Consiglio di Stato Sez. II n. 4892 del 5 giugno 2025
Beni ambientali.Ambito di applicazione dell'art. 167 del dlv 42/2004

Il comma 4 dell’art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004, costituisce norma eccezionale di stretta interpretazione, per cui l'interprete deve privilegiare la lettura più conforme al criterio di inestensibilità delle ipotesi di autorizzazione postuma con la conseguenza che, nei casi dubbi, l'interprete deve prediligere l’opzione che abbia per effetto quello di restringerne e non di ampliarne il campo di applicazione. Il termine manutenzione straordinaria non è adoperato dall’art. 167 in senso “atecnico”, trattandosi di un precisa qualificazione giuridica indicata nel Testo unico dell’edilizia e come tale richiamata dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, proprio al fine di escludere dalla sanatoria paesaggistica tutti gli altri interventi edilizi di cui all’art. 3 del D.P.R. 380 del 2001, come risulta confermato dal nuovo testo dell’art. 36 bis del Testo unico dell’edilizia, introdotto dal d.l. 29 maggio 2024, n. 69, conv. dalla L. 24 luglio 2024, n. 105, che ha aggiunto la sanatoria paesaggistica postuma in caso di parziali difformità dal titolo edilizio. 

Pubblicato il 05/06/2025

N. 04892/2025REG.PROV.COLL.

N. 08308/2024 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8308 del 2024, proposto dal
Comune di San Martino Buon Albergo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Maria Gabriella Maggiora, con domicilio come da PEC Registri Giustizia

contro

Signora Isabella Felisi, rappresentata e difesa dagli avvocati Renzo Cuonzo, Stefano Gattamelata, Renzo Fausto Scappini, con domicilio come da PEC Registri Giustizia;

nei confronti

Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 1690/2024, resa tra le parti, relativa al diniego di sanatoria del 9 maggio 2020


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della signora Isabella Felisi e del Ministero della Cultura;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 maggio 2025 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti gli avvocati Maria Gabriella Maggiora e Renzo Cuonzo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

La signora Isabella Felisi è proprietaria nel Comune di San Martino Buon Albergo di un terreno identificato al catasto al foglio 38, mappali nn. 637, 638, 639 640 e 641, in area sottoposta a vincolo paesaggistico con D.M. 18 novembre 1971, e vincolo ai sensi dell’art. 142, primo comma, lett. g), d.lgs. 42/2004, in quanto superficie coperta da bosco. Il Piano di assetto del territorio comunale (PAT) include detto terreno (classificato dal previgente PRG come “ZTO E agricola”) nella rete ecologica locale, indicandolo come “area nucleo”, disciplinata dall’art. 13.1 delle relative norme tecniche, che prevede la finalità di conservazione dei valori naturalistici e la promozione di attività umane con essi compatibili, con prescrizioni di conservazione dei nuclei boscati e, nelle “aree nucleo”, di attività che non manifestino incidenze negative significative sulla base di una valutazione di incidenza ambientale. Il Piano degli interventi (PI) classifica il terreno come area a destinazione forestale soggetta all’art. 15 delle Norme tecniche operative, che consente solo gli interventi ammessi dalle norme di tutela idrogeologica e forestale previa autorizzazione dell’autorità competente e divieto di abbattere alberi monumentali se non previa procedura di cui alla legge regionale n. 20 del 2022.

In tale terreno sono state realizzate opere abusive, senza titolo edilizio e senza autorizzazione paesaggistica, oggetto dell’ordinanza di demolizione n. 108 del 26 settembre 2018; in particolare come risulta dal sopralluogo del 12 marzo 2018, richiamato nel provvedimento di demolizione: tre manufatti ad uso abitativo, di cui uno in muratura, adibito a servizio igienico, e due manufatti in legno, uno adibito a ripostiglio/deposito, collegato a quello in muratura da una tettoia in lamiera, che copriva anche un piano cucina esterno, il terzo adibito a soggiorno con vetrata di superficie di circa 22 mq e altezza di circa 3 m; un’ area di circa 140 mq, pavimentata in calcestruzzo ricoperto da piastrelle; inoltre un camino-barbecue in muratura; un ulteriore manufatto in legno, con destinazione abitativa, articolato su due piani per un’altezza complessiva di oltre 6 m con corpo principale di superficie di circa 40 mq per piano, al piano terra la zona giorno (ampliata sul lato nord da una veranda di circa 12 mq), al primo piano la zona notte, con ampia terrazza (12 mq circa) collegata ad un lungo balcone laterale (circa 12 m), con sottostante porticato; percorsi stradali in parte pavimentati e con cordoli laterali in pietra nonché terrazzamenti con muri di sostegno in pietra.

Avverso tale provvedimento la signora Isabella Felisi aveva proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto, il quale ha respinto la domanda cautelare di sospensione della demolizione con ordinanza n. 501 del 7 dicembre 2018, e poi ha respinto il ricorso con la sentenza n. 1688 del 2 luglio 2024.

Analoga ordinanza (n. 110 del 4 ottobre 2018) era stata notificata alla Soc. Giomarti s.r.l.s. il 5 ottobre 2018 per ulteriori manufatti realizzati sulla proprietà della società (particelle 642, n. 643, n. 276, n. 294 n. 624) confinante con quella Felisi. In particolare nella proprietà della società Giomarti è stata accertata la realizzazione di un capannone in legno, di mq 94; di una tettoia/stalla con recinto per animali; di una piscina fuori terra, realizzata in cemento rivestito in legno e pietre, con antistante area pavimentata in ghiaino e cordoli laterali in pietra, nonché di due piccoli manufatti, uno in legno e l’altro in pietra; la realizzazione di un ingresso carraio, con cancello in ferro e di una recinzione in ferro su muretto in pietra con antistante pavimentazione in ciottoli; la realizzazione di percorsi stradali pavimentati in ghiaino e cordoli laterali in pietra nonché di terrazzamenti con muri di sostegno in pietra. Anche l’ordinanza n. 110 è stata impugnata con ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Veneto (con domanda cautelare cancellata dal ruolo delle sospensive alla camera di consiglio del 17 gennaio 2019), il quale ha poi respinto il ricorso con la sentenza n. 1689 del 2 luglio 2024.

La odierna appellante ha parzialmente ottemperato alla ordinanza di demolizione relativamente ai manufatti e, con istanza del 21 dicembre 2018, prot n. 26549, ha presentato domanda di sanatoria, “per la realizzazione di strade interpoderali” con contestuale istanza di compatibilità paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. La relazione tecnica allegata alla sanatoria indicava “manutenzione straordinaria per la riqualificazione delle capezzagne esistenti” con posa di cemento nelle parti in pendenza, di ghiaino sulle strade, con cordoli laterali e canaline di scolo e con il primo tratto di accesso dalla via pubblica realizzato con porfido a cubetti, prevedendo la demolizione delle altre pavimentazioni esistenti. Il 15 maggio 2019 è stata presentata una ulteriore domanda di sanatoria relativa al mantenimento di un tronco di strada interpoderale pavimentato con muro di contenimento e per lo spianamento dell’area di sedime del fabbricato residenziale abusivo; con una successiva integrazione, il 13 dicembre 2019, su richiesta della Soprintendenza, sono stati precisati i materiali delle pavimentazioni oggetto dell’istanza di sanatoria (porfido, cemento, piastrelle in cemento di colore rosso, terra).

La Commissione comunale per il paesaggio, a seguito di sopralluogo effettuato il 21 maggio 2019, esprimeva parere negativo sulla sanatoria paesaggistica, con parere del 4 luglio 2019, e inviava il parere alla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza. Il parere negativo della Commissione comunale, con riguardo alla istanza di sanatoria, relativa alla strada interpoderale, rilevava che gli interventi di ampliamento e stabilizzazione con finitura a cemento della “capezzagna”, che risulta delimitata da cordoli e dotata di un impianto di illuminazione, e il cui allargamento ha richiesto la costruzione di muri di contenimento delle terre, costituiscono “interventi che alterano in modo permanente lo stato dei luoghi e l’andamento dei pendii, la cui entità è tale da snaturare la capezzagna e da trasformala in una strada lunga oltre 460,00 ml e larga (in alcuni punti) oltre 4 ml, sicché non si ritiene che possano essere qualificati come semplici opere di manutenzione straordinaria”. Con riguardo agli ulteriori interventi di cui alla domanda presentata il 15 maggio 2019 ha rilevato che “gli ampi spianamenti, in parte pavimentati, che costituivano il sedime di fabbricati (quasi totalmente rimossi nella parte fuori terra), la cui realizzazione ha richiesto la costruzione di muri di contenimento che in alcuni punti raggiungono 3-4 ml di altezza… determinano un’alterazione permanente e notevole del preesistete profilo del terreno e della vegetazione e quindi del contesto paesaggistico naturale in cui l’opera si inserisce”. Ha quindi richiamato il DM 18 novembre 1971, “dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona sita nel Comune di San Martino Buon Albergo”, basato sulla particolarità della zona con la “presenza del fiume Fibbio…, caratterizzata dalla presenza di una rete mirabile di fossi derivanti dal suddetto fiume Fibbio, .. , con una ricca e folta vegetazione di salici, di pioppi e di prati, costituendo un ambiente singolare che serve da completamento alla vicina collina della Musella, già vincolata, ricca di folta vegetazione boschiva. La parte est- nord, infine che confina con i comuni di Lavagno, Mezzane e Verona, presenta un aspetto omogeneo collinare con bellissimi poggi e belvedere e la presenza di vegetazione anche di essenze pregiate derivate da insediamenti di corti rustiche, di case padronali e di ville di notevole valore architettonico”: Inoltre ha richiamato il vincolo ex lege ai sensi dell’art. 142 lettera g) del d.lgs. 42/2004, in quanto area boscata, nonché la destinazione di piano a “rete ecologica locale”, quale “area nucleo”, “caratterizzato da un habitat che dà luogo ad un ecosistema ad alto contenuto di naturalità”. Pertanto, “valutata la consistenza delle opere oggetto di sanatoria, sia di ciascuna opera singolarmente considerata che di tutte le opere considerate nel loro complesso; valutato l’impatto di tutte e di ciascuna di dette opere sul paesaggio i cui dolci declivi e il cui contesto lussureggiante risultano alterati in modo considerevole e snaturando la percezione visiva dei luoghi e lo skyline del versante collinare”, trattandosi “di opere che hanno modificato i profili del terreno e la naturalità dei luoghi in modo consistente e invasivo”, ha ritenuto l’intervento incompatibile “con la tutela del vincolo imposto su detta area dal DM 18 novembre 1971 e dal D.lgs. 42/2004, art. 142, lett. g)”per le “alterazioni sostanziali delle caratteristiche peculiari del paesaggio tali per cui non si riesce più a percepire, utilizzando osservatori concreti come il percorso nel territorio e punti panoramici, la naturalità dell’ambiente caratterizzato da nuclei boscati, che (nelle parti rimosse) vanno ripristinati, in quanto detti nuclei rappresentano elementi importanti per la qualità e la produttività degli agro-ecosistemi e per la conservazione delle caratteristiche dell’habitat.”

La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza, a seguito del sopralluogo del 26 novembre 2019, con nota prot. n. 701 del 15 gennaio 2020, esprimeva parere negativo sulla sanatoria paesaggistica, richiamando il D.M. 18 novembre 1971, che ha apposto il vincolo paesaggistico, ritenendo che le modifiche morfologiche del pendio collinare con opere di sterro e riporto di terreno e la realizzazione di muri di sostegno, per la realizzazione e/ ampliamento della strada interpoderale di accesso al fondo agricolo, nonché di realizzazione di muri di sostegno e di spianamento per la realizzazione delle opere poi abbattute non potessero rientrare nella fattispecie disciplinata dall’art. 167, comma 4, d.lgs. 42/2004, non essendo opere di manutenzione straordinaria e non essendo, quindi, possibile accertarne la compatibilità paesaggistica; per gli altri interventi (la realizzazione di pavimentazioni in alcuni tratti della strada interpoderale ed in corrispondenza degli edifici abbattuti, la realizzazione di muretti e cordoli, la realizzazione di una strada, la piantumazione di cipressi e l’installazione di lampioni) ha valutato l’incompatibilità con la tutela paesaggistica e con la tradizione dei luoghi “in quanto non appartengono né all’assetto storico e naturalistico della collina né tantomeno ad una vocazione agricola del fondo, apparendo al contrario come opere funzionali all’installazione sulla medesima collina di un insediamento abitativo”. Ha concluso con un parere negativo in quanto manufatti “estranei al tradizionale e consolidato assetto paesaggistico della collina e ai suoi caratteri rurali e naturalistici, comportando una significativa alterazione della percezione dei luoghi e incidendo quindi in maniera negativa sulla qualità paesaggistica del pregevole ambito tutelato”. Ha richiesto quindi il ripristino dello stato dei luoghi, che consenta “di recuperare pienamente i suddetti caratteri rurali e naturalistici coerentemente all’assetto morfologico originario e ai valori espressi dal richiamato DM 18 novembre 1971 per la zona in argomento”.

Con decreto n. 1 del 30 gennaio 2020 il Responsabile del Servizio Paesaggistico Ambientale del Comune ha negato la compatibilità paesaggistica degli interventi, richiamando integralmente i pareri negativi della Commissione per il paesaggio e quello della Soprintendenza. In particolare, ha ritenuto inammissibile la domanda relativa alle strade interpoderali e spianamenti e muri di sostegno, in quanto non rientranti nelle fattispecie di cui all’art. 167, comma 4 del D.lgs. 42 del 2004, non essendo qualificabili gli interventi come manutenzione ordinaria o straordinaria, ai sensi dell’art. 3 del DPR 6 giugno 2001 n. 380. Con riferimento alla realizzazione di pavimentazioni in porfido, calcestruzzo e piastrelle di cemento rosso in alcuni tratti delle strade interpoderali ed in corrispondenza degli spianamenti dell’abitazione rimossa e della serra, di muretti e cordoli in sasso lungo i margini delle strade interpoderali, di una scala con pavimentazione in porfido nei pressi del sedime dell’abitazione rimossa nonché alla piantumazione di diverse alberature di cipresso lungo le strade interpoderali e alla installazione di lampioni lungo la strada interpoderale, il diniego di compatibilità paesaggistica è fondato sulla valutazione che “detti interventi (consistendo in opere funzionali alla installazione di un insediamento abitativo avulso dal contesto) contrastano sia con l’assetto storico, colturale e naturalistico della collina, sia con la vocazione agricola del fondo ed incidono in maniera negativa sulla qualità paesaggistica del pregevole ambito tutelato, comportando una significativa e inaccettabile alterazione della percezione dei luoghi”.

Con successiva nota dell’11 marzo 2020 il Responsabile del Settore Urbanistica e Territorio del Comune di San Martino Buon Albergo ha comunicato il preavviso di diniego rispetto alla domanda di permesso di costruire in sanatoria, a seguito del quale non sono state presentate osservazioni.

Con provvedimento del 9 maggio 2020 il Responsabile del Settore urbanistica e territorio del Comune ha negato il permesso edilizio di costruire in sanatoria e ha disposto di ottemperare alla ordinanza di demolizione. Il provvedimento di diniego di sanatoria ha richiamato: la destinazione del PAT, dove sono consentite soltanto le opere che non contrastano con la naturalità del posto; i vincoli apposti all’area (idraulico, paesaggistico e boscato); le Norme tecniche operative del Piano degli interventi, che per il territorio agricolo – sottoposto a “tutela ambientale”, non consentono le alterazioni sensibili delle quote di campagna esistente, prevedendo che le nuove edificazioni in zona agricola debbano rispettare la morfologia del suolo senza alterare la natura dei luoghi, per cui “non sono consentite sistemazioni artificiose del terreno ma soltanto adattamenti del suolo dovuti a limitate esigenze funzionali”. Ha richiamato, altresì, “il presupposto indefettibile per il rilascio di un titolo edilizio per interventi in zona vincolata” della previa autorizzazione paesaggistica, con possibilità, solo nei casi previsti dall’art. 167 D.lgs. 42/2004, di un’autorizzazione postuma, per cui il “diniego di compatibilità paesaggistica espresso con il decreto n. 1/2020 non consente di rilasciare il permesso edilizio in sanatoria: a) per i seguenti interventi funzionali ad un nuovo insediamento abitativo, in contrasto con i valori paesaggistici tutelati: realizzazione di pavimentazioni in porfido, calcestruzzo e piastrelle di cemento rosso in alcuni tratti delle strade interpoderali ed in corrispondenza degli spianamenti dell’abitazione rimossa e della serra; realizzazione di muretti e cordoli in sasso lungo i margini delle strade interpoderali; realizzazione di una scala con pavimentazione in porfido nei pressi del sedime dell’abitazione rimossa; piantumazione di diverse alberature di cipresso lungo le strade interpoderali; installazione di lampioni lungo la strada interpoderale; b) per gli ulteriori interventi che hanno comportato una modifica morfologica del pendio i quali sono stati realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica ex ante (mai richiesta) e che, per i motivi indicati nel citato decreto 1/2020, sono insuscettibili di qualunque valutazione e/o autorizzazione paesaggistica ex post; trattasi degli interventi di seguito indicati: in opere di sterro e di riporto, finalizzate alla realizzazione/allargamento di tratti di strada; opere di spianamento con realizzazione di muri controterra in corrispondenza dei basamenti delle costruzioni la cui parte fuori terra è stata rimossa, e che sono stati ricoperti da terreno vegetale”; interventi comunque in contrasto con l’art. 46.11 delle NTO del PI, “in quanto hanno alterato le preesistenti quote di campagna, non hanno rispettato la morfologia del suolo e hanno alterato la natura dei luoghi”.

Avverso tale provvedimento e il presupposto diniego di compatibilità paesaggistica la signora Felisi ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, successivamente trasposto in sede giurisdizionale, a seguito della opposizione comunale.

Con un primo motivo ha dedotto la violazione dell’art. 10-bis legge 241/1990 e dell’art. 146 d.lgs. 42/2004 per omessa comunicazione del preavviso del parere negativo di compatibilità paesaggistica.

Con un secondo motivo ha lamentato l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, contestando le valutazioni paesaggistiche del Comune e della Soprintendenza, in particolare in ordine alla natura degli interventi realizzati.

Con la terza censura ha dedotto l’eccesso di potere per carenza di motivazione, in quanto non sarebbero stati individuati specificamente i motivi di contrasto delle opere con la tutela paesaggistica, in presenza di una motivazione generica.

Con il quarto motivo ha lamentato l’eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, in quanto la Soprintendenza, nel proprio parere, avrebbe autonomamente valutato interventi, mai precedentemente contestati (realizzazione di una scala con pavimentazione in porfido, piantumazione di diverse alberature di cipresso lungo le strade interpoderali, installazione di lampioni lungo la strada interpoderale), che non rientravano nella richiesta di sanatoria.

Con il quinto motivo ha dedotto l’invalidità derivata del diniego di sanatoria per i vizi dei presupposti pareri.

Con il sesto motivo ha sostenuto la violazione art. 10-bis legge 241/1990 in quanto non era stato concesso il termine per le osservazioni nel rispetto delle proroghe previste dall’art. 103, commi 1 e 5, d.l. 18/2020 convertito dalla legge 27/2020 e dall’art. 37 d.l. 23/2020, convertito con legge 40/2020.

Con il settimo motivo ha lamentato la violazione ed errata interpretazione dell’art. 46.11 delle NTO del PI del Comune di San Martino Buon Albergo nonchè la carenza di motivazione, sostenendo che gli interventi realizzati sarebbero consentiti dalle norme del Piano degli interventi, trattandosi di manutenzione straordinaria di percorsi interpoderali e spianamento di alcune modeste aree, in funzione dell’attività agricola, e non potrebbero essere considerati come “alterazioni sensibili delle quote di campagna esistenti”.

Con l’ottavo motivo, di eccesso di potere per illogicità e carenza della motivazione, ha lamentato che erroneamente il Comune avrebbe richiamato la presentazione di una sanatoria solo parziale, essendo evidente che le ulteriori opere sarebbero state demolite.

Si sono costituiti nel giudizio di primo grado sia il Comune che il Ministero della Cultura sostenendo l’infondatezza del ricorso.

Con la sentenza n. 1690 del 2 luglio 2024 il ricorso è stato accolto per la fondatezza del secondo, terzo, quinto, sesto e ottavo motivo di ricorso.

In particolare, il giudice di primo grado ha ritenuto fondato il secondo motivo per la sussistenza del difetto di istruttoria, in relazione alla preesistenza di una viabilità interpoderale principale e secondaria di accesso al fondo, per cui “con l’opera di cui si è richiesta la sanatoria non è stata realizzata quella radicale trasformazione della dimensione e del tracciato della strada, che avrebbe snaturato lo stato dei luoghi”; né “emerge con chiarezza come gli interventi in parola, valutati nel loro complesso, non risultino compatibili con la tutela paesaggistica e la tradizione dei luoghi”, essendo l’incompatibilità “una formula stereotipata della Soprintendenza che ipotizza ma non prova la funzionalizzazione degli interventi”, con un giudizio “contraddittorio rispetto a un presupposto fattuale messo in evidenza poco prima nello stesso provvedimento, a mente del quale le modifiche morfologiche del pendio collinare, con opere di sterro e riporto di terreno e realizzazione di muri di sostegno controterra, sarebbero finalizzate alla realizzazione e/o all’ampliamento di alcuni tratti di strada interpoderale di accesso al fondo agricolo. Delle due l’una: o i percorsi non esistevano, e allora rimane oscuro il riferimento all’ampliamento, o gli stessi esistevano, e allora non si comprende come possa escludersi una loro appartenenza all’assetto storico colturale e naturalistico della collina”. Analogamente con riguardo al parere reso dalla commissione locale per il paesaggio ha affermato che “la descrizione degli interventi non restituisce un quadro fedele della situazione originaria essendo volta a porre l’accento sulle trasformazioni piuttosto che su quanto già esisteva. D’altronde, ragionando a contrario e ipotizzando la messa in pristino dei luoghi, anche sotto questo aspetto dovrebbe prospettarsi una nuova trasformazione della collina che difficilmente potrebbe condurre a un assetto del territorio primigenio caratterizzato da isolati tratti di strada interpoderale”.

Rispetto al terzo motivo il giudice di primo grado ha affermato che “gli interventi sono stati valutati nel loro insieme senza distinguere i singoli aspetti (come appunto la pregressa presenza di tratti di strade interpoderali) e, soprattutto, le eventuali conseguenze di una globale rimessione in pristino dello stato dei luoghi che dovrebbe condurre a un assetto primitivo dell’area che non si conosce con esattezza o che, comunque, non risulta provato”.

Ha, quindi, ritenuto la fondatezza del quinto motivo, di illegittimità derivata del permesso di costruire in sanatoria, per l’illegittimità dei pareri paesaggistici.

Ha ritenuto fondata la sesta censura, in quanto, essendo stato notificato il preavviso di diniego il 19 marzo 2020, il termine di dieci giorni per la presentazione delle osservazioni, per effetto della normativa di proroga per l’emergenza Covid, sarebbe scaduto il 25 maggio 2020, mentre il Comune aveva provveduto il 9 maggio 2020.

Con riguardo all’ottavo motivo ha affermato che la domanda presentata riguardava il “progetto in sanatoria per la realizzazione di strade interpoderali nel fondo in località Palù”, per cui non vi sarebbero “elementi documentali che consentono di qualificare l’istanza in parola come richiesta parziale strutturata in modo tale da sottendere una volontà diversa rispetto alle opere di cui si è invece riconosciuto il carattere abusivo”.

Il giudice di primo grado ha invece respinto espressamente il primo, il quarto e il settimo motivo.

In particolare il primo, in quanto comunque era stata garantita una partecipazione rispetto al procedimento paesaggistico, essendo stato comunicato il parere negativo della Commissione paesaggio del 4 luglio 2019, ed essendo stata la parte comunque presente al sopralluogo del 26 novembre 2019 con i funzionari della Soprintendenza.

Ha respinto il quarto motivo, in quanto “il dettagliato resoconto delle opere realizzate abusivamente costituisce il preambolo del ragionamento giuridico della Soprintendenza per giungere alla formulazione del suo parere negativo. La minuziosa descrizione dello stato dei luoghi, chiaramente derivante dall’esito dell’ispezione condotta sul posto, non può essere adotta quale vizio di eccesso di potere per sviamento ovvero per travisamento dei fatti ovvero per difetto di istruttoria”.

Con riguardo al settimo motivo ha ritenuto corretto l’inquadramento della fattispecie e la conseguente applicazione dell’art. 46.11 delle NTO del PI.

Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di San Martino Buon Albergo, sostenendone la erroneità, in primo luogo in quanto la preesistente viabilità non risultava mai autorizzata; in ogni caso si trattava prima del 2006 di una “capezzagna” solo per l’accesso al fondo rustico, che era stata già trasformata abusivamente prima del 2006, anno in cui è stata presentata una prima istanza di sanatoria respinta, seguita da due ordinanze comunali di ripristino dello stato dei luoghi (l’ordinanza n. 124/2006 che disponeva l’eliminazione delle strade e il ripristino del pendio boscato e l’ordinanza prot. 9868/2007, che confermava l’obbligo di ripristino, da eseguire secondo le prescrizioni impartite dal servizio forestale con la nota regionale prot. n. 665584/2006, allegata all’ordinanza). Pertanto, come rilevato dalla Commissione paesaggio comunale “l’originaria capezzagna che attraversava l’area boscata nel tempo è stata trasformata in un reticolo di strade, di cui quella principale è lunga oltre 460 metri e larga (in alcuni punti) oltre 4 metri, risulta in gran parte cementata e ricoperta (in più tratti) con pavimentazioni varie, in porfido, cemento, piastrelle di cemento rosso”. Ha contestato, quindi, le argomentazioni del giudice di primo grado relative all’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso, sostenendo la correttezza e completezza dell’istruttoria, essendo stati eseguiti anche vari sopralluoghi; in ogni caso erroneamente il giudice di primo grado avrebbe ritenuto sufficiente l’esistenza della preesistente viabilità non valutandone la legittimità, mentre era stato realizzato un reticolo di strade in sostituzione degli originari sentieri e/o capezzagne, che seguivano il pendio naturale, modificando quindi la morfologia della collina, il cui declivio è ora interrotto da tornanti e muri di sostegno, costruiti a protezione anche di aree pianeggianti, su cui erano state abusivamente costruite strutture con destinazione anche residenziale, che solo in parte sono state demolite, come risulta dalle fotografie del sopralluogo del 27 settembre 2022 e dalle fotografie aeree contenute nel verbale del detto sopralluogo, da cui risulta l’avvenuta eliminazione successivamente al 2003 della superficie boscata per la realizzazione della viabilità. Ha sostenuto altresì, con riguardo al terzo motivo, che il giudice di primo grado, tramite il difetto di motivazione, avrebbe censurato il merito delle valutazioni della Commissione paesaggio e della Soprintendenza. Ha contestato, altresì, le affermazioni del giudice di primo grado circa l’incertezza relativa alla conoscenza dell’assetto originario dell’area, che invece risulta dalle fotografie e dalla Carta tecnica regionale, nonché le argomentazioni relative all’incertezza circa il ripristino dell’area, dovendo invece provvedersi al recupero ambientale della collina con le modalità indicate dal Servizio forestale nel 2006.

Ha conseguentemente contestato l’accoglimento per illegittimità derivata.

Con riguardo al sesto motivo ha dedotto che tra la comunicazione del preavviso di rigetto e il provvedimento impugnato erano trascorsi 50 giorni, nei quali sarebbe stato possibile presentare le osservazioni; in ogni caso il diniego di sanatoria edilizia era atto vincolato, in presenza dei pareri negativi sulla compatibilità paesaggistica, e comunque la parte aveva partecipato al procedimento paesaggistico, essendo stati comunicati sia il parere negativo della commissione locale per il paesaggio, il 6 agosto 2019, sia il parere negativo della Soprintendenza e il diniego comunale di compatibilità paesaggistica, il 6 febbraio 2020.

Ha contestato, infine, l’accoglimento dell’ottavo motivo deducendo che le opere, che non erano oggetto della sanatoria, avrebbero dovuto essere demolite prima della presentazione della stessa e non essere rappresentate graficamente così da rendere ambigua l’istanza di sanatoria.

Si è costituito il Ministero della Cultura con atto di forma e depositando documentazione.

La signora Felisi ha presentato memoria, sostenendo l’infondatezza dell’appello in relazione alla preesistenza della viabilità interpoderale e alla natura degli interventi realizzati.

Il Comune, nella memoria per l’udienza pubblica, ha dedotto che il procedimento è stato riavviato e, la Commissione locale per il paesaggio, a seguito della riunione del 24 settembre 2024, ha nuovamente analizzato le varie tavole e la documentazione integrativa, chiedendo alla parte di chiarire se l’oggetto della sanatoria riguardasse tutta la viabilità interpoderale o parte di essa; la parte ha limitato la sanatoria a parte della viabilità, rispetto alla quale la Commissione paesaggio ha espresso nuovamente parere negativo, trasmesso alla Soprintendenza il 13 marzo 2025.

La parte appellata ha presentato memoria di replica, insistendo nelle proprie ricostruzioni difensive, in particolare circa la preesistenza della viabilità interpoderale.

All’udienza pubblica del 20 maggio 2025 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

In via preliminare ritiene il Collegio di evidenziare che l’oggetto del presente giudizio è delimitato dall’appello del Comune, quindi ai motivi di ricorso accolti dal giudice di primo grado, mentre non è stato proposto appello incidentale avverso i motivi espressamente respinti.

Come è noto, infatti, ai sensi dell’art. 101 comma 2 c.p.a., solo le domande e le eccezioni assorbite e non esaminate possono essere riproposte con memoria depositata nei termini di costituzione in giudizio, mentre per i motivi respinti è necessario l’appello incidentale. Nel caso di specie la parte appellata nella memoria ha solo contestato i motivi di appello formulati dal Comune.

L’appello è fondato.

In primo luogo non sussistono il difetto di istruttoria e di motivazione sulla base dei quali il giudice di primo grado ha accolto il secondo e il terzo motivo di ricorso.

Con riguardo al difetto di istruttoria, si deve osservare che il procedimento di accertamento paesaggistico si è svolto tramite vari sopralluoghi dei tecnici comunali e, successivamente dei funzionari della Soprintendenza, che hanno accertato le reali condizioni del terreno anche al fine di verificare il concreto oggetto della sanatoria.

La circostanza che vi sia stata una alterazione dello stato dei luoghi, in particolare dell’area boscata tutelata dal vincolo ex lege, nonché in relazione al vincolo specifico posto dal D.M. 18 novembre 1971, risulta sia dalle numerose fotografie depositate in giudizio, comprese quelle riprodotte nella memoria e nella memoria di replica della parte appellata nonché da quelle riprodotte nell’elaborato allegato alla domanda di sanatoria, in cui risulta lo stato originario della collina e poi quello successivo agli interventi di realizzazione della viabilità, eseguiti nel corso degli anni ma mai autorizzati. Infatti, la viabilità realizzata anche nel corso degli anni 2000 non è fornita di alcun titolo edilizio e paesaggistico, mentre l’eventuale strada preesistente al fondo rustico, solo parzialmente individuabile dalle fotografie nella collina boscata, non rende gli interventi successivamente realizzati di manutenzione straordinaria.

In ogni caso, stessa domanda di sanatoria fa riferimento alla “realizzazione di viabilità interpoderale”, anche se nella relazione tecnica allegata si indicava “manutenzione straordinaria per la riqualificazione delle capezzagne esistenti”.

Peraltro, la “capezzagna”, la cui preesistenza non è messa in dubbio nei pareri paesaggistici, costituisce una strada sterrata di accesso (in testa) ai campi, che in nulla è assimilabile al reticolo di strade successivamente realizzato. Del resto la stessa relazione allegata alla sanatoria del 21 dicembre 2019 fa riferimento alla posa di cemento nelle parti in pendenza della strada, alla copertura in parte in ghiaino e in parte con porfido a cubetti, con cordoli laterali e canaline di scolo, mentre le integrazioni successive hanno riguardato anche un ulteriore spianamento pavimentato e un muro di contenimento, oltre alle precisazioni rese il 13 dicembre 2019, circa il materiale della pavimentazione, tra cui porfido e piastrelle di cemento di colore rosso.

E’ evidente, dunque, come acclarato nei numerosi sopralluoghi, che la viabilità realizzata e oggetto della domanda di sanatoria non abbia conservato nulla della originaria capezzagna, che consentiva l’accesso ad un fondo agricolo.

Tali aspetti risultano chiaramente sia dal parere della Commissione del paesaggio del 4 luglio 2019 sia dal parere della Soprintendenza che dal diniego di sanatoria paesaggistica che li ha espressamente ripresi.

Non possono dunque essere condivise le argomentazioni del giudice di primo grado circa l’incertezza in ordine alla preesistenza della viabilità, risultando chiaramente dalle riproduzioni fotografiche che, prima degli interventi abusivamente realizzati, il profilo della collina era intatto, anche se si poteva individuare un percorso di accesso al fondo, del resto non messo in dubbio neppure dalle Amministrazioni che hanno fatto riferimento ad una “capezzagna”, che costituisce - come sopra evidenziato - una strada sterrata di accesso ai campi e non era assimilabile al reticolo di strade successivamente realizzato.

Ai sensi dell’art. 167 comma 4, “l'autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;

c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”.

La giurisprudenza ha espressamente affermato che il comma 4 dell’art. 167 d.lgs. n. 42 del 2004, costituisce norma eccezionale di stretta interpretazione, per cui l'interprete deve privilegiare la lettura più conforme al criterio di inestensibilità delle ipotesi di autorizzazione postuma con la conseguenza che, nei casi dubbi, l'interprete deve prediligere l’opzione che abbia per effetto quello di restringerne e non di ampliarne il campo di applicazione (Consiglio di Stato, sez. VII, 31 dicembre 2023, n. 11390; C.G.A. 22 gennaio 2025, n. 64).

In base all’art. 3 del D.P.R. 380 del 2001, la manutenzione straordinaria riguarda “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici”.

Rispetto alla qualificazione degli interventi oggetto della sanatoria, nel caso di specie, la viabilità realizzata ha modificato radicalmente l’originaria “capezzagna” e non può rientrare nella manutenzione straordinaria.

L’art. 3 comma 1 lettere e2) e e3) del testo unico dell’edilizia, nel testo vigente al momento di adozione dei provvedimenti impugnati, indica tra gli “interventi di nuova costruzione gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal comune ( e2); “la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato (e3)”. Né nel caso di specie l’intervento realizzato si può ritenere di natura pertinenziale, rilevante quale edilizia libera ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 380 del 2001, non sussistendo un’opera principale legittima rispetto al quale l’intervento possa dirsi accessorio, o può essere richiamata la previsione della lettera e ter) del detto art. 6, relativa alle “opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni”, trattandosi di un reticolo di strade.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato è poi consolidata nel ritenere che la trasformazione in strada o in piazzale, con modifica tendenzialmente non reversibile dello stato dei luoghi, comporti una modifica del territorio e costituisca quindi nuova opera, per la quale occorre l'espresso titolo edilizio (cfr., in tal senso, Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2019, n. 5128; Cons. Stato, Sez. IV, 17 dicembre 2018, n. 7103).

Si deve richiamare anche la sentenza della Corte costituzionale n. 90 del 2023, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di una legge regionale della Sicilia, che consentiva la realizzazione di strade interpoderali con CILA, affermando espressamente che “la realizzazione di strade determina una trasformazione urbanistica del territorio non riconducibile a interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro o risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia quali sono quelli di cui all'art. 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), t.u. edilizia, sicché ai sensi della successiva lettera e) quello in esame (realizzazione di strade interpoderali) deve considerarsi intervento di nuova costruzione, in quanto tale subordinato a permesso di costruire”.

Ne deriva la correttezza della qualificazione compiuti negli atti impugnati, rispetto alla consistenza dell’intervento realizzato, prima con superfici sterrate, successivamente con la pavimentazione e la realizzazione di cordoli laterali, non riconducibile alla manutenzione straordinaria di una preesistente strada di campagna, essendo intervenuta la totale trasformazione dei luoghi.

Né si può ritenere, come sostenuto dal giudice di primo grado, che il termine manutenzione straordinaria sia adoperata dall’art. 167 in senso “atecnico”, trattandosi di un precisa qualificazione giuridica indicata nel Testo unico dell’edilizia e come tale richiamata dall’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, proprio al fine di escludere dalla sanatoria paesaggistica tutti gli altri interventi edilizi di cui all’art. 3 del D.P.R. 380 del 2001, come risulta confermato dal nuovo testo dell’art. 36 bis del Testo unico dell’edilizia, introdotto dal d.l. 29 maggio 2024, n. 69, conv. dalla L. 24 luglio 2024, n. 105, che ha aggiunto la sanatoria paesaggistica postuma in caso di parziali difformità dal titolo edilizio.

In ogni caso, sia la Commissione per il paesaggio che la Soprintendenza, pur avendo distinto le opere non riconducibili alla manutenzione straordinaria, per cui la sanatoria è stata ritenuta inammissibile, hanno anche valutato complessivamente le opere da realizzare come paesaggisticamente incompatibili con la tutela dei vincoli.

In particolare, nel parere del 4 luglio 2019, integralmente riportato nel diniego del 30 gennaio 2020, la Commissione del paesaggio, pur distinguendo le opere oggetto della prima istanza di sanatoria (qualificate come estranee alla manutenzione straordinaria) da quelle della domanda del 15 maggio 2019, ha valutato poi complessivamente gli interventi realizzati alla luce della disciplina vincolistica apposta sull’area, facendo riferimento alla valutazione della “consistenza delle opere oggetto di sanatoria sia di ciascuna opera singolarmente considerata che di tutte le opere considerate nel loro complesso” e all’impatto di “tutte e di ciascuna di dette opere sul paesaggio i cui dolci declivi e il cui contesto lussureggiante risultano alterati in modo considerevole e snaturando la percezione visiva dei luoghi e lo skyline del versante collinare”, ritenendo l’intervento incompatibile con la tutela del vincolo imposto su detta area dal DM 18 novembre 1971 e dal d.lgs. 42/2004, art. 142, lett. g), per le “alterazioni sostanziali delle caratteristiche peculiari del paesaggio tali per cui non si riesce più a percepire, utilizzando osservatori concreti come il percorso nel territorio e punti panoramici, la naturalità dell’ambiente caratterizzato da nuclei boscati”.

Anche la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Verona, Rovigo e Vicenza - pur distinguendo le due categorie di opere e ritenendo che le modifiche morfologiche del pendio collinare, con opere di sterro e riporto di terreno e la realizzazione di muri di sostegno, per la realizzazione e/ ampliamento della strada interpoderale di accesso al fondo agricolo, nonché di realizzazione di muri di sostegno e di spianamento per la realizzazione delle opere, poi abbattute, non potessero rientrare nella sanatoria postuma paesaggistica non essendo opere di manutenzione straordinaria -oltre a valutare specificamente gli altri interventi (la realizzazione di pavimentazioni in alcuni tratti della strada interpoderale ed in corrispondenza degli edifici abbattuti, la realizzazione di muretti e cordoli, la realizzazione di una strada, la piantumazione di cipressi e l’installazione di lampioni) incompatibili con la tutela paesaggistica e la tradizione dei luoghi, ha espresso un giudizio finale complessivo negativo ritenendo i manufatti “estranei al tradizionale e consolidato assetto paesaggistico della collina e ai suoi caratteri rurali e naturalistici, comportando una significativa alterazione della percezione dei luoghi e incidendo quindi in maniera negativa sulla qualità paesaggistica del pregevole ambito tutelato”.

Con il decreto n. 1 del 30 gennaio 2020 il Responsabile del Servizio Paesaggistico Ambientale del Comune, pur dichiarando l’inammissibilità della sanatoria paesaggistica per gli interventi sub A (modifiche morfologiche del pendio collinare, con opere di sterro e riporto di terreno e realizzazione di muri di sostegno controterra, finalizzate alla realizzazione e/o all’ampliamento di alcuni tratti di strada interpoderale di accesso al fondo agricolo) - ampiamente giustificata dalla natura delle opere realizzate - ha comunque anche richiamato integralmente sia il parere del 4 luglio 2019 che il parere della Soprintendenza.

Rispetto alle indicazioni rese nei pareri paesaggistici non sussiste, quindi, alcun difetto di motivazione, avendo le Amministrazioni dato espressamente atto sia della impossibilità di procedere alla sanatoria paesaggistica per la esclusione della manutenzione straordinaria sia della valutazione di compatibilità con il vincolo, mentre il giudice di primo grado ha effettivamente operato un inammissibile sindacato nel merito delle valutazioni compiute dalle Amministrazioni preposte alla tutela dei vincoli paesaggistici.

Sul punto non può che richiamarsi la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio per cui l’accertamento di compatibilità dell'intervento col contesto paesaggistico è il frutto di un giudizio sulla coerenza dell'opera con il complesso degli elementi che compongono quel contesto e, rispetto al quale, il valore tutelato impone che essa non sia percepita come dissonante, con apprezzamento che si connota per la sua intrinseca opinabilità; sul piano motivazionale, affinché il diniego di compatibilità paesaggistica postuma o di sanatoria di opere realizzate in zone vincolate possa ritenersi sufficientemente motivato, è richiesta l'indicazione delle ragioni assunte a fondamento della valutazione di incompatibilità dell'intervento con le esigenze di tutela paesistica, poste a base del relativo vincolo (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2023, n. 9981; Sez. II, 17 marzo 2021, n. 2296).

Nel caso di specie, quindi, non sono sindacabili le valutazioni discrezionali espresse dalle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo, se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza o travisamento dei fatti, vizi che non sussistono nel caso di specie, considerati i vincoli apposti sull’area e la natura dell’intervento realizzato, che ha radicalmente modificato l’assetto della collina tutelata.

In particolare, infatti, si deve considerare che l’area è tutelata con un vincolo ex lege, ai sensi del d.lgs. 42 del 2004, art. 142 comma 1 lettera g), quale area boscata, e con un vincolo specifico posto con il D.M. 18 novembre 1971 proprio a tutela del paesaggio collinare del corso del fiume Fibbio. Ne deriva che le valutazioni effettuate circa l’impatto delle opere con tale paesaggio e con la tutela dell’area boscata non appaiono né illogiche né irragionevoli né in contrasto con la situazione di fatto, in relazione all’impatto delle opere sulla collina tutelata.

Del tutto estranee al sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica sono poi le argomentazioni del giudice di primo grado circa l’incertezza degli effetti del ripristino, essendo il ripristino per gli interventi abusivamente realizzati in zona vincolata espressamente previsto dalla legge sia dall’art. 167 comma 1 del d.gs. 42 del 2004 sia dall’art. 27 del D.P.R. 380 del 2001 e, nel caso di specie, disposto proprio in conservazione degli interessi tutelati dal vincolo.

La legittimità dei pareri paesaggistici esclude il vizio di illegittimità derivata rilevato dal giudice di primo grado con l’accoglimento del quinto motivo di ricorso.

Venendo agli ulteriori motivi di ricorso accolti dal giudice di primo grado e contestati dal Comune, è erroneo l’accoglimento del sesto motivo di appello relativo alla mancata applicazione delle proroghe previste per i termini procedimentali per l’emergenza Covid dai d.l. n. 18 e n. 23 del 2020 e relative leggi di conversione n. 37 e n. 40 del 2020.

Infatti la proroga del termine era applicabile solo al preavviso di rigetto del diniego di sanatoria comunicato l’11 marzo 2020, che però costituiva un atto vincolato in presenza del diniego di compatibilità paesaggistica del 30 gennaio 2020.

Ai sensi dell’art. 21 octies comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Tale norma è applicabile anche al preavviso di rigetto, per cui l’ultimo periodo dell’art. 21 octies secondo comma (aggiunto dal d.l. 76 del 2020) ha previsto l’espressa esclusione solo della disciplina del secondo periodo del secondo comma dell’art. 21 octies, che prevede: “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

In ogni caso, la parte odierna appellata ha partecipato al procedimento paesaggistico anche tramite la presenza ai sopralluoghi, come messo in luce dallo stesso giudice di primo grado, respingendo la censura relativa alla mancata partecipazione a tale fase del procedimento, mentre erano stati già comunicati sia il parere della commissione locale per il paesaggio del 4 luglio 2019 ( circostanza valorizzata anche dal giudice di primo grado), in data 6 agosto 2019, sia il parere negativo della Soprintendenza e il diniego comunale di compatibilità paesaggistica, in data 6 febbraio 2020.

Quanto all’accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso, la legittimità del diniego di sanatoria per i profili sopra esposti, rende del tutto irrilevante valutare l’eventuale illegittimità delle indicazioni ulteriori contenute nel provvedimento di diniego relative alla avvenuta presentazione di una domanda di sanatoria parziale.

Come è noto infatti, in caso di provvedimento plurimotivato è sufficiente la legittimità di uno dei presupposti motivazionali dell’atto (cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 28 agosto 2024, n. 7289; Sez. III, 17 aprile 2024, n. 3480).

Sotto tale profilo, nel caso di specie, non si può non considerare che il diniego di sanatoria è legittimamente basato anche sul solo contrasto con le norme urbanistiche comunali, il cui relativo motivo di ricorso è stato espressamente respinto dallo stesso giudice di primo grado, che ha ritenuto legittima da parte del Comune l’applicazione dell’art. 46.11 delle NTO del PI, che prevede “il mantenimento e restauro dei terrazzamenti agrari e dei relativi muri a secco, quali elementi di valore ambientale e paesistico” nonché “il recupero e la riqualificazione dei sentieri e delle strade agrarie con fondo stradale naturale”, non sussistendo quindi il presupposto fondamentale della sanatoria costituito dalla conformità urbanistica dell’intervento (circostanza che avrebbe dovuto comunque comportare la reiezione del ricorso in primo grado, una volta affermata l’infondatezza della censura relativa alla compatibilità delle opere con le norme del Piano degli interventi).

In conclusione l’appello è fondato e deve essere accolto e in riforma della sentenza impugnata deve essere respinto il ricorso di primo grado.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e devono essere liquidate in euro 3000,00 (tremila,00), oltre accessori di legge e poste a carico della signora Isabella Felisi.

Possono essere compensate le spese nei confronti del Ministero della Cultura.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata respinge il ricorso di primo grado.

Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio liquidate in euro 3000,00 (tremila,00), oltre accessori di legge in favore del Comune appellante.

Spese compensate nei confronti del Ministero della Cultura.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Stefano Filippini, Consigliere