Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1105, del 10 marzo 2014
Rifiuti.Localizzazione di una discarica
Il provvedimento di localizzazione di una discarica può essere contestato solo in esito alla sicura dimostrazione di un peculiare pregiudizio che la detta discarica sarebbe in grado di arrecare. Per poter supportare la c.d. “opzione zero” devono cioè sussistere elementi concreti elementi che diano prova certa di conseguenze negative. La localizzazione di una discarica infatti non è una decisione neutra ma si sostanzia in un confronto comparato tra il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all'utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto delle alternative praticabili, anche perché le eventuali insufficienze tipologiche del terreno possono essere evitate dalla possibilità di interventi artificiali integrativi, per evitare a possibile dispersione e la permeabilità nell’ambiente di componenti nocive. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 01105/2014REG.PROV.COLL.
N. 04012/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4012 del 2011, proposto da:
Nicola Giampietro Mobilio, rappresentato e difeso dagli avv. Francesco Matteo Pugliese, Nicola Giampietro Mobilio, con domicilio eletto presso Ughi E Nunziante Studio Legale in Roma, via XX Settembre N.1;
contro
Comunita' Montana Alto Agri, rappresentato e difeso dall'avv. Luigi Petrone, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Comunita' Montana Alto Agri in Liquidazione a seguito di Soppressione ex art. 23, Co.7 Lr 33/2010, Regione Basilicata;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. BASILICATA - POTENZA: SEZIONE I n. 00935/2010, resa tra le parti, concernente occupazione d'urgenza di terreni per la costruzione di una discarica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comunità Montana Alto Agri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Pugliese, Mobilio e Mariani, per delega dell'Avv. Petrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Si deve premettere che:
-- all’appellante, era stato occupato d’urgenza un terreno di mq. 24234 nel comune di Moliterno (PZ) per la realizzazione di una discarica;
-- alla dichiarazione di pubblica utilità di cui alla deliberazione n. 127/94 non era tuttavia seguito il decreto di esproprio, nel quinquennio di legittima occupazione;
-- a seguito dell’ultimazione dei lavori in data 15.04.1996, l’utilizzo della discarica era iniziato a partire dal 15.06.1996.
Con il presente gravame l’appellante chiede l’annullamento della sentenza con cui sono state respinte rispettivamente:
-- la richiesta di annullamento del decreto del 04 maggio 1994 della Comunità Montana “ Alto Agri” di cui al ricorso introduttivo;
-- la domanda di risarcimento danni, introdotta con i successivi motivi aggiunti.
La sentenza è fondata, in estrema sintesi, sul duplice rilievo per cui:
-- essendo stata realizzata l’opera si sarebbe verificata l’ “occupazione acquisitiva“, con la conseguente impossibilità di restituzione del suolo, ormai irreversibilmente trasformato;
-- sarebbe anche maturata la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni subiti a causa della perdita dei suoli per la scadenza del termine quinquennale per il suo esercizio sia “che si voglia farlo decorrere dalla scadenza del periodo di occupazione legittima (maggio 1999), sia che lo si voglia far decorrere dalla data di irreversibile trasformazione dei suoli”.
L'appello è affidato a quattro articolate censure di gravame relative all'erroneità della decisione per violazione: dell'art. 7 primo comma lettera a) della legge regionale Basilicata 4 settembre 1986 n. 22; dell'articolo 7.8 ed 21 octies della legge n. 241/1990, ed eccesso di potere sotto diversi profili; nonché erroneità della declaratoria della prescrizione del diritto al risarcimento.
Si è costituita in giudizio la Comunità Montana che, con memoria per la discussione, ha sottolineato l'infondatezza dei motivi d'appello, anche in relazione alla sopravvenuta regolamentazione di cui all'articolo 3 bis della L. 29 ottobre 1987 n. 441.
Con memoria conclusionale la parte ricorrente ha ricordato le argomentazioni a favore dell'accoglimento del ricorso.
Chiamata all'udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.
L’appello è fondato nei sensi, e nei limiti, che seguono.
___1. Con il primo motivo di gravame l’appellante lamenta la violazione dell'articolo 1 della L.R. Basilicata n. 22/1986 per cui i Comuni, nel cui ambito territoriale si sarebbe dovuto ubicare la discarica, erano delegati ad individuare il sito dell'impianto senza alcuna possibilità di delega alla Comunità Montane. In ogni caso sarebbe stata illegittima l’individuazione del Comune di Moliterno, avvenuta per sorteggio.
Di qui l'erroneità delle conclusioni del Tar Basilicata che avrebbe applicato alla fattispecie in esame l'art. 3-bis della legge n. 441 1987 (di conversione del d.l. n.361/1897). La conferenza di servizi preliminare avrebbe riguardato solo la fase di "costruzione della discarica" mentre sarebbe stata erroneamente convocata per l’individuazione del relativo sito.
Le censure originarie erano dirette verso il Piano Regolatore delle discariche della regione nella parte in cui individuava il territorio del comune di Moliterno, lamentando l’illegittimità del procedimento con riguardo all'art. 7 della ricordata L.R. Basilicata n. 22, che non avrebbe consentito che la delega alla Comunità Montana potesse essere rilasciata dal solo sindaco.
L’assunto va respinto.
L'art. 3 bis, introdotto con la (oggi abrogata) L. 29 ottobre 1987, n. 441 di conversione del D.l. 31 agosto 1987, n. 361, aveva delineato un più snello modello istruttorio - procedimentale, imperniato sulla conferenza dei servizi ed al rilascio dell’autorizzazione unica, con riguardo alla fase di individuazione dei siti e all'approvazione dei progetti preliminari dei nuovi impianti. In particolare, la conferenza dei servizi, di cui all'art. 3 bis d.l. n. 361 cit., era specificamente finalizzata a garantire e semplificare la scelta del sito di realizzazione della discarica di rifiuti solidi urbani, attraverso l’emersione contestuale di tutti gli interessi presenti (cfr. Consiglio di Stato sez. V 16/04/2003 n.1948). Per questo, la conferenza preliminare dei servizi non doveva essere ripetuta in sede di adozione del successivo atto di approvazione del progetto esecutivo dell'opera (cfr. Consiglio di Stato Sez. V 16/04/2003 n.1948; Consiglio di Stato Sez. IV 21/11/2001 n. 5898). In ogni caso tale modulo procedimentale non riguardava affatto la fase dell’esecuzione.
Nondimeno, la predetta norma di semplificazione, ancorché successiva alla precedente disciplina regionale, doveva comunque essere integrata con le previgenti disposizioni non incompatibili, ed in particolare quella dell’art. 8 della L.R. 4-9-1986 n. 22 .
In base alla predetta disposizione, tra l’altro, i Comuni potevano affidare la gestione dei rifiuti mediante affidamento alla Comunità montana di appartenenza o al Consorzio dei Comuni non montani; mediante costituzione di apposito consorzio o azienda consortile con l'eventuale partecipazione anche d'imprese singole o associate e/o di consorzi industriali aventi sede in Basilicata (lett. c); con affidamento ad altro Comune o Consorzio di Comuni o azienda municipalizzata o consortile (lett. d).
Ciò posto, è del tutto inesatto in punto di fatto che -- una volta che il Piano Regionale delle Discariche aveva individuato la zona territoriale omogenea con riferimento ai Comuni di Viggiano, Tramutola, Moliterno e Sarconi -- la delega alla Comunità Montana fosse stata effettuata solo dal Sindaco e non dal Consiglio Comunale.
Al contrario, del tutto legittimamente, ai sensi della ricordata lett. c) dell’art. 8 della L.R. n.22/1986, il Consiglio Comunale del Comune di Moliterno -- con la delibera n.43 in data 11 settembre 1993 -- aveva delegato alla Comunità Montana Alto-Agri Villa d’Agri l’individuazione del sito attraverso l’effettuazione di un sorteggio, l’accertamento dell’idoneità geologica delle aree, l’organizzazione e la gestione dello smaltimento.
Sotto altro profilo, deve del tutto escludersi che vi fosse una disposizione imperativa cui riconnettere l’illegittimità del metodo del sorteggio.
Probabilmente non si era trovato un sistema migliore del sorteggio a causa della generale,indistinta e pregiudiziale contrarietà di tutti i residenti dei comuni dell’area di insediamento dell’impianto
Il motivo va dunque respinto.
__2. Deve poi essere respinto il motivo con cui si lamenta la mancata applicazione dell'articolo 7, 8 e 21 octies della L. n. 241/1990.
Quanto al primo profilo, se non risulta effettuata la comunicazione di avvio di cui alla L. 7-8-1990 n. 241 nondimeno, dalle stesse allegazioni dell’appellante, risulta era stata effettuato il deposito e la pubblicazione del piano particellare di esproprio ed era stata fatta la pubblicità prescritta dall’art. 10 della L. 865/1971.
Peraltro è incontestato che il decreto di esproprio era stato ritualmente notificato ai proprietari catastali.
L'obbligo di cui all'art. 7, della L. 7 agosto 1990 n. 241 infatti non può essere inteso come un mero cavillo demolitorio. Né, come la giurisprudenza ha sottolineato, la mancata comunicazione non appare realmente rilevante quando non può immaginarsi alcun serio apporto collaborativo da parte del privato espropriando (cfr. Consiglio Stato , sez. VI, 02 marzo 2011 , n. 1312).
In tale quadro è anche inconferente il profilo concernente l’asserita l'inapplicabilità ratio temporis dell’ art. 21-octies della L. n. 241/1990 alla fattispecie in esame che risaliva al 1993.
Infatti anche gli ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio non potevano comunque essere tali da far determinare in modo diverso le scelte dell'Amministrazione procedente (arg. ex Consiglio Stato , sez. IV, 15 maggio 2008 , n. 2249; Consiglio Stato , sez. IV, 16 febbraio 2010 , n. 885; Consiglio Stato , sez. VI, 04 dicembre 2009 , n. 7607, Consiglio Stato , sez. VI, 20 maggio 2009, n. 3086).
Quanto poi alla mancata motivazione dell'urgenza di realizzare i lavori si osserva che, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 22 bis, d.P.R. n. 327/2001, l'occupazione d'urgenza riguardava una fase che era puramente attuativa di quella riguardante la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei lavori. In conseguenza era sufficiente che la motivazione del decreto di occupazione si limitasse a richiamare espressamente tale dichiarazione, che ne costituisce l'unico presupposto, dalla quale rileva l'urgenza della realizzazione delle opere previste nella dichiarazione di pubblica utilità (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 29 maggio 2009 , n. 3353; Consiglio Stato , sez. IV, 12 luglio 2007, n. 3968; Consiglio Stato, sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8261).
Nel caso in esame l’urgenza del decreto di occupazione appare anche collegato con la grave situazione dell’epoca in materia di gestione dei rifiuti. Per questo sussistevano precise ragioni di impedimento derivanti da “particolari esigenze di celerità del procedimento” di cui al primo periodo dell’art. 7 della L. 7-8-1990 n. 241, che aveva reso necessaria una decretazione d’urgenza da parte del governo.
___ 3. Inammissibile è invece il quarto motivo con cui si contesta l'idoneità del sito affermata sulla base delle conclusioni indagini di due professionisti versate in primo grado ed allegate in questa sede. Per l’appellante incontestabili argomentazioni di natura geologica, litologica ed idrologica avrebbero deposto in senso contrario alla locazione della discarica sul sito.
In primo luogo il provvedimento di localizzazione di una discarica può essere contestato solo in esito alla sicura dimostrazione di un peculiare pregiudizio che la detta discarica sarebbe in grado di arrecare (cfr. Cons. Stato Sez. giurisdizionali Sez. V 14 aprile 2008 n. 1725).
Per poter supportare la c.d. “opzione zero” devono cioè sussistere elementi concreti elementi che diano prova certa di conseguenze negative. La localizzazione di una discarica infatti non è una decisione neutra ma si sostanzia in un confronto comparato tra il sacrificio ambientale imposto dal progetto rispetto all'utilità socio-economica dallo stesso ritraibile, tenuto conto delle alternative praticabili (cfr. Cons. Stato Sez. giurisdizionali Sez. V 18 aprile 2012 n. 2234) anche perché le eventuali insufficienze tipologiche del terreno possono essere evitate dalla possibilità di interventi artificiali integrativi, per evitare a possibile dispersione e la permeabilità nell’ambiente di componenti nocive.
In punto di fatto alle argomentazioni dell’appellante possono logicamente contrapporsi quelle concernenti l’idoneità del sito che era stata preliminarmente affermata dalla perizia commissionata a tre geologi dalla Comunità Montana.
Al riguardo anche i ricordati interventi dell’autorità conseguenti a layout di per se non dimostrano nulla se non che l’impianto comunque è stato sottoposto agli ordinari controlli.
Il motivo va dunque respinto.
___4. Il terzo mezzo è in parte meritevole di favorevole considerazione nei sensi che seguono.
L’appellante lamenta l'erroneità della declaratoria della prescrizione che il TAR avrebbe affermato in relazione al decorso del termine quinquennale decorrente dalla cosiddetta "accessione invertita”.
Tuttavia dopo la pronuncia della Corte Europea dei diritti dell'uomo della nota sentenza del 30 maggio 2000 n. 24.638. è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 43 del d.p.r. 8 giugno 2001 numero 327 (Corte Cost. 8 ottobre 2010 n. 293). Pertanto il modello della “accessione invertita” non poteva essere più applicabile nel caso in esame in quanto, dopo le ricordate pronunce, l’irreversibile trasformazione del bene illegittimamente occupato è stato ricostruito in termini di illecito di natura permanente, come tale non soggetto alla prescrizione quinquennale.
In coerenza si richiede quindi il risarcimento del danno agganciato alla valutazione che la commissione agraria provinciale determina ogni due anni e che, e per i terreni in questione, facenti parte della zona agraria n. 5 sarebbe stato fissato in € 8607,00 per ettaro moltiplicato per gli ettari oggetto di oggetto dell'occupazione,o comunque alla somma ritenuta equa.
L’assunto è fondato nei sensi che seguono.
In linea di principio, è esatto che:
-- se sull’area occupata senza un legittimo titolo sono state realizzate opere che la stessa Amministrazione continua ad utilizzare per finalità di sicuro interesse pubblico, ci si è in presenza di un illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a quando non venga o rimosso il manufatto (cfr. Cass. Civile sez. I 02/12/2013 n. 26965, Consiglio di Stato Sez. IV 16/05/2013 n. 2679);
-- in tali ipotesi naturalmente non è possibile ritenere applicabile il termine di prescrizione se non dal momento di cessazione dell'illecito vale a dire dalla restituzione dell’immobile da parte della P.A., ovvero dalla formazione di un altro titolo legittimo che determini il trasferimento della proprietà.
L’accoglimento di tale censura però, facendo venir meno il titolo di acquisizione in capo al Consorzio del terreno, comporta delle conseguenze complesse conseguenti al superamento - alla stregua della convenzione europea e, in particolare, del Protocollo addizionale n.1- dell'interpretazione che faceva derivare dalla costruzione dell'opera pubblica e dall'irreversibile trasformazione effetti sulla titolarità legale del bene.
Pertanto, una volta esclusa l’ ”accessione invertita”, l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica, non elide affatto il diritto di proprietà del privato sul bene illegittimamente occupato, per cui egli potrebbe domandare sia il risarcimento che la restituzione del fondo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006, n. 290; Cons. Stato, 7 aprile 2010, n. 1983; Consiglio di Stato sez. IV 2 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. IV 29 agosto 2012 n. 4650).
Nell'attuale quadro normativo, l'Amministrazione ha infatti l'obbligo giuridico di far venir meno, in ogni caso, l'occupazione "sine titulo" e, quindi deve adeguare la situazione di fatto a quella di diritto attraverso l’emanazione di legittimi provvedimenti ablatori; o di contratti di acquisto delle relative aree, ovvero di provvedimenti di acquisizione ex art. 42-bis, t.u. n. 327 del 2001.
La P.A. in sostanza ha perciò due sole alternative: o restituisce i terreni ai titolari, demolendo quanto realizzato e disponendo la completa riduzione in pristino allo “status quo ante”; oppure si attiva per acquisire un legittimo titolo di acquisto dell'area da parte del suo legittimo proprietario (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 02 settembre 2011 n. 4970; Consiglio di Stato sez. VI 01 dicembre 2011 n. 6351).
Nella fattispecie in esame, pur avendo proceduto all’occupazione poi divenuta poi "sine titulo" di un'area, la Comunità Montana, e le amministrazioni interessate né hanno ottenuto il consenso dell’odierno appellante alla cessione bonaria; né hanno restituito il bene ripristinando lo status quo ante; e né infine – come avrebbero dovuto -- hanno proceduto all'acquisizione ai sensi dell'art. 42 bis t.u. espropriazioni di cui al d.P.R. n. 327 del 2001 (introdotto dall'art. 34, comma 1, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011 n. 111). Ancora una volta, come in altri casi, gli amministratori locali via via succedutesi, di fronte alla prospettiva di affrontare ad un notevole impegno finanziario per un obiettivo “politico-sociale” già raggiunto con l’illegittima spoliazione del privato con i beni del privato, hanno preferito lasciare ai successori la relativa problematica.
In sostanza, deve essere valutata in maniera estremamente negativa la posizione dell’ex-Comunità Montana, che, in spregio ad ogni regola di diritto e di civiltà giuridica, fin dal 1994 ha occupato – senza mai sborsare direttamente né una lira e né un euro -- i terreni già di proprietà della defunta dante causa dell’odierno appellante.
In conclusione il motivo è pienamente fondato, per cui:
-- deve escludersi che, nel caso, si sia verificata un’ipotesi di “occupazione acquisitiva”: in conseguenza l’ "autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico”—vale a dire o la Gestione Liquidatoria della Comunità Montana; ovvero in difetto il Comune capofila del servizio in solido con i Comuni che la componevano -- dovrà esercitare la “facultas agendi” normativamente prevista dall'art. 42 bis del d.P.R. n. 327/2001 e procedere all’immediata acquisizione ovvero non procedervi, e restituire il terreno maltolto, previa la necessaria integrale bonifica allo status quo ante e con la connessa reintegra risarcitoria di tutti i danni a ciò connessi;
-- in relazione al punto che precede deve escludersi che fosse maturata la prescrizione del diritto al risarcimento dell’appellante, non essendo mai iniziato la decorrenza del termine a quo.
Tuttavia in questa sede, non appare opportuno, allo stato, procedere alla definizione del risarcimento dei danni connessi alla perdita del terreno del quale è stato illegittimamente spogliato né nella misura richiesta e né in via equitativa, in difetto un provvedimento di cui all’art. 42-bis cit. (che come è noto prevede una precisa modalità di reintegro di tutti i diritti patrimoniali del proprietario illegittimamente spossessato), ovvero di un accordo transattivo.
In conseguenza la liquidazione dei danni dovrà essere effettuata tenendo conto della necessità di una previa definizione della situazione proprietaria dell’area.
___5. In conclusione l’appello è in parte fondato e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, si deve accogliere il ricorso di primo grado nei sensi e nei limiti di cui sopra ai fini dell’adozione dei necessari conseguenti provvedimenti.
Le spese, in considerazione della soccombenza parziale, del presente giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando:
__ 1. accoglie in parte l'appello, come in epigrafe proposto, e per l’effetto, riforma in parte la decisione impugnata ed accogli il ricorso di primo grado nei sensi e nei modi di cui in motivazione.
__ 2. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Marzio Branca, Presidente FF
Raffaele Greco, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 10/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)