Cass.Pen. Sez. III n. 36579 del 4 settembre 2023 (CC 17 mag 2023)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Comune S.M.C.
Urbanistica.Delibera di acquisizione gratuita opera abusiva al patrimonio comunale e demolizione

A fronte di una deliberazione dell'amministrazione comunale, il giudice dell'esecuzione ha il potere di sindacare la delibera di acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale, e ciò in considerazione della natura eccezionale di una simile situazione rispetto alla demolizione, la quale ordinariamente consegue all'accertamento dell'abuso edilizio, il che impone anche un'interpretazione particolarmente restrittiva circa la sussistenza dei presupposti che legittimano la deliberazione medesima. In presenza di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici all'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio del comune e alla destinazione ad alloggi per edilizia residenziale, ostativi all'esecuzione dell'ordine giurisdizionale di demolizione, il sindacato del giudice dell'esecuzione sull'atto amministrativo, concernendo il carattere attuale e non meramente eventuale di detto interesse, può avere ad oggetto l'esistenza di approfondimenti tecnico-amministrativi inerenti l'immobile che siano indice del fondamento e della specificità della decisione dell'organo comunale, in linea con il necessario coordinamento tra funzioni dell'organo comunale collegiale e valutazioni tecnico amministrative

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 17/1/2023, la Corte di appello di Napoli rigettava l’istanza con la quale il Comune di Santa Maria la Carità, in persona del Sindaco pro tempore, aveva chiesto la revoca, previa sospensione, dell’ordine di demolizione di un immobile emesso con riguardo alla sentenza pronunciata dalla stessa Corte l’11/5/2007, irrevocabile l’11/7/2008.
2. Propone ricorso per cassazione il Comune di Santa Maria la Carità, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
- esercizio da parte del Giudice di una potestà riservata dalla legge ad organi legislativi o amministrativi. La Corte di appello si sarebbe pronunciata non sulla legittimità delle delibere e dei regolamenti emessi dal Comune, ma sul merito degli stessi atti, definiti generici, con evidente “invasione di campo” ed “ingerenza” dell’ambito riservato alla pubblica amministrazione; l’ordinanza, dunque, violerebbe il limite invalicabile del merito dell’atto amministrativo e dell’area di discrezionalità rimessa dalla legge alla piena autonomia dell’organo pubblico. Come affermato anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 7 del 2023), dunque, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo e dovrebbe essere annullato;
- inosservanza o erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. L’ordinanza non avrebbe esaminato affatto il bando di concorso per l’assegnazione di 5 alloggi destinati ad housing sociale, ai sensi della l. r. 6 maggio 2013, n. 5, compreso quello in esame, pur allegato al ricorso; la mancanza di ogni riferimento al riguardo, dunque, si tradurrebbe nella violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. Sotto altro profilo, poi, si evidenzia che qualora – pur in presenza di questo bando – il Comune fosse comunque costretto a demolire l’immobile, si determinerebbe una situazione paradossale: l’amministrazione dovrebbe spendere risorse (da reperire mediante un mutuo) per poi ritrovarsi un suolo incolto e sterile, anziché un immobile da assegnare a famiglie bisognose, peraltro con la prospettiva di incassare il relativo canone di locazione;
- il mancato esame dello stesso bando, infine, sostiene il terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, il cui costrutto logico verrebbe meno con il corretto inserimento del documento trascurato.
L’amministrazione ricorrente ha depositato memoria a data 4/5/2023.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Preliminarmente, la Corte osserva che per la trattazione di questo ricorso non è prevista l’udienza partecipata camerale, diversamente da quanto sostenuto dal difensore del Comune ricorrente nella memoria del 4/5/2023.
L’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., introdotto dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ammette l’udienza camerale partecipata soltanto: a) sui ricorsi per i quali la legge prevede la trattazione con l'osservanza delle forme previste dall'articolo 127; b) sui ricorsi avverso sentenze pronunciate all'esito di udienza in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, a norma dell'articolo 598-bis, salvo che l'appello abbia avuto esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l'applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di pene sostitutive, della sospensione della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Ebbene, l’incidente di esecuzione in oggetto non rientra in alcuna di queste ipotesi, e dunque il ricorso deve essere trattato con rito camerale non partecipato.
3. Nel merito, poi, l’impugnazione risulta manifestamente infondata.
4. Muovendo dal primo motivo, il Collegio osserva che non si riscontra affatto l’”invasione di campo” e l’”esempio di ingerenza” che vengono contestati alla Corte di appello, rispetto alle prerogative assegnate alla pubblica amministrazione.
4.1. L’ordinanza impugnata, infatti, ha innanzitutto eseguito una ricognizione della disciplina interessata (l’art. 1, comma 65, l.r. Campania n. 5 del 2013), in forza della quale “Per favorire il raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 7 della legge regionale 28 dicembre 2009, n. 19 (Misure urgenti per il rilancio economico, per la riqualificazione del patrimonio esistente, per la prevenzione del rischio sismico e per la semplificazione amministrativa), gli immobili acquisiti al patrimonio dei comuni possono essere destinati prioritariamente ad alloggi di edilizia residenziale pubblica, di edilizia residenziale sociale, in base alla legge 22 ottobre 1971, n. 865 (…), nonché dei programmi di valorizzazione immobiliare anche con l'assegnazione in locazione degli immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, o a programmi di dismissione immobiliare”.
4.2. Di seguito, la Corte di appello ha sottolineato che tra i beni ai quali questa disciplina è applicabile rientrano anche quelli acquisiti al patrimonio comunale ai sensi dell’art. 31, comma 5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come quello interessato dal ricorso in oggetto.
4.3. Tanto premesso in punto di diritto, l’ordinanza ha poi richiamato la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le altre, Sez. 3, n. 25824 del 22/5/2013, Mursia, Rv. 257140) – qui da ribadire – in forza della quale la dichiarata esistenza di prevalenti interessi pubblici da parte dell'autorità comunale - sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali - può assumere rilievo ai fini della procedura di esecuzione, risultando revocabile l'ordine di demolizione, anche in tale fase, in tutti i casi in cui esso si ponga in un contesto di incompatibilità rispetto a situazioni sopravvenute, quali, ad esempio, la conformità postuma del manufatto abusivo, la presenza di atti amministrativi incompatibili con la sua esecuzione o la presentazione di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza, in ordine alla quale il giudice dell'esecuzione abbia attentamente valutato i possibili esiti ed i tempi di definizione della procedura.
4.4. Per quanto poi attiene, specificamente, all’eventuale incompatibilità dell'ordine di demolizione con una delibera consiliare che attesti l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, rispetto al ripristino dell'assetto urbanistico violato, la Corte di appello ha ribadito che il provvedimento amministrativo presuppone che tale evenienza sia attuale e non meramente eventuale, non essendo consentito interrompere l'esecuzione penale per un tempo non definito e non prevedibile. In particolare, questa Corte ha affermato che la delibera in questione può ritenersi legittimamente emanata qualora ricorrano le seguenti condizioni: «1) assenza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di costruzione in zona vincolata, assenza di contrasto con interessi ambientali: in quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di una formale deliberazione del consiglio con cui si dichiari formalmente la sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad esempio la destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico, ecc.» (Sez. 3 n. 41339, 6 novembre 2008, Castaldio ed altri, non massimata).
4.5. In forza di queste premesse, il Collegio ribadisce dunque che, a fronte di una deliberazione in tal senso da parte dell'amministrazione comunale, il giudice dell'esecuzione ha il potere di sindacare la delibera di acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale, e ciò in considerazione della natura eccezionale di una simile situazione rispetto alla demolizione, la quale ordinariamente consegue all'accertamento dell'abuso edilizio, il che impone anche un'interpretazione particolarmente restrittiva circa la sussistenza dei presupposti che legittimano la deliberazione medesima (tra le molte, Sez. 3, n. 2582 del 23/5/2018, PM/Russo, Rv. 274817). Con particolare riguardo alla stessa vicenda in esame, poi, questa Corte ha affermato che in presenza di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi pubblici all'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio del comune e alla destinazione ad alloggi per edilizia residenziale, ostativi all'esecuzione dell'ordine giurisdizionale di demolizione, il sindacato del giudice dell'esecuzione sull'atto amministrativo, concernendo il carattere attuale e non meramente eventuale di detto interesse, può avere ad oggetto l'esistenza di approfondimenti tecnico-amministrativi inerenti l'immobile che siano indice del fondamento e della specificità della decisione dell'organo comunale, in linea con il necessario coordinamento tra funzioni dell'organo comunale collegiale e valutazioni tecnico amministrative (Sez. 3, n. 9098 del 15/1/2021, Crescente, Rv. 281478).
4.6. Nella citata sentenza n. 25824/2013 (ripresa, tra le molte, da Sez. 3, n. 38749 del 9/7/2018, PM/Fusco, non massimata), si precisava poi che la situazione particolare che viene a determinarsi in conseguenza della deliberazione comunale, sottraendo l'opera abusiva al suo normale destino, che è la demolizione, presuppone che la valutazione effettuata dall'amministrazione comunale sia estremamente rigorosa e, oltre a rispettare le condizioni indicate dalla giurisprudenza appena richiamata, sia puntualmente riferita al singolo manufatto, il quale va precisamente individuato, dando atto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta, dovendosi escludere che possano assumere rilievo determinazioni di carattere generale riguardanti, ad esempio, più edifici o fondate su valutazioni di natura indeterminata.
4.7. Sotto altro profilo, infine, già è stata censurata la considerazione di ordine economico (inerente al costo delle spese di demolizione) ripresa anche nel ricorso in oggetto, osservando che la stessa non può qualificare l'interesse al mantenimento dell'opera abusiva, dal momento che, ove assunta con criterio di indefettibile interesse pubblico al mantenimento dell'opera, finirebbe per tradursi in fattore di contrasto con l'interesse a demolire, rendendo di fatto inoperante l'art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 8055 del 6/12/2017, Petruolo, non massimata).
5. Richiamata in questi termini la cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento, la Corte rileva allora la assoluta legittimità del provvedimento impugnato, pienamente aderente agli stessi principi: il Giudice di appello, infatti, ha applicato tutti i canoni interpretativi menzionati, ed ha esercitato le proprie (doverose) prerogative giurisdizionali senza alcun indebito esercizio di competenze assegnate in via esclusiva all'organo pubblico. Contrariamente a quanto si legge nel ricorso, infatti, l'ordinanza non ha sindacato il merito politico/amministrativo della delibera n. 28 del 2018 (con la quale il Comune ha disposto l'utilizzo dell'immobile in conformità con la citata l.r. n. 5 del 2013 e del regolamento comunale approvato con delibera n. 6 del 27/2/2015), ma ha soltanto riscontrato che la destinazione del bene ad housing sociale risultava lì indicata in termini del tutto generici: la delibera comunale, invero, doveva ritenersi un atto di indirizzo politico, che – come tale - rimandava a successivi atti amministrativi (anche solo per verificare i presupposti applicativi della legge regionale), di fatto, dunque, rinviando la valutazione dei presupposti di legge ai quali l’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 condiziona la mancata esecuzione della demolizione. In sintesi - con valutazione in fatto, propria del solo giudizio di merito e non sindacabile da questa Corte - il Giudice di appello ha riscontrato una palese genericità dei riferimenti alla futura destinazione dell'immobile, risultando dalla delibera comunale solo “una mera dichiarazione d'intenti priva di attuale concretezza”, con riferimenti sommari alla legge regionale e alla ipotetica destinazione dell'immobile, in assenza di dati univocamente indicativi di una effettiva valutazione specifica del caso concreto.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è manifestamente infondato.
6. Alle stesse conclusioni, di seguito, la Corte giunge anche quanto al secondo e terzo motivo, da esaminare in modo congiunto, che lamentano il mancato esame del bando di concorso per l’assegnazione di alloggi destinati ad housing sociale, compreso quello qui in esame, rilevante proprio nell’ottica della specificità dei provvedimenti amministrativi.
6.1 Sebbene, infatti, la Corte di appello non tratti in modo specifico tale documento, prodotto all’udienza camerale del 17/1/2023, l’esame dello stesso – allegato al ricorso e riscontrato in atti – ne evidenzia l’assenza di data e di firma, a mano o digitale (solo nella copia allegato al verbale del 17/1/2023 è stampato, sul bordo, un protocollo comunale “Partenza n. 1006-2023 del 16-01-2023”, senza chiarimenti ulteriori); ancora, nel ricorso non è indicato nulla quanto alle domande di partecipazione eventualmente pervenute ed alla loro ammissibilità, così come in ordine all’esito del bando stesso. Ne deriva, dunque, l’assoluta inadeguatezza del documento a riscontrare un’effettiva e concreta destinazione del bene a finalità incompatibili con la demolizione, dovendosi pertanto confermare, comunque, le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di appello sulla genericità dei riferimenti offerti dal Comune ricorrente.
7. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17 maggio 2023