Cass. Sez. III n. 35550 del 4 ottobre 2010 (Ud.20 mag.2010)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. Coppola e altro
Urbanistica. Violazione sigilli e aggravante della commissione da parte del custode

In tema di violazione di sigilli, la circostanza aggravante della qualità di custode, di cui al comma secondo dell'art. 349 cod. pen., può comunicarsi ai concorrenti che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
SEZIONE TERZA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. ONORATO Pierluigi    -  Presidente   -                         
Dott. CORDOVA Agostino     -  Consigliere  -                         
Dott. FIALE   Aldo         -  Consigliere  -                         
Dott. FRANCO  Amedeo       -  Consigliere  -                         
Dott. MARINI  Luigi   -  est. Consigliere  -                         
ha pronunciato la seguente:                                          
sentenza                                        
sul ricorso proposto da:
C.P., nata a (OMISSIS);
C.C.,     nato a (OMISSIS);
Avverso  la  sentenza emessa in data 6 ottobre 2009  dalla  Corte  di
Appello di Napoli, che ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale
di Napoli in data 12 ottobre 2007, con la quale sono stati condannati
in  concorso alla pena di tre anni e tre mesi di reclusione  1.550,00
euro  di  multa  ciascuno in ordine ai reati previsti  dal  D.P.R.  6
giugno 2001, n. 380, art. 44, lett. c), (capo A), dal D.P.R. 6 giugno
2001,  n.  380, artt. 64 e 72 (capo B), dal D.P.R. 6 giugno 2001,  n.
380,  artt. 82 e 95 (capo C), dal  D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art.
181 (capo D), dall'art. 59 c.p., comma 2, art. 349 c.p., comma 2.
Reati accertati il (OMISSIS).
Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dott. Luigi Marini;
Udito  il  Pubblico  Ministero nella persona del Cons.  Dott.  GERACI
Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito   il  Difensore,  Avv.  MASSIMO  KROG,  che  ha  concluso   per
l'accoglimento del ricorso.

RILEVA
Gli odierni ricorrenti sono stati tratti a giudizio per avere quali committenti,
effettuato nuovi e ulteriori interventi abusivi su un immobile, soggetto a
tutela ambientale e a regime antisismico, che già era stato oggetto di opere
abusive realizzate fino al (OMISSIS) e per le quali vi è stata emissione di
sentenza di applicazione pena.
Il Tribunale di Napoli ha ritenuto provata l'esistenza di tutti gli illeciti e
ha condannato gli imputati alla pena di tre anni e tre mesi di reclusione
1.550,00 Euro di multa ciascuno. Ha condannato, altresì, gli imputati al
risarcimento dei danni in favore della parte civile, Comune di Napoli.
A seguito di rituale impugnazione la Corte di Appello ha respinto tutti i motivi
proposti dagli imputati e confermato la prima decisione. In particolare, la
Corte ha respinto l'ipotesi di ritenere i nuovi fatti in continuazione con
quelli oggetto della precedente sentenza emessa nel procedimento penale n.
56307/2003 R.G.N.R..
Ricorrono tramite il Difensore i Sigg. C..
Con primo motivo lamentano violazione dell'art. 649 c.p.p., per avere la Corte
territoriale omesso di valutare la prospettata esistenza di una duplicazione di
giudizio. Con i motivi di appello, infatti, si era eccepito che le opere in
contestazione fossero già state oggetto di giudizio con la sentenza emessa in
data 21 marzo 2005 nel procedimento penale n. 56307/2003 R.G.N.R.. Erroneamente
la Corte di Appello ha esaminato il solo tema della possibile continuazione tra
i reati, mentre avrebbe dovuto verificare la sussistenza della lamentata
duplicazione di giudizio, quanto meno per una parte dei lavori in contestazione.
Con secondo motivo lamentano vizio di motivazione in relazione all'applicazione
dell'art. 81 c.p., avendo la Corte di Appello del tutto omesso di affrontare gli
aspetti essenziali dell'istituto e ridotto il suo esame al solo dato temporale.
Con terzo motivo lamentano vizio di motivazione in ordine ai capi B), C) e D)
della rubrica, per avere la Corte di Appello ritenuto provata l'esistenza del
vincolo e ritenuta provata la edificazione in cemento armato sulla base delle
sole dichiarazioni dei verbalizzanti e senza alcuna acquisizione documentale,
così procedendo nella sostanza ad una inversione dell'onere probatorio.
Con quarto motivo lamentano difetto di motivazione e violazione di legge in
relazione al reato di violazione dei sigilli, in particolare omettendo di dare
risposta al motivo di appello con il quale si contestava la condanna di entrambi
gli imputati per l'ipotesi prevista dall'art. 349 c.p., comma 2, sebbene il solo
Sig. C. fosse il custode, con conseguente applicazione dell'art. 59 c.p., come
modificato dalla L. n. 19 del 1990, art. 1.
Con quinto motivo lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine
al trattamento sanzionatorio e all'applicazione della recidiva. La mancata
contestazione della recidiva era stata puntualmente rilevata dagli appellanti e
la risposta fornita sul punto dalla Corte territoriale è in contrasto con i
principi di diritto e giurisprudenziali, che richiedono che la circostanza sia
pur sinteticamente contenuta nel capo d'imputazione. Quanto alla determinazione
della pena, la motivazione risulta del tutto generica e non tiene in alcuna
considerazione i molteplici aspetti prospettati con i motivi di appello.

OSSERVA
1. La lettura delle motivazioni della sentenza di primo grado e di quella di
appello emesse nel presente procedimento consentono di affermare: a) che i fatti
oggetto della sentenza di applicazione della pena pronunciata dal Tribunale in
data 21 marzo 2005 aveva ad oggetto condotte poste in essere sino al 16 aprile
2004; b) che la vicenda oggetto del presente procedimento ha ad oggetto
accertamenti compiuti tra il (OMISSIS) e condotte che sono contestate come
commesse tra il (OMISSIS), avendo riferimento ad opere di sbancamento, alla
costruzione di rampe, alla posa di pavimentazione diverse da quelle che sono
indicate nei capi di imputazione giudicati con la sentenza dell'anno 2005 di
applicazione della pena.
Inoltre, si legge in motivazione della decisione di primo grado del 12 ottobre
2007, confermata dalla sentenza oggi impugnata, che gli accertamenti compiuti
nel (OMISSIS) hanno ad oggetto anche unità immobiliari nuove e distinte rispetto
a quelle su cui erano stati compiuti i primi accertamenti dell'anno (OMISSIS).
Ciò premesso, la Corte osserva che le decisioni di merito hanno escluso
l'esistenza di una coincidenza fra i fatti oggetto del presente giudizio e
quelli giudicati con la sentenza del 21 marzo 2005 ed hanno escluso la
sussistenza dei presupposti per l'applicazione ai fatti in esame dell'istituto
della continuazione con quelli oggetto della citata decisione anteriore.
Venendo così alla censura concernente la lamentata duplicazione di giudizio, la
Corte ritiene che si sia in presenza di motivo assolutamente generico che non
fornisce una puntuale contestazione di quanto ritenuto con la sentenza
impugnata: i ricorrenti, infatti, ometto di fornire una puntuale indicazione di
quali siano le opere oggetto di duplice giudizio e quali siano gli errori in cui
sarebbero incorsi i giudici di merito. E ciò a prescindere dalla circostanza che
le conformi decisioni di merito hanno operato un accertamento di fatto, circa la
non coincidenza delle condotte contestate, che è sottratto al sindacato del
giudice di legittimità in presenza di una motivazione priva di vizi logici e non
censurata sotto il profilo del travisamento.
2. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso che concerne la mancata
applicazione dell'istituto della continuazione rispetto ai fatti giudicati nel
2005, la Corte considera che già la dettagliata formulazione del capo a) della
rubrica da atto che le opere sono successive ai primi accertamenti di reato che
portarono all'iscrizione della notizia di reato n. 56307/03, notizia di reato e
successiva sentenza di condanna che devono intendersi come interruttive
dell'unicità del progetto criminoso, così che le successive violazioni dei
sigilli per realizzare nuove attività costituiscono fattispecie ulteriori di
reato, frutto di nuova determinazione volitiva e destinate ad autonoma sanzione.
3. Sulla esistenza di vincolo e natura delle opere in cemento armato, le prove
testimoniali qualificate costituiscono un elemento di prova che il giudice, in
assenza di prova contraria, può ritenere sufficiente ai fini della decisione.
L'argomentazione adottata dai giudici di merito, dunque, non è illogica nè
comporta "inversione dell'onere probatorio", con conseguente infondatezza del
motivo di ricorso.
4. Con riferimento al quarto motivo di ricorso, questa Corte condivide
l'interpretazione che la giurisprudenza ha dato degli artt. 349 e 59 c.p.,
ricordando che questa stessa Sezione, con la sentenza n. 35500 del 2003, Waghih
(rv. 225878) ebbe ad affermare che la responsabilità per la violazione dei
sigilli si estende al concorrente a condizione (L. n. 19 del 1990) che costui
sia a conoscenza della qualità di custode dell'autore del reato o la ignori
colpevolmente. Si tratta di giurisprudenza costante a far data dalla sentenza n.
6577 del 1991, PM in proc. Cuomo e altro, rv.
187421, così massimata:
"Nelle ipotesi di concorso di persone nel reato di violazione di sigilli la
qualità personale di custode che ai sensi dell'art. 349 cod. pen, comma 2,
aggrava il reato, si comunica ai concorrenti con il temperamento, introdotto
dalla L. n. 19 del 1990, art. 1, che ha modificato l'art. 59 cod. pen., secondo
cui le circostanze aggravanti sono valutate a carico dell'agente soltanto se da
lui conosciute o colpevolmente ignorate o ritenute inesistenti per errore
determinato da colpa (la Cassazione ha precisato che nella qualità di custode
non può riconoscersi una circostanza inerente alla persona del colpevole da
valutarsi, ai sensi dell'art. 118 cod. pen., come novellato dalla L. n. 19 del
1990, art. 3, soltanto riguardo alla persona cui si riferisce, in quanto l'art.
70 cod. pen. qualifica come circostanze inerenti alla persona del colpevole
unicamente quelle che riguardano la imputabilità - età, stato di mente,
ubriachezza, sordomutismo - e la recidiva)".
5. Con riferimento al quinto motivo di ricorso, la Corte rileva che le censure
prospettate rispetto alla motivazione della sentenza di appello con riferimento
alla recidiva appaiono fondate, posto che effettivamente il capo di imputazione
non contiene una specifica indicazione di tale aggravante. E, tuttavia, la
censura risulta in concreto infondata: dalla lettura della sentenza di primo
grado emerge con evidenza che il Tribunale non ha inflitto alcun aumento di pena
per la recidiva, nè questa risulta riconosciuta e applicata dal Tribunale.
Pertanto, l'errore in cui sono incorsi i giudici di appello risulta di nessuna
conseguenza per i ricorrenti e privo di concreto rilievo, con il che difetta per
i ricorrenti stessi l'interesse ad impugnare richiesto dall'art. 568 c.p.p.,
comma 4.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato,
con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente
grado di giudizio, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2010