T.A.R. Veneto (Venezia), Sez. III, sent. n. 2718/07 dep. 08.08.2007.
Rifiuti e discariche. Ammissibilità dei rifiuti in discarica. Disciplina applicabile alle discariche per inerti autorizzate prima del D.Lgs 36/2003. Nozione di “rifiuto inerte”. Illegittimità dell’ordinanza di sospensione del conferimento.
(a cura di Alan Valentino, Udine).
Ricc. nn. 2125 e 2707/2005 Sent. n. 2718/07
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:
Angelo De Zotti Presidente
Marco Buricelli Consigliere
Angelo Gabbricci Consigliere, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio introdotto con i ricorsi riuniti nn. 2125 e 2707/05, proposti da Centro Recuperi Piave S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. V. Pellegrini, con domicilio eletto in Venezia, Santa Croce n. 312/A, presso lo studio dell’avv. E. Rizzi;
contro
la Provincia di Treviso, in persona del presidente della giunta provinciale pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Botteon, Sartori e Tonon con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo in Venezia, San Marco n. 3901;
e contro
la Regione del Veneto, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore, non costituita in giudizio;
e contro
il Comune di Mareno di Piave, in persona del sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
e contro
l’A.R.P.A.V. – Dipartimento provinciale di Treviso, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio
per l’annullamento
quanto al ricorso 2125/05, del decreto 6 giugno 2005, n. 573/49843, del dirigente del settore gestione del territorio;
e, quanto al ricorso 2707/05,
a) del decreto 20 settembre 2005, n. 857/2005 del dirigente della Provincia di Treviso - Servizio ecologia e ambiente;
b) della relazione istruttoria 5 settembre 2005, della Provincia di Treviso, servizio ecologia e ambiente;
c) dei rapporti di prova dell’ARPAV di Treviso, servizio laboratori, del 18 agosto 2005.
Visti i ricorsi con i relativi allegati;
visto l’ atto di costituzione in giudizio della Provincia di Treviso in entrambi i ricorsi;
viste le memorie prodotte dalle parti;
visti gli atti tutti di causa;
uditi nella pubblica udienza del 27 aprile 2007 - relatore il consigliere avv. Angelo Gabbricci - l’avv. Bonifacio in sostituzione di Pellegrini per la ricorrente e l’avv. Sartori per la Provincia di Treviso;
ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
A. Nel 1990 entrò in esercizio, in Mareno di Piave (Treviso), la discarica di seconda categoria tipo A per rifiuti speciali inerti, cui si riferiscono i provvedimenti impugnati, e la cui autorizzazione venne più volte prorogata - da ultimo con decreto 26 giugno 2001, n. 408, del presidente della Provincia – e volturata alla Centro recuperi Piave S.r.l. con decreto 20 aprile 2004, n. 392, dello stesso presidente.
B. Nel 2005, rifiuti con codice CER 17.05.04, provenienti da una bonifica in corso, vennero smaltiti presso la discarica.
Con decreto 6 giugno 2005, n. 573/49843, il competente dirigente provinciale, ritenendo che – per ragioni che si esporranno oltre – tali rifiuti non presentassero, con certezza, le caratteristiche richieste per essere costì smaltiti, sospendeva generalmente il conferimento di rifiuti presso la stessa discarica, per il periodo richiesto dalle opportune verifiche: il provvedimento è stato impugnato con il ricorso 2125/05, qui in esame.
C. Effettuati gli opportuni campionamenti nelle tre aree della discarica dove quei rifiuti erano stati depositati – individuate come A, B e C - veniva quindi emesso il decreto dirigenziale 20 settembre 2005, n. 857.
Nelle premesse di tale atto veniva svolta un’argomentata valutazione dei risultati delle analisi, le quali, per i campioni di materiale solido prelevati nella zona A, avevano rilevato, a seguito dell’esecuzione del test di cessione in acqua satura di CO2, il superamento della concentrazione di manganese nell’eluato rispetto ai limiti di cui alla tabella acque sotterranee, di cui al d.m. 471/99 in materia di bonifiche; analogo superamento era stato rilevato nella zona B, dove altresì era stato appurato il superamento, per quanto riguardava il campione di materiale “tal quale”, dei limiti di concentrazione di PCBs fissati dalla colonna A della tabella 1, allegato 1, allo stesso decreto 471/99; nella zona C, infine, era accertato altresì un superamento degli stessi limiti per lo stagno.
Il provvedimento, posti tali risultati, rammenta anzitutto come, a’ sensi di quanto previsto dall’art. 3 del citato decreto provinciale 408/01, di autorizzazione alla prosecuzione della discarica, nonché della successiva determinazione dirigenziale 770/02, i rifiuti conferibili nelle discariche di II categoria, tipo A, devono corrispondere alla definizione di rifiuto inerte di cui all’ art. 2, lett. e), della direttiva 1999/31/CE, caratterizzati, tra l’altro, da una percentuale inquinante globale trascurabile.
Ora, prosegue il decreto, la discarica di Marene è per inerti ed è ubicata in fascia di ricarica degli acquiferi e non è stata adeguata ex art. 17 del d. lgs. 36/03: manca perciò di presidi ambientali atti a contenere “la dispersione di eventuali contaminanti presenti sia nei rifiuti che nei liquidi di percolazione derivanti dal dilavamento meteorico dei rifiuti stessi”; inoltre, il sottosuolo è costituito da ghiaie e la falda freatica “è posta a 4-5 m. dal fondo discarica senza alcuna interposizione di strati a bassa permeabilità (argille e simili)”.
In base al d. lgs. 36/03, seguita il provvedimento, gli inerti devono essere caratterizzati da una percentuale inquinante globale trascurabile e tale prescrizione deve essere intesa “vista anche la vulnerabilità idrogeologica del luogo, come presenza massima dei contaminanti tal quale entro i limiti della Colonna A della Tabella 1 dell’Allegato 1 e nell’eluato della Tabella Acque Sotterranee del D.M. 471/99”.
Per conseguenza, i risultati delle analisi, eccedenti tali limiti, conducono a concludere che, nella discarica, era stato “conferito un quantitativo, non meglio qualificabile sulla scorta dei dati a disposizione, di rifiuti non compatibili con l’autorizzazione in essere”; venivano perciò imposte indagini per la caratterizzazione del corpo rifiuti, ed in funzione della eventuale rimozione di quelli non conformi alle prescrizioni contenute nell’autorizzazione all’esercizio, nonché alle disposizioni normative vigenti in materia di smaltimento.
In conclusione, il dispositivo del provvedimento de quo revoca la sospensione disposta con il precedente decreto 573/05, autorizzando con svariate prescrizioni la ripresa dei conferimento soltanto in una zona, libera da rifiuti; inoltre, impone di procedere, entro sessanta giorni, alla caratterizzazione della massa rifiuti conferita prima del 6 giugno 2005, secondo i criteri egualmente specificati.
D. Avverso tale provvedimento è stato proposto il secondo ricorso in esame.
Nel conseguente giudizio si è costituita la Provincia di Treviso, la quale ha concluso per la reiezione.
L’istanza cautelare presentata dalla ricorrente è stata accolta, ritenendo priva di fondamento giuridico la scelta dell’Amministrazione “di applicare criteri, parametri e metodologie stabiliti per la bonifica dei siti inquinati e delle acque sotterranee”, cioè le disposizioni di cui al ripetuto d.m. 471/99, “in luogo di quelli stabiliti per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche di II categoria, tipo A”; sicché “nel rispetto delle prescrizioni effettivamente applicabili e di un principio di minimo aggravio per l’attività da svolgere”, la Sezione ha consentito “la ripresa dell’attività di conferimento rifiuti in tutta la discarica”.
DIRITTO
1.1. Il primo motivo del ricorso 2707/05 è rubricato nella violazione dell’art. 17 del d. lgs. 36/2003, dell’allegato 1 al d.m. 471/99, della deliberazione del comitato interministeriale 27 luglio 1984, punto 4.2.3.1, “discariche di tipo A”, dell’art. 5 del d.m. 3 agosto 2005; e, ancora, nell’eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, carenza d’istruttoria e di motivazione.
La Provincia, come si è visto, ha ritenuto che “rifiuto inerte”, ex art. 2, lett. e), della direttiva 99/31/CE – ma la norma applicabile all’epoca, era ormai l’art. 2, lett. e), del d. lgs. 36/03, il quale aveva recepito la direttiva, e pedissequamente riprodotto, nel caso, la previsione comunitaria - sia quello che rispetta i parametri di cui all’allegato 1 al d.m. 471/99, almeno quando gli stessi devono essere conferiti in una discarica di II categoria non adeguata: ma, secondo la ricorrente, tale assunto sarebbe radicalmente illegittimo.
Infatti, la normativa attualmente vigente ed applicabile in materia di limiti, parametri e metodologie di verifica per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche per inerti sarebbe ancora quella contenuta nella deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, e successive modifiche e integrazioni, e che si applicherebbe fino al 31 dicembre 2005, ex art. 17 del d. lgs. 36/2003, come modificato dall’art. 11 del d.l. 30 giugno 2005, n. 115, poi convertito con l. 168/05: la Provincia, viceversa, avrebbe illegittimamente utilizzato parametri e metodologie previsti dalla disciplina in materia di siti da bonificare.
1.2. A conferma delle proprie censure, la Recuperi Piave soggiunge nel ricorso come, dal 1 gennaio 2006, avrebbe trovato applicazione la nuova disciplina, in materia di criteri per il conferimento dei rifiuti in discarica, di cui al D.M. 3 agosto 2005, il quale fissa una serie di limiti, parametri e metodologie di verifica che si differenziavano nettamente rispetto a quelle previste dalla disciplina dei siti contaminati.
In particolare, per quanto riguarda i rifiuti inerti, l’art. 5 del decreto considera non compatibili con la definizione di inerte, di cui all’art. 2, lett. e), d. lgs. 36/03 i rifiuti che superino i limiti di contaminazione di cui alla colonna B della tabella 1, all. 1 al D.M. 471/99, tranne per i PCB, per i quali viene fissato il limite di 1 mg/kg.
Nessun riferimento viene invece fatto ai limiti - utilizzati nel provvedimento impugnato - di cui alla colonna A della citata tabella, tanto meno a quelli di cui alla tabella acque sotterranee, ed egualmente il test di cessione sugli inerti prevede metodologie analitiche e parametri da verificare diversi da quelli di cui alla tabella acque sotterranee del D.M. 471/99 (in particolare, non è nemmeno prevista la verifica del parametro “manganese”): e da ciò la conferma che l’atto gravato sarebbe illegittimo.
1.3. Ancora, il presupposto del provvedimento de quo è rappresentato, come detto, nella difformità tra i rifiuti conferiti e quelli previsti dall’autorizzazione provinciale alla gestione della discarica: conclusione che, peraltro, non consegue, come dovrebbe, ad un’analisi del rifiuto “tal quale” prima del suo conferimento in discarica, bensì all’analisi di un campione del monte rifiuti contenuto nell’invaso dell’impianto, estratto mediante un carotaggio.
Il campione così estratto non è però un rifiuto specifico, bensì una miscela di rifiuti, che potrebbe nel tempo essersi alterata, e non v’è dunque necessaria corrispondenza tra ciò che ha analizzato la Provincia e il rifiuto a suo tempo presentato: circostanza, questa, sulla quale non viene svolta nessuna considerazione nel provvedimento impugnato, emesso perciò travisando i presupposti per la sua emanazione, con carenza di istruttoria e di motivazione.
2.1. Nel secondo motivo di ricorso (violazione dell’art. 2 lett. e della direttiva 99/31/CE; violazione dell’art. 2, lett. e, del d. lgs. 36/2003; violazione dell’art. 1, all. 1 D.M. 471/1999; violazione dell'art. 2, lett. b) del d.m. 471/99; violazione del D.M. 3 agosto 2005, art. 5; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti; carenza di motivazione) si sostiene che, se anche la disciplina in materia di siti contaminati si potesse applicare nella fattispecie, la Provincia ne avrebbe fatto comunque un’ erronea applicazione.
Secondo l’ Amministrazione, invero, un materiale che presentasse valori di concentrazione limite superiori a quelli indicati nella colonna A della tabella 1, allegato 1, al D.M. 471/99 non sarebbe conforme alla vigente definizione di rifiuto inerte – come desumibile dalle norme prima citate - caratterizzato da una percentuale e dunque da una potenzialità inquinante trascurabile.
Ora, la tabella in questione stabilisce i valori di concentrazione limite accettabili riferiti a suolo, sottosuolo e materiali di riporto, il cui rispetto esclude che un sito o un materiale sullo stesso riportato possano essere considerati inquinati, e distingue tra due tipologie di siti, a seconda della destinazione d’uso degli stessi: la colonna A della tabella riporta invero i limiti di concentrazione per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale, la colonna B i limiti di concentrazione per i siti ad uso commerciale e industriale.
2.2. Orbene, secondo la ricorrente, i materiali che, pur non rispettando i livelli in colonna A, osservino quelli di colonna B, “non possono considerarsi contaminati (e contaminanti), ma sono cautelativamente ritenuti non compatibili con destinazioni ad uso verde pubblico, privato e residenziale e del tutto compatibili invece con destinazioni ad uso commerciale e industriale”; solo quelli che superino anche i limiti di colonna B potrebbero ritenersi potenzialmente inquinanti, e non rientrerebbero nella citata definizione di rifiuto inerte.
Così, la prima conseguenza paradossale, oltre che illegittima, della tesi fondante il provvedimento è che in una discarica di rifiuti, sia pure inerti, non potrebbe essere apportato il terreno che pure avrebbe caratteristiche di accettabilità per i siti commerciali e industriali.
Inoltre, ritenendo che gli unici materiali, dotati di una potenzialità inquinante trascurabile, siano quelli di cui alla colonna A, si dovrebbe concludere che il legislatore “abbia deciso di consentire il riporto e l’utilizzo di materiali caratterizzati da non trascurabile capacità inquinante e dunque pericolosi per la salute in una innumerevole tipologia di aree ove si svolgono attività commerciali e produttive con elevata e prolungata presenza umana, anche all’interno delle città”.
Non si vede insomma perché un rifiuto, rispettoso dei limiti di concentrazione di cui alla tabella B, non possa essere conferito in una discarica di rifiuti, sia pur inerti, e nella quale, oltretutto, viene evidentemente svolta un’attività produttiva in senso lato: ed alla stessa conclusione si giunge anche attraverso la lettura dell’art. 5 del d.m. 5 agosto 2005, il quale fa riferimento ai limiti stabiliti nella colonna B(v. sopra, sub 1.2.).
3. Infine - violazione e falsa applicazione dell’art. 1 all. 1 al d.m. 471/99 sotto altro ulteriore profilo - le verifiche analitiche del rispetto dei limiti di cui alla tabella acque sotterranee del D.M. 471/99 sarebbero state effettuate in violazione delle relative procedure di legge.
Secondo tale disciplina, infatti, la prescritta verifica va effettuata eseguendo il test di cessione sulla frazione sopravaglio del materiale da analizzare (cioè su quella frazione granulometrica non passante il vaglio a 2 mm); nella fattispecie, invece, le analisi sarebbero state effettuate su campioni ottenuti tramite frantumazione di tutte le frazioni di materiale campionato, senza distinzione tra sottovaglio e sopravaglio.
4.1. Il giudizio introdotto con il ricorso 2707/05 può essere senz’altro riunito con quello di cui al ricorso 2125/05, stante la loro evidente connessione.
L’esame di quest’ultimo, riguardante un atto che ha comunque cessato di produrre i suoi effetti, può essere utilmente posposto a quello del secondo ricorso, nel quale, come già visto, sono state proposte le questioni dirimenti, e, cioè, se al provvedimento de quo trovi applicazione la normativa introdotta con il d. lgs. 36/03, e, ammesso ciò, quale sia il significato da attribuire alla locuzione “rifiuto inerte”, secondo tale disciplina.
4.2. Orbene, quanto alla prima questione, la Provincia non sembra aver tenuto nel debito conto che, giusta art. 17, I comma, del ripetuto d. lgs. 36/03, le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore dello stesso decreto possono continuare a ricevere i rifiuti per cui sono state autorizzate, entro un termine che, più volte prorogato, è attualmente fissato al 31 dicembre 2007, ex art. 1, comma 184, della l. 27 dicembre 2006, n. 296.
Per vero, l’art. 17, I comma, va letto anzitutto in relazione al successivo II comma, il quale dispone che, fino alla stessa data, “è consentito lo smaltimento nelle nuove discariche, in osservanza delle condizioni e dei limiti di accettabilità previsti dalla deliberazione del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984 … a) nelle discariche per rifiuti inerti, ai rifiuti precedentemente avviati a discariche di Il categoria, tipo A”.
Inoltre, il citato art. 1, comma 184, l. 296/06 dispone bensì che il termine di cui all’articolo 17, I e II comma, del d. lgs. 36/03 è fissato al 31 dicembre 2007, ma soggiunge che tale proroga “non si applica alle discariche di II categoria, tipo A, ex 2A, e alle discariche per rifiuti inerti, cui si conferiscono materiali di matrice cementizia contenenti amianto”.
Ora, se la proroga è esclusa in tale peculiare situazione, ne consegue che, in ogni altro caso (e ciò, naturalmente, sin dall’originaria approvazione dell’art. 17, di cui, sotto questo profilo, la norma citata costituisce fonte d’interpretazione autentica), le discariche di II categoria, tipo A, continuano ad operare in osservanza dei parametri stabiliti dalla deliberazione interministeriale del 1984, cosicchè non ha evidentemente senso fare riferimento ai parametri stabiliti dal d.m. 471/99; e ciò vale altresì per le nuove discariche per inerti, anch’esse disciplinate dallo stesso atto generale del 1984 fino al termine del periodo provvisorio.
4.3. La difesa della Provincia è, in sintesi, che quell’atto generale si limita a prevedere delle categorie di rifiuti, ammissibili nelle discariche di II categorie, tipo A, senza individuare alcun limite di concentrazione di inquinanti: l’Ente sarebbe per questo legittimato a fissare una soglia, che ha desunto dai limiti di cui alla ripetuta colonna A allegata al d.m. 471/99.
Peraltro, è per il Collegio evidente che, in tal modo, la Provincia ha sostanzialmente disapplicato la citata disciplina transitoria interna, la quale ha temporaneamente mantenuto in esercizio le preesistenti discariche, secondo le disposizioni anteriori all’entrata in vigore del d. lgs. 36/03: ovvero, in altre parole, ha imposto, per la discarica di Mareno, regole sui rifiuti inerti a quella inapplicabili e, paradossalmente, non ancora applicabili neppure alle nuove discariche per inerti.
5.1. Ne consegue l’accoglimento del primo motivo di ricorso; ma non si giungerebbe a conclusioni diverse se, per qualsiasi motivo, si volessero trascurare le precedenti considerazioni, e si volesse fare riferimento soltanto al secondo motivo di gravame.
In tal senso, è intanto opportuno ricordare che l’art. 4 del d. lgs. 36/03 divide le discariche tra quelle per rifiuti non pericolosi, pericolosi ed inerti.
A queste ultime – che, in pratica, sostituiscono le preesistenti discariche di II categoria, tipo A, come quella de qua – trova intanto applicazione la definizione di rifiuti inerti, di cui all’ art. 2, I comma, lett. e), dello stesso d. lgs. 36/03, secondo cui sono tali i rifiuti solidi che non subiscono alcuna trasformazione fisica, chimica o biologica significativa; inoltre, la loro “tendenza a dar luogo a percolati e la percentuale inquinante globale dei rifiuti, nonché l’ecotossicità dei percolati devono essere trascurabili e, in particolare, non danneggiare la qualità delle acque, superficiali e sotterranee”.
La disposizione ha trovato poi una prima attuazione nell’art. 2 del d.m. 13 marzo 2003, il cui art. 2 stabilisce che è ammesso il conferimento in discarica per inerti dei rifiuti contenenti le sostanze previste dalla tabella 1, allegato 1 al D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, alle concentrazioni limite per i siti ad uso commerciale ed industriale (cioè, nei limiti di cui alla colonna B); inoltre, sono ammissibili i rifiuti contenenti PCB alle concentrazioni previste dalla tabella 1, allegato 1 allo stesso d.m. 471/99 per i siti ad uso commerciale ed industriale.
5.2. Ora, la disposizione utilizza, come si è visto, la locuzione, secondo la quale il conferimento in discarica per inerti di quei rifiuti “è ammesso”: e la Provincia, nelle sue difese, ne trae la conclusione che quegli stessi rifiuti non sarebbero inerti, ma soltanto agli stessi equiparati.
L’affermazione è però capziosa e non condivisibile: invero, poiché in tali discariche possono essere introdotti soltanto rifiuti inerti, se ne deve concludere che i rifiuti, aventi i caratteri ora considerati, siano da qualificare a tutti gli effetti come inerti, almeno in riferimento alla disciplina introdotta dal d. lgs. 36/03.
Ne consegue dunque che, per presunzione assoluta, si deve ritenere che abbiano una percentuale inquinante trascurabile tutti i rifiuti che rispettano le previsioni di cui al d.m. 13 marzo 2003 e, in seguito, quelle contenute nell’analogo d.m. del 2005: ovvero, per relationem, i limiti di concentrazione stabiliti per i siti ad uso industriale e commerciale dal d.m. 471/99.
5.3. Ciò posto, anche si volesse ammettere che le disposizioni di cui al d. lgs. 36/03 – con le conseguenze che ne derivano – si applichino alla fattispecie, non trova giustificazione la scelta, compiuta dall’Amministrazione provinciale con il provvedimento impugnato, di fissare per gli inerti da smaltire nelle preesistenti discariche di II categoria, tipo A, la soglia stabilita per i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale.
Anzitutto, come osserva la ricorrente, non è ragionevole fissare tale limitazione per una discarica, cioè per una destinazione d’uso del territorio che non ha alcunchè in comune con quelli; essa sarà eventualmente da assimilare ad un uso industriale, ed andrà quindi sottoposta alle stesse regole previste per quest’ultimo.
D’altra parte - e non si vede come avrebbe potuto – la Provincia non sostiene che la discarica di Mareno si trovi in un’area, la quale abbia una delle destinazioni residenziali ricordate: si sostiene invece che essa è ubicata in fascia di ricarica degli acquiferi, in un sito il cui sottosuolo è costituito da ghiaie e dove la falda freatica è posta a circa 4 o 5 metri dal fondo discarica, senza alcuna interposizione di strati a bassa permeabilità.
Tuttavia, quando individua i valori di concentrazione limite nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee, il d.m. 471/99 non fa alcuno riferimento a questi elementi; e, d’altra parte, il legislatore, anche comunitario, nella definizione di rifiuto inerte, usa la locuzione “percentuale inquinante trascurabile” senza dare alcuno spazio a valutazioni fatte in concreto, in relazione alle caratteristiche del sito in cui il rifiuto viene depositato, ad evitare l’arbitrarietà che tali valutazioni possono contenere.
5.4. Sembra allora al Collegio che, la decisione, assunta dalla Provincia di Treviso, di riferirsi alle soglie fissate nella tabella A di cui al d.m. 471/99 sia ingiustificata se non arbitraria, sia riferendosi a principi di adeguatezza e proporzionalità, sia con riguardo alle norme applicabili.
Su quest’ultimo punto, è da sottolineare che, come si è già accennato, l’art. 17 del d. lgs. 36/03, ha sostanzialmente accomunato nella fase transitoria la disciplina delle discariche di II categoria, tipo A, e le nuove discariche per inerti.
Pertanto, dal momento in cui il provvedimento governativo del 1984 non fosse più applicabile alla discariche di II categoria e si dovessero comunque definire delle soglie, queste dovrebbero essere quelle espresse dalla normativa in vigore: in pratica, quelle contenute nel d.m. 13 marzo 2003, e poi quelle espresse nel successivo analogo provvedimento del 2005: norme che, sebbene stabilite per le discariche per inerti, si devono ritenere estese, secondo quanto appena rilevato, anche alle discariche di II categoria proprio per l’equiparazione stabilita per legge.
6. In conclusione, dunque, il ricorso 2707/05 va accolto, mentre per quanto poi riguarda il ricorso 2125/05, ne va riconosciuto fondato almeno il secondo motivo.
Secondo quanto si è fin qui rilevato, e diversamente da quanto l’ordinanza impugnata afferma, nella discarica in questione potevano essere introdotti anche rifiuti che superassero la soglia di cui alla colonna A della tabella 1 del d.m. 471/99: la decisione di sospendere i conferimenti nella discarica, solo perché era stata accertata la presenza di tali rifiuti è dunque senz’altro illegittima.
7. Le spese, compensate per un terzo, attesa la relativa novità della questione, seguono per il resto la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe, previa riunione, li accoglie e, per l’effetto, annulla il decreto 6 giugno 2005, n. 573/49843, del dirigente provinciale del settore gestione del territorio, nonché il decreto 20 settembre 2005, n. 857/2005 del dirigente provinciale del servizio ecologia e ambiente, in epigrafe impugnati.
Compensa per un terzo le spese di lite tra le parti, e condanna l’Amministrazione resistente alla rifusione del residuo, che determina in € 300,00 per spese anticipate – oltre ai contributi unificati versati – ed in € 5.000,00 per diritti, onorari e spese generali, oltre I.V.A. e c.p.a.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio, addì 27 aprile 2007
Il Presidente L’Estensore


il Segretario


SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Terza Sezione