delle munizioni di piombo, che “paiono più indicazioni su possibili sviluppi di indagine futura che vincoli all’attività presente”, alle prescrizioni sull’incremento della ricerca scientifica, che non attiene al PFV, e all’individuazione della zona Alpi, di cui si tratterà a suo luogo, ma per quel che qui rileva non attiene alla conservazione delle zone già protette (cfr. CTU, pp. 25 e 26). Per quanto poi specificamente attiene al parere negativo espresso dal WWF per il SIC “Valpredina”, ad avviso del CTU le sue motivazioni “non possono ritenersi non considerate”, atteso che nel decreto vi sono numerose prescrizioni che riguardano il sito in esame (CTU, p. 26), e all’evidenza considerare non significa condividere puramente e semplicemente. Ad avviso del Collegio, vi è stato quindi quell’esame complessivo delle osservazioni e quel confronto delle stesse con gli interessi sottesi al piano che la legge richiede, con un esito scevro di contraddizioni e quindi non censurabile in questa sede.

 

7. Va respinto anche il ventiquattresimo motivo di ricorso, in quanto, come rilevato dalla Provincia nei termini di cui in premesse e condiviso anche dal CTU (p. 26 in fondo), né l’art. 10 comma 7 della l. 157/1992, né l’art. 15 della l. r. 26/1993, né alcuna altra norma, nel prevedere lo strumento del Piano di miglioramento fondiario come diverso e distinto dal PFV, prevedono forme di coordinamento obbligatorio fra i due. In mancanza di specifiche censure attinenti il rapporto fra le scelte concretamente operate dai due strumenti, l’operato della Provincia, che li ha impostati separatamente, va ritenuto di per sé legittimo.

 

8. Infondato in fatto è il venticinquesimo motivo, concernente l’asserita mancata previsione del divieto di caccia nelle zone percorse dal fuoco. In proposito, occorre rilevare un dato evidente: il Piano faunistico venatorio è strumento destinato a valere per un periodo di tempo non brevissimo, o addirittura, come nel caso di specie (v. prima pagina terzo paragrafo del Piano in parola), valido a tempo indeterminato, salve modifiche. Viceversa, le aree percorse dal fuoco rappresentano una realtà mutevole, anche nel giro di tempi assai brevi. Pertanto, uno strumento pianificatorio che, a qualsivoglia fine, sia tenuto ad individuare tali aree, non può operare nel modo classico, ovvero facendo riferimento ad una cartografia allegata, e destinata a rimanere la medesima per tutta la vigenza del piano stesso: è necessaria una diversa soluzione tecnica, che garantisca un costante aggiornamento dello stato di fatto.

 

9. Nel caso di specie, il Piano (v. p. 205 dell’elaborato) contiene un rinvio ad una cartografia tematica presente nella rete Internet in un sito di pertinenza della Provincia, cartografia che è in tal modo resa disponibile al pubblico e costantemente aggiornata con i dati più attendibili, quelli del Corpo forestale dello Stato, che com’ è noto è precipuamente investito di compiti di difesa dagli incendi boschivi. Pertanto, in termini banali, chi intenda andare a caccia nella Provincia di Bergamo ha senz’altro la possibilità, collegandosi al sito della cartografia – per inciso individuabile anche con un comune motore di ricerca, inserendo i termini “aree percorse dal fuoco provincia di Bergamo”- di individuare le aree vietate ai sensi della l. 353/2000, perché colpite da incendi. E’ poi il caso di chiarire che il divieto di caccia in tali aree discende direttamente dalla legge ( art. 10 comma primo ultima parte della l. citata: “Sono altresì vietati per dieci anni, limitatamente ai soprassuoli delle zone boscate percorsi dal fuoco, il pascolo e la caccia.”) e non è subordinato alla individuazione di esse con qualche specie di atto formale, segnatamente in un catasto da istituire a cura dei Comuni: in tal senso, l’affermazione contenuta nel Piano a p. 205, secondo la quale “la perimetrazione non fornita dai Comuni non costituisce i vincoli”, se riferita al divieto di caccia, è sicuramente erronea; su tale errore, però prevale il dato indiscutibile per cui le aree in esame sono tutte individuabili con gli strumenti offerti dal Piano stesso, e quindi il cittadino è nelle condizioni di rispettare il divieto di legge.

 

10. Il ventiseiesimo motivo di ricorso va respinto perché apodittico: come rilevato anche dalla difesa della Provincia, i presunti vizi nella metodologia seguita nell’ambito della VAS di piano sono asseriti, ma non dimostrati: non è spiegato in sintesi perché il documento di scoping relativo sarebbe da ritenere “del tutto inadeguato” (p. 24 del ricorso per motivi aggiunti in esame), né giovano in proposito le argomentazioni sviluppate di seguito dal ricorrente (p. 25: “il rapporto ambientale dovrebbe valutare le alternative… detto banalmente, perché qui la caccia al cinghiale e non altrove? Perché non escludere tout court la caccia al cinghiale?...”), che appaiono volte a censurare il merito delle scelte operate, all’evidenza non valutabile nella presente sede.

 

11. Il ventisettesimo motivo di ricorso, incentrato come si è detto sulla presunta inadeguata individuazione della zona alpina, è invece fondato nei termini di cui appresso. Anzitutto, va ricordato che l’individuazione in parola non ha mero scopo scientifico o conoscitivo, ma è richiesta dalla normativa in materia: per quanto qui rileva, ai sensi degli artt. 10 comma 3 della l. 157/1992 e dell’art. 13 comma 3 della l. r. 26/1993, la zona alpina è considerata zona faunistica a sé stante, e comporta una percentuale di territorio da adibire a quota protetta di TASP dimezzata rispetto alle altre zone; inoltre, ai sensi degli artt. 21 comma 3 della l. 157/1992 e 43 comma 3 della l. r. 26/1993, è vietata la caccia “sui valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna per una distanza di mille metri dagli stessi; i valichi sono individuati… esclusivamente nel comparto di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi e devono essere indicati nei piani”. Pertanto, se la zona alpina non è correttamente individuata, gli istituti appena illustrati non possono in fatto operare.

 

12. Ciò posto, esaminando sia l’elaborato del CTU, sia le osservazioni dei CTP, emerge un dato di tutto rilievo: non esistono criteri scientifici univoci e condivisi da tutti i quali consentano di individuare un dato territorio come “zona alpina” (così espressamente rel. Zanetti, p. 16 ottava riga; v. però in senso sostanzialmente conforme anche rel. CTP Spagnesi, p. 14 secondo paragrafo e rel. CTP Tosi, p. 20 in fine, ove si ritengono accettabili almeno due approcci distinti). Secondo tutti gli esperti interpellati, infatti, sono in sintesi possibili più soluzioni, a seconda che si seguano prevalentemente criteri ecologici- fondati sulla presenza o assenza di determinate specie animali e vegetali, che peraltro non va intesa in senso meccanico, perché banalmente la presenza di un solo esemplare di specie “alpina” è di per sé poco significativa per classificare il territorio- ovvero che si affianchino agli stessi criteri fondati sull’esame delle tradizioni locali (v. ancora rel. Zanetti, pp. 15-19, rel. CTP Spagnesi, pp. 11-17 e rel. CTP Tosi, pp. 20-25).

 

13. In tale contesto si inserisce il rilievo fondamentale operato dal CTU, per cui il PFV “non contiene alcuna considerazione che consenta di comprendere quale istruttoria e quali valutazioni abbiano preceduto l’individuazione della zona Alpi. Nella parte che definisce la perimetrazione dei CAC e ATC, il piano si limita a definire ‘positivamente collaudata’ la precedente delimitazione, risalente addirittura al 1997 (a trent’anni fa, nell’analisi del prof. Tosi)” (CTU, p. 22, secondo paragrafo delle conclusioni al quesito 2). In tali termini, l’atto amministrativo rappresentato dalla approvazione del Piano in esame si deve ritenere illegittimo, perché anche gli strumenti pianificatori, pur non soggetti come si è detto ad un obbligo puntuale di motivazione ai sensi dell’art. 3 della . 241/1990, debbono pur sempre giustificare le scelte compiute in termini razionali, e non è all’evidenza razionale una scelta che non renda in alcun modo esplicita la metodologia seguita nel conformarsi ad un criterio o ad un altro, allorquando più di uno sia in astratto possibile. In proposito, non basterebbe affermare che il richiamo alla delimitazione del 1997 costituirebbe motivazione per relationem, di per sé esaustiva, perché lo stesso CTU (p. 16 elaborato, quartultima riga), con valutazione non contestata, evidenzia come “i criteri per la corretta tutela della fauna alpina devono basarsi su concetti dinamici, e non statici”: detto altrimenti, nel lasso di tempo intercorso fra il 1997 ed oggi la situazione di fatto potrebbe essere mutata, e i criteri all’epoca seguiti non essere più attuali. In tali termini, non si può entrare nel merito delle considerazioni svolte nella CTP Tosi, che alle pp. 26-31 difende la correttezza delle scelte del Piano: quel che rileva nella sede presente è che tali considerazioni nel Piano non siano contenute, e costituiscano comunque giustificazione a posteriori, non valorizzabile nella presente sede di giurisdizione di legittimità.

 

14. E’ parimenti fondato il motivo ventottesimo, imperniato sulla censura alle modalità di calcolo della quota protetta di TASP, concetto la cui definizione è stata ampiamente illustrata in premesse. In questa sede, per migliore intelligenza, vanno premessi i riferimenti normativi completi della materia. In proposito, dispone anzitutto l’art. 10 commi 3 e 4 della l. 11 febbraio 1992 n°157: “Il territorio agro-silvo-pastorale di ogni regione è destinato per una quota dal 20 al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, fatta eccezione per il territorio delle Alpi di ciascuna regione, che costituisce zona faunistica a sé stante ed è destinato a protezione nella percentuale dal 10 al 20 per cento. In dette percentuali sono compresi i territori ove sia comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni [comma 3]. Il territorio di protezione di cui al comma 3 comprende anche i territori di cui al comma 8, lettere a), b), e c). Si intende per protezione il divieto di abbattimento e cattura a fini venatori accompagnato da provvedimenti atti ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole [comma 4].”. I divieti di caccia di cui al comma 8 lettere citate riguardano poi “le oasi di protezione, destinate al rifugio, alla riproduzione ed alla sosta della fauna selvatica” [lettera a], “le zone di ripopolamento e cattura, destinate alla riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale ed alla cattura della stessa per l'immissione sul territorio in tempi e condizioni utili all'ambientamento fino alla ricostituzione e alla stabilizzazione della densità faunistica ottimale per il territorio” [lettera b] e centri pubblici di riproduzione della fauna selvatica allo stato naturale, ai fini di ricostituzione delle popolazioni autoctone” [lettera c]. Ai sensi della normativa nazionale, è quindi chiaro che il TASP su cui calcolare la quota protetta deve essere un territorio in una parola utile alla fauna selvatica, ovvero una zona nella quale la stessa possa vivere e riprodursi in modo relativamente indisturbato, in modo da costituire una sorta di cuscinetto per la conservazione nel tempo della fauna medesima.

 

15. Nella Regione Lombardia, dispone in materia l’art. 13 commi 3 e 4 della l.r. 16 agosto 1993 n°26, che inizialmente prevedeva: “Il territorio agro-silvo-pastorale della regione [utile alla fauna selvatica] è destinato, per una quota dal dieci al venti per cento in zona Alpi e per una quota dal venti al trenta per cento nel restante territorio, a protezione della fauna selvatica; in dette quote sono compresi i territori ove è comunque vietata l'attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni comprese tutte le aree in cui l'esercizio venatorio è vietato dalla presente legge e, in particolare, dalle disposizioni di cui [all'articolo 1, comma 4, e] agli articoli 17, [limitatamente alle oasi], 18, 37 e 43 [comma 3]. Nei territori di protezione, [compresi quelli] di cui all'art. 14, comma 3, lettere a), b), e c) sono vietati l'abbattimento e la cattura a fini venatori e sono previsti interventi atti ad agevolare la sosta e la riproduzione della fauna [comma 4]”. Le norme richiamate erano poi le seguenti: il divieto di caccia nelle zone di protezione istituite ai sensi delle direttive comunitarie sulle rotte di protezione dei migratori, di cui all’articolo 1 comma 4; il divieto di caccia nelle oasi e zone di protezione, previsto dall’art. 17 e richiamato limitatamente alle oasi; il divieto di caccia nelle zone di ripopolamento e cattura di cui all’art. 18; i divieti di caccia stabiliti a vantaggio dei terreni agricoli e dei fondi chiusi ai sensi dell’art. 37 e il divieto di caccia sui valichi montani interessati dalle rotte di migrazione di cui all’art. 43 comma 3. Da ultimo, i territori di protezione di cui all’ultima parte della norma, previsti dall’art. 14 comma 3 lettere a) e b), coincidono con quelli previsti dalla legge nazionale, e sono le oasi di protezione e le zone di ripopolamento e cattura. In tali termini, non si dubitava allora che il concetto di quota protetta di TASP previsto dalla legge lombarda nella sua prima versione coincidesse con quello previsto dalla legge nazionale, nel senso di essere un territorio, come si è detto, utile alla fauna selvatica.

 

16. Sul testo della l.r. 26/1993 come sopra riportato, è poi intervenuta la già ricordata l.r. 27 febbraio 2007 n°5, che ha soppresso le parole sopra indicate fra parentesi quadre: di conseguenza, per quanto qui rileva, è scomparsa la precisazione espressa, per cui il TASP doveva essere comunque “utile alla fauna selvatica” e per determinare i terreni che ne possono far parte ora si fa un rinvio indifferenziato a tutto l’art. 43, non soltanto al comma 3 dello stesso. L’art. 43 già citato, poi, contiene, sempre in modo indifferenziato, tutti i divieti vigenti in materia di caccia: si va dal divieto di praticarla in determinati terreni, a puro titolo di esempio in parchi privati, al divieto di praticarla con certe modalità, sempre a puro titolo di esempio sparando da veicoli a motore. Si tratta ora di stabilire le conseguenze per la materia in esame di tale intervento del legislatore regionale.

 

17. L’associazione ricorrente ha sostenuto in principalità che l’effetto della l.r. 5/2005 sarebbe, in sintesi estrema, una vanificazione almeno parziale della tutela offerta dal TASP destinato a zona di protezione, tutela che sarebbe assai ridotta rispetto a quanto previsto dalla legge nazionale. Infatti, sempre ad avviso del WWF, la legge in questione consentirebbe ora che la quota di TASP destinata a zona di protezione non fosse utile alla fauna selvatica, e permetterebbe quindi – a differenza di quanto prevede la legge nazionale- di ricomprendervi anche terreni nei quali la caccia è sì vietata, ma che non possono essere per le loro caratteristiche inclusi nel concetto di terreno adatto “ad agevolare la sosta della fauna, la riproduzione, la cura della prole”. Si tratterebbe, in particolare, delle fasce di rispetto ferroviario, stradale e urbano, o “buffer”, nelle quali è vietata la caccia ai sensi dell’art. 43 comma 1 lettera e) (“è vietato… l'esercizio venatorio… nelle zone comprese nel raggio di cento metri da immobili, fabbricati e stabili adibiti ad abitazione o a posto di lavoro ed a distanza inferiore a cinquanta metri da vie di comunicazione ferroviaria e da strade carrozzabili…”), ma che all’evidenza scarso asilo offrono alla fauna selvatica, se non altro per il disturbo e l’inquinamento che vengono dal traffico e dalla presenza umana. Sempre secondo l’associazione ricorrente, intesa in tal senso la normativa regionale sarebbe incostituzionale, per contrasto con l’art. 117 comma secondo lettera s). In altre parole, con la legge nazionale lo Stato avrebbe fissato un presidio minimo di tutela che la Regione non potrebbe, ai sensi della norma citata, modificare in peius.

 

18. Il Collegio non concorda con la predetta interpretazione. In proposito va premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia di Bergamo (p. 33 memoria 18 dicembre 2009), la questione non può dirsi già risolta dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, e in particolare dalla sentenza 30 dicembre 1997 n°448, che tale difesa invoca, e che si limita a pronunciarsi su una legge regionale ligure diversa da quella qui in esame, senza stabilire in via generale e assoluta quali criteri la Regione possa o non possa adottare per calcolare la quota di TASP da destinare a zona protetta.

 

19. Il Collegio si richiama invece al canone proprio della giurisprudenza della Corte costituzionale, per cui se di un dato testo legislativo sono possibili più interpretazioni deve preferirsi, ogni volta che è possibile, quella che non comporta contrasto con la Carta fondamentale (per tutte in questo senso, C. cost. 27 luglio 1989 n°456), e rileva che tale interpretazione conforme alla Costituzione nella specie è senz’altro possibile. Infatti, la lettera novellata dell’art. 13 della l.r. 26/1993 non impedisce di ritenere che il requisito di utilità per la fauna selvatica, ancorché non più menzionato in modo esplicito, continui ad essere richiesto per la quota protetta di TASP in conformità ai principi nazionali e all’art. 117 lettera s) Cost. Pertanto, lo stesso art. 13 va interpretato nel senso che i terreni di cui all’art. 43 successivo, che possono andare a comporre il TASP protetto, siano non genericamente tutti quelli ove la caccia è vietata, ma soltanto quelli che possono servire di rifugio alla fauna stessa. A tale interpretazione non osta certo la lettera dello stesso art. 43, che come si è visto comprende un elenco di divieti piuttosto eterogeneo, e non può certo intendersi come oggetto di rinvio complessivo e totale. Pertanto, ai sensi della normativa così interpretata, sicuramente potrà far parte della quota protetta di TASP un territorio ove la caccia è vietata ai sensi del comma 1 lettera b), perché si tratta di area protetta; non già il territorio delle già ricordate fasce di rispetto stradali, ferroviarie e urbane.

 

20. In tali termini, va accolta la censura sostenuta dal WWF in via subordinata alla eccezione di costituzionalità, ovvero che il Piano per cui è causa è illegittimo per contrasto con la normativa correttamente interpretata. La CTU Zanetti (pp. 30-32), non smentita dagli elaborati dei CTP, ha infatti riscontrato che parte significativa del TASP protetto individuato dal Piano è costituito dai buffer predetti, e quindi da terreni inidonei a svolgere la richiesta funzione di protezione dei selvatici. In senso conforme, del resto, anche il D.P.R. 21 febbraio 2006 su parere del C.d.S. sez. II 6 aprile 2005 in pratica 2728/2003 (doc. 3 Provincia, cit.), citato in premesse, che come si è detto in sede di ricorso straordinario ebbe ad annullare una precedente versione del PFV bergamasco proprio per avere incluso i buffer stradali nella quota di TASP protetto, del quale, contrariamente a quanto dedotto dall’Amministrazione, non si è ritenuto di tener conto. Il Piano va quindi annullato anche sotto questo profilo, che l’Amministrazione dovrà effettivamente considerare nel riesercitare il proprio potere.

 

21. Il ventinovesimo motivo, concernente la presunta mancata inclusione nel Piano dei divieti venatori a tutela dei siti della “Rete natura”, le c.d. ZPS o Zone a Protezione Speciale, è invece non fondato. Le norme invocate dall’associazione ricorrente, ovvero i divieti imposti dalla normativa nazionale e quelli imposti con gli atti amministrativi demandati alla Regione, sono automaticamente recepiti nel Piano in questione, alla p. 7, ove si legge un autonomo paragrafo intitolato alle “Disposizioni particolari per i siti della Rete Natura 2000”, nel quale si prevede che “Eventuali provvedimenti di livello nazionale o regionale che andranno a disciplinare l’esercizio venatorio” nei siti in questione “verranno automaticamente recepiti dalla pianificazione faunistico venatoria”, con espresso rinvio a quelle che la Regione è tenuta ad approvare in attuazione della norma nazionale. Si tratta di scelta coerente con la vigenza a tempo indeterminato del Piano, che ne consente un aggiornamento in via continua. La Provincia, nelle proprie difese (cfr. memoria 18 dicembre p. 10 e suo doc. 55, copia calendario) ha osservato poi come tale aggiornamento non sia rimasto a livello di enunciazione di principio, dato che il calendario venatorio 2008/2009 ha reso esplicito proprio il divieto di uso di munizioni di piombo nelle zone umide, da intendere recepito dal Piano stesso.

 

22. Dall’accoglimento del ventisettesimo motivo, consegue un primo profilo di fondatezza anche del trentesimo motivo, concernente l’asserita insufficienza delle zone di protezione dei valichi alpini, che il Piano ai sensi dei già citati artt. 21 comma 3 della l. 157/1992 e 43 comma 3 della l. r. 26/1993 individua con un dato criterio, quello di prevedere per ognuno di essi una identica zona di divieto di forma circolare. E’ di tutta evidenza, infatti, che ai sensi della stessa norma regionale citata, ogni intervento sui valichi alpini presuppone che si sia correttamente individuata la zona alpina in cui gli stessi vanno di necessità individuati. Pertanto, nel riesaminare la fattispecie, la Provincia dovrà prima circoscrivere la zona alpina rendendo esplicita la metodologia seguita, e successivamente compiere in coerenza le proprie scelte in ordine ai valichi, tenendo poi conto anche di quanto subito si dirà in ordine ai cd. “capanni”.

 

23. E’ fondato infatti anche il trentunesimo motivo, di asserita violazione dell’art. 14 comma 1 lettera l) della l.r. 26/1993, per cui il piano deve recare “l'identificazione delle zone in cui sono collocati e collocabili gli appostamenti fissi” per la caccia, comunemente detti appunto “capanni”. In punto di fatto, è non contestato quanto rileva il CTU alla p. 12 prime righe dell’elaborato, ovvero che nel Piano in questione non esisteva, all’atto della sua approvazione, nessuna rappresentazione cartografica dei capanni, ma solo una indicazione di massima, appunto, delle “zone” in cui essi si trovano. In proposito, la Provincia si è difesa affermando (pp. 50-52 memoria 18 dicembre 2009) da un lato che non sussisterebbe obbligo alcuno di “georeferenziare” i capanni, ovvero di indicare con le precise coordinate l’ubicazione di ognuno di loro, e dall’altro lato che simile “georeferenziazione” sarebbe già in atto in ossequio ad una disposizione regionale, peraltro concernente i soli capanni localizzati all’interno dei siti della “Rete Natura” più volte citata.

 

24. In proposito, ritiene il Collegio che tali difese non valgano a superare la censura dedotta. Nel proprio elaborato, il CTU evidenzia come l’individuazione di massima delle sole zone interessate dai capanni abbia “da un punto di vista pianificatorio significato scarso o addirittura fuorviante”, e che “l’informazione relativa alla collocazione degli appostamenti esistenti” sia importante per “definire in fase di pianificazione o di analisi della pianificazione (valutazione ambientale, valutazione di incidenza) la reale entità della pressione venatoria” (p. 12). Si tratta di rilievi che il Collegio condivide, trattandosi a ben vedere di applicazioni alla fattispecie particolare di principi pacifici del diritto amministrativo, e della comune logica, per cui l’atto, in ispecie l’atto pianificatorio, deve essere preceduto da una corretta e completa istruttoria, che in primo luogo dia conto dell’esistente, perché solo conoscendo l’esistente si può intervenire sullo stesso. E’ quindi evidente che il disposto di legge, che parla di “zone” da individuare va interpretato nel modo che precede, unico coerente con i fini della pianificazione, quello che vuole una localizzazione precisa dei capanni in questione. Va poi rilevato che non si trattava di onere impossibile da assolvere nel corso del processo pianificatorio, in quanto (v. CTU, p. 12) gli strumenti per tale individuazione esistono e già erano nella disponibilità della Provincia: risulta infatti che negli archivi provinciali sono custoditi i fascicoli concernenti l’autorizzazione di ciascun capanno, contenenti cartografia catastale della sua ubicazione nella scala 1:10.000.

 

25. L’omessa previa individuazione dei capanni è poi rilevante anche per un profilo ulteriore di fondatezza del motivo trentesimo. Poiché è accertato (cfr. CTU pp. 12-13, ove si riferisce di sopralluoghi effettuati sul posto) che a ridosso di alcuni valichi individuati come valichi alpini protetti sono presenti capanni, l’amministrazione, nel determinare caratteristiche e dimensioni della zona di protezione, avrebbe dovuto tener conto anche di tale dato, ovviamente dopo averlo acquisito.

 

26. Da ultimo, è infondato il trentaduesimo motivo, relativo all’individuazione delle zone per l’addestramento dei cani da caccia. E’ sufficiente rinviare in proposito alle conclusioni della CTU (pp. 32-33), secondo la quale la loro previsione e collocazione è conforme ai criteri della scienza faunistica. In dettaglio, emerge anzitutto che il Piano prevede zone cinofile di tipo A, che in astratto secondo la legge regionale possono essere localizzate anche nelle aree protette, e in concreto con esse non interferiscono, perché la loro attività è limitata sia nella tipologia sia nel periodo consentito. Emerge ancora che il piano prevede ulteriori zone cinofile permanenti, non esattamente riconducibili alle previsioni di legge e regolamento, ma accostabili alle zone di tipo B da esse contemplate: le zone in questione vanno ritenute legittime, perché il loro territorio “non si sovrappone con istituti di protezione”, senza che rilevi la mancata previsione di una loro durata massima, dato che è da ritenere loro applicabile la norma di legge relativa alle zone B, quelle a loro più simili, che la determina in tre anni.

 

27. La particolarità e difficoltà delle questioni trattate è giusto motivo per compensare le spese; di conseguenza, le spese di CTU, fermo il debito solidale delle parti costituite nei confronti del consulente, andranno nei rapporti interni ripartite in quote uguali fra le parti costituite medesime, e si liquidano, conformemente alle note presentate, in € 7.146,72 (settemilacentoquarantasei/72), al lordo di eventuali acconti, chiarendosi che si tratta nel caso concreto di compenso non soggetto ad IVA. In proposito, si considera applicabile l’art. 11 del D.M 30 maggio 2002, che concerne fra l’altro la perizia concernente “progetti di bonifica agraria e simili”, nei quali rientra senza dubbio la pianificazione di che trattasi; il compenso esposto (onorario di € 2.770 per ciascuna delle due perizie svolte, sulle due versioni del piano) è poi da ritenere congruo in ragione all’importanza della fattispecie e al valore dei piani periziati, non determinato in una cifra precisa, ma sicuramente considerevole dato il loro elevato contenuto tecnico e il loro respiro provinciale. Da ultimo, pur in caso di compensazione il contributo unificato ai sensi dell’art. 13 comma 6 bis T.U. 115/2002 va posto a carico della “parte soccombente”, in senso stretto della parte la cui domanda non è stata accolta, ovvero che ha visto accogliere nei suoi confronti la domanda avversaria. Applicando tale criterio al caso di specie, occorre allora dire che la Provincia di Bergamo ha visto accogliere nei propri confronti la domanda di annullamento, e quindi il contributo unificato va posto a suo carico.

 

P.Q.M.

 

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione seconda di Brescia, definitivamente pronunciando, così provvede:

 

a) dichiara improcedibili il ricorso principale nonché i ricorsi per motivi aggiunti primo e secondo;

 

b) accoglie il terzo ricorso per motivi aggiunti, e per l’effetto annulla la deliberazione 9 luglio 2008 n°44 del Consiglio provinciale di Bergamo, recante “Nuovo piano faunistico venatorio”, il decreto 18 giugno 2008 n°6845 della Direzione generale qualità dell’ambiente della Regione Lombardia, recante “Valutazione di incidenza del piano faunistico venatorio” e la determinazione dirigenziale 4 luglio 2008 n°1927, di valutazione ambientale strategica del predetto piano;

 

c) compensa per intero le spese fra le parti, ponendo il contributo unificato a carico della Provincia di Bergamo e le spese di CTU, liquidate in € 7.146,72 (settemilacentoquarantasei/72), al lordo di eventuali acconti, a carico delle parti costituite in quote uguali fra loro, con vincolo di solidarietà nei confronti del CTU avente diritto.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 11/02/2010 con l'intervento dei Magistrati:

 

Stefano Tenca, Presidente FF

 

Francesco Gambato Spisani, Primo Referendario, Estensore

 

Mara Bertagnolli, Primo Referendario

 

 

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

 

Il 09/04/2010

 

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

 

IL SEGRETARIO