Cass. Sez. III n. 4759 del 2 febbraio 2024 (CC 21 dic 2023)
Pres. Galterio Rel. Mengoni Ric. Cascone ed altro
Urbanistica.Illegittimità di interventi anche demolitori finalizzati a rendere sanabile un intervento abusivo
Ammettere lavori - sia pur di demolizione - che modifichino il manufatto abusivo, alterandone significativamente la struttura e riducendone la volumetria, al fine di rendere sanabile, dopo la scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la condonabilità delle opere, ciò che certamente allora non lo sarebbe stato, costituisce un indebito aggiramento della disciplina legale, poiché sposta arbitrariamente in avanti nel tempo il termine finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio, addirittura legittimando ulteriori interventi abusivi. Una tale situazione, inoltre,porta anche ad escludere la sussistenza della necessaria doppia conformità dell’opera alla disciplina urbanistica ed edilizia, poiché la stessa demolizione di una parte del fabbricato evidenzia la mancanza di tale requisito al momento della realizzazione dell’opera.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 9/5/2023, la Corte di appello di Napoli rigettava l’istanza con la quale Domenico Cascone e Virgilia Lanzieri avevano chiesto la revoca dell’ordine di demolizione dell’immobile disposto con la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 24/1/2002, confermata in appello il 16/12/2003 ed irrevocabile il 29/5/2004.
2. Propongono congiunto ricorso per cassazione Cascone e la Lanzieri, deducendo i seguenti motivi, previa ricostruzione della vicenda:
- assoluta contraddittorietà dell'ordinanza impugnata con un atto del procedimento. La Corte di appello avrebbe palesemente contraddetto la propria precedente ordinanza del 6/2/2017 quanto alla mancanza del parere della Soprintendenza: l’altro provvedimento, infatti, avrebbe affermato che l'area interessata dall'abuso non sarebbe stata sottoposta a vincolo archeologico, né all'epoca della costruzione, né a quella del rilascio del permesso di costruire in sanatoria (12/12/2009). L’ordinanza impugnata, pertanto, avrebbe commesso un evidente errore percettivo, non confrontandosi con gli atti del procedimento amministrativo né con il precedente provvedimento emesso dal medesimo Ufficio di appello. Analogamente, quanto al vincolo autostradale, dall'ordinanza del 6/12/2017 emergerebbe che l'ANAS non avrebbe mai sostenuto di non essere in grado di esprimere un parere, manifestando, piuttosto, la possibilità di emetterne uno positivo qualora le opere abusive fossero state realizzate prima dell'istituzione del vincolo autostradale;
- assoluta carenza di motivazione ed inosservanza del combinato disposto di cui agli artt. 24 Cost. e 32, l. 28 febbraio 1985, n. 47. La Corte di appello avrebbe ritenuto ab origine insussistenti i presupposti del permesso in costruire in sanatoria, senza però verificare se il vincolo autostradale fosse stato istituito prima o dopo l'ultimazione dell'abuso. Sotto altro profilo, poi, risulterebbe evidente la lesione dell’art. 24 Cost., in quanto l'emissione del provvedimento impugnato, che ha disapplicato il permesso di costruire in sanatoria, avrebbe impedito alla società Autostrade di emettere un parere, e ai ricorrenti di poter agire in giudizio affinché lo stesso parere fosse esitato favorevolmente; difatti, a fronte dell'approvazione dell'istanza di condono, i ricorrenti non avrebbero mai potuto impugnare alcunché. In quest’ottica, il parziale ripristino dello stato dei luoghi avrebbe costituito l'unico modo per ovviare alla macroscopica lesione del diritto di cui all’art. 24 Cost., non già - come si legge nell'ordinanza - un tentativo di creare ora per allora i presupposti per ottenere il condono.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. I ricorsi risultano infondati.
4. Occorre premettere che la questione in oggetto è stata già affrontata da questa Corte in due occasioni, a distanza di diversi anni: 1) con la sentenza n. 19740 del 14/4/2011, è stata annullata con rinvio l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 14/5/2010, che aveva rigettato l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione; 2) con la sentenza n. 24150 del 29/3/2018, è stato rigettato il ricorso avverso l’ordinanza della stessa Corte di appello del 6/2/2017, emessa in sede di rinvio e con nuovo esito di rigetto dell’istanza proposta dagli odierni ricorrenti. Con l’ultima pronuncia di legittimità, in particolare, è stato affermato che il Giudice di appello – con motivazione del tutto congrua, dunque non censurabile - “esaminando a quali vincoli fosse sottoposta la zona ove è stata realizzata l'opera abusiva, ha premesso che, per la legittimità del titolo in sanatoria (rilasciato dal Comune di Pompei il 14/12/2009, n.d.e.), sarebbe stato necessario il previo rilascio dei pareri-nulla osta della Soprintendenza, in relazione al vincolo paesaggistico, dell'Anas, in relazione al vincolo inerente alla fascia di rispetto autostradale, dell'Autorità comunale stessa, in relazione al rischio idrogeologico. La Corte territoriale ha, quindi, ritenuto che il titolo in sanatoria non potesse considerarsi legittimo sia perché il parere di compatibilità idrogeologica espresso dal Responsabile del Comune non era stato preceduto da adeguata istruttoria in relazione al rischio idrogeologico, sia perché difettava il parere dell'Anas, ente preposto alla tutela del vincolo di inedificabilità concernente la fascia di rispetto autostradale.”
5. Tanto premesso, i ricorrenti hanno successivamente depositato una ulteriore istanza di revoca dell’ordine di demolizione, indicando – quale fatto nuovo - l’intervenuta eliminazione della parte di fabbricato insistente sulla fascia di rispetto autostradale. Ebbene, pronunciandosi con l’ordinanza qui impugnata la Corte di appello, per un verso, ha ribadito l’assenza dei “requisiti strutturali del provvedimento di concessione in sanatoria” (stante la mancanza del parere della Soprintendenza ed il mancato rilascio del nulla-osta da parte della società Autostrade), e, per altro verso, ha trattato della demolizione della porzione di fabbricato che invadeva la fascia di rispetto, ritenendola argomento insufficiente per la revoca dell’ordine.
5.1. Così sinteticamente richiamato il contenuto del provvedimento impugnato, il Collegio rileva che la Corte di appello si sarebbe dovuta pronunciare soltanto su questo secondo profilo, con l’ordinanza del 9/5/2023, in quanto le ulteriori questioni trattate – relative alla sussistenza ed alla applicabilità dei vincoli – erano state ormai definite con la sentenza di questa Corte n. 24150 del 2018; la loro mera reiterazione, in assenza di elementi di novità, avrebbe dunque imposto la dichiarazione di inammissibilità della nuova richiesta, in parte qua, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
5.2. Per lo stesso motivo, dunque, i ricorsi in esame sono inammissibili proprio laddove contrastano l’ordinanza con riguardo alla natura e alla operatività dei vincoli, sostenendo che la Corte di appello avrebbe contraddetto il proprio precedente del 6/2/2017 (che avrebbe escluso l’esistenza di vincoli paesaggistici comportanti l’inedificabilità assoluta dell’area) o che avrebbe erroneamente ritenuto che la società Autostrade avesse affermato di non poter rilasciare il nulla-osta (che, per contro, avrebbe richiamato la necessità di verificare l’epoca di realizzazione dell’abuso rispetto al vincolo); questi argomenti – si ribadisce – hanno avuto definizione nella precedente pronuncia di legittimità, e la loro ulteriore promozione da parte dei ricorrenti, in assenza di elementi novità, deve essere dichiarata inammissibile.
6. Affrontando, quindi, l’unico novum sottoposto al Giudice dell’esecuzione, ossia la demolizione della parte di fabbricato che invadeva la fascia di rispetto autostradale, il Collegio osserva che l’ordinanza impugnata non merita censura. La Corte di appello, in particolare, ha richiamato la costante giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021, Medusa, non massimata) secondo cui il chiaro tenore dell’art. 39, l. 23 dicembre 1994, n. 724, consente la sanatoria delle sole opere ultimate che possedessero, alla data indicata del 31/12/1993, i requisiti da essa previsti, non essendo ovviamente consentito intervenire successivamente sugli immobili abusivi per renderli conformi alla disciplina in parola. Le uniche possibilità di successivo intervento sugli stessi, non incompatibili con la sanatoria, sono quelle previste dall'art. 35, comma 14, l. 28 febbraio 1985, n. 47 (che disciplina modesti lavori di rifinitura delle opere abusive) e dall'art. 43, quinto comma, della stessa legge, che consente le opere strettamente necessarie a rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati completati per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali (per analoghi rilievi cfr., nella giurisprudenza amministrativa, Cons. St., sent. n. 665 del 01/02/2018). Ebbene, il Giudice dell’esecuzione – con argomento in fatto non censurabile (e non contestato) – ha rilevato che nessuna di queste ipotesi ricorreva nel caso di specie, ed i ricorsi non contestano tale conclusione.
6.1. Ancora, e sempre in adesione alla giurisprudenza di legittimità, la stessa ordinanza ha ben evidenziato che ammettere lavori - sia pur di demolizione - che modifichino il manufatto abusivo, alterandone significativamente la struttura e riducendone la volumetria, al fine di rendere sanabile, dopo la scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la condonabilità delle opere, ciò che certamente allora non lo sarebbe stato, costituisce un indebito aggiramento della disciplina legale, poiché sposta arbitrariamente in avanti nel tempo il termine finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio, addirittura legittimando ulteriori interventi abusivi.
6.2. Sotto altro profilo, poi, si osserva che il permesso di costruire in sanatoria è stato rilasciato dal Comune di Pompei non solo ai sensi della l. 724 del 1994 (su istanza della Lanzieri), ma anche dell’art. 35, l. n. 47 del 1985 (su istanza del Cascone), con necessità di verifica, dunque, anche della doppia conformità dell’opera alla disciplina urbanistica ed edilizia; ebbene, la stessa circostanza che i ricorrenti abbiano demolito una parte del fabbricato evidenzia la mancanza di tale requisito al momento della realizzazione dell’opera.
6.3. Riportato in questi termini il contenuto dell’ordinanza in punto di novum, si osserva che i ricorsi non si confrontano affatto con questi argomenti, neppure citati, ma si limitano a sostenere – con mero argomento ipotetico, evidentemente inammissibile - che il parziale ripristino dello stato dei luoghi costituirebbe “l’unico modo per ovviare alla macroscopica lesione del diritto costituzionale di cui all’art. 24 Cost.” (che deriverebbe dal fatto che la disapplicazione del permesso di costruire avrebbe impedito ai ricorrenti di impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto).
7. I ricorsi, pertanto, debbono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2023