Il nuovo Editto delle Chiudende è incostituzionale

di Stefano DELIPERI

La Corte costituzionale, con sentenza n. 210 del 18 luglio 2014, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 della legge regionale Sardegna n. 19/2013 in materia di sdemanializzazione di terreni appartenenti al demanio civico

“a) nella parte in cui non prevede la tempestiva comunicazione del Piano straordinario di accertamento e degli altri atti modificativi dei vincoli di destinazione ai competenti organi statali, affinché lo Stato possa far valere la propria competenza a tutelare il paesaggio con la conservazione dei vincoli esistenti o l’apposizione di diversi vincoli, e affinché, in ogni caso, effetti giuridici modificativi del regime dei relativi beni non si producano prima, e al di fuori, del Piano paesaggistico regionale;

b) nella parte in cui prevede che i Comuni possono “attuare” processi di transazione giurisdizionale, invece che “proporre” tali processi”.

In buona sostanza, la sdemanializzazione di terreni appartenenti ai demani civici nei vari Comuni della Sardegna a opera dei piani di accertamento predisposti dagli stessi Comuni e formalmente approvati dalla Regione autonoma della Sardegna viola la competenza statale esclusiva in materia di tutela del paesaggio, degli ecosistemi e dei beni culturali di cui agli artt. 9 e 117, comma 2°, lettera s , cost. in quanto sottrae i terreni medesimi alla tutela del vincolo paesaggistico (art. 142, comma 1°, lettera h, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Così i Comuni non possono certo “’attuare’ processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti o cause legali in corso, invece che ‘proporre’ tali processi”, in palese violazione delle competenze statali in tema di tutela del paesaggio.

Diversi Comuni sardi (fra i principali Nuoro, Oristano, Orosei, Cuglieri), nei mesi scorsi, avevano adottato vari piani di accertamento dei rispettivi demani civici, spesso stravolgendo i precedenti provvedimenti regionali di accertamento, promulgati al termine di complesse e laboriose verifiche. Tali nuovi accertamenti erano in attesa della formalizzazione regionale, ora impossibile.

La norma cassata, definita il nuovo Editto delle Chiudende in quanto propositiva di provvedimenti di sdemanializzazione delle terre civiche al pari dell’analogo corpus di atti ottocenteschi, aveva introdotto una delega ai Comuni “alla ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio territorio”, nonostante anni di difficile lavoro e milioni di euro spesi dalla Regione autonoma della Sardegna per le operazioni che hanno portato all’Inventario generale delle terre civiche previsto dalla legge. Tale “ricognizione” sarebbe andata a costituire la base soprattutto per sdemanializzazioni, in particolare per i “i terreni sottoposti ad uso civico (che, n.d.r.) abbiano perso la destinazione funzionale originaria di terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia riscontrabile né documentabile la originaria sussistenza del vincolo demaniale civico”, cioè in tutti quei casi in cui vi siano state occupazioni abusive, abusi edilizi, destinazioni agricole ovvero i diritti di uso civico siano stati accertati per presunzione in quanto già terreni feudali (la gran parte dei demani civici). Il trasferimento dei diritti di uso civico (art. 18 ter della legge regionale n. 12/1994 e s.m.i.) appare nei casi de quibus una procedura più equa perché consente il mantenimento e l’incremento delle terre appartenenti al demanio civico sul piano qualitativo e ambientale unitamente alla soluzione di problematiche concrete altrimenti impraticabili.

Come si ricorda, gli usi civici e gli altri diritti d’uso collettivi (legge n. 1766/1927 e s.m.i., regio decreto n. 332/1928, legge regionale Sardegna n. 12/1994 e s.m.i.) sono in generale diritti spettanti ad una collettività, che può essere o meno organizzata in una persona giuridica pubblica (es. università agraria, regole, comunità, ecc.) a sé stante, ma comunque concorrente a formare l’elemento costitutivo di un Comune o di altra persona giuridica pubblica: l’esercizio dei diritti spetta uti cives ai singoli membri che compongono detta collettività.

Gli elementi comuni a tutti i diritti di uso civico sono stati individuati in:
- esercizio di un determinato diritto di godimento su di un bene fondiario;
- titolarità del diritto di godimento per una collettività stanziata su un determinato territorio;
- fruizione dello specifico diritto per soddisfare bisogni essenziali e primari dei singoli componenti della collettività.
L’uso consente, quindi, il soddisfacimento di bisogni essenziali ed elementari in rapporto alle specifiche utilità che la terra gravata dall’uso civico può dare: vi sono, così, i diritti di uso civico di legnatico, di erbatico, di fungatico, di macchiatico, di pesca, di bacchiatico, ecc. Quindi l’uso civico consiste nel godimento a favore della collettività locale e non di un singolo individuo o di singoli che la compongono, i quali, tuttavia, hanno diritti d’uso in quanto appartenenti alla medesima collettività che ne è titolare.

Dopo la legge n. 431/1985 (la nota Legge Galasso), i demani civici hanno anche acquisito una funzione di tutela ambientale (riconosciuta più volte dalla Corte costituzionale: vds. ad es. sent. n. 345/1997 e n. 46/1995).    Questa funzione è importantissima, basti pensare che i demani civici si estendono su oltre 5 milioni di ettari in tutta Italia (un terzo dei boschi nazionali), mentre i provvedimenti di accertamento regionali stanno portando la percentuale del territorio sardo rientrante in essi a quasi il 20%.

Molte normative regionali, così come anche la legge regionale sarda n. 12/1994 e s.m.i., vi hanno aggiunto alcune nuove “fruizioni” (es. turistiche), ma sempre salvaguardando il fondamentale interesse della collettività locale.   In particolare sono rimasti invariate le caratteristiche fondamentali dei diritti di uso civico.                   Essi sono inalienabili (art. 12 della legge n. 1766/1927), inusucapibili ed imprescrittibili (artt. 2 e 9 della legge n. 1766/1927): “intesi come i diritti delle collettività sarde ad utilizzare beni immobili comunali e privati, rispettando i valori ambientali e le risorse naturali, appartengono ai cittadini residenti nel Comune nella cui circoscrizione sono ubicati gli immobili soggetti all’uso” (art. 2 legge regionale Sardegna n. 12/1994).                 Ogni atto di disposizione che comporti ablazione o che comunque incida su diritti di uso civico può essere adottato dalla pubblica amministrazione competente soltanto verso corrispettivo di un indennizzo da corrispondere alla collettività titolare del diritto medesimo e destinato a opere permanenti di interesse pubblico generale (art. 3 della legge regionale Sardegna n. 12/1994).

Un quadro normativo, quindi, abbastanza ben strutturato, meritevole di riforme ponderate, migliorative della tutela dei demani civici e dei diritti delle collettività locali, non certo di stravolgimenti eversivi, giustamente fermati dalla Corte costituzionale.

dott. Stefano Deliperi







SENTENZA N. 210

ANNO 2014



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Sabino CASSESE; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19 (Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 7-10 ottobre 2013, depositato in cancelleria il 10 ottobre 2013 ed iscritto al n. 93 del registro ricorsi 2013.

Visti l’atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna nonché l’atto di intervento del Consorzio Uomini di Massenzatica;

udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice relatore Giuliano Amato sostituito per la redazione della decisione dal Giudice Giancarlo Coraggio;

uditi l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna.

Ritenuto in fatto

1.− Con ricorso notificato il 7-10 ottobre 2013 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 10 ottobre (reg. ric. n. 93 del 2013), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19 (Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici), per la violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, quest’ultimo anche in riferimento agli artt. 135, 142, comma 1, lettera h), e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dell’art. 3, primo comma, lettera n), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) e dell’art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna).

1.1.− La disposizione impugnata stabilisce:

«1. La Giunta regionale, mediante un Piano straordinario di accertamento demaniale, provvede alla ricognizione generale degli usi civici esistenti sul territorio regionale e alla individuazione su cartografia aggiornata di dati e accertamenti già esistenti riportati su cartografie antiche.

2. A tal fine in deroga alle disposizioni di cui alla legge regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda), ed in via straordinaria al fine di superare i limiti e le incongruenze legate alle procedure di accertamento già decretato delle terre gravate da uso civico, i comuni sono delegati ad effettuare entro il 31 dicembre 2013, e con le procedure per l’adozione e l’approvazione dei piani di valorizzazione di cui all’articolo 9 della legge regionale n. 12 del 1994, la ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio territorio.

3. A tal fine i comuni, oltre a documentare il reale sussistere dell’uso civico, possono proporre permute, alienazioni, sclassificazioni e trasferimenti dei diritti di uso civico secondo il principio di tutela dell’interesse pubblico prevalente. Costituiscono oggetto di sclassificazione del regime demaniale civico in sede di ricognizione generale e straordinaria anche i casi in cui i terreni sottoposti ad uso civico abbiano perso la destinazione funzionale originaria di terreni pascolativi o boschivi ovvero non sia riscontrabile né documentabile l’originaria sussistenza del vincolo demaniale civico. I comuni, previa intesa fra le parti interessate, possono attuare, nell’ambito della ricognizione generale degli usi civici, processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti o cause legali in essere. Per quanto previsto al presente articolo non possono essere assimilate ad uso civico le terre pubbliche sottoposte da provvedimenti prefettizi ad assegnazione per finalità sociali.

4. Tutte le risultanze degli accertamenti già decretati che non risultino confermate o coerenti con la documentazione giustificativa del piano di accertamento straordinario di cui al comma 1 decadono con l’approvazione, non oltre i tre mesi dalla conclusione delle procedure comunali, del complessivo Piano straordinario di accertamento da parte della Giunta regionale. Le cessazioni degli usi civici derivanti dalle risultanze del piano straordinario di cui alle presenti norme, hanno efficacia dalla data dei medesimi atti o provvedimenti, ovvero se precedenti rispetto alle date indicate negli stessi atti o provvedimenti, dalla data, indicata nell’atto ricognitivo, in cui è venuta meno la destinazione funzionale all’uso civico dei relativi beni».

1.2.− Osserva il ricorrente che gli usi civici sono diritti reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare un’utilità o comunque un beneficio ai singoli appartenenti ad una collettività.

Il legislatore, nel disciplinare la destinazione delle terre sulle quali gravano usi civici, ai sensi dell’art. 12 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del regio decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del regio decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del regio decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del regio decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del regio decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), ha sancito, in via di principio, la inalienabilità e l’impossibilità di mutamento di destinazione dei terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente.

Gli usi civici concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano ed incidono sull’ambiente e sul paesaggio, perché contribuiscono alla salvaguardia di questi ultimi.

Ad avviso del ricorrente, quindi, la norma impugnata, nel delegare i Comuni ad una ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio territorio e nel prevedere la progressiva sdemanializzazione dei terreni sottoposti ad uso civico, non si limiterebbe a disciplinare la materia degli usi civici sul territorio, ma ne prevederebbe la sostanziale cessazione, interferendo sulla conservazione e sulla tutela dell’ambiente e del paesaggio, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, ai sensi degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost. A tale riguardo, dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia di tutela dell’ambiente e del paesaggio, e segnatamente la sentenza n. 367 del 2007, il ricorrente, infatti, ricorda come la particolarità della disciplina del bene giuridico «ambiente» considerato nella sua completezza ed unitarietà, riverbera i suoi effetti anche rispetto alle Regioni autonome, incidendo sulla loro potestà normativa.

1.3.− I parametri costituzionali invocati, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, sarebbero altresì lesi perché l’oggetto della norma è indiscriminato: tutti gli usi civici sono presi in considerazione, senza distinguere quelli che possono presentare un concreto interesse paesistico e ambientale, né riservare a questi una normativa specifica.

Inoltre, il solo presupposto della sdemanializzazione sarebbe la mancanza dell’attuale destinazione a pascolo o a bosco, senza considerare che la perdita della destinazione agraria non comporta di per sé perdita di rilevanza paesaggistica e ambientale.

L’automatismo in questione appare misura eccessiva e sproporzionata rispetto al fine che la legge persegue (il riordino degli usi civici) e si traduce in uno svuotamento del nucleo essenziale della tutela del paesaggio e dell’ambiente imposta dall’art. 9 Cost. e attuata dalle disposizioni del testo unico sui beni culturali ed ambientali.

La norma impugnata, dunque, oltre a palesare una illegittimità sostanziale, incorre nel vizio di incompetenza legislativa, atteso che la normativa regionale priva il sistema di tutela del paesaggio e dell’ambiente del presidio costituito dagli usi civici e, in tal modo direttamente incide, invadendola, la competenza esclusiva dello Stato in materia.

1.4.− Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la norma impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 142, comma 1, lettera h), 135 e 143, del d.lgs. n. 42 del 2004, che sarebbero espressione della competenza legislativa statale nella materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

In particolare, il ricorrente osserva che l’art. 142 sottopone a vincolo paesaggistico le zone gravate da usi civici – riprendendo quanto già previsto dal decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 – in ragione del valore paesaggistico intrinseco che le aree territoriali coperte da uso civico presentano per le loro caratteristiche morfologiche ed ubicazionali.

Di conseguenza, la disposizione impugnata, incidendo sulla classificazione degli usi civici, sottrarrebbe alla tutela paesaggistica vaste porzioni di territorio, oggi tutelate in forza della legge nazionale, e si porrebbe in contrasto con la norma fondamentale di riforma economico-sociale di cui all’art. 142, comma 1, lettera h), del codice dei beni culturali e del paesaggio.

1.5.− Il ricorrente lamenta, inoltre, il contrasto della norma regionale con la disciplina statale in materia di pianificazione congiunta di cui agli artt. 135 e 143 del codice dei beni culturali e del paesaggio. L’impugnata norma, infatti, rimandando ad un’ulteriore cartografia per la rilevazione degli usi civici, metterebbe in discussione la ricognizione finora predisposta, incidendo in modo unilaterale sullo strumento di pianificazione.

In particolare, secondo la difesa statale, l’attività di ricognizione, delimitazione e rappresentazione in scala idonea all’identificazione delle aree tutelate per legge, ai sensi dell’art. 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, costituirebbe uno dei contenuti necessari del piano paesaggistico (art. 143, comma 1, lettera c) e dovrebbe essere svolta congiuntamente dallo Stato e dalla Regione (art. 135).

Tali disposizioni hanno natura di norme fondamentali di grande riforma economico-sociale, con conseguenti limiti all’esercizio della competenza legislativa primaria delle Regioni autonome.

1.6.− L’Avvocatura generale dello Stato pone in rilievo come gli usi civici non svolgono esclusivamente la funzione economico-sociale di garantire risorse alla collettività che ne è proprietaria, atteso che alle tradizionali funzioni si è aggiunta una loro fondamentale utilità ai fini della conservazione del bene ambiente.

Questa Corte ha rilevato un «interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di “una integrazione fra uomo e ambiente naturale”» (sentenza n. 46 del 1995).

Ai sensi della legge n. 1766 del 1927 e del regolamento di attuazione, regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), la limitazione o la liquidazione dei diritti di uso civico non potrebbero prescindere dalle valutazioni del Ministero per i beni e le attività culturali (sentenze n. 345 del 1997 e n. 310 del 2006).

1.7.− La disposizione censurata, inoltre, contrasterebbe con le disposizioni del d.lgs. n. 42 del 2004 in quanto potrebbe avere effetti negativi diretti sul processo di copianificazione paesaggistica in corso.

1.8.− Infine, lo Stato lamenta la violazione dell’art. 3 dello statuto speciale della Regione autonoma Sardegna, in quanto la legge regionale non avrebbe rispettato il limite dell’armonia con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, atteso che gli usi civici sarebbero parte integrante e sostanziale del complessivo sistema di tutela dell’ambiente e del paesaggio.

2.− Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate inammissibili e in subordine non fondate.

2.1.− In via preliminare, la difesa regionale afferma la sussistenza di un’amplissima competenza della Regione autonoma Sardegna in materia di usi civici, prevista dall’art. 3, comma 1, lettera n), dello statuto speciale, e già esercitata con la legge regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda), che già prevedeva un meccanismo di sclassificazione (art. 18-bis), solo modificato dalla disciplina in esame.

La norma impugnata consentirebbe di far perdurare un regime degli usi civici che non si limiti alla mera menzione dell’istituto su carta, ma sia di effettiva utilità per le comunità locali e per la salvaguardia del valore paesaggistico dei terreni gravati.

Secondo la difesa regionale, tale corretta gestione dei territori appare coerente con il principio di tutela del paesaggio di cui all’art. 9 Cost. (sentenza n. 511 del 1991).

2.2.− La sclassificazione, nella fattispecie in esame, sarebbe un atto dichiarativo, che la Regione adotta solo una volta accertata la insussistenza originaria del vincolo, oppure il venir meno della possibilità di utilizzo civico del terreno in funzione boschiva o pastorale, non palesandosi, dunque, alcuna violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. o del principio di tutela del paesaggio ex art. 9 Cost.

2.3.− In merito alla censura secondo la quale l’oggetto della norma impugnata sarebbe indiscriminato, la difesa regionale rileva che il legislatore regionale ha previsto un’attività di verifica documentale – quanto all’effettiva apposizione del vincolo – ed empirica – quanto all’effettiva perdurante utilità boschiva o pastorale dei luoghi – degli usi civici che gravano sul territorio sardo, al fine di valutare quali di essi debbano considerarsi effettivamente persistenti; ed invero, all’esito di tale procedimento, ove il terreno sia da considerarsi effettivamente idoneo all’uso civico, esso sarebbe naturaliter sottoposto al relativo regime di tutela.

2.4.− Secondo la Regione, inoltre, la sclassificazione di un lotto di terreno non ne determinerebbe di per sé l’irrilevanza ai fini paesaggistici, in quanto un fondo è oggetto di tutela paesaggistica non solo quando su esso gravi l’uso civico, ma anche quando si verifichi una delle condizioni di cui agli artt. 142 e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004. Di conseguenza, se è vero che ogni terreno gravato da uso civico è per ciò solo vincolato, non è vero che non possa essere tutelato il fondo libero da usi civici, ma che presenti altri indici di valore paesaggistico.

2.5.− Né sarebbe ravvisabile un automatismo della norma impugnata perché la stessa prevede uno spatium deliberandi certamente congruo sia per la ricognizione effettuata dai singoli Comuni, sia per la successiva ricognizione effettuata dagli uffici della Regione.

2.6.− Secondo la difesa regionale, anche la censura relativa alla violazione degli artt. 135, 142, comma 1, lettera h), e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004 sarebbe oltre che inammissibile, perché meramente ipotetica ed eventuale, non fondata, perché il ricorrente confonderebbe due procedimenti – la redazione del piano paesaggistico e la gestione dell’uso civico – che sono invece ben distinti.

Ad avviso della resistente, il piano paesaggistico regionale dovrebbe necessariamente prendere atto della gestione degli usi civici demandata alla competenza regionale, dettando previsioni che siano compatibili con la persistenza o meno degli usi civici nelle rispettive aree.

2.7.− Infine, ad avviso della difesa regionale, anche la censura relativa alla violazione dell’art. 3, comma 1, lettera n), dello statuto, sarebbe infondata, in quanto la competenza legislativa esclusiva della Regione in materia di usi civici ben può consentire alla Regione di intervenire nella predisposizione di un piano di ricognizione e valorizzazione degli stessi.

3.− È intervenuto in giudizio il Consorzio Uomini di Massenzatica, ente di gestione della proprietà collettiva dei residenti nelle frazioni di Monticelli e Massenzatica del Comune di Mesola, in provincia di Ferrara, chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna n. 19 del 2013, per violazione degli artt. 9, 24, primo comma, 25, primo comma, 42 e 117, secondo comma, lettera s), Cost.

4.− In prossimità dell’udienza, la Regione autonoma Sardegna ha depositato memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni già rassegnate, chiedendo altresì che sia dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio del Consorzio Uomini di Massenzatica.



Considerato in diritto

1.− Con ricorso notificato il 7-10 ottobre 2013 e depositato nella cancelleria della Corte il successivo 10 ottobre (reg. ric. n. 93 del 2013), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19 (Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici), per la violazione degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, quest’ultimo anche in riferimento agli artt. 135, 142, comma 1, lettera h), e 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), dell’art. 3, primo comma, lettera n), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), e dell’art. 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma della Sardegna).

2.− Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna chiedendo, come ribadito con la memoria depositata in prossimità dell’udienza, che le questioni prospettate siano dichiarate inammissibili e in subordine non fondate.

3.– È intervenuto in giudizio il Consorzio Uomini di Massenzatica, ente di gestione della proprietà collettiva dei residenti nelle frazioni di Monticelli e Massenzatica del Comune di Mesola, in Provincia di Ferrara, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 19 del 2013.

4.− In via preliminare, deve essere dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio del Consorzio Uomini di Massenzatica, atteso che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il giudizio di costituzionalità delle leggi, promosso in via d’azione, si svolge esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle rispettive posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente innanzi a questa Corte in via incidentale (ex plurimis, sentenza n. 220 del 2013).

4.1.– Sempre in via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione della Regione autonoma Sardegna volta a sostenere che la norma impugnata si pone in una logica di continuità con quanto previsto dalla legge regionale 14 marzo 1994, n. 12 (Norme in materia di usi civici. Modifica della legge regionale 7 gennaio 1977, n. 1 concernente l’organizzazione amministrativa della Regione sarda), poiché le nuove disposizioni per la ricognizione generale degli usi civici esistenti sul territorio regionale e la individuazione su cartografia aggiornata di dati e accertamenti già esistenti riportati su cartografie antiche, mediante il previsto piano straordinario di accertamento demaniale, sono dettate «in deroga» alla citata legge regionale.

5.− Nel merito, il ricorrente si duole della prevista progressiva sdemanializzazione degli usi civici sul territorio sardo, attraverso il piano straordinario di accertamento demaniale e la delega conferita in merito ai Comuni, in quanto, prevedendo la possibile sostanziale cessazione degli stessi, la norma regionale esorbiterebbe dalle competenze statutarie ed interferirebbe sulla conservazione e sulla tutela dell’ambiente e del paesaggio, la cui cura è demandata in via esclusiva allo Stato in ragione dei parametri costituzionali sopra richiamati.

6.− La questione è fondata e deve essere accolta nei termini di seguito indicati.

7.– Occorre premettere che gli usi civici rinvengono la propria disciplina nella legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del regio decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del regio decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del regio decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del regio decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del regio decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), e nel relativo regolamento di attuazione, regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), nonché nella legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane).

7.1.− In origine, la finalità che il legislatore ha inteso perseguire era quella della liquidazione degli usi civici, per una migliore utilizzazione agricola dei relativi terreni, ma ciò non ha impedito la loro sopravvivenza con un ruolo non marginale nell’economia agricola del Paese.

Peraltro, i profondi mutamenti economici e sociali intervenuti nel secondo dopoguerra hanno inciso anche in questo settore, mettendo in ombra il profilo economico dell’istituto ma ad un tempo evidenziandone la rilevanza quanto ad altri profili e in particolare quanto a quelli ambientali.

Quest’ultimo interesse ha trovato il suo riconoscimento, prima, con il decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, della legge 8 agosto 1985, n. 431, che novellando l’art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art.1 della legge 22 luglio 1975, n. 382) ha sottoposto a vincolo paesaggistico «le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici», e poi con l’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004.

8.− Si è andato così delineando un forte collegamento funzionale con la tutela dell’ambiente, cosicché allo stato, per quel che riguarda la Regione autonoma Sardegna, gli usi civici sono soggetti a due distinte potestà legislative, regionale e statale.

8.1.− Lo statuto speciale attribuisce alla Regione autonoma Sardegna, in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la competenza legislativa primaria in materia di usi civici (art. 3, primo comma, lettera n, dello statuto) e la conseguente potestà amministrativa (successivo art. 6).

Le norme di attuazione dello statuto attribuiscono alla Regione funzioni relative ai beni culturali e ambientali, nonché quelle relative alla redazione e all’approvazione dei piani territoriali paesistici (art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975), già introdotti dall’art. 5 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), e allo stato disciplinati dall’art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004.

Con la legge regionale n. 12 del 1994, la Regione ha disciplinato l’esercizio delle funzioni ad essa attribuite ai sensi del parametro statutario.

8.2.− Questa Corte ha affermato che «la conservazione ambientale e paesaggistica» spetta, in base all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., alla cura esclusiva dello Stato (ex plurimis, sentenza n. 367 del 2007), aggiungendo che tale titolo di competenza statale «riverbera i suoi effetti anche quando si tratta di Regioni speciali o di Province autonome, con l’ulteriore precisazione, però, che qui occorre tener conto degli statuti speciali di autonomia» (sentenza n. 378 del 2007).

E ciò in aderenza all’art. 9 Cost., che sancisce quale principio fondamentale quello della tutela del paesaggio, inteso come morfologia del territorio, cioè l’ambiente nel suo aspetto visivo. In sostanza, è lo stesso aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è di per sé un valore costituzionale (sentenza n. 367 del 2007).

8.3.− Quanto agli usi civici in particolare, la competenza statale nella materia trova attualmente la sua espressione nel citato art. 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, le cui disposizioni fondamentali questa Corte ha qualificato come norme di grande riforma economico-sociale (sentenze n. 207 e n. 66 del 2012, n. 226 e n. 164 del 2009 e n. 51 del 2006): esse si impongono pertanto al rispetto del legislatore della Regione autonoma Sardegna, tenuto conto dei limiti posti dallo stesso statuto sardo alla propria potestà legislativa (sentenza n. 51 del 2006).

9.− La coesistenza dei due ambiti competenziali impone la ricerca di un modello procedimentale che permetta la conciliazione degli interessi che sono ad essi sottesi.

9.1.− Tale conciliazione sarebbe assicurata, secondo la Regione, dalle modalità di approvazione del piano paesaggistico.

Vengono in rilievo, in proposito, l’intesa stipulata tra la Regione, il Ministero per i beni e le attività culturali, ed il Ministero dell’ambiente, per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici, e l’accordo di cui all’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

Secondo la Regione, dunque, in quella sede lo Stato, preso atto dell’avvenuta soppressione degli usi civici, potrebbe imporre altro vincolo per la tutela delle relative zone, soddisfacendo l’interesse ambientale e paesaggistico di cui è titolare.

9.2.− Tale soluzione è, però, inadeguata: in questo caso la tutela dell’interesse ambientale esige l’anticipazione dell’intervento statale alla fase della formazione del piano di accertamento straordinario previsto dalla disposizione regionale censurata.

La necessità di tale anticipazione deriva dalla stessa natura del bene protetto. Gli usi civici infatti, analogamente ad altre fattispecie quali le università agrarie, i parchi e le riserve, non trovano la loro fonte nel dato puramente geografico, oggetto di mera rilevazione nel piano paesaggistico (come accade, ad esempio, per le fasce di rispetto), bensì in precedenti atti amministrativi, cosicché è in questa fase a monte che si consuma la scelta ambientale.

È quanto avviene nel caso di specie con il piano di accertamento straordinario, che ha appunto la funzione di confermare o negare la qualificazione delle aree, con effetti definitivi sulla relativa tutela.

D’altra parte l’eventuale apposizione di un diverso vincolo non è in grado di assicurare una tutela equivalente, poiché in questo caso il mantenimento delle caratteristiche morfologiche ambientali richiede non una disciplina meramente “passiva”, fondata su limiti e divieti, ma un intervento attivo, e cioè la cura assidua della conservazione dei caratteri che rendono il bene di interesse ambientale. Tale cura, qui affidata alla collettività invece che alle istituzioni (come accade ad esempio per le zone umide e le lagune), si concreta in particolari modalità di uso e di godimento, che garantiscono insieme la fruizione e la conservazione del bene.

Vi è, dunque, una connessione inestricabile dei profili economici, sociali e ambientali, che «configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona, della tutela del paesaggio e della funzione sociale della proprietà trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di bene pubblico […] quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali» (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza n. 3811 del 2011, a proposito della fattispecie analoga delle “valli da pesca”).

È la logica che ha ispirato questa Corte quando ha affermato che «la sovrapposizione fra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente si riflette in uno specifico interesse unitario della comunità nazionale alla conservazione degli usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a determinare la forma del territorio su cui si esercitano, intesa quale prodotto di “una integrazione tra uomo e ambiente naturale”» (sentenza n. 46 del 1995).

In tale prospettiva, deve concludersi che per una efficace tutela del paesaggio e dell’ambiente non è sufficiente un intervento successivo alla soppressione degli usi civici: occorre al contrario garantire che lo Stato possa far valere gli interessi di cui è portatore sin nella formazione del piano straordinario di accertamento demaniale, concorrendo a verificare se sussistano o meno le condizioni per la loro stessa conservazione, ferme restando le regole nazionali inerenti al loro regime giuridico e alle relative forme di tutela.

10.− La norma della Regione autonoma Sardegna, quindi, viola gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 135, 142, comma 1, lettera h), e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’art. 3, primo comma, lettera n), della legge cost. n. 3 del 1948, l’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975.

11.− Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 19 del 2013 nella parte in cui non prevede la tempestiva comunicazione del Piano straordinario di accertamento e degli altri atti modificativi dei vincoli di destinazione ai competenti organi statali, affinché lo Stato possa far valere la propria competenza a tutelare il paesaggio con la conservazione dei vincoli esistenti o l’apposizione di diversi vincoli, e affinché, in ogni caso, effetti giuridici modificativi del regime dei relativi beni non si producano prima, e al di fuori, del Piano paesaggistico regionale.

12.− Altro profilo di illegittimità costituzionale della medesima norma va ravvisato nel prevedere, da parte della stessa, che i Comuni, previa intesa tra le parti interessate, nell’ambito della ricognizione generale degli usi civici, possono “attuare” processi di transazione giurisdizionale a chiusura di liti o cause legali in corso, invece che “proporre” tali processi. Ed infatti anche tale previsione, incidendo sulla ricognizione oggetto del Piano straordinario, viola gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest’ultimo in riferimento agli artt. 135, 142, comma 1, lettera h), e 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, l’art. 3, primo comma, lettera n), della legge cost. n. 3 del 1948, l’art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975.

13.− Pertanto, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 19 del 2013 nella parte in cui prevede che i Comuni possono “attuare” processi di transazione giurisdizionale, invece che “proporre” tali processi.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibile l’intervento spiegato dal Consorzio Uomini di Massenzatica;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione autonoma Sardegna 2 agosto 2013, n. 19 (Norme urgenti in materia di usi civici, di pianificazione urbanistica, di beni paesaggistici e di impianti eolici):

a) nella parte in cui non prevede la tempestiva comunicazione del Piano straordinario di accertamento e degli altri atti modificativi dei vincoli di destinazione ai competenti organi statali, affinché lo Stato possa far valere la propria competenza a tutelare il paesaggio con la conservazione dei vincoli esistenti o l’apposizione di diversi vincoli, e affinché, in ogni caso, effetti giuridici modificativi del regime dei relativi beni non si producano prima, e al di fuori, del Piano paesaggistico regionale;

b) nella parte in cui prevede che i Comuni possono “attuare” processi di transazione giurisdizionale, invece che “proporre” tali processi.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2014.

F.to:

Sabino CASSESE, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI