Cass. Sez. III n. 32955 del 8 settembre 2010 (Cc. 28 apr. 2010)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Kanchan
Urbanistica. Lottizzazione abusiva e responsabilità venditore e acquirente
Con riferimento al reato di lottizzazione abusiva, il venditore non può predisporre l’alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell’acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona: Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinarne contributo causale all‘attività illecita del venditore. Va ricordato inoltre, al riguardo, che, qualora si ritenesse che il piano regolatore generale abbia natura di strumento normativo ovvero di atto amministrativo generale sostanzialmente normativo, si determinerebbe una presunzione legale di conoscenza ed il dovere legale di conoscenza esclude, per definizione, la possibilità di invocare l’ignoranza incolpevole (fattispecie relativa alla realizzazione di "borghetti agricoli")
UDIENZA del 28.4.2010
SENTENZA N. 673
REG. GENERALE N.44622/09
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Ernesto Lupo Presidente
Dott. Alfredo M. Lombardi Consigliere
Dott. Aldo Fiale Consigliere rel.
Dott. Luigi Marini Consigliere
Dott. Giulio Sarno Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
KANCHAN Araya, nata il 17.4.1966
- avverso l'ordinanza 29.12.2008 del Tribunale di Roma
- Visti gli atti, la ordinanza impugnata ed il ricorso
- Udita, in camera di consiglio, la relazione fatta dal Consigliere dr. Aldo FIALE
- Udite le richieste del Pubblico Ministero, dr. Giovanni D'ANGELO, il quale ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata
FATTO E DIRITTO
Il Tribunale di Roma - con ordinanza del 29.12.2008 (depositata l'8.1.2009) - rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di Kanchan Araya avverso il decreto 20.10.2008 con cui il G.T.P. del Tribunale di Tivoli aveva disposto il sequestro preventivo di alcuni villini facenti parte del c.d. "borghetto n. 14" sito in agro del Comune di Riano, adottando tale misura di cautela reale in relazione agli ipotizzati reati di cui:
a) agli artt. 30 e 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001, per avere - quale sub acquirente - concorso nella lottizzazione abusiva di un'area ubicata in Comune di Riano (Roma). Ciò in quanto - su area ricadente nella zona E) [agricola] regolata dall'art. 34 delle NTA della variante di aggiornamento del PRG per la salvaguardia del territorio, approvata dalla Regione Lazio con DGR n. 5842 del 14/12/1999, nella quale é consentita la sola edificazione correlata all'attività agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole e dove e altresì prevista, a specifiche e tassative condizioni, la possibilità di accorpamento della cubatura in "borghetti agricoli" o "atelier d'artista" - veniva effettuata la realizzazione di costruzioni che, sebbene qualificate nei titoli abilitativi come borgo agricolo previsto dal PRG, mancavano di ogni presupposto diretto, connesso e dipendente dal processo di coltivazione agricola dei terreni, configurandosi, al contrario, come un complesso residenziale completamente avulso da tale processo, sicché veniva in tal modo conferito al territorio un assetto urbanistico differente da quello pianificato, in violazione agli strumenti pianificatori, determinandosi una definitiva trasformazione dell'area da agricola a residenziale;
b) all'art. 44, left. b) D.P.R. n. 380\2001, perché gli interventi dianzi descritti venivano eseguiti in assenza del possesso del prescritto permesso di costruire o di altro valido titolo abilitativo, stante l'illegittimità di quello rilasciato (intervento lottizzatorio ultimato tra il 2006 ed il 6.12.2007).
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell'anzidetta indagata (acquirente di due unità immobiliari facenti parte del "borghetto agricolo n. 14"), il quale ha eccepito che:
- la Kanchan, quale mera acquirente degli immobili, sarebbe "estranea al reato di lottizzazione" ed avrebbe agito "in assoluta buona fede", avendo fatto razionale affidamento nella concessione edilizia rilasciata e nella professionalità del notaio stipulante gli atti di vendita;
- non sarebbe ravvisabile il preteso "periculum in mora", in relazione all'art. 321, 1° comma, c.p.p., perché non potrebbe ipotizzarsi alcun pericolo "concreto ed attuale" di aggravamento delle conseguenze dannose del reato (tenuto anche conto di quanto argomentato dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza 20.3.2003, n. 12878).
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Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
1. Gli aspetti essenziali della vicenda
1.1 La vicenda che ci occupa si inquadra nella complessiva realizzazione, in territorio agricolo del Comune di Riano, di 16 "borghi rurali" composti da circa 100 villini, alcuni dei quali "a schiera".
In detto territorio sono state rilasciate concessioni edilizie per edifici riuniti in borghetti agricoli ed atelier per artisti, che dovevano essere connessi allo sviluppo agricolo dell'agro romano; risultano realizzati, invece, fabbricati residenziali in nessun modo ricollegabili all'attività agricola ed allo sviluppo agricolo anzidetto, poi venduti a soggetti non addetti all'agricoltura.
Quanto al c.d. "borghetto n. 14 (borgo agricolo e villaggio per artisti)", sono state costruite n. 9 ville a schiera e risultano accatastati, con atto del 16.7.2007, n. 9 unità abitative di categoria A7 ed i relativi locali C6: immobili venduti a soggetti non addetti all'agricoltura.
Gli edifici, alla data dell' 11.2.2008, risultavano "in fase di rifinitura" ed erano ancora da realizzare tutte le opere inerenti la viabilità, le strade interne di smistamento, le recinzioni di divisione dei vari fabbricati e gli impianti di illuminazione esterna.
Gli edifici medesimi sono stati concepiti per essere adibiti a villini residenziali; essi sono stati localizzati in ambito ben delineato ed è stato predisposto un sistema viario che disimpegna in modo autonomo le singole unità immobiliari. Nella tipologia edilizia non vi è alcuno spazio destinato ad attività agricola, che possa far presupporre un qualsiasi rapporto di chi vi abita con detta attività legittimante l'edificazione medesima.
Sebbene sia stato stipulato atto d'obbligo di vincolo del terreno, le vendite effettuate riguardano i singoli villini ed una limitata area rispettivamente circostante, con scorporo di fatto di tali ridotte estensioni territoriali compravendute da quelle necessarie per legittimare l'edificazione della residenza agricola, senza il rispetto del lotto minimo e del rapporto plano-volumetrico connesso all'indice fondiario.
1.2 Alla stregua degli elementi di fatti dianzi compendiati, il G.I.P. ed il Tribunale del riesame hanno ritenuto che le costruzioni poste in essere, sebbene autorizzate come borgo agricolo e villaggio per artisti previsto dal P.R.G. - mancando ogni presupposto diretto, connesso e dipendente dal processo di coltivazione agricola dei terreni e viceversa integrando un complesso residenziale completamente avulso da tale processo - hanno conferito un assetto urbanistico differente alla porzione di territorio preso in esame, in violazione agli strumenti pianificatori, concretizzando sostanzialmente un cambio della destinazione di zona, definitivamente trasformata da agricola in residenziale.
1.3 Per quanto riguarda, poi, le singole responsabilità, il Tribunale per il riesame ha osservato che:
- era nota e chiara a venditori ed acquirenti la destinazione agricola dell'area interessata dagli interventi edificatori;
- tutti i soggetti coinvolti, anche i sub-acquirenti, avevano la possibilità di verificare tale destinazione attraverso il semplice esame del certificato di destinazione urbanistica ed è impensabile che, anche chi sia completamente ignorante in materia, possa ritenersi in buona fede allorquando vada ad acquistare una villa o un appartamento in un'area classificata come destinata ad usi prevalentemente agricoli. Nel caso in esame, peraltro, la stessa individuazione degli insediamenti come "borghetti agricoli" e "atelier d'artista" avrebbe dovuto indurre sospetti negli acquirenti.
1.4 Nel presente procedimento la ricorrente non contesta la configurabilità del "fumus" del reato di lottizzazione abusiva.
2. I possibili soggetti attivi nel reato di lottizzazione abusiva
Il reato di lottizzazione abusiva - secondo concorde interpretazione giurisprudenziale - nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purché ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo.
La lottizzazione abusiva negoziale - in particolare - ha carattere generalmente plurisoggettivo, poiché in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale.
La condotta dell'acquirente, in particolare, non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perché anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quello [vedi Cass., Sez. Unite, 27.3.1992, n. 4708, ric. Fogliari] e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione [vedi, sul punto, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana ed è per la violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica].
L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento - o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.
Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli acquirenti, li convincono della legittimità delle operazioni [vedi Cass., Sez. II: 22.5.1990, Oranges e 26.1.1998, Cusimano].
Neppure l'acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola qualità, allorché si consideri che l'utilizzazione delle modalità dell'acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale [vedi Cass., Sez. III, 8.11.2000, Petracchi].
3. L'elemento soggettivo della contravvenzione di lottizzazione abusiva.
Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza del 3.2.1990, ric. Cancilleri - avevano affermato che il reato di lottizzazione abusiva si configura come una contravvenzione di natura esclusivamente dolosa, "per la cui sussistenza é necessario che l'evento sia previsto e voluto dal reo, quale conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria diretta a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale".
Tale interpretazione, però, è ormai definitivamente superata da plurime successive sentenze di questa III Sezione con argomentazioni alle quali (per economia di esposizione) si rinvia e che il Collegio pienamente condivide.
In dette decisioni è stato in conclusione rilevato che, dopo che le Sezioni Unite - con la sentenza 28.11.2001, Salvini - hanno riconosciuto (in perfetta aderenza, del resto, al testuale dettato normativo) che il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, risulta ad evidenza contraddittorio escludere (alla stessa stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale sia materiale, possa essere commessa per colpa [vedi Cass., Sez. III: 13.10.2004, n. 39916, Lamedica ed altri; 11.5.2005, Stilli ed altri; 10.1.2008, Zortea; 5.3.2008, n. 9982, Quattrone; 26.6.2008, Belloi ed altri].
Deve ribadirsi, pertanto, che non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42, 4° comma, cod. pen.
Il venditore, come si è detto, non può predispone l'alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatone di zona: "Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore" [così testualmente Cass., Sez. III, 26.6.2008, Belloi ed altri].
Va ricordato inoltre, al riguardo, che, qualora si ritenesse che il piano regolatore generale abbia natura di strumento normativo ovvero di atto amministrativo generale sostanzialmente normativo, si determinerebbe una presunzione legale di conoscenza ed il dovere legale di conoscenza esclude, per definizione, la possibilità di invocare l'ignoranza incolpevole.
Nel caso in questione - comunque - il Tribunale del riesame non ha ravvisato (allo stato) la buona fede della acquirente.
4. Il contestato pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato (art. 321, 1° comma, c.p.p.)
La vicenda che ci occupa appare inerire ad un imponente fenomeno speculativo che ha un forte impatto sul territorio, sotto il profilo dell'assetto urbanistico di esso, in quanto pregiudica le autonome scelte della programmazione edificatoria e condiziona la pubblica Amministrazione nell'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
In raffronto agli anzidetti beni tutelati e suscettibili di compromissione deve essere valutata - conseguentemente - la situazione di pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, che l'adozione del sequestro preventivo é finalizzata ad impedire.
Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte Suprema, oggetto del sequestro preventivo di cui al primo comma dell'art. 321 c.p.p. può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti [vedi Cass.: n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992].
Nella specie - tenuto conto dei criteri direttivi generali enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza 29.1.2003, n. 2, Innocenti - risulta adeguatamente e razionalmente evidenziata la concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici protetti, poiché il godimento e la disponibilità attuale degli immobili implica una effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati in quanto:
- appare evidente l'aggravamento del c.d. carico urbanistico (sotto i profili del necessario adeguamento dell'urbanizzazione primaria e secondaria), costituendo ogni singolo villino parte di un complesso edilizio residenziale realizzato ex novo, che va integrato con l'aggregato urbano preesistente;
- a fronte di un insediamento non più agricolo ma residenziale, si impone il rispetto dei diversi e maggiori standards correlati alle residenze dall'art. 3 del D.M. n. 1444/1968 e la esigenza di reperimento delle relative aree da parte dell'Amministrazione comunale;
- si pone, per il Comune, la necessità di provvedere ad una nuova complessiva organizzazione del proprio territorio (da attuarsi, in sede di ripianificazione, con il coordinamento delle varie destinazioni d'uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con l'assegnazione ad ogni singola destinazione d'uso di determinate qualità e quantità di servizi).
Inoltre nel borghetto in oggetto gli edifici, alla data dell' 11.2.2008, risultavano "in fase di rifinitura" ed erano ancora da realizzare tutte le opere inerenti la viabilità, le strade interne di smistamento, le recinzioni di divisione dei vari fabbricati e gli impianti di illuminazione esterna.
La persistente disponibilità dei beni comporta, dunque, perduranti effetti lesivi dell'equilibrio urbanistico ed ambientale e non costituisce "un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività" nel senso illustrato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12878/2003.
In relazione alle misure di cautela reale deve ritenersi preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi [vedi Cass., Sez. Unite, 25.3.1993, n. 4] e la eventuale carenza dell'elemento soggettivo del reato può essere valutata soltanto allorquando emerga ictu oculi in modo macroscopico ed evidente e si riverberi sulla componente materiale, incidendo sulla configurabilità stessa del reato.
Alla stregua di detto principio il Tribunale - tenuto conto dei limiti della cognizione ad esso demandata nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro [vedi Cass., Sez. Unite, 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi] - non era tenuto a verificare la sussistenza di situazioni di "buona fede" che non risultassero immediatamente evidenti.
Nella specie comunque, come già si è evidenziato, la pretesa buona fede della ricorrente non é stata affermata e, dalle prospettazioni difensive, non é immediatamente deducibile una condizione di ignoranza incolpevole circa la corretta destinazione urbanistica degli immobili da lei acquistati.
5. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ovviamente ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie argomentazioni della ricorrente non valgono ad escludere la configurabilità del "fumus" delle contravvenzioni contestate ed il ravvisato "periculum in mora".
Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p.,
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28.4.2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA l'8 sett. 2010