Consiglio di Stato Sez. II n. 997 del 7 febbraio 2020
Urbanistica.Ingiunzione alla demolizione e motivazione

Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso.

Pubblicato il 07/02/2020

N. 00997/2020REG.PROV.COLL.

N. 00151/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 151 del 2011, proposto dal signor Danilo Menaspà, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio Liuzzi e Maria Gabriella Maggiora, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Milena Liuzzi in Roma, via Monte Asolone, 8,

contro

il Comune di San Bonifacio, non costituito in giudizio,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 3000/2009, resa tra le parti, concernente un’ordinanza di demolizione di autorimessa.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2020, il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e udito l’avv.to Maria Gabriella Maggiora;


FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez. II, con la sentenza 24 novembre 2009, n. 3000, ha respinto il ricorso, proposto dall’attuale parte appellante, per l’annullamento dell’ordinanza di demolizione di un’autorimessa, in data 9 maggio 1995, prot. n. 10074.

Secondo il TAR, sinteticamente:

- secondo la giurisprudenza, il garage discostato dall’edificio principale non costituisce pertinenza se non viene fornita una prova specifica del nesso di accessorietà, strumentalità ed esclusivo servizio;

- il ricorrente non ha fornito alcuna prova della natura pertinenziale del fabbricato, mentre l’Amministrazione ha evidenziato che il garage è utilizzato da persona terza rispetto sia al proprietario sia all’affittuario, con il che rimane esclusa la natura pertinenziale del manufatto;

- la costruzione del garage, per la quale è stata ordinata la demolizione, non può essere considerata, come vorrebbe il ricorrente, come avvenuta in parziale difformità dalla concessione edilizia, perché la concessione edilizia non lo prevedeva;

- si tratta di manufatto terzo, estraneo all’edificio condominiale principale che era stato assentito; ne consegue che non poteva essere applicata la sanzione pecuniaria per intervento eseguito (asseritamente) in parziale difformità dalla concessione edilizia;

- il provvedimento impugnato è sufficientemente motivato in relazione alle risultanze del verbale di sopralluogo ed all’assenza della concessione edilizia;

- la circostanza che non sia stato il ricorrente a costruire il manufatto, ma un precedente proprietario, non incide sulla legittimità del provvedimento impugnato, perché la sanzione edilizia ha natura ripristinatoria e dunque può e deve essere rivolta al proprietario attuale dell’immobile abusivo;

- la circostanza che nel provvedimento impugnato l’attuale proprietario sia erroneamente indicato come responsabile dell’abuso costituisce un semplice errore materiale che non inficia la legittimità del provvedimento.

L’appellante contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità.

Con l’appello in esame chiedeva l’accoglimento del ricorso di primo grado.

Si costituiva la parte appellata chiedendo la reiezione dell’appello.

All’udienza pubblica del 21 gennaio 2020 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Ritiene il Collegio, in punto di diritto, che come ha chiarito l’Adunanza plenaria 17 ottobre 2017, n. 9, a differenza dell’annullamento in via di autotutela del permesso di costruire (Adunanza plenaria 17 ottobre 2017, n. 8), nell’ipotesi di ordine di demolizione di opere abusive, non viene in rilievo l’annullamento di un titolo edilizio, adottato a distanza di anni dal rilascio del titolo medesimo, ma si esamina una situazione di totale assenza di titolo edilizio e conseguente, seppure tardiva, ingiunzione di demolizione disposta dalla P.A..

Il discrimen fra i due casi è evidente soprattutto in ordine alla posizione soggettiva del privato.

Nel primo caso, essendo in presenza di un originario atto amministrativo favorevole, può dirsi radicata una posizione di legittimo affidamento; nel secondo caso, al contrario, non può identificarsi alcun legittimo affidamento in capo al privato, il quale non è mai stato destinatario di un provvedimento favorevole, avendo egli edificato sine titulo.

L’intervento edilizio è sin dall’origine illegittimo e, per tale motivo, inidoneo a “ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata”.

Tale considerazione sulla mancanza di affidamento incolpevole, è assorbente rispetto a due quesiti fondamentali.

In primo luogo, la questione del decorso del tempo o – da altra prospettiva – dell’inerzia dell’Amministrazione protratta per anni, che sembrerebbe rappresentare una censura.

Infatti, il mero decorso del tempo non potrà mai caducare il potere amministrativo di adottare il provvedimento di demolizione, dal momento che in esso è insito il doveroso fine di perseguire l’illecito consistente nell’abuso edilizio.

Diversamente, si attribuirebbe legittimità al fenomeno dell’abusivismo per effetto del mero decorso del tempo.

In secondo luogo, il dovere di motivare in capo all’Amministrazione procedente sarà decisamente attenuato e composto dal “richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria”.

Peraltro, non è neppure necessaria una specifica e particolare motivazione dell’ordine di demolizione dal momento che il tempo intercorso fra il momento di realizzazione dell’abuso e il predetto ordine di demolizione non ha determinato l’insorgenza di uno stato legittimo di affidamento.

In definitiva, il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso.

2. Nel caso di specie, pertanto, il dedotto vizio di motivazione dell’ordinanza, basato sulla circostanza del lungo tempo trascorso tra la realizzazione del manufatto (1970) e l’irrogazione della sanzione (1996), durante il quale il Comune ha mantenuto un comportamento del tutto inerte, è insussistente, sia per il padre dell’appellante, acquirente del manufatto, sia per il figlio, che ha ereditato l’appartamento e la pertinenza.

In nessuno dei due casi è prospettabile un legittimo affidamento sulla conformità del manufatto alla normativa edilizia.

L’Amministrazione comunale, infatti, ha il potere di sanzionare anche i proprietari o possessori ad altro titolo i quali, pur non essendo autori degli abusi, hanno incautamente ricevuto il bene pur in presenza di irregolarità edilizie.

Per questa ragione non possono invocare l’incolpevole affidamento.

Non a caso, l’art. 31, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 individua tra i destinatari dell’ingiunzione di rimozione o di demolizione di abusi edilizi, anche il proprietario; in questa determinazione va interpretata una precisa scelta del legislatore, la cui ratio va individuata nel fatto che il proprietario è il solo soggetto legittimato ad intervenire sull’immobile e ad eliminare così un abuso anche in precedenza realizzato.

Per questo, il proprietario non può sottrarsi a siffatto obbligo ed addossare l’esclusiva responsabilità a terzi o al precedente proprietario; d’altro canto, spetta pur sempre al proprietario il diritto di rivalersi, sul piano civilistico, nei confronti dell’effettivo autore della trasformazione abusiva.

3. La parte appellante deduce l’erroneità della sentenza del TAR impugnata anche in relazione alla circostanza che si escluda il carattere di pertinenzialità del garage rispetto all’appartamento per il solo fatto che l’utilizzatore fosse terzo rispetto al proprietario e all’affittuario.

Il Collegio osserva, in effetti, che la legge 6 agosto 1967, n. 765 (c.d. “legge Ponte”), all’art. 18, ha introdotto nella legge urbanistica (L. n. 1150-1942) l’art. 41-sexies, prescrivendo che “Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbano essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione”.

La legge n. 47-1985 (legge sul primo condono edilizio), in particolare l’art. 26, comma 5 (poi abrogato dal d.lgs. n. 378-2001), ha stabilito che “Gli spazi di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18, costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 c.c.”.

Con ciò è stata definitivamente sancita la sussistenza del rapporto di accessorietà (tipico delle pertinenze) del posto auto rispetto al fabbricato, come era stato già individuato dai sostenitori della teoria soggettiva, anche se, nel contempo ed attraverso il richiamo all’art. 818 c.c., (che, al comma 2, stabilisce che “le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici”), si è voluta affermare la alienabilità del posto auto separatamente dall’unità immobiliare di cui ne costituisce pertinenza.

Nel caso di specie, non è in discussione la natura pertinenziale del box, atteso che è stato ceduto con l’abitazione dal costruttore a privati, con lo stesso atto notarile, e che certo non può essere dedotta soltanto dall’accertamento del soggetto utilizzatore, ma la sua costruzione in difformità dal permesso di costruire, che infatti non lo prevedeva.

Tuttavia, i parcheggi “ponte”, come quello in esame, sono anche definiti parcheggi obbligatori, perché la legge urbanistica ne impone obbligatoriamente la creazione unitamente alla costruzione autorizzata.

Come detto, ai sensi del citato art. 41-sexies della L. urb., nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbono essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione e tali limiti non risultano violati con riferimento al garage in questione.

L’intervento, quindi, può ritenersi eseguito in parziale difformità dalla licenza di costruzione che assentì l’intervento nel suo complesso, pur in assenza di una previsione specifica per il garage, atteso che comunque il garage doveva essere previsto in sede di costruzione.

5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto.

Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio, in assenza di costituzione della parte appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe indicato, lo respinge.

Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore

Giovanni Sabbato, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Giovanni Orsini, Consigliere