Cass. Sez. III n. 36844 del 22 settembre 2009 (Ud. 9 lug. 2009)
Pres. Onorato Est. Lombardi Ric. Contò
Urbanistica. Lottizzazione abusiva e terzi acquirenti

La confisca prevista per il reato di lottizzazione abusiva costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza penale di natura patrimoniale. La natura amministrativa di detta confisca non ne esclude, però, il carattere sanzionatorio con la conseguente necessità di tener conto dei principi generali che regolano l‘applicazione anche delle sanzioni amministrative. Orbene, è indubbio che anche con riferimento alle sanzioni amministrative esulano dalla materia criteri di responsabilità oggettiva, essendo richiesta, quale requisito essenziale di legalità per la loro applicazione, l’esistenza di una condotta che risponda ai necessari requisiti soggettivi della coscienza e volontà dell’agente e sia caratterizzata quanto meno dall’elemento psicologico della colpa. Né la confisca di cui si tratta può essere ricondotta ad alcuna delle ipotesi di responsabilità solidale. L’acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto, cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell’adempimento dei doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un’operazione di illecita lottizzazione. Quando, invece, l’acquirente sia consapevole del carattere abusivo dell’intervento - o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio. (di analogo contenuto Sez. III n. 36845 del 22 settembre 2009, Colelli)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio

Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 09/07/2009

Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - N. 1010

Dott. MARMO Margherita - Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere - N. 10192/2009

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Avv. Managò Antonio, difensore di fiducia di Contò Elena, n. a Bressanone il 2.2.1970;

avverso l'ordinanza in data 15.1.2009 del Tribunale di Roma, con la quale è stato confermato il sequestro preventivo di un immobile disposto dal G.I.P. del Tribunale di Tivoli in data 22.12.2008;

Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;

Visti gli atti, la ordinanza denunziata ed il ricorso;

Udito il P.M. in persona del Sost. Procuratore Generale, Dott. Di Popolo Angelo, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza e la restituzione di quanto in sequestro all'avente diritto;

Udito il difensore Avv. Managò Antonio che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO

Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Roma ha confermato il decreto di sequestro preventivo di numerosi immobili emesso dal G.I.P. del Tribunale di Tivoli in data 22.12.2008 nell'ambito del procedimento penale a carico di Sarmati Flavio, Sarmati Paolo, Sarmati Cristina e Tocci Serafina, indagati dei reati: A) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c); B) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c); C) di cui al D.Lgs n. 42 del 2004, art. 181 del; D) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 83, 93, 94 e 95; E) di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71 e 72.

Il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistente il fumus dei reati oggetto di indagine con particolare riferimento a quello di lottizzazione abusiva in base alla ricostruzione della vicenda giuridica e fattuale che ha interessato le aree oggetto di interventi edilizi.

In sintesi si è osservato sul punto che i predetti Sarmati e la Tocci avevano effettuato una serie permute di particelle di terreno agricolo, venendo così in possesso, ognuno di loro, di una estensione di terreno di complessivi 10.000 mq. e in relazione ad ognuna di esse avevano chiesto, singolarmente, permessi di costruire, rilasciati dal Comune di Canepa nel 2001, per la realizzazione, su ciascuna porzione di terreno, di un edificio per civile abitazione ed un annesso fabbricato agricolo. Successivamente e contemporaneamente, il 3.7.2003, i predetti indagati avevano depositato presso il Comune di Canepa denunce di inizio attività, ai sensi della L. n. 662 del 1996, afferenti a lavori di modificazioni interne degli edifici realizzati, senza alterazione delle volumetrie, ne' modifiche prospettiche.

In seguito, ed ancora una volta contemporaneamente il 10.12.2004, gli indagati avevano presentato domande di definizione degli illeciti edilizi commessi, afferenti prevalentemente al cambio di destinazione d'uso degli immobili realizzati.

A Sarmati Flavio, in relazione alle domande di condono da lui presentate, venivano rilasciati, in data 13.11.2006, due permessi di costruire in sanatoria per ampliamento e variazione d'uso a fini residenziali degli immobili realizzati.

Era stato inoltre accertato in punto di fatto, mediante la consulenza tecnica disposta dal P.M., che gli indagati avevano realizzato quattro corpi di fabbrica con destinazione residenziale trifamiliare, altri quattro corpi di fabbrica, di cui tre con destinazione residenziale bifamiliare, e uno con destinazione residenziale monofamilare per complessive 19 unità residenziali, il tutto in zona E con destinazione agricola; che in detta zona è consentita solo la costruzione degli immobili necessari per la conduzione agricola e, quindi, con il limite di edificabilità dello 0,03 per i manufatti ad uso abitativo e dello 0,04 per quelli connessi strumentalmente alla attività agricola, nonché è preclusa la possibilità di procedere alla lottizzazione dei suoli.

Sulla base delle citate risultanze delle indagini, come già rilevato, i giudici del riesame hanno ritenuto sussistente il fumus del reato di lottizzazione abusiva posta in essere sia mediante atti negoziali che mediante attività materiale di natura edificatoria. L'ordinanza ha inoltre ritenuto sussistenti le esigenze cautelari che giustificano l'adozione della misura reale, sia per essere stato disposto il sequestro anche ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, al fine di assicurare l'esecuzione della confisca degli immobili, obbligatoriamente prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, sia in considerazione dell'aggravio del carico urbanistico determinato dall'uso degli immobili, dandosi, però, atto che l'attività lottizzatoria risultava ultimata mediante la vendita di tutte le unità abitative ad eccezione di tre rimaste nella disponibilità degli indagati.

L'ordinanza ha inoltre respinto le argomentazioni dell'istante per il riesame, con le quali era stata dedotta la propria estraneità alla commissione del reato, nonché la posizione di terzo in buona fede, in quanto acquirente di una singola unità abitativa successivamente all'avvenuto rilascio del titolo edilizio in sanatoria. Sul punto i giudici del riesame hanno affermato che la confisca prevista dalla disposizione citata costituisce una sanzione amministrativa ripristinatoria, avente natura reale, sicché la stessa trova applicazione anche a carico dei beni del terzo estraneo al reato, che potrà eventualmente far valere i propri diritti in sede civile nei confronti del proprio dante causa, dovendosi attribuire prevalenza all'interesse pubblico alla programmazione ed al governo del territorio su quello del terzo estraneo in buona fede. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso il difensore della Contò, che la denuncia per violazione di legge.

Con un primo mezzo di annullamento la ricorrente denuncia la carenza assoluta di motivazione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 125 c.p.p.. Si deduce che in sede di riesame era stata dedotta la assoluta carenza di motivazione del decreto impositivo della misura cautelare, sia con riferimento al fumus commissi delicti, che al periculum in mora; che tale carenza motivazionale non è stata affatto integrata dall'ordinanza del tribunale del riesame, che, con particolare riferimento alle esigenze cautelari, si è limitato ad utilizzare formule di stile, quale quella del "grave pregiudizio dell'assetto territoriale" e dell'aggravio del carico urbanistico" ovvero l'esigenza di garantire la confisca obbligatoria.

Si deduce inoltre che non si è tenuto conto delle deduzioni con le quali l'istante per il riesame aveva dimostrato la propria posizione di soggetto estraneo alla commissione dei reati, che non ha apportato alcuna modificazione all'immobile acquistato, ed era assolutamente in buona fede.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 321 c.p.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, comma 2, art. 7 del CEDU, art. 3 Cost., art. 25 Cost., comma 2, art. 27 Cost., comma 1, artt. 97, 11 e 117 Cost.. Si osserva che tramite l'analitica ricostruzione della vicenda edificatoria e giuridica riportata nell'ordinanza è emersa con certezza la posizione della Contò di terzo estraneo alla commissione dei reati ed in buona fede, per avere ella acquistato in data 24.7.2008 la porzione di uno dei villini sotto sequestro da tale Nori Sandro, a sua volta acquirente dell'immobile da Sarmati Flavio con atto del 25.1.2006; che, in particolare, all'atto dell'acquisto dell'immobile da parte della ricorrente erano stati sanati gli ampliamenti e le variazioni d'uso con destinazione residenziale, effettuati precedentemente, in base al permesso di costruire in sanatoria n. 326/06, rilasciato il 13.11.2006. Si deduce, quindi che la Contò aveva acquistato un immobile già ad uso residenziale per il quale la pubblica amministrazione, nel concedere i provvedimenti di sanatoria, aveva effettuato una valutazione di compatibilità del medesimo con i fini di pianificazione urbanistica e di assetto del territorio. In sintesi, nel prosieguo del motivo di gravame si contesta che la pubblica amministrazione possa prima effettuare una valutazione di compatibilità dell'attività edilizia con l'assetto urbanistico del territorio e successivamente modificare i propri intendimenti nei confronti di soggetti che avevano fatto affidamento in buona fede sui provvedimenti adottati.

Si deduce che la confisca deve essere considerata, in applicazione dell'art. 7 della CEDU, in ogni caso, una sanzione, che, sia essa di natura penale, sia amministrativa, non può colpire soggetti che non hanno commesso alcun illecito; che un sistema sanzionatorio non può essere applicato in base a criteri di responsabilità oggettiva; che le esigenze di tutela del territorio non possono determinare la compressione del diritto di proprietà, anche esso costituzionalmente garantito, senza la corresponsione di misure indennitarie nei confronti del privato.

Si osserva, infine, che tali principi di diritto sono stati fatti propri da una recente pronuncia di questa Suprema Corte, cui il Tribunale del riesame non ha ritenuto di adeguarsi, ed erano stati in precedenza già in parte enunciati in un ordinanza della Corte di Appello di Bari, che ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2.

Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

Osserva preliminarmente la Corte che non sussiste la nullità del provvedimento impugnato denunciata con il primo motivo di gravame. È noto che, ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 324 c.p.p., comma 7, e art. 309 c.p.p., comma 9, al tribunale del riesame è attribuito un ampio potere di integrazione della motivazione del provvedimento che ha applicato la misura cautelare, allorché la stessa risulti carente, potendo essere confermata la impugnata ordinanza anche per ragioni diverse da quelle enunciate nella medesima (cfr. 3, 4.11.1997 n. 3131, Tazzini, RV 209633; conf. sez. 1, 200329373, Bosi, RV 225043 ed altre).

Orbene, si palesa evidente il carattere assolutamente esaustivo della motivazione dell'ordinanza del Tribunale del riesame sia in punto di affermazione della sussistenza del fumus commissi delicti, che delle esigenze cautelari, sicché a nulla rilevano eventuali carenze motivazionali del provvedimento impositivo del sequestro. Va ancora osservato, in via preliminare, che la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, di cui risultano indagati i Sarmati e la Tocci, non ha formato oggetto di contestazione da parte della ricorrente e, peraltro, gli elementi costitutivi di tale fattispecie emergono con particolare evidenza dalla ricostruzione della vicenda edificatoria contenuta nell'ordinanza del Tribunale del riesame, come descritta in narrativa, concretizzatasi nella realizzazione di numerosi fabbricati ad uso residenziale in contrasto con la destinazione agricola attribuita dagli strumenti urbanistici locali all'area di ubicazione degli immobili.

Va solo puntualizzato in ordine ad alcuni rilievi della ricorrente che in base alla normativa attualmente vigente il rilascio del permesso di costruire non è frutto della valutazione discrezionale della pubblica amministrazione circa la compatibilita del manufatto che ne è oggetto con l'assetto urbanistico del territorio, ma consegue esclusivamente all'accertamento tecnico della rispondenza della richiesta del privato con le previsioni degli strumenti urbanistici locali.

Tale accertamento, pertanto, è suscettibile del più ampio controllo in sede giurisdizionale.

Invero, la competenza a rilasciare il permesso di costruire è demandata dalla legge agli uffici tecnici ovvero allo sportello unico per l'edilizia (D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447), mentre i criteri di discrezionalità amministrativa operano esclusivamente in materia di adozione degli strumenti urbanistici.

Sicché l'unica questione meritevole di particolare esame dedotta dalla ricorrente è quella concernente la suscettibilità di confisca degli immobili oggetto di lottizzazione abusiva in danno del terzo estraneo alla commissione del reato, di cui sia accertata la buona fede.

Sul punto questa Suprema Corte non può che ribadire il più recente indirizzo interpretativo di cui alla massima, secondo la quale "In tema di reati edilizi ed urbanistici, la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite non deve essere disposta nei confronti dei soggetti estranei alla commissione del reato e venuti in buona fede in possesso del terreno o dell'opera edilizia oggetto di abusiva lottizzazione". (sez. 3, 24.10.2008 n. 42741, Silvioli ed altri, RV 241703).

Con la citata sentenza la Suprema Corte si è discostata dal precedente indirizzo interpretativo, nel caso in esame fatto proprio dal tribunale del riesame, secondo il quale la confisca obbligatoria ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, può essere eseguita anche nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato e venuti in possesso in buona fede dell'immobile.

Si è osservato in detta pronuncia che "Il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, ripetendo testualmente il dettato normativo di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 19, prevede che il giudice penale, il quale accerti che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere costruite abusivamente.

Non appare dubbio che la norma, per la sua formulazione generica, disancorata da qualsiasi riferimento al tipo di procedimento penale attraverso il quale viene accertata l'esistenza della lottizzazione abusiva ed alla individuazione dei soggetti passivi della misura ablatoria patrimoniale, presenta rilevanti problemi interpretativi e suscita dubbi di legittimità costituzionale quale conseguenza di una sua applicazione indiscriminata.

Si palesa rilevante sul punto la recente decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo, adottata in data 30.8.2007, che, con riferimento alla questione proposta dalla ricorrente Sud Fondi S.r.l., in ordine proprio alla compatibilità della confisca ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, con l'art. 7 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, che stabilisce il principio di legalità in materia penale, ha affermato, sia pure con decisione interlocutoria in ordine alla ricevibilità del ricorso, che detta confisca ha natura di pena ai sensi del citato art. 7 della citata Convenzione. In ordine a detta pronuncia è opportuno osservare che l'ambito di applicazione dell'art. 7 della Convenzione non coincide necessariamente, secondo l'interpretazione della Corte europea, con gli illeciti e le sanzioni qualificati come penali in base al diritto interno dei singoli Stati, poiché finisce col ricomprendere tutte le norme e le misure considerate "intrinsecamente penali". Inoltre, la Corte Costituzionale con sentenza 22.10.2007 n. 348 ha affermato che, in applicazione dell'art. 117 Cost., comma 1, come sostituito dall'art. 3 della Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, le norme CEDU, nell'interpretazione ad esse data dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, devono ritenersi sopraordinate alle leggi ordinarie, quali norme di rango intermedio rispetto a quelle costituzionali.

Tali norme, pertanto, costituiscono anche esse parametri di riferimento per valutare la legittimità delle leggi ordinarie. Orbene, pur tenendo presenti tali premesse, il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall'ormai consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, secondo il quale la confisca prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza penale di natura patrimoniale (cfr. sez. 3, 4.10.2004 n. 38728, Lazzara, RV 229608; sez. 3, 22.9.2004 n. 37086, Pemiciaro, RV 230032; sez. 3, 16.5.1999 n. 777, Iacoangeli, RV 214058 ed altre).

Si tratta, invero, di sanzione che viene emessa dal giudice penale in via di supplenza, sia pur autonomamente, rispetto all'analoga misura emessa dall'autorità amministrativa e ne condivide la natura. Infatti, della sostanziale diversità di tale misura ablatoria da quella di sicurezza patrimoniale di natura penale costituisce segno evidente il fatto che, in applicazione di quest'ultima, l'immobile confiscato entra a far parte del patrimonio dello Stato, mentre a seguito della confisca prevista dal testo unico in materia di edilizia ed urbanistica l'immobile entra a far parte del patrimonio dell'ente locale.

Detta confisca inoltre, a differenza della misura di sicurezza patrimoniale penale, è suscettibile di revoca, nel caso di sanatoria dell'illecito amministrativo mediante la successiva adozione di un piano di recupero urbanistico dell'area abusivamente lottizzata, che risulti incompatibile con il provvedimento adottato dall'autorità giudiziaria (cfr. sez. 3, 200201966, Venuti ed altri, RV 220852; sez. 3, 200012999, Lanza ed altri, RV 218003; sez. 3; 200441757, Pignatiello ed altri, RV 220852).

La natura amministrativa di detta confisca non ne esclude, però, il carattere sanzionatorio con la conseguente necessità di tener conto dei principi generali che regolano l'applicazione anche delle sanzioni amministrative.

Tali principi sono dettati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e, peraltro, corrispondono ad esigenze di uguaglianza e razionalità normativa ai sensi dell'art. 3 Cost.. Orbene, è indubbio che anche con riferimento alle sanzioni amministrative esulano dalla materia criteri di responsabilità oggettiva, essendo richiesta, quale requisito essenziale di legalità per la loro applicazione, l'esistenza di una condotta che risponda ai necessari requisiti soggettivi della coscienza e volontà dell'agente e sia caratterizzata quanto meno dall'elemento psicologico della colpa (art. 2 e 3 della legge citata).

Nè la confisca di cui si tratta può essere ricondotta ad alcuna delle ipotesi di responsabilità solidale previste dalla citata legge, art. 6.

Anche la sanzione amministrativa, pertanto, non può essere applicata nei confronti di soggetti in buona fede, che non abbiano commesso alcuna violazione.

Non vale inoltre a giustificare la confisca ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nei confronti di soggetti incolpevoli l'affermazione dell'esistenza di un interesse collettivo alla tutela ed alla salvaguardia del territorio, che giustifica la compressione del diritto del privato di natura reale, in considerazione della funzione sociale riconosciuta alla proprietà privata dall'art. 42 Cost., comma 2, (cfr. cit. sez. 3, 200706396, Cieri, RV 236076). È indubbia l'esistenza di un interesse pubblico che giustifica l'acquisizione da parte dell'ente locale, ai sensi del cit. D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, dei suoli oggetto di lottizzazione abusiva, quale misura per consentire alla pubblica amministrazione di intervenire per il riassetto dell'area.

Appare egualmente indubbio, però, che, al di fuori dell'applicazione di misure sanzionatorie, la compressione del diritto di proprietà per ragioni di interesse generale è necessariamente connessa alla corresponsione di misure indennitarie in favore di chi subisce detta compressione ai sensi dell'art. 42 Cost., comma 3.

Peraltro, anche ai sensi dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU la compressione del diritto di proprietà deve essere caratterizzata, secondo l'interpretazione data alla norma dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, dal rispetto del principio di proporzionalità; principio da ritenersi violato, nell'ipotesi di misure ablatorie della proprietà per ragioni di pubblico interesse cui non corrisponda alcuna forma di indennizzo.

L'interpretazione costituzionalmente compatibile del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, induce, pertanto, necessariamente ad escludere dall'ambito di operatività della norma la possibilità di confiscare beni appartenenti a soggetti estranei alla commissione del reato e dei quali sia stata accertata la buona fede.

Diversa è ovviamente l'ipotesi in cui non si sia pervenuti ad una pronuncia di condanna nei confronti degli autori della violazione per l'intervenuta prescrizione dei reati, ipotesi di cui ci si è occupati in vari precedenti di questa Corte (cit. sent. Cieri ed altre), che hanno espresso un diverso indirizzo interpretativo, in quanto l'estinzione del reato non è affatto ostativa alla applicazione della confisca quale sanzione amministrativa, regolata da disposizioni diverse da quelle proprie del diritto penale". Orbene, l'indirizzo interpretativo fondato sulle argomentazioni della citata sentenza non appare certamente contestabile sulla base della motivazione del provvedimento impugnato, che si limita ad un generico riferimento ad altri precedenti giurisprudenziali di questa Corte, affermando di preferirne i risultati interpretativi sulla base degli stessi rilievi su cui gli stessi si fondano e che devono ritenersi superati; ne' tale indirizzo interpretativo è stato disatteso da successive pronunce di questa stessa Corte.

A tal proposito va, però, osservato che una più recente sentenza di questa Suprema Corte (sez. 3, 17.3.2009 n. 17865, Quarta ed altri), senza discostarsi sostanzialmente dagli enunciati principi di diritto, ha puntualizzato, con riferimento alla posizione del cosiddetto terzo acquirente, le seguenti considerazioni da tenersi presente nella valutazione della sua posizione soggettiva:

a) "la lottizzazione abusiva negoziale ha generalmente carattere plurisoggettivo, poiché in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi (quanto meno del venditore lottizzatore e dell'acquirente) diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale". b) "La condotta dell'acquirente non configura un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perché anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quegli (vedi cass. sez. un. 27.3.1992 n. 4708, ric. Fogliari) e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta applicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. (vedi sul punto le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364/1988)".

c) "Neppure l'acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola qualità, allorché si consideri che l'utilizzazione delle modalità dell'acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale (vedi cass. sez. 3, 8.11.2000, Petracchi)".

L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, terzo estraneo al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benché compartecipe al medesimo decadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto, cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione. Quando, invece, l'acquirente sia consapevole del carattere abusivo dell'intervento - o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.

Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli acquirenti, li convincono della legittimità dell'operazione (vedi cass. sez. 3, 22.5.1990, Oranges e 26.1.1998, Cusimano).

Va ancora precisato sulla base del citato precedente e di numerosi altri che non sussistono ragioni per escludere che il reato di lottizzazione abusiva, in quanto fattispecie contravvenzionale, possa essere commesso per colpa (cfr. sez. 3, 13.10.2004 n. 39916, La medica ed altri; 11.5.2005, Stiffi ed altri; 20.1.2008, Zortea;

5.3.2008 n. 9982, Quattrone; 26.6.23008, Belloi ed altri). Deve ribadirsi, pertanto, che non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42 c.p., comma 4, dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integrative del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 c.p., secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale. Va, poi, ulteriormente ribadito, sulla base del citato precedente e di numerosi altri (cfr. di recente sez. 3, 2.10.2008 n. 37472, Belloi ed altri; sez. un. 15.10.2008 n. 38834, De Maio), che per disporre la confisca prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, quale sanzione amministrativa, non occorre che la persona alla quale appartiene l'immobile oggetto di lottizzazione abusiva debba necessariamente essere condannata per detto reato, in quanto ben può essere accertata la sussistenza della fattispecie contravvenzionale in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una qualsiasi causa non si pervenga alla condanna della persona cui appartiene l'immobile oggetto di lottizzazione abusiva. Peraltro, non è superfluo osservare che con recente pronuncia (sez. 3, 4.6.2009, Vedani), sia pure riferita ad una misura di sicurezza patrimoniale obbligatoria ex D.P.R. n. 43 del 1973, art. 301, questa Suprema Corte ha affermato che, nel caso in cui non vi sia stata pronuncia di condanna, l'incidente di esecuzione ed il giudizio di opposizione ex art. 676 c.p.p. e art. 667 c.p.p., comma 4, in quanto garantiscono il contraddittorio delle parti, costituiscono sedi processuali adeguate per contestare la possibilità di disporre la confisca, essendo possibile in tali sedi dare prova dell'inesistenza del nesso materiale tra la cosa di cui è stata disposta la confisca ed il reato ovvero della estraneità al reato medesimo del soggetto cui la cosa attualmente appartiene, nel caso esaminato da detto precedente nei limiti previsti dalla pronuncia della Corte Costituzionale 10 gennaio 1997 n. 1, che possono trovare applicazione anche in materia di lottizzazione abusiva.

Orbene, sulla base degli enunciati principi di diritto deve affermarsi che, al fine di poter ritenere suscettibile di confisca un immobile oggetto di lottizzazione abusiva, e, pertanto, la sussistenza dell'esigenza cautelare di cui all'art. 321 c.p.p., comma 2, benché lo stesso appartenga a persona non indagata, che assume di essere estranea alla commissione del reato ed acquirente in buona fede dell'immobile, deve essere effettuata una valutazione, sia pure nell'ambito della cognizione sommaria propria del tribunale del riesame, della esistenza ovvero inesistenza dei citati presupposti oggettivo e soggettivo, che valgono a qualificare la posizione del terzo quale soggetto nei cui confronti non è possibile l'applicazione della misura della confisca ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, che giustifica il sequestro.

Sul punto si deve rilevare che, nella specie, la misura cautelare si palesa essere stata applicata sostanzialmente per il soddisfacimento di tale esigenza, avendo la stessa ordinanza affermato che la commissione del reato di lottizzazione abusiva risulta ormai esaurita, mentre il riferimento all'aggravio del carico urbanistico appare del tutto generico e manca del requisito della concretezza richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (sez. un. 29.1.2003 n. 2, Innocenti).

Il Tribunale del riesame ha, però, omesso di effettuare qualsiasi valutazione sul punto, avendo affermato che la confisca ex D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, può essere disposta anche nei confronti del terzo estraneo alla commissione del reato ed in buona fede.

L'ordinanza deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto degli enunciati principi di diritto. P.Q.M.

La Corte annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2009. Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2009