Cass. Sez. III n. 36384 del 9 settembre 2015 (Cc 7 lug 2015)
Presidente: Fiale Estensore: Pezzella Imputato: Di Palma
Urbanistica.Ordine di demolizione e indulto
In tema di reati concernenti le violazioni edilizie, l'istituto dell'indulto non si applica all'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto dal giudice con la sentenza di condanna poichè, quale causa estintiva della pena, non determina il venir meno degli effetti sanzionatori amministrativi conseguenti alla condanna.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Torre Annunziata, con ordinanza del 30 settembre 2014 rigettava l'istanza proposta daI PALMA MARIA GRAZI volta ad ottenere la revoca, ovvero la sospensione, dell'ordine di demolizione n. 211/2011 RED in esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale di Torre Annunziata sezione distaccata di Sorrento, del 28.10.2008, divenuta irrevocabile in data 24.6.2011, con la quale la D.P. è stata condannata alla pena di anni 1 e mesi 2 di reclusione, tra l'altro per il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c. 2. Ricorre per la cassazione di tale provvedimento, personalmente, DI PALMA MARIA GRAZI, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. Violazione e falsa applicazione degli artt. 665 e 675 c.p.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31.
La ricorrente, dopo aver compiutamente descritto i fatti di causa, rileva che il giudice avrebbe semplicisticamente ritenuto che, a prescindere dall'avvenuta acquisizione del bene al patrimonio comunale, il soggetto condannato resti il destinatario dell'ordine di demolizione, senza effettuare alcuna indagine sull'effettiva acquisizione del bene al patrimonio comunale.
Nessuna attività istruttoria sarebbe stata compiuta, mentre il G.E., avuta conoscenza di un provvedimento della p.a., avrebbe dovuto sospendere l'esecuzione al fine di verificare l'esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino dell'assetto urbanistico violato.
b. Violazione e falsa applicazione della L. n. 326 del 2003 - violazione del diritto di difesa - incompatibilità tra la presentazione dell'istanza di condono ex lege n. 326 del 2003 e l'ingiunzione a demolire - carenza di istruttoria e contraddittoria motivazione.
Il G.E. avrebbe affermato che non merita accoglimento l'istanza difensiva secondo cui, attesa la presentazione di istanza di condono, l'ingiunzione andava sospesa.
Lo stesso giudice avrebbe dovuto verificare l'effettiva sussistenza della domanda di condono ed esprimersi sull'ammissibilità della stessa. Ha ritenuto invece, sulla base della sola esistenza dei vincoli e senza acquisire la domanda di condono, che la stessa non fosse meritevole di accoglimento, in palese violazione del diritto di difesa.
Aggiunge infine che sarebbe pacificamente riconosciuto che, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione non passi in giudicato essendone sempre possibile la revoca.
c. Nullità dell'ingiunzione a demolire per omessa notifica al difensore - già nominato nella fase esecutiva - dell'ordine di ingiunzione a demolire.
Il provvedimento impugnato avrebbe affermato che il mandato conferito nella fase di cognizione non si estende alla fase esecutiva, in quanto la sentenza divenuta irrevocabile chiude la fase di cognizione ed i rapporti ad essa inerenti.
Tale affermazione non sarebbe pertinente al caso in questione, in quanto il difensore era già stato nominato dalla condannata difensore in altri provvedimenti esecutivi, conseguenti alla medesima sentenza di condanna, in particolare in quello relativo alla revoca della sospensione condizionale della pena.
Non si sarebbe trattato quindi di estendere il mandato conferito nella fase di cognizione, ma di prendere atto della nomina in altri procedimenti esecutivi inerenti la stessa sentenza, con conseguente necessità di notifica allo stesso difensore dell'ingiunzione.
d. Incompetenza dell'Autorità giudiziaria penale a procedere alla demolizione.
La ricorrente ritiene che la competenza in ordine all'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione demolitoria si ripartisca tra autorità giudiziaria e amministrativa.
e. Estinzione della sanzione accessoria alla demolizione per intervenuto indulto - omessa pronuncia.
L'indulto doveva essere applicato anche all'ordine di demolizione, quale causa estintiva, non solo della pena, ma anche delle sanzioni amministrative conseguenti alla pena principale.
Chiede, pertanto, l'annullamento e/o la revoca dell'ordinanza impugnata, perchè erronea e illegittima; in subordine l'annullamento e/o la revoca dell'ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo esame stante la sussistenza di un provvedimento della p.a. di acquisizione al patrimonio comunale e la procedibilità dell'istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 326 del 2003, in cui ricade l'immobile oggetto della esecuzione, ovvero per i principi giuridici che riterrà di applicare alla fattispecie in esame; spese processuali a carico dell'erario.
Il P.G. presso questa Suprema Corte in data 19.12.2014 ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, adottando i provvedimenti di cui all'art. 616 c.p.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Tutti i proposti motivi sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Manifestamente infondato è il motivo sub a.
Al riguardo va ribadito che - anche dopo l'acquisizione al patrimonio del competente comune del manufatto abusivo e della relativa area sedime - il soggetto condannato resta comunque il destinatario dell'ordine di demolizione, con conseguente onere da parte del medesimo di dare esecuzione, nelle forme di rito, all'ordine di demolizione a propria cura e spese (sez. 3, n. 13345 del 9.3.2011, Pera, rv. 249922).
Si è anche precisato che l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna costituisce espressione di un potere sanzionatorio autonomo e distinto rispetto all'analogo potere dell'autorità amministrativa, e, conseguentemente, deve essere eseguito in ogni caso, anche se sia stata disposta acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio del Comune, ferma restando la sola eccezione dell'adozione di una deliberazione consiliare, dichiarativa dell'esistenza di prevalenti esigenze pubbliche, che nel caso che ci occupa la ricorrente neanche dichiara esserci stata, e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali (cfr. sez. 3, n. 47263 del 25.9.2014, Russo, rv. 261213).
Pertanto, va qui ribadito il dictum di questa Corte Suprema secondo cui è inammissibile il ricorso proposto contro l'ordine di demolizione di un'opera edilizia abusiva emesso dal giudice dell'esecuzione, sul presupposto erroneo dell'avvenuta acquisizione del manufatto al patrimonio del Comune, per l'inottemperanza del privato alla ingiunzione prevista dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 7, comma 3, in quanto l'effetto ablatorio si produce solo nel momento in cui si perfeziona il procedimento amministrativo acquisitivo, con l'approvazione della Delib. di demolizione dell'immobile o di dichiarazione di prevalenti interessi pubblici che ne giustifichino la conservazione (cfr., ex multis, sez. 3, n. 37222 del 26.9.2002, Clemente, rv. 222915; sez. 3, n. 16539 del 18.2.2003, Canicattì, rv. 223859).
Peraltro, il giudice dell'esecuzione, al quale sia richiesto di revocare l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna, ha il potere di sindacare la Delib. di acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale, che dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell'assetto urbanistico violato (così sez. 3, n. 11419 del 29.1.2013, Bene ed altro, rv. 254421, fattispecie nella quale è stata qualificata come mero atto di indirizzo la Delib. di acquisizione al patrimonio comunale che, priva di impegno di spesa e di adeguata istruttoria, era inidonea a determinare la conservazione dell'opera abusiva).
3. Manifestamente infondato è anche il motivo sub b.
L'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall'autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività (così questa sez. 3, n. 3456 del 21.11.2012 dep. il 23.1.2013, Oliva, rv. 254426, in cui la Corte, nell'affermare il principio, ha annullato il provvedimento di rigetto dell'istanza di revoca dell'ordine di demolizione emesso nonostante la pendenza della procedura di condono).
Il giudice dell'esecuzione ha l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facoltà di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l'emissione, entro breve tempo, di atti amministrativi incompatibili (cfr. sez. 3, n. 24273 del 24.3.2010, Petrone, rv. 247791).
Nello specifico, il giudice dell'esecuzione, investito della richiesta di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è tenuto a esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (cfr. ex multis sez. 3, n. 47263 del 25.9.2014, Russo, rv. 261212; sez. 3, n. 42978 del 17.10.2007, Parisi, rv. 238145).
E' stato anche precisato che l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (sez. 3, n. 47402 del 21.10.2014, Chisci ed altro, rv. 260972).
Nel caso in esame, il giudice del merito, con motivazione non illogica o contraddittoria, che peraltro non è stata sottoposta in concreto a specifica critica da parte della ricorrente, ha ritenuto che l'istanza di condono presentata dall'interessata non potrebbe mai essere accolta, trattandosi di opere edilizie non condonabili, sia in relazione alle dimensioni, sia in relazione alla presenza del vincolo paesaggistico.
4. Quanto al motivo sub. e, anch'esso è manifestamente infondato in quanto costituisce jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in sede di esecuzione dell'ordine di demolizione disposto dal giudice con la sentenza di condanna, ai sensi dell'art. 7 della legge fondamentale urbanistica come trasfuso nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31, comma 9, il Pubblico Ministero non ha alcun obbligo di notificare al difensore l'avviso di deposito dell'ingiunzione a demolire, per il rilievo che detta ingiunzione è indirizzata ed effettuata al solo imputato affinchè questi possa provvedervi spontaneamente senza ulteriori aggravi di spesa (cfr. sez. 3, n. 3589 del 6.7.2011 dep. il 30.1.2012, Furente ed altro, rv. 251871; sez. 3, n. 254 del 7.10.2014 dep. l'8.1.2015, Menduni, rv. 261879).
5. Manifestamente infondato è anche il motivo sub d.
Questa Corte di legittimità ha da tempo chiarito che spetta al P.M. la competenza ad eseguire l'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto con la sentenza di condanna per violazione della normativa urbanistica ed antisismica, in quanto la demolizione disposta ai sensi del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9, attrae anche quella disposta ai sensi dell'art. 98, comma terzo, del citato decreto (cfr. sez. 3, n. 13345 del 9.3.2011, Pera, rv. 249922; sez. 3, n. 46209 del 12.10.2011, Pacchioni, rv. 251593).
E' tanto vero ciò che è stato anche precisato (sez. 3, n. 9139 del 7.7.2000, Del Duca, rv. 217472) che il giudice che pronuncia la sentenza di condanna per la contravvenzione urbanistica di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20 e impartisce l'ordine di demolizione non può affidarne l'esecuzione al sindaco, ed il provvedimento emanato in tal senso è illegittimo. Tale illegittimità deriva non solo dalla violazione della competenza istituzionale del P.M., stabilita in via generale dall'art. 655 c.p.p., ma anche dal rilievo che il sindaco è titolare, in materia urbanistica, di una propria competenza amministrativa concorrente, in quanto investito dalla L. n. 57 del 1985, art. 4, del potere di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia sul territorio comunale, che comprende quello di procedere direttamente alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi, così come quello di deliberare, con il consiglio comunale, l'esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto a quelli sottesi alla demolizione. Conseguentemente non può essere indicato come il soggetto incaricato dell'esecuzione dell'ordine di demolizione emanato in sede giurisdizionale.
6. In ultimo, manifestamente infondato è anche il motivo sub e.
L'indulto, infatti, pacificamente, non si applica all'ordine di demolizione del manufatto abusivo disposto dal giudice con la sentenza di condanna poichè, quale causa estintiva della pena, non determina il venir meno degli effetti sanzionatori amministrativi conseguenti alla condanna (cfr., ex plurimis, sez. 3, n. 7228 del 2.12.2010 dep. il 25.2.2011, rv. 249309);
7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 7 luglio 2015.