Consiglio di Stato Sez. VI n. 8170 del 23 settembre 2022
Urbanistica.Determinazione del il trattamento sanzionatorio articolo 24 TU edilizia

La natura e tipologia dell’abuso non può determinare l’inoperatività della disposizione di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001. Né tale soluzione può sostenersi in ragione delle ritenute difficoltà di adeguamento di un sistema calibrato sugli incrementi di superficie ai casi in cui si accerti esclusivamente una maggior cubatura illegittima. Invero, deve considerarsi come la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 consenta, comunque, di determinare il trattamento sanzionatorio. Infatti, la previsione in esame opera un rinvio in senso materiale alla L. n. 392/1978, riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall'attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane; infatti, sebbene il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 sia ben successivo alla riforma dell'equo canone, questo non si è adeguato al nuovo regime ex l. 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell'edilizia. Pertanto, le regole racchiuse nella L. n. 392/1978 costituiscono il punto di riferimento necessario per la determinazione della sanzione, secondo una precisa scelta legislativa che, come già spiegato, non può essere elusa con interpretazioni non aderenti a tale dato normativo di riferimento.

Pubblicato il 23/09/2022

N. 08170/2022REG.PROV.COLL.

N. 00709/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 709 del 2016, proposto da
Comune di Campodipietra, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Lucia Liberatore, con domicilio eletto presso l’avvocato Andrea Bruno, con studio ubicato in Roma, viale Luca Gaurico, n. 9;

contro

LGB Invest s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Salvatore Di Pardo, con domicilio eletto presso Regus Business Centres Italia, con uffici ubicati in Roma, piazza del Popolo, n. 18;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise (Sezione Prima), n. 00264/2015, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio con appello incidentale di LGB Invest s.r.l.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 luglio 2022 il Consigliere Lorenzo Cordi' e uditi gli avvocati Lucia Liberatore per il Comune di Campodipietra e Salvatore Di Pardo per Lgb Invest s.r.l.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il comune di Campodipietra ricorre in appello avverso la sentenza n. 264/2015 del T.A.R. per il Molise che, in parziale accoglimento del ricorso per motivi aggiunti proposto da LGB. Invest s.r.l., annulla l’ordinanza comunale n. 3/2013 prot. 1131 con la quale l’Amministrazione ingiunge il pagamento di sanzione pecuniaria ex art. 34, co. 2, c.p.a., per opere ritenute non suscettibili di sanatoria e non demolibili per il pregiudizio altrimenti arrecato alla parte eseguita in conformità.

2. In punto di fatto il Comune deduce come parte appellata sia proprietaria di un terreno sito nel territorio del comune di Campodipietra di estensione pari a mq. 8.950 e ricadente in zona “C” del Piano di fabbricazione. L.G.B. Invest presenta un piano di lottizzazione (denominato “Borgo Nuovo”) e, successivamente, richiede il rilascio di un permesso di costruire per l’edificazione di un fabbricato denominato “Edificio 1a”. L’Amministrazione approva il progetto e stipula una convenzione in forza della quale rilascia il permesso di costruire n. 3/2010 per la realizzazione del fabbricato indicato supra. In data 29.5.2012 la Società deposita richiesta di variante in corso d’opera e, successivamente, richiesta di variante in sanatoria. L’Amministrazione effettua un sopralluogo riscontrando difformità tra le opere autorizzate e quelle realizzate e, per tale ragione, ordina la sospensione dei lavori e la demolizione di quanto realizzato (ordinanza comunale n. 63/2012). Tale provvedimento è impugnato da LGB Invest dinanzi al T.A.R. per il Molise che, con ordinanza n. 196/2012, ne sospende l’efficacia evidenziando, ex aliis, la necessità di addivenire alla chiusura del procedimento da parte del Comune.

2.1. All’esito del contraddittorio tra le parti l’Amministrazione adotta il provvedimento n. 3/2013 con il quale ingiunge il pagamento della sanzione pari ad euro 174.290,20 per le opere ritenute non sanabili e non suscettibili di demolizione senza pregiudizio per le parti in conformità (trattandosi di interventi consistenti nella realizzazione di maggiore altezza del fabbricato e nella violazione delle distanze dal confine). Inoltre, l’Amministrazione irroga la sanzione ex art. 36 del t.u.e. per alcune opere ritenute, invece, suscettibili di accertamento di conformità.

2.2. Avverso il primo segmento decisorio di tale provvedimento LGB Invest propone ricorso per motivi aggiunti affidato a tre motivi.

2.2.1. Con il primo motivo l’odierna parte appellata lamenta la carenza di motivazione del provvedimento impugnato ritenendo non evincibili le ragioni per le quali non vi sarebbero i presupposti di cui all’art. 36 del t.u.e. anche in relazione alle maggiori altezze e alle opere realizzate in violazione delle distanze.

2.2.2. Con il secondo motivo LGB Invest deduce l’illegittimità del provvedimento nella parte in cui esclude l’operatività della previsione di cui all’art. 36 del t.u.e. per la maggior altezza del fabbricato e per la distanza dello stesso dal confine ritenendo tali irregolarità “superabili”.

2.2.3. Con il terzo motivo – articolato in via di subordine – L.G.B. Invest deduce la violazione della previsione di cui all’art. 34 del t.u.e. sia per il procedimento seguito dall’Amministrazione che per i criteri adottati al fine di determinare il quantum debeatur.

2.3. Con sentenza non definitiva n. 86/2014 il T.A.R. per il Molise dichiara il ricorso introduttivo improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse ritenendo l’ordinanza demolitoria superata dal provvedimento del 16.3.2013 con il quale, come spiegato, il Comune irroga una sanzione pecuniaria ex art. 34 (per le opere non sanabili) e una sanzione ex art. 36 t.u.e. per le opere per le quali ravvisa sussistenti la doppia conformità. Inoltre, la sentenza respinge il primo ed il secondo motivo del ricorso per motivi aggiunti proposto da LGB Invest (cfr., per l’esposizione di tali motivi, supra, punti 2.2.1. e 2.2.2.). In ultimo, il T.A.R. dispone una verificazione in relazione al terzo motivo di ricorso e, in particolare, chiede di accertare la conformità tecnica del procedimento seguito dall’Amministrazione nella determinazione della sanzione.

2.4. All’esito della verificazione il T.A.R. per il Molise emette la sentenza definitiva n. 264/2015 con la quale annulla il provvedimento impugnato da LGB Invest con ricorso per motivi aggiunti.

3. Avverso tale sentenza il comune di Campodipietra articola ricorso in appello affidato a due motivi.

3.1. Con il primo motivo l’Amministrazione deduce la violazione della regola di cui all’art. 112 c.p.c. osservando come il Giudice dichiari non dovuta la sanzione nonostante il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti si limiti a contestare la quantificazione della stessa.

3.2. Con il secondo motivo l’Amministrazione deduce, in primo luogo (punti indicati come “II” e “II.2” del ricorso in appello), l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ritiene corretto il metodo seguito dall’Amministrazione (che consiste nella commutazione del volume in superficie con divisione del valore per cinque e moltiplicazione dell’importo per tre, al pari di quanto previsto dalla nota contenuta nella tabella allegata alla L. n. 47/1985) ritenendo non prevista tale ipotesi e impossibile l’applicazione estensiva o mediante interpretazione analogica di previsioni non espressamente richiamate dalla disposizione di cui all’art. 34, co. 2, t.u.e., in conformità ai principi del diritto punitivo. Secondo l’appellante tale ragionamento risulterebbe non corretto non prendendosi in considerazione la portata della previsione di cui all’art. 34 del t.u.e. che impone di sanzionare interventi non sanabili come quelli in esame (ritenuti tali anche dalla sentenza non definitiva n. 86/2014 del T.A.R. per il Molise). Inoltre, l’Amministrazione evidenzia come la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del t.u.e. rinvii alle disposizioni di cui alla L. n. 392/1978 e che, per dare operatività a tale regola risulta necessario, commutare i metri cubi in metri quadrati trattandosi di incremento illegittimo dell’altezza e non della superficie. L’appellante osserva, ancora, come il Giudice di prime cure non tenga conto della natura ripristinatoria dell’apparato sanzionatorio previsto in caso di abusi edilizi. In ultimo, l’appellante nota come l’interpretazione del Giudice di prime cure termini per sancire l’inoperatività della sanzione in tutti i casi di abuso consistente in incrementi di altezza e non di superficie.

3.2.1. In secondo luogo, il Comune appellante contesta la decisione di primo grado nella parte in cui ritiene illegittimo il criterio prescelto per i locali garages edificati a distanza minore rispetto a quella prevista dalla legge. Osserva il Comune come l’opera andrebbe considerata nel suo complesso non potendosi applicare il criterio del valore venale ai garages che sono parti di un manufatto a scopo residenziale con conseguente operatività del criterio del costo di produzione.

4. Si costituisce in giudizio LGB Invest s.r.l. la quale propone, inoltre, appello incidentale - condizionato all’eventuale accoglimento dell’appello principale - avverso la sentenza non definitiva n. 86/2014 del T.A.R. per il Molise nella parte in cui respinge i primi due motivi del ricorso per motivi aggiunti. In particolare, LGB Invest articola due motivi censurando la sentenza di primo grado:

i) nella parte in cui ritiene insussistente il difetto di motivazione denunciato con il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti;

ii) nella parte in cui esclude l’operatività della previsione di cui all’art. 36 del t.u.e.

5. In vista dell’udienza del 21.7.2022 le parti depositano memorie conclusionali e memorie di replica. In particolare, il Comune appellante principale insiste nei motivi di appello e articola difese in ordine ai motivi di appello incidentale formulati da LGB Invest. Quest’ultima deduce l’improcedibilità del ricorso in appello atteso che l’Amministrazione provvede ad emanare una nuova ingiunzione di pagamento; insiste, inoltre, nelle difese e nei motivi di appello incidentale condizionato articolati. Le parti depositano, in ultimo, memorie di replica.

6. Entrando in medias res occorre, preliminarmente, esaminare l’eccezione di improcedibilità dell’appello formulata da LGB Invest. Parte appellata deduce la carenza di interesse alla definizione del giudizio in ragione dell’avvenuta emanazione dell’ordinanza n. 24/2017 con la quale l’Ente ridetermina la sanzione dovuta ex art. 34, co. 2, D.P.R. n. 380/2001 per i garages realizzati a distanza non regolamentare dal confine di proprietà. Secondo LGB Invest, il provvedimento costituirebbe nuovo esercizio della funzione amministrativa comportante il venir meno dell’interesse alla decisione di una vertenza relativa al precedente atto di edizione del potere.

6.1. Osserva il Collegio come i provvedimenti sopravvenuti determinino l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse qualora attuino un assetto di interessi sostitutivo del precedente rapporto che è oggetto di un giudizio la cui definizione non reca, proprio in ragione della nuova cornice regolatoria, alcuna utilità alla parte. La declaratoria di improcedibilità risulta, quindi, subordinata al ricorrere di una sopravvenienza (fattuale o giuridica) tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per far venir meno qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, derivante da una possibile pronuncia di accoglimento (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. II, 29 gennaio 2020, n. 742; Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 luglio 2021, n. 5556).

6.2. Tali principi processuali trovano applicazione anche qualora i provvedimenti sopravvenuti siano adottati nell’ambito di un giudizio in cui sia stato emesso un provvedimento giurisdizionale teso a imporre la riedizione del potere secondo criteri conformativi enucleati nell’ordine giudiziale da eseguire. In tale ipotesi, al fine di ricostruire gli effetti sostanziali e processuali riconducibili alla decisione amministrativa sopravvenuta, occorre, comunque, verificare se l’Amministrazione si sia determinata autonomamente ovvero in mera esecuzione dell’ordine giudiziale. In particolare:

i) nella prima ipotesi l’Amministrazione detta una regula iuris del rapporto amministrativo tendenzialmente stabile, definita nel perseguimento dell’interesse pubblico affidato alla sua cura, autonomamente e indipendentemente dall’esecuzione di un provvedimento giurisdizionale all’uopo emesso, attuando, in tal modo, un nuovo assetto di interessi, sostitutivo di quello censurato in giudizio e idoneo a governare il rapporto amministrativo corrente con la controparte;

ii) nella seconda ipotesi, il provvedimento sopravvenuto viene assunto al solo fine di ottemperare ad un comando giudiziale, realizzando, per l’effetto, un assetto di interessi per propria natura interinale, destinato ad essere caducato in caso di esito del giudizio favorevole all’Amministrazione procedente.

6.3. Il diverso atteggiarsi della volontà provvedimentale influisce non soltanto sulla stabilità, sul piano sostanziale, del provvedimento sopravvenuto, ma anche e correlativamente sull’andamento, sul piano processuale, del giudizio corrente tra le parti. Difatti, qualora l’Amministrazione adotti il provvedimento in esecuzione dell’ordine giudiziale (contenuto in un provvedimento cautelare o in una sentenza non ancora transitata in rem iudicatam) si assiste ad una doverosa ottemperanza di tale ordine che non influisce sulla procedibilità del ricorso. Diversamente, qualora il provvedimento sopravvenuto sia stato soltanto occasionato dal provvedimento l’ordinanza cautelare, condividendo l’Amministrazione la necessità di rimuovere i vizi di legittimità rilevati viene integrata:

i) o una fattispecie di cessata materia del contendere, da dichiarare con sentenza di merito (art. 34, comma 5, c.p.a.), attraverso cui accertare l’avvenuta realizzazione dell’interesse sostanziale sotteso alla proposizione del ricorso, per effetto di una determinazione amministrativa assunta autonomamente in pendenza del giudizio (Consiglio di Stato Sez. VI, 19 settembre 2018, n. 5466);

ii) o, laddove l’interesse sostanziale non sia realizzato, una fattispecie di improcedibilità del ricorso per carenza di utilità ad ottenere una pronuncia che riguarderebbe un assetto ormai superato.

6.4. Declinando i principi esposti al caso di specie si osserva come l’ordinanza ingiunzione n. 24/2017 (relativa, tra l’altro, alla sola quantificazione delle difformità consistenti nella violazione delle distanze dei locali garages) richiami espressamente la relazione dell’Ufficio tecnico comunale del 20.7.2017 (costituente “parte integrante del […] provvedimento”), notificata unitamente all’ordinanza. Tale relazione ricostruisce la vicenda processuale ed evidenzia come il Comune proponga appello avverso la sentenza n. 265/2015 “per sentirla riformare integralmente, non potendo condividere le motivazioni poste a base della pronuncia”. Inoltre, la relazione precisa come la determinazione della sanzione non comporti acquiescenza alla sentenza di primo grado e sia effettuata “con riserva di rideterminare ulteriormente la sanzione a seguito della definizione del giudizio da parte del Consiglio di Stato”.

6.5. In sostanza, la volontà del Comune espressa nel provvedimento non si atteggia quale atto di esercizio del potere in sostituzione integrale del precedente provvedimento ma come mera esecuzione della sentenza di primo grado, riservate le diverse determinazioni da assumere in caso di accoglimento del ricorso in appello. Non è, quindi, predicabile il venir meno dell’interesse alla definizione del presente giudizio né l’inutilità di una pronuncia favorevole al Comune alla quale, al contrario, lo stesso anela al fine di rideterminare ulteriormente il rapporto secondo le indicazioni precettive-conformative derivanti dalla sentenza d’appello.

6.6. In ragione di quanto esposto l’eccezione di parte appellate deve respingersi in quanto infondata.

7. Procedendo alla disamina dell’appello principale si prende l’abbrivio dal primo motivo con il quale il Comune deduce l’illegittimità della sentenza di primo grado per violazione della previsione di cui all’art. 112 c.p.a. (operante anche nel giudizio amministrativo; cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 agosto 2018, n. 5103). In particolare, secondo l’appellante il T.A.R. per il Molise annulla l’ordinanza impugnata ritenendo non dovuta la sanzione pecuniaria sostitutiva prevista dall’art. 34, co. 2, del D.P.R. 380/2001 in mancanza di un esplicito criterio legislativo di quantificazione nonostante la Società ricorrente in primo grado si limiti – con il terzo motivo – a contestare la sola quantificazione della sanzione adottata dal Comune, senza, tuttavia, affermare l’inesistenza del potere/dovere sanzionatorio. In sostanza, nella prospettiva comunale, la censura accolta dal Giudice di prime cure risulta esclusivamente calibrata sul quantum debeatur con conseguente impossibilità di affermare l’inesistenza dei presupposti per l’esercizio del potere sanzionatorio.

7.1 Osserva il Collegio come la regola di giudizio desumibile dagli artt. 99 e 112 c.p.c. impone al Giudice di non interferire nel potere dispositivo delle parti, ovvero di non alterare alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (personae, petitum, causa petendi), attribuendo o negando ai contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda. Il principio della domanda, espressione del potere dispositivo delle parti e del quale rappresenta completamento il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base all'art. 112 c.p.c. va ulteriormente specificato nell’ambito del processo amministrativo, ove la circoscrizione della causa petendi si definisce in relazione ai soli motivi dedotti dalle parti. Ne consegue che sussiste il vizio di ultrapetizione anche laddove il giudice esamini e accolga il ricorso per un profilo di censura non ritualmente prospettato dalle parti (Consiglio di Stato, Sez. III, 14.10.2020, n. 6206).

7.2. Nel caso di specie, con il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti, LGB Invest contesta non soltanto i criteri di determinazione della sanzione ma deduce, altresì, l’inoperatività della disposizione di cui all’art. 34 del t.u.e. nel caso di incrementi di altezze e non di volume che la necessità di non dare applicazione al parametro previsto per gli immobili residenziali per i locali garages (cfr., in particolare, ff. 15 ss. del ricorso per motivi aggiunti). Effettuando, quindi, una disamina complessiva del motivo si evince come la questione relativa alla non operatività della regola racchiusa all’interno dell’art. 34 t.u.e. e l’erroneità del criterio di computo per i locali garages siano profili di censura articolati dalla parte e, come tali, oggetto del dovere decisorio del Giudice di primo grado. Pertanto, nell’accogliere i due profili sopra indicati il T.A.R. per il Molise non rende alcuna pronuncia viziata da ultrapetizione ma, al contrario, emette una sentenza corrispondente alla domanda della parte. Del resto, solo nella parte finale del terzo motivo di ricorso LGB richiama la relazione tecnica dell’Ing. Dato, incentrata su aspetti inerenti il quantum debeatur: questione che non esaurisce, quindi, l’insieme delle censure articolate dalla parte di cui fanno parte anche i profili di illegittimità posti a fondamento della sentenza di primo grado.

7.3. Il motivo è, quindi, infondato per le ragioni supra spiegate.

8. Passando ad esaminare il secondo motivo del ricorso in appello si ritiene opportuno ripartire la disamina delle questioni ivi articolate in due distinti ambiti: il primo relativo all’applicazione della sanzione ex art. 34, co. 2, t.u.e. in relazione alle maggiori altezze riscontrate (ff. 9-19 del ricorso in appello); il secondo afferente, invece, al criterio di determinazione della sanzione con riferimento ai garages edificati in violazione delle distanze prescritte (ff. 19-21 del ricorso in appello).

9. In relazione al primo ambito di censure occorre prendere l’abbrivio dalla motivazione della sentenza di primo grado nella parte in cui ritiene non corretto il metodo seguito dall’Amministrazione (che consiste nella commutazione del volume in superficie con divisione del valore per cinque e moltiplicazione dell’importo per tre, al pari di quanto previsto dalla nota contenuta nella tabella allegata alla L. n. 47/1985) ritenendo non prevista tale ipotesi e impossibile l’applicazione estensiva o mediante interpretazione analogica di previsioni non espressamente richiamate dalla disposizione di cui all’art. 34, co. 2, t.u.e.

9.1. In particolare, il T.A.R. per il Molise osserva testualmente quanto segue: “Con riguardo alla quantificazione della sanzione relativa alla violazione dei limiti di altezza, il Collegio rileva che il criterio applicato dall’Amministrazione nel caso di specie non può essere accolto. E infatti, la Tabella A della legge n. 47/1985 nel quale esso è contenuto riguarda le ipotesi di determinazione dell’importo dell’oblazione da corrispondere da parte degli autori degli abusi ed ha quindi natura diversa da quella della sanzione contemplata dall’art. 34 del d.P.R. che ha carattere sostitutivo rispetto alla demolizione. Quest’ultima, oltre a condividere con l’oblazione un contenuto afflittivo nei confronti dei responsabili dell’abuso, presenta anche indubitabilmente una funzione ulteriore e prevalente che consiste nel “risarcire” la collettività del carico urbanistico ulteriore imposto e non previsto dalla pianificazione dell’area, per effetto della realizzazione di uno spazio abitabile abusivo, fornendo all’Amministrazione le risorse necessarie a realizzare quelle opere necessarie ad assorbire, anche urbanisticamente, le conseguenze dell’abuso. Tale diversa finalità e natura della sanzione prevista dall’art. 34, co. 2, del d.P.R. n. 380/2001 rende inapplicabile il criterio di determinazione della superficie convenzionale dettato esclusivamente per determinare la misura dell’oblazione. Siffatta conclusione, deve viepiù tenersi ferma in un campo come quello del diritto punitivo dello Stato con riferimento al quale, a più riprese, la Corte costituzionale ha affermato che non possa disconoscersi che anche rispetto alle sanzioni amministrative ricorre l'esigenza della prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o alla non applicazione) di esse (cfr. Corte cost., sentenza, 23 febbraio 1988, n. 447). Nel caso di specie, come rilevato anche nella relazione di verificazione, non risulta nessun indice positivo che consenta di tradurre la cubatura abusiva in superficie piana convenzionale, segnatamente con riguardo alla violazione dei limiti di altezza che vengono in rilievo nel presente giudizio i quali sono di entità limitata (0,38 metri), al punto da non dare luogo alla creazione di autonomi spazi abitabili, potendo al più comportare un incremento della cubatura destinata all’abitabilità, aumentandone le possibilità e comodità di fruizione, senza tuttavia incrementare il carico urbanistico. Sennonché una tale tipologia di abuso non è specificamente disciplinata ai fini sanzionatori, mentre l’estensione in via interpretativa di criteri solo apparentemente similari, ma dettati in tutt’altro contesto e con finalità differenti, rappresenterebbe un’indebita interpretazione in malam partem, non compatibile con i principi del diritto punitivo applicabili nell’ordinamento (cfr. di recente Corte cost., ordinanza, 22 ottobre 2014, n. 247). Quanto sopra osservato con riguardo ai limiti imposti all’interpretazione estensiva o, maggior ragione, analogica in ambito sanzionatorio rende inaccoglibili anche le ulteriori ipotesi (prospettate nella relazione di verificazione) di alternativi criteri di determinazione della superficie convenzionale ai fini della quantificazione dell’importo della sanzione ex art. 34, co. 2, del d.P.R. 380/2001 nel caso di abusi di cubatura del tipo di quello di specie. Ne consegue che, in assenza di una specifica previsione normativa, deve ritenersi che la scelta del legislatore sia stata quella di non sanzionare ai sensi dell’art. 34 del d.P.R. n. 380/2001 abusi che, come nella fattispecie, consistono in un incremento della cubatura non necessariamente implicante la realizzazione di nuova superficie abitativa con ulteriore carico urbanistico. Nel caso di specie non risulta alcun indizio o circostanza né nel provvedimento gravato né negli ulteriori atti che l’incremento abusivo della volumetria si sia tradotto (ed in che misura) in un aumento anche della superficie abitabile, dovendosi invece ritenere preclusa, in assenza di specifiche previsioni, ogni trasformazione della cubatura abusiva in superficie convenzionale, salvo che si tratti di cubatura aggiuntiva di entità tale da costituire un nuovo piano abitabile ovvero che incrementi l’altezza di un piano esistente nella misura necessaria a renderlo concretamente abitabile. Se ne può desumere che la scelta di non sanzionare ipotesi siffatte trovar la propria spiegazione razionale proprio nelle predette considerazioni le quali trovano conforto nella giurisprudenza del supremo consesso della giustizia amministrativa, la quale si è attestata negli anni più recenti su un atteggiamento di carattere marcatamente sostanzialista (Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5550). Infatti, con specifico riferimento alla determinazione della superficie da computare convenzionalmente ai fini della quantificazione della sanzione di cui all’art. 34 del d.P.R. n. 380/2014, il Consiglio di Stato ha affermato che si debba tener conto della specifica vocazione abitativa degli spazi realizzati <<sulla base dell’esame di particolari – e significativi –indici rivelatori e, in definitiva, di tutte le circostanze fattuali rilevanti>> (sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, VI, 30 maggio 2014, n. 2825). Circostanze queste che nel caso di specie non sono state minimamente addotte dalla resistente e non figurano nell’ordinanza gravata. Ne consegue che, in assenza di una siffatta ulteriore indagine di fatto allo stato mancante, solo l’Amministrazione in sede di eventuale riedizione del potere sanzionatorio, può stabilire se vi siano i presupposti per applicare una sanzione, non potendo a ciò provvedere direttamente questo tribunale la cui cognizione deve pur sempre muoversi nell’ambito del medesimo quadro fattuale e giuridico da cui è scaturita la determinazione sanzionatoria oggetto di impugnativa (cfr. Cons. Stato 5550/2014 cit.)”.

9.2. Come cursoriamente esposto in precedenza (cfr., retro, punto 3.2), il Comune appellante contesta la sentenza gravata osservando come:

i) a fronte di abusi edilizi consistenti in opere parzialmente difformi al titolo il legislatore, con la disciplina di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001, espressamente preveda la sanzione principale della demolizione e quella sostitutiva pecuniaria nel caso in cui la demolizione degli interventi eseguiti in parziale difformità non possa aver luogo senza pregiudizio della parte eseguita in conformità; pertanto, non sarebbe possibile sostenere che l’abuso edilizio, una volta accertato, non sia sanzionabile; tale soluzione risulterebbe, infatti, in manifesto contrasto con la voluntas legis e con il principio di certezza ed effettività della sanzione edilizia;

ii) l’art. 34, co. 2, del D.P.R. 380/2001 determina la sanzione pecuniaria sostitutiva in misura pari – per gli immobili ad uso residenziale - al doppio del costo di produzione, richiamando - secondo un meccanismo di rinvio materiale – le previsioni di cui alla L. 392/1978 che, riferendosi ad abusi edilizi relativi alla superficie, assume ad unità di misura il metro quadrato, con conseguente necessità di individuare un meccanismo di commutazione in caso di incrementi meramente volumetrici;

iii) sussisterebbe una forte specialità delle sanzioni edilizie rispetto alle sanzioni amministrative di cui alla legge n. 689/1981 dal momento che - mentre quest’ultime presuppongono l’accertamento della responsabilità dell’autore dell’illecito - le prime postulano l’oggettiva diversità dell’opera realizzata rispetto al titolo abilitativo e sono, pertanto, volte al ripristino della legalità violata;

iv) il legislatore, nel determinare la sanzione edilizia, non intenderebbe parametrarla al carico urbanistico dell’opera eseguita in difformità, ma a dati inerenti il valore oggettivo delle opere medesime, ovvero il costo di produzione;

v) la legge sanziona ogni parziale difformità e non solo quelle relative ad incrementi di superficie e pertanto una difformità volumetrica non può ritenersi non sanzionata;

vi) l’aumento abusivo di volume determina senz’altro un aumento di valore dell’opera edilizia eseguita in parziale difformità; di conseguenza, escluderne la sanzionabilità si tradurrebbe nel consentire l’esecuzione di opere edilizie con maggiori altezze che incidano, di fatto, sul valore dell’immobile, pur non comportando alcun aumento di superficie.

9.3. Le censure di parte appellante sono fondate per le ragioni di seguito esposte.

9.4. La disposizione di cui all’art. 34, co. 1, del D.P.R. n. 380/2001, prevede che gli interventi e le opere realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire siano rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile dell'ufficio. La misura reale della rimozione o della demolizione costituisce la conseguenza tipica e primaria rispetto alle altre sanzioni che sono deroghe alla previsione generale. Ciò vale anche per la c.d. fiscalizzazione prevista dalla regola racchiusa nel secondo comma dell’art. 34 t.u.e. e destinata ad operare solo laddove la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità. In tale ipotesi il legislatore intende salvaguardare le opere legittimamente eseguite evitando il pregiudizio che alle stesse deriverebbe dalla demolizione delle parti difformi. La scelta legislativa non consiste, quindi, nell’abdicare dal sanzionare la difformità ma, al contrario, nel sostituire la misura reale con una sanzione pecuniaria variamente calibrata a seconda dell’uso dell’immobile. L’ordinamento esige, quindi, una risposta “sanzionatoria” non consentendo di deflettere da tale proposito se non in casi espressamente previsti dallo stesso legislatore cui solo compete stabilire, modulare o escludere la pretesa punitiva.

9.5. Le considerazioni esposte conducono a ritenere non condivisibile la tesi del Giudice di primo grado che, dalla ritenuta insussistenza di regole volte a quantificare la sanzione in caso di incrementi meramente volumetrici, giunge a ritenere non sanzionabili tali ipotesi. Tale tesi contrasta, infatti, con il dato normativo e con le indicazioni di carattere sistematico sopra esposte atteso che le regole contenute nell’alveo dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 non differenziano a seconda delle tipologie di abuso; inoltre, l’interpretazione del primo Giudice termine per creare una ipotesi di esclusione della sanzione sostitutiva priva di copertura legale e destinata ad operare nonostante l’integrarsi del presupposto operativo della sanzione principale, consistente nella realizzazione di opere in parziale difformità rispetto al titolo. In sostanza, la tesi del T.A.R. per il Molise infrange la sequenza tra la fattispecie recante i presupposti di illegittimità e le conseguenze sanzionatorie della stessa dissociando – in difetto di apposita previsione legale – il fatto e gli effetti che ad esso il legislatore riconduce.

9.6. La natura e tipologia dell’abuso non può, quindi, determinare l’inoperatività della disposizione di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001. Né tale soluzione può sostenersi in ragione delle ritenute difficoltà di adeguamento di un sistema calibrato sugli incrementi di superficie ai casi in cui si accerti esclusivamente una maggior cubatura illegittima. Invero, deve considerarsi come la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 consenta, comunque, di determinare il trattamento sanzionatorio per ipotesi come quelle all’attenzione del Collegio seppur con necessari adeguamenti imposti dalla peculiarità della fattispecie. Infatti, la previsione in esame opera un rinvio in senso materiale alla L. n. 392/1978, “riferito ad una specifica metodologia di calcolo del costo di produzione degli immobili, al di là ed indipendentemente dall'attuale loro vigenza nella materia delle locazioni urbane (cfr. Cons. St., St., IV, 12 marzo 2007 n. 1203)”; infatti, sebbene “il testo unico racchiuso nel DPR n. 380 [sia] ben successivo alla riforma dell'equo canone, [questo non si è adeguato] al nuovo regime ex l. 9 dicembre 1998 n. 431 né allora, né adesso, nonostante tutte le novelle intervenute nella disciplina dell'edilizia” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 10 giugno 2021, n. 4463). Pertanto, le regole racchiuse nella L. n. 392/1978 costituiscono il punto di riferimento necessario per la determinazione della sanzione, secondo una precisa scelta legislativa che, come già spiegato, non può essere elusa con interpretazioni non aderenti a tale dato normativo di riferimento.

9.7. Ora, la L. n. 392/1978 determina il costo di produzione in base alla data di edificazione, distinguendo tra gli immobili ultimati entro il 31 dicembre 1975, ai quali si applicano i valori fissi indicati all’art. 14, e gli immobili completati dopo tale data, ai quali soltanto si applicano gli aggiornamenti valoriali individuati con decreti ministeriali (art. 22). Pertanto la quantificazione è per legge affidata ai parametri di calcolo posti negli artt. 14 e 22 l. 392/1978 e in base alla data di completamento dell'edificazione. Tali parametri sono calibrati su incrementi di superfici con la conseguente necessità – onde non operare una indebita disapplicazione della regola di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 – di individuare un meccanismo tecnico di “conversione” della volumetria illegittima in superficie al fine di determinare il quantum debeatur.

9.8. Nel caso di specie, la soluzione adottata dal Comune è ritenuta “tecnicamente corretta” dalla verificazione eseguita nel giudizio di primo grado (f. 5 della relazione). Tale soluzione consiste:

i) nella definizione del costo unitario di produzione;

ii) nella determinazione della superficie abusiva, calcolata sommando la superficie scaturita dalla conversione del volume abusivo rilevato nel sottotetto con la superficie dei locali garages (poi rideterminata con l’ordinanza n. 24 del 2017);

iii) nella moltiplicazione del costo unitario di produzione per l’intera superficie illegittima.

9.9. La conversione del volume in superficie è effettuata dall’Amministrazione moltiplicando la maggiore altezza del fabbricato per la superficie totale del piano sottotetto e determinando la superficie in misura pari a 3/5 del volume, come indicato dalla nota n. 1 della tabella allegata alla L. n. 47/1985. Nell’operato dell’Amministrazione, questo meccanismo non costituisce propriamente l’applicazione diretta di una regola di diversa natura trattandosi, al contrario, di un mero parametro tecnico, utilizzato al fine di dare applicazione al disposto primario di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 individuando la sanzione dovuta per l’opera in difformità. Individuata l’esatta natura della regola dei c.d. 3/5 in un parametro di carattere tecnico si osserva come l’uso dello stesso da parte dell’Amministrazione non possa ritenersi né arbitrario né irragionevole. Infatti, si tratta di un criterio che tempera le conseguenze sanzionatorie che deriverebbero ove si operasse una mera moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi in eccesso; in secondo luogo, si tratta di criterio che consente di “agganciare” le ipotesi di abusi consistenti in incrementi volumetrici alle regole dettate dalla L. n. 392/1978 alla quale la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia.

9.10. Quest’ultima notazione rende preferibile il meccanismo prescelto dall’Amministrazione rispetto alle ulteriori soluzioni sondate dal verificatore. Infatti, la relazione di verificazione dà atto della sussistenza di due ulteriori metodi. Il primo è esaminato dalla sentenza n. 3959/2009 del T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano che opera la moltiplicazione del costo di produzione per i metri cubi realizzati in eccesso, senza conversione in superficie. Tale soluzione non tiene, comunque, conto della differenza tecnica tra volume e superficie e risulta, quindi, meno preferibile rispetto all’elaborazione del Comune appellante che, come già spiegato, tempera le conseguenze sanzionatorie in ragione della diversità tra i due elementi fisici. Il meccanismo esaminato, invece, dal T.A.R. per la Toscana nella sentenza n. 3495/1990 consiste nella riduzione del costo di produzione in misura proporzionale all’altezza illegittima concretamente rilevata partendo dalla misura di metri tre a cui è fissata l’altezza su cui si calcola tale costo. Questo meccanismo risulta, tuttavia, slegato da dati normativi e, in particolare, dalle regole di cui alla L. n. 392/1978 a cui la previsione di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 rinvia. In sostanza, il percorso seguito dall’Amministrazione risulta maggiormente aderente sia alle previsioni legali contenute nella L. n. 392/1978 che alle necessità di tener conto della differenza tra superficie e volume modulando ed attenuando la pretesa punitiva senza, tuttavia, elidere la possibilità di sanzionare l’incremento volumetrico illegittimo che, per le ragioni spiegate supra, deve ritenersi non consentita dall’ordinamento. Del resto, la giurisprudenza di questo Consiglio (evocata anche dal Giudice di prime cure) impone di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 5550); affermazione che postula la necessità di non ridurre la determinazione del quantum ad una meccanicistica applicazione di criteri nei casi in cui, per la peculiarità della fattispecie, risulti, invece, necessario un temperamento degli stessi secondo principi di adeguatezza, proporzionalità e ragionevolezza. Principi che, nel caso di specie, si ritiene osservati dal Comune ove si consideri che:

i) la “conversione” della volumetria in superficie secondo la proporzione dei 3/5 mira ad adeguare la pretesa sanzionatoria al differente elemento fisico illegittimamente realizzato;

ii) la riduzione insita nel criterio dei 3/5 realizza un temperamento della pretesa che tiene conto della diversità tra i due elementi anche sotto il differente incremento di valore che superficie e volumetria realizzano;

iii) il criterio dei 3/5 non costituisce indebita applicazione analogica di previsione estranea all’ambito normativo in esame ma, come già evidenziato, un criterio tecnico ragionevolmente utilizzato dall’Amministrazione nell’ambito della propria discrezionalità al fine di “tradurre” nel caso concreto le previsioni di cui alla L. n. 392/1978.

9.11. In definitiva il motivo di appello deve essere accolto con conseguente riforma in parte qua della sentenza appellata e reiezione del corrispondente motivo del ricorso per motivi aggiunti formulato nel giudizio di primo grado.

10. Passando alla disamina del secondo ambito a cui si riferisce il motivo d’appello il Collegio rammenta come, in tale segmento del gravame, il Comune contesti la decisione del Giudice di primo grado nella parte relativa al criterio di determinazione della sanzione con riferimento ai garages edificati in violazione delle distanze prescritte (ff. 19-21 del ricorso in appello). In particolare, il Comune ritiene errata la decisione di primo grado secondo la quale la sanzione per i locali garages non potrebbe quantificarsi con il criterio del costo di costruzione in quanto riferito esclusivamente ad opere residenziali.

10.1. Il Comune fonda tale censura sulla tesi giurisprudenziale che impone di verificare complessivamente gli abusi commessi per verificarne entità e regime sanzionatorio; regola che opererebbe anche ai fini della determinazione della sanzione da comminare ai sensi dell’art. 34, co. 2 del D.P.R. 380/01.

10.2. In particolare, il Comune osserva che:

i) l’intero stabile è costruito a distanza inferiore dal confine non essendo effettuato l’interramento dei locali garages, come previsto dal titolo edilizio;

ii) i garages non sono manufatti autonomi ma fanno parte dello stabile che ha vocazione residenziale.

iii) a conferma del fatto che l’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 faccia riferimento all’intero manufatto vi è la circostanza che la L. 392/1978, nel quantificare il costo di produzione dei singoli ambienti, prevede coefficienti correttivi in considerazione della destinazione funzionale dei locali.

10.3. Osserva il Collegio come l’apprezzamento complessivo delle opere realizzate sia questione relativa all’accertamento dell’abuso e, in particolare, alla esatta percezione di tipologia ed entità di una serie di opere prive di titolo e relative ad una medesima porzione immobiliare. Nel caso all’attenzione del Collegio la questione è, tuttavia, differente. Tipologia ed entità degli abusi sono già accertati e riscontrati dal Comune che, in fase esecutiva, deflette dall’ordinare il ripristino o la demolizione stante il pregiudizio che si arrecherebbe alle opere conformi. L’esigenza a fondamento del principio evocato dalla parte appellante non sussiste, quindi, nella fase in esame con la conseguenza che la determinazione della sanzione deve, in aderenza al dato legale, differenziarsi a seconda della destinazione della parte illegittimamente realizzata. Del resto, è proprio la previsione contenuta all’interno dell’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2001 ad escludere la necessità di apprezzamenti complessivi atteso che l’attenzione del legislatore è, al contrario, calibrata sulla singola opera e sulla destinazione della stessa. L’uso dei diversi criteri in relazione alla destinazione delle singole parti appare, quindi, la soluzione maggiormente aderente al dato normativo e idonea, inoltre, ad adeguare la pretesa sanzionatoria alla concreta situazione fattuale presa in esame, in applicazione anche di quei principi sui quali il Collegio si sofferma nella disamina della prima parte del secondo motivo di ricorso.

10.4. Inoltre, deve osservarsi come non sia condivisibile l’assunto comunale secondo cui la violazione delle distanze sia riferibile all’intero edificio in quanto, dalla comparazione con il titolo, si evince che è proprio la porzione dei garages a non rispettare la prescrizione di interramento e, quindi, a ledere la prescrizione.

10.5. In ultimo, deve ritenersi irrilevante l’osservazione del Comune che nota come la L. 392/1978, nel quantificare il costo di produzione dei singoli ambienti, preveda coefficienti correttivi in considerazione della destinazione funzionale dei locali. Simili correttivi sono, invero, un posterius rispetto al tema primario consistente nella verifica di operatività della L. n. 392/1978 in ragione della destinazione residenziale della parte difforme. Esclusa, invece, simile destinazione per la porzione illegittima in esame, opera il metodo del valore venale del bene come prescritto dalla disposizione di cui all’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001: non può, quindi, assegnarsi ai criteri di cui alla L. n. 392/1978 alcuna “vis attractiva” idonea a supportare l’operatività di un complesso legale la cui applicazione non è, invece, prevista dalla seconda parte della regola di cui all’art. 34, co. 2, del D.P.R. n. 380/2021.

11. In definitiva l’appello principale del Comune di Campodipietra deve parzialmente accogliersi e, in riforma della sentenza di primo grado, deve respingersi in parte qua il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti articolato nel giudizio di primo grado.

12. Il parziale accoglimento dell’appello principale impone di esaminare l’appello incidentale condizionato da LGB Invest. Come spiegato in precedenza, tale impugnazione è spiegata avverso la sentenza non definitiva n. 86/2014 che respinge i primi due motivi del ricorso per motivi aggiunti articolato dalla Società nel giudizio di primo grado. In particolare, LGB Invest formula due motivi censurando la sentenza di primo grado:

i) nella parte in cui ritiene insussistente il difetto di motivazione denunciato con il primo motivo del ricorso per motivi aggiunti;

ii) nella parte in cui esclude l’operatività della previsione di cui all’art. 36 del t.u.e.

13. Procedendo alla disamina di tali motivi si osserva come, con il primo di questi, l’appellante incidentale contesti la decisione di primo grado nella parte in cui non accoglie la dedotta carenza di motivazione del provvedimento impugnato che, nella prospettiva di LGB, si limiterebbe a descrivere le opere realizzate in difformità dal permesso di costruire, senza enunciare le ragioni ostative al rilascio del titolo in sanatoria.

13.1. Il motivo è infondato atteso che il provvedimento enuncia in modo chiaro le ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza con motivazione per relationem nella quale si richiamano espressamente le considerazioni svolte nella comunicazione di preavviso di rigetto ex art. 10-bis della L. n. 241/1990 del 14.1.2013 che possono in questa sede riprodursi.

13.2. Osserva il Comune: “Dagli accertamenti in loco risulta una altezza del fabbricato, misurata a partire dalla quota dell’estrodosso del piano seminterrato sino all’estrodosso della gronda, pari a mt. 8,35 a monte pari a mt. 8,60 a valle, che non è conforme alle previsioni del P.di F. vigente per la zona omogenea di interesse che prevede, per le costruzioni da realizzarsi, una H max, come media tra i fronti, pari a mt. 7,50 Il tutto è chiaramente desumibile anche dagli elaborati progettuali allegati dalla ditta istante alla richiesta di sanatoria che riportano, diversamente da quanto accertato in sede di sopralluogo, una altezza del fabbricato realizzata pari a mt. 8,33 che, anche a fronte di una altezza dichiarata dello stesso pari a mt. 7,88 derivante dalla asserita decurtazione dei bonus previsti per i miglioramenti delle prestazioni energetiche del fabbricato ai quali fa riferimento il Progettista nella proposta di sanatoria (pari complessivamente a mtr. 0,45), risulta, in ogni caso, indiscutibilmente superiore a quella autorizzata con il P. di C. n. 03 del 2/2/2010 pari a mt. 7,40 e, soprattutto, a quella massima prevista dal Programma di Fabbricazione vigente pari a mt. 7,50. Va in ogni caso evidenziato che, a parere di questo Ufficio, essendo stato il piano interrato del fabbricato costruito parzialmente fuori terra (in considerazione della rappresentazione del profilo del terreno ante operam, già riportato con gli elaborati progettuali originariamente approvati), l’altezza del fabbricato, dovendo essere misurata a partire dal fuori terra o, comunque, dal profilo originario del terreno ante operam, risulta essere ancora maggiore rispetto a quanto accertato in fase di sopralluogo (pari a mt. 8,35 a monte e pari a mt. 8,60 a valle e riferita, come innanzi detto, solo all’estrodosso del solaio del piano seminterrato). Giova sottolineare, infatti, che l’accertamento è stato condotto sulla base della documentazione agli atti già approvata sebbene, ai sensi del disposto del titolo III – art. 2 dei Parametri Urbanistici ed Edilizi del vigente Regolamento Edilizio, l’altezza del fabbricato doveva essere misurata a partire dalla quota del terreno naturale ( da quella del terreno sistemato solo se più bassa) sino all’altezza media esterna della porzione abitabile del sottotetto e non sino alla quota dell’estrodosso della gronda”. In relazione alla difformità accertata in ordine alla distanza dai confini di proprietà il Comune osserva: “La rappresentazione dell’originario andamento altimetrico del terreno riportata negli elaborati allegati alla richiesta di sanatoria rende chiara la porzione del fabbricato, nell’originario progetto di cui al P.di C. n.03 del 02.02.2010 prevista come interrata, oggi fuori terra e, pertanto, utile ai fini del computo della distanza del fabbricato dai confini di proprietà, inferiore rispetto a quella minima prevista dalle vigenti N.T.A. per la zona omogenea C2 di riferimento pari a mt. 5,00, così come riportato anche con gli elaborati progettuali a sanatoria prodotti”. Conclude il Comune evidenziando che “per tutto quanto innanzi riportato, quindi, si può dedurre che il fabbricato così come realizzato non risulta essere conforme alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione dell’abuso sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria in termini di altezza massima ed in termini di distanza dai confini di proprietà previste per la zona C2 – Strumento Urbanistico Preventivo del Comune di Campodipietra nella quale l’immobile oggetto di sanatoria ricade”.

13.3. In sostanza, il Comune rende edotta la Società che:

i) l’altezza del fabbricato è superiore a quella massima prevista dal programma di fabbricazione vigente, pari a 7,50 mt;

ii) la distanza della parte di fabbricato originariamente prevista come interrata e realizzata fuori terra, è superiore a quella minima dal confine, che le N.T.A. per la zona omogenea C2 fissa in 5 metri;

iii) difetta il requisito della doppia conformità, necessario per l’applicazione della previsione di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001.

13.4. Le ragioni ostative all’applicazione della regola racchiusa all’interno dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 sono, quindi, adeguatamente enunciate da parte del Comune con conseguente infondatezza del motivo d’appello relativo al capo di sentenza con il quale il Giudice di primo grado respinge l’originaria censura.

14. Con il secondo motivo l’appellante incidentale contesta la sentenza gravata nella parte in cui ritiene non sussistenti i presupposti dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001. Sul punto, la Società richiama la relazione tecnica depositata in primo grado dalla quale si evincerebbe la sussistenza dei presupposti della c.d. doppia conformità.

15. In particolare, LGB Invest osserva, in primo luogo, come il piano interrato risulterebbe ininfluente ai fini volumetrici evocando anche giurisprudenza relativa ai volumi tecnici e alle cubature accessorie.

15.1. Tale censura è infondata dovendosi condividere quanto osservato dal Giudice di prime cure secondo cui “le costruzioni adibite a garage o cantine possono essere legittimamente realizzate in deroga alla distanza minima dal confine legalmente stabilita solo qualora completamente interrate”. Al contrario, “risulta evidente dalla documentazione in atti che il piano destinato a garage e a cantine è parzialmente fuori terra rispetto al piano di costruzione, essendo irrilevante che la costruzione così realizzata sia […], successivamente, coperta da uno strato di terra”.

15.2. La sentenza appellata recepisce il tradizionale insegnamento giurisprudenziale – affermato anche dal Giudice ordinario – secondo cui, ai fini dell’applicazione della previsione di cui all’art. 873 c.c., deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione (cfr., ex multis, Cassazione civile, Sez. II, 8 agosto 2019, n. 21173). Pertanto, le regole in materia di distanze sono destinate ad operare nel caso di specie trattandosi di una porzione di immobile non completamente interrata.

15.3. I garages in questione non possono neppure qualificarsi come volumi tecnici atteso che tale categoria di riferisce esclusivamente a locali adibiti alla sistemazione di impianti aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l'utilizzo della costruzione e che non possono essere ubicati all'interno della parte abitativa. In relazione a tale ultimo aspetto la giurisprudenza precisa che, ai fini della nozione di “volume tecnico”, assumono valore tre ordini di parametri: il primo, positivo e funzionale, attiene al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l'utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, consistono, da un lato, nell'impraticabilità di soluzioni progettuali diverse - nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all'interno della parte abitativa – e, dall'altro lato, in un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti: “da ciò consegue che rientrano nella nozione in parola solo le opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, mentre non sono riconducibili alla stessa i locali, in specie laddove di ingombro rilevante, oggettivamente incidenti in modo significativo sui luoghi esterni (ad es. Cass. penale n. 7217 del 2011)” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 luglio 2020, n. 4358). La giurisprudenza osserva, inoltre, che “si definisce volume tecnico il volume non impiegabile né adattabile ad uso abitativo e comunque privo di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché strettamente necessario per contenere, senza possibili alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, gli impianti tecnologici serventi una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima e non collocabili, per qualsiasi ragione, all'interno dell'edificio” (cfr., ancora, Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 luglio 2020, n. 4358).

15.4. Le opere in questione non sono, tuttavia, prive di autonomia funzionale e meramente strumentali al manufatto ma sono porzioni che assumono una propria funzione e hanno specifico autonomo valore. Infatti, i volumi tecnici sono esclusivamente “impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione che non possono essere in alcun modo ubicati all'interno di questo come possono essere, e sempre in difetto dell'alternativa, quelli connessi alla condotta idrica, termica e all'ascensore e simili, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione senza generale aumento di carico territoriale o di impatto visivo (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 11 luglio 2016 n. 3059 e sez. VI 16 giugno 2016 n. 2658)”. Possono, quindi, “considerarsi volumi tecnici solo quei volumi che sono realizzati per esigenze tecnico-funzionali della costruzione (per la realizzazione di impianti elettrici, idraulici, termici o di ascensori), che non possono essere ubicati all'interno di questa e che sono del tutto privi di propria autonoma utilizzazione funzionale, anche potenziale” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7584).

15.5. In ultimo, la deroga alle distanze non è giustificabile neppure evocando il disposto di cui all’art. 9, co, 1, della L. n. 122/1989 che opera solo in caso di autorimesse integralmente collocate nel sottosuolo (Consiglio di Stato, Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 1480).

16. In relazione al tema delle altezze osserva il Collegio come il motivo articolato dalla parte appellante incidentale si limiti, in sostanza, a richiamare uno stralcio della perizia depositata in primo grado senza, tuttavia, operare una analitica contestazione della motivazione stesa dal Primo Giudice sul punto. Osserva, infatti, il T.A.R. per il Molise: “Con riferimento all’altezza del fabbricato, la perizia di parte ricorrente non smentisce il risultato del sopralluogo eseguito dai tecnici comunali, cui fa riferimento il provvedimento impugnato, dal quale risulta che l’altezza dell’edificio è stata misurata in metri 8, 35 a monte e in metri 8, 60 a valle. La perizia prende le mosse dall’altezza indicata nel progetto allegato all’istanza di sanatoria, pari a metri 8, 33, ignorando le misurazioni eseguite dai tecnici comunali. Inoltre, al di là del richiamo alla normativa recata dalla legge regionale numero 36 del 2002, la perizia appare errata laddove sembra ritenere che l’articolo 34, comma 2 ter, del d.p.r. 380 del 2001 nel testo modificato dal decreto legge “Sviluppo” abbia introdotto una deroga del 2% agli standard fissati dagli strumenti urbanistici. Diversamente da quanto opinato dalla difesa della ricorrente, il richiamato comma 2 ter dell’articolo 34 si limita a qualificare come conformi al titolo abilitativo le violazioni di altezza che non eccedono il 2% delle misure progettuali, al solo fine di valutare la eventuale parziale difformità di un’opera dal titolo abilitativo, senza incidere sulla diversa questione della conformità dell’opera stessa allo strumento urbanistico. Nel caso concreto, comunque, risulta con certezza il superamento dell’altezza massima consentita dal programma di fabbricazione. Anche a voler ammettere, cosa niente affatto pacifica che richiederebbe un approfondimento tecnico, che per effetto dello scomputo dei solai e delle coperture per la parte eccedente i 30 cm, in applicazione della legge regionale numero 36 del 2002, cosiddetto bonus per i miglioramenti delle prestazioni energetiche, all’altezza effettiva debbano essere sottratti, come vorrebbe il tecnico di parte, metri 0,70, l’altezza effettiva risulterebbe, in ogni caso, ben superiore a quella stabilita dallo strumento urbanistico vigente, pari a metri 7, 50”.

16.1. La sentenza di primo grado merita, in parte qua, conferma ove si consideri, in primo luogo, che il computo tecnico eseguito dalla parte appellante non risulta conforme alla L.r. n. 36/2002 che consente di non computare nella determinazione dei volumi e nei rapporti di copertura gli spessori degli elementi edilizi strutturali e sovra strutturali eccedenti cm. 30 ma: i) fino ad un massimo di ulteriori cm. 25 nel caso di tamponamenti perimetrali, murature portanti esterne e coperture a falda o a terrazzo; ii) fino ad un massimo di ulteriori cm. 15 nel caso di solai piani intermedi. Nel caso di specie, lo spessore della copertura esterna e lo spessore dei solai dei due piani intermedi misurano cm. 45 ciascuno per cui l’applicazione del bonus comporta, come rilevato correttamente dal Comune, la decurtazione di 0,15 centimetri per i due solai intermedi e 0,15 cm. per il manto di copertura (con bonus complessivo pari a 0,45 cm.). Al contrario, il tecnico computa 70 cm di bonus prendendo in considerazione due solai - nonostante il limite importo dalla L.r. in esame sia da considerarsi complessivo – e decurtando dalla copertura esterna 25 cm in luogo dei quindici conseguenti all’eccedenza rispetto ai 30 cm previsti dalla normativa.

16.2. In secondo luogo, deve considerarsi come il margine di tolleranza di cui all’art. 34, co, 2-ter, del D.P.R. n. 380/2001 sia relativo alle sole difformità rispetto a quanto assentito da titolo e non incide, invece, in relazione alle prescrizioni previste dallo strumento urbanistico comunale e, in particolare, all’altezza massima assentita, nel caso di specie, dal Piano di fabbricazione.

16.3. I rilievi dell’appellante incidentali non sono, quindi, idonei a superare le condivisibili valutazioni espresse dal Giudice di prime cure con conseguente infondatezza del motivo di gravame esaminato.

17. In definitiva, deve parzialmente accogliersi l’appello principale del Comune di Campodipietra mentre deve respingersi l’appello incidentale condizionato di LGB Invest.

18. Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono eccezionalmente compensarsi tenuto conto della fondatezza solo parziale dell’appello del Comune e della indubbia peculiarità della vicenda all’attenzione del Collegio rispetto alla quale non si registrano indicazioni giurisprudenziali univoche all’epoca di introduzione del giudizio di primo grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto:

i) accoglie in parte l’appello principale del Comune di Campodipietra e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata respinge in parte il terzo motivo del ricorso per motivi aggiunti articolato nel giudizio di primo grado nei sensi e nei limiti indicati in motivazione;

ii) respinge l’appello incidentale condizionato di LGB Invest confermando la sentenza non definitiva n. 86/2014 del T.A.R. per il Molise;

iii) compensa le spese di lite del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 luglio 2022 con l'intervento dei magistrati:

Andrea Pannone, Presidente FF

Dario Simeoli, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere, Estensore